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Eme & Mireya - Casper - Wyoming

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    Sono stati mesi complessi. Passare gli ultimi mesi della gravidanza senza Rufus non era esattamente quello che avevo immaginato, ma eseguendo un parto indotto era almeno riuscito ad essere presenze, grazie ad un permesso che tutti avevano capito era meglio concedergli. Zoe è nata sana e forte, splendida in tutta la sua fragilità, un piccolo essere che ora può permettersi il lusso di farsi proteggere, ma che con il tempo prenderà il suo posto nella famiglia, con i giusti insegnamenti. Mi sento piena di orgoglio ogni volta che mi fermo a guardarla, cosa che capita fin troppo spesso, dato che esco poco dai confini di Casper con lei così piccola. Rufus è da poco a casa, ma a parte qualche tempo per godersi la nostra compagnia, è stato assorbito dalle attività da Capofamiglia, come giusto che sia; aveva qualche arretrato da gestire, e non volevo che mettesse in secondo piano il suo ruolo solo per stare con noi. Ci avrebbe trovate a casa, lo sa.
    Forse però è la noia, forse anche un po' di eccitazione, che mi porta a scrivere un rapido messaggio ad Eme.
    Un semplice invito qui a Casper, per due chiacchere e qualsiasi cosa possa offrirle. La sua risposta non si fa attendere, così preparo qualche biscotto ingannando l'attesa, una ricetta del mio paese con cacao amaro ed un infuso di erbe tipiche, che mia madre mi ha insegnato, una ricetta adatta alle donne che hanno da poco partorito.
    Il mio udito, già piuttosto fino, sembra essersi acuito ancora di più da quando ho partorito, sento Zoe muoversi, emettere qualche suono; deve essersi svegliata, così mi dirigo verso la culla e la prendo in grembo, in adorazione, mentre mi fissa con i suoi occhi grandi. Ciao Mija, ben svegliata. Sta arrivando Tìa Eme, sai? Per quanto il mio tono sia addolcito mentre le parlo, non prende le tipiche note acute di chi sta parlando con un bimbo piccolo. La cullo, canticchiando a bassa voce una ninna nanna, mentre una scia di dolce profumo di biscotti inizia a diffondersi per la cucina.
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    Non aspettavi altro, davvero nient'altro se non vederla, finalmente.
    Casper non è un territorio facile, ma resta sempre casa, anche se le ultime persone che vorresti incontrare oggi sono proprio Anson e Nestor. Semplicemente perché non è il momento, paradossalmente non è neanche il luogo, sebbene questo posto appartenga più a loro di quanto non sia mai appartenuto a te, a maggior ragione adesso. Ma ci sono cose che non hai voglia di spiegare, neanche solo di rischiare di sfiorare: troppo complesse da spiegare a loro, si incapperebbe in altro, in qualcosa di potenzialmente incompreso e quindi indesiderato. Putnam Valley stringe forte tra i denti il suo diritto di esistere e lo scopo che giustifica la sua esistenza. E non è per questo che sei qui, che sei corsa a Casper, dove sei nata anche tu, quando Mireya ti hanno detto che potevi finalmente farlo.
    Ci sono momenti che sono di passaggio, ed uno è la nascita, specialmente per gente come voi. Ci sei passata già tante volte da sapere che non si tratta mai solamente di qualcosa di solitario: una donna che soffre da sola e poi gioisce più di chiunque altro con il sollievo di aver messo al mondo una vita. Ci sei passata già tante volte da sapere che si tratta sempre di un consesso, di donne necessarie, desiderate e non, ma vengono chiamate ad assistere a questo passaggio, dalla madre al figlio, della madre e del figlio.
    Per questo avresti voluto esserci per Mireya, non soltanto perché sei annoverata ormai tra le madri "esperte", perché sei in grado di capire se le cose stanno procedendo come devono, naturalmente, per una semplice conoscenza pratica, viscerale prima ancora che empirica, ma perché avresti voluto assistere a questo passaggio nella vita del figlio di tuo fratello. Glielo dovevi. Non che fosse tuo compito farne le veci, anche quando gli era stata concessa la grazia di vedere nascere sua figlia, ma perché era una condizione di quella silenziosa promessa mai veramente stretta se non nella reciproca appartenenza e fedeltà. Come se fosse un figlio mio, come i suoi erano figli di Rufus, a dispetto di quanto potesse pensarne Andre, con la sua avversione nei suoi confronti. Giustificata o meno, non importava più. Certe cose non si potevano cancellare, fortunatamente.
    Sembra ieri di sentire Rufus accettare le condizioni di Anson per diventare capofamiglia. Che lo faceva anche per te, per non dover fare più i conti con quei segreti infami, per assicurarsi e assicurarti che certe cose non sarebbero più successe in futuro tra i Foulger, ai figli dei Foulger. Eppure sono già passati due anni.
    Due stramaledetti anni, che non ti va di rivangare: lo hai fatto contando ogni singolo giorno, incidendolo, sviscerando ogni singolo atomo di dolore per osservarlo sotto una lente forse troppo masochista. E forse ti serviva del tempo, che cicatrizzasse, ricucisse, e alla fine offrisse nuova imprevisto filo per continuare a ricamare un nuovo disegno della trama.
    Sembra ieri per tante cose, tante altre che sembravano vivere in un passato recente stanno scivolando direttamente al loro posto, tornano alla loro originale distanza, anche se stai perdendo anche la voglia di raccontartelo adesso per cui c'è qualcosa che il passato lo tiene a bada.
    Ma non è certo che venga compreso; no, ne sei certa, e hai ormai imparato che certe cose hanno bisogno di rimanere dove nascono, a Putnam Valley. Che è poi lo stesso motivo per cui ancora non racconti che sono notti che dormi con un altro uomo.
    Bussi alla loro porta quasi con un fremito, una scossa che dal gomito risale alle dita del pugno appena chiuso, mentre sotto braccio tieni infagottato quello che prima è stato dei tuoi figli maggiori e che ti sembra giuso ora passare a quelli di tuo cugino.
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    Il suono secco e tuttavia caldo del legno riecheggia fin nella stanza dove mi trovo, annuncio dell'arrivo di Eme. Giusto in tempo per la merenda, eh? E' troppo piccola perché comprenda il senso delle parole, tuttavia ogni volta che le parlo le spuntano sul viso le fossetto ed un sorriso, come se per lei fosse la più bella cosa il semplice udire della mia voce. Una visione che mi scalda il cuore o lo riempio come nulla ha mai fatto finora. La maternità mi ha travolto, come un istinto che da sempre avevo tenuto assopito, risvegliato più forte che mai. L'attesa però è valsa la pena, perché Rufus e i Foulger so che non saranno una delusione, come io mi impegnerò per essere altrettanto all'altezza per loro. Mi dirigo verso la porta e le apro, una mano che circonda mia figlia e l'altra che avvolge mia cugina, perché di fatto la sento già parte di me. Benvenuta! Ti trovo davvero bene...Guapa, direi! Le schiaccio un occhiolino, riuscire a contenere lo spagnolo si è fatto più difficile da quando è nata Zoe, dato che per abituarla al suono e facilitarla come bilingue le parlo spesso nella mia madrelingua. Stavo giusto andando a sfornare i biscotti. Ah... Le faccio cenno di entrare e proseguire per la cucina, strada che conosce meglio di me quasi sicuramente. Siamo sole, non c'è rischio di incontri non desiderati. So bene i trascorsi, e dato che non voglio mettere in difficoltà nessuno, le ho chiesto di trovarci un giorno che sapevo non avremmo avuto intoppi. Mi sembra passato un secolo dall'ultima volta! Come stai? Mi chino a controllare il forno, per poi posare nella culla Zoe; sembra essercene una in ogni stanza, dato che non voglio abituarla troppo a stare in braccio e solo in braccio. Oltre ai biscotti ho preparato anche una tisana tipica della Costa Rica, ma ti avviso, il sapore se non sei abituata è...acre. Però fa molto bene. Rimango con la brocca in sospeso, il bicchiere vuoto davanti, in attesa di sapere se vuole sperimentare o se opta per cose con cui ha più confidenza.
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    Edited by _ZoRa_ - 16/4/2024, 22:35
     
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    È incredibile guardarla, anche se a Rufus non assomiglia affatto per ora, perché è scura come sua madre. Fa quasi ridere per questo. Fa ridere il fatto che sia di Rufus, che sia sua figlia, ma è un ridere che porta alle lacrime per una strana forma di emozione e di contentezza sentimentale. Che ti sembra solo ieri che gli dicevi di aspettare i tuoi figli, ti sembra solo ieri che lo prendevi in giro sul muoversi, a sua volta, nel mettere al mondo qualche Foulger. E ora è una bambina che ti guarda con gli occhi di sua madre. Non sai se guardare lei o Mireya, ma è un po' impossibile non scivolare dall'una all'altra. Ti serve solo che ti inviti ad entrare e che riprenda lei il passo per scioglierti da quello stallo dolcissimo.
    «Insomma non userei proprio quel termine, ma sto bene.»
    Anche se certe cose rimangono difficili da digerire, anche se dovresti esserci abituata perché fa parte della vostra natura, è così che siete stati cresciuti: con la morte aggrappata addosso, come un cane che morde la gamba. Eppure mai così vivi. Forse ciò che ti mette veramente in ginocchio non è la morte di Morgan in sé, sebbene sia del resto così dolorosa, forse è il pensiero di Edie, di Caiden. Quello davvero ti uccide. Ma non ti vuoi torturare adesso pensando di nuovo al viso di Caiden, non adesso, non qui.
    «Bene.» le rispondi seguendola in una casa che è sua e che è strana anche questa, dopo una vita quasi interamente da nomade trascorsa insieme a Nestor e ai tuoi cugini.
    Ma sai di non dover mai lasciare al silenzio affermazioni del genere. Mireya forse già se lo immagina, ma se hai aspettato così tanto è perché con Rufus in prigione la situazione era tesa, e Casper l'hai evitata per tutto il tempo necessario, stando anche ai suggerimenti di tua madre. Le cose sono cambiate, sì, da che la tua famiglia è ormai soltanto la tua. Non che ci siano mai stati trattamenti di favore, né che tu sia ancora dipendente da Anson, ma lo sai, lo senti di essere sempre sotto il suo sguardo, sotto il suo giudizio. Ed è per questo che una delle più grosse preoccupazioni è sempre quella di dovergli dimostrare di essere stata una scommessa che valeva la pena fare. O più che una scommessa, un accordo, uno ben calcolato, con tutti i vantaggi e soprattutto i rischi del caso.
    Ne approfitti che Mireya posi Zoe in culla per poterti avvicinare e sporgerti sopra. Le offri piano una mano e lasci che ti afferri un dito, mentre si dibatte subito per la tentazione di portarselo alla piccola bocca. «Ciao, Zoe…» È energica, decisa, Ronnie ci impazzirebbe.
    «Sì, è passato davvero tanto… beh ne sono successe di cose… sì, versa versa, voglio sentire.»
    Dire che di cose ne sono successe pare quasi un eufemismo. Certe cose pensi non sarebbe neanche il caso di elencarle. Nel bene e nel male, anche se non puoi dimenticare chi e cose ti è venuto in soccorso quando le cose hanno cominciato a incrinarsi, quando per un attimo, un solo attimo, hai pensato di non poter gestire l'ennesimo dolore.
    «È davvero bella.» dici sfiorando una guancia alla bambina nella speranza si strapparle un sorriso da quello sguardo contratto dove, ecco, grazie ad una sfumatura improvvisa ma palese compare suo padre.
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