We pay for the violence

Quincy/Sextus/Ravius | 2 Maggio 1998 | Hogwarts

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    Non avrebbe probabilmente mai potuto immaginare quello che sarebbe successo. Anni ed anni dopo avrebbe voluto dirsi il contrario, ma nessuna macchinazione, nessuna prescrizione mentale che avesse mai concepito in quegli anni, sarebbe mai potuta arrivare a quelle conclusioni. Tremende, terribili, conclusioni. Sapeva da padre, ma solo vagamente, come stessero andando le cose. Madre era invece uno spettro che registrava come dispettoso: il suo scopo era più quello di coglierlo in fallo per denunciarlo a Reynard che altro, e poi godere con quel gelido sorriso di ogni lamento che nonostante tutto gli scappava dalle labbra. Sapeva che per Raelyndra era diverso, che per sua sorella madre era aguzzino come padre, che la perversione di quella donna strisciava più a fondo quando si trattava della minore degli eredi di Reynard Lestrange. La detestava, ma non avrebbe potuto detestarla mai più di padre. Era lui l’uomo che lo umiliava, quotidianamente, ancor prima di ferirlo; non era il dolore il motivo del suo odio: era l’offesa. La sottile, eppur sempre presente, consapevolezza che qualsiasi cosa padre avesse voluto fargli, avrebbe potuto. Lui non era altro che un mero giocattolo fra le sue dita, avrebbe potuto scegliere di ricaricarlo come romperlo, e Ravius semplicemente non avrebbe potuto far nulla per impedire una o l’altra cosa. Le cicatrici erano anche quelle una subliminale dimostrazione del suo potere, non era la carne dilaniata a rendere padre orgoglioso: era il semplice fatto che fosse causa sua, e che potesse ripeterlo. Eppure quello, quello, era stato egualmente un incubo. Forse era il fatto che Hogwarts, piena delle sue pecche – quelle che in molti parevano non comprendere, sopratutto quando estranei a cognomi con il peso del suo, di quello di Sextus e Quincy, quello di Timotheus – che gravavano silenti ed in agguato sulle spalle, era stata un rifugio. Si era vergognato, durante il suo quarto anno, di averla considerata così. In fondo, riflettendoci, era ovvio che gliel’avrebbero strappata via. Che padre, e tutti i suoi alleati, avrebbero trovato il modo di rendere gli incubi del Maniero Lestrange una realtà onnipresente, impossibile da eradicare. Era ovunque, toglieva il fiato. Ma aveva reagito. Finché gli era stato possibile, e sempre entro quei limiti che per quanto potessero apparire invisibili, erano n realtà picchi altissimi di catene montuose che non facevano altro che segnare la loro stessa presenza. Ma si trattava pur sempre di Hogwarts.
    Quando Silente era morto, aveva pur sentito come quella fosse stata la fine. Non era stata forse la sua mera esistenza a mantenere quel vacillante equilibrio? Ne avevano avuto una prova concreta. Ma che Potter decidesse di portare quella battaglia, era uno sforzo d’immaginazione troppo grande perfino per lui. Raelyndra era solo al primo anno. Non ci aveva pensato, Santo Potter, a tutti quelli che, come lei, non avevano gli strumenti per qualcosa di così immenso? Anche lui non li aveva. Non era mai stato capace di controbattere a padre, mai e mai ancora. Aveva provato paura. Una paura cieca, fitta, incolta, che era cresciuta selvaggia, indomita. Perché Colui-che-non-deve-essere-nominato sarebbe andato lì. Lì dove c’era Santo Potter. Non ci voleva un genio per capire cosa sarebbe accaduto, cosa ancora avrebbero reso Hogwarts. Quelli prima di lui l’avrebbero ricordata come qualcosa di meraviglioso, caldo, sicuro. Quelli come lui, da lui, loro, l’avrebbero forse ricordata sempre per quello. Era vicino a Raelyndra, neanche ascoltava quello che succedeva di fronte a loro, quei bisbigli e mormorii che li avevano spinti fuori dai letti, fuori dalla Sala Comune, e dentro quella chiara visione di ciò che sarebbe accaduto. Raelyndra era così piccola, chi avrebbe avuto pietà di lei? Né gli uni, né gli altri. Erano sempre stati da soli al centro di quelle fazioni che non avrebbero potuto mai capire, non del tutto. Una mano era scesa dritta, automatica, quasi ferrea sul polso di sua sorella, l’altra spalla si era mossa solo fintamente alla cieca, consapevole di quello che avrebbe trovato alla sua sinistra: era stato Sextus quello a cui aveva lanciato la sua occhiata. Non aveva idea di dove fossero gli altri, erano solo loro quattro. Non si sarebbe permesso mai, in quel momento, di pensare agli altri; non poteva. In fondo lo sapeva, esisteva solo un posto in cui sarebbero potuti andare, e Quincy e Sextus esattamente come lui potevano comprendere fin troppo bene cos’è che sarebbe successo di lì a poco. I Carrow, Piton. La McGrannit, gli altri porofessori. Potter, Santo Maledetto Potter. Nessuno di loro avrebbe ceduto solo perché lì, proprio in quella scuola, c’erano bambini terrorizzati. Nessuno avrebbe pensato a loro. «Andiamo» aveva aspettato solo un secondo, uno appena, i colori degli incantesimi che partivano alle loro spalle – non voleva sapere chi lo aveva scagliato contro di chi, non aveva importanza. I piedi gli remavano con forza in avanti, sulla strada che sapeva li avrebbe portati alla Camera. «Verranno presto» era stupido cercarlo di dire a bassa voce, spingendosi con le labbra verso i gemelli come sperando che così sua sorella non lo sentisse – lo sentiva sentito per forza, e anche se non lo avesse sentito non c’era modo di nascondere quel senso di agitazione che gli permeava nello sterno. Verranno presto. Padre, sicuro. Il solo pensiero bastava a fargli sentire le ginocchia deboli, come ogni volta che si sedeva sull’Express per tornare a casa. Ma quella volta era peggio, anche se non lo avrebbe ammesso mai. «Barricheranno la Scuola, la faranno qui» non c’era bisogno di specificare cosa, avevano tutti respirato la stessa aria, sapevano tutti cosa stava accadendo dietro le quinte del mondo. Caminava così veloce, macinando pavimento e scale, che quasi aveva il fiatone in gola. «Sarà una strage» da parte di chi, a causa di chi, poco importava. Era una certezza che, per lui, si infilava tanto a fondo da essere sufficiente. Sufficiente per tutto.
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    embravano tutti spaventati nella Sala Grande. Dei bambini. Li guardò solo per capire se sentissero la stessa voce che sentiva lui, annichilente, e la familiarità di tutte quelle persone sparì in un'attimo. Non sapeva neanche distinguere i primini dagli altri, erano tutti bianchi, confusi. Spaventati.
    Non Sextus. O, se lo era, non lo dava a vedere. Fissava Potter, davanti a tutti, con un misto di delusione e prontezza. Si stava interrogando su cosa questo significasse, quando Ravius parlò, parole senza senso, almeno all'inizio. Verranno? Una strage? Non c'era nessuna strage, nessun dubbio su cosa stesse per succedere. Si parlava del Signore Oscuro, accanto a lui c'erano persone come zio Esaias, il padre di Ravius, non c'era niente che si potesse fare contro persone così fuori di testa. Almeno Esaias lo era, Azkaban gli aveva logorato il cervello, il padre di Ravius forse c'era stato poco, ma non partiva esattamente avvantaggiato.
    Sentì la McGranitt dire di portare le persone più giovani nei sotterranei. Ovvio che anche lei fosse della stessa idea, no? No. Evidentemente no. Guardò Sextus di nuovo, non sapeva se lo spaventava di più la situazione o il fatto che quella era una delle rarissime occasioni in cui non era certo di cosa pensasse suo fratello. «Accodiamoci al primo anno» disse solo, risoluto, come svegliandosi da un breve sonno.
    Scelta che comunque Quincy faticava un po' a capire.
    Loro erano al sicuro, no? Il Signore Oscuro sarebbe entrato e avrebbe preso Potter, al massimo ci sarebbe stato un piccolo scontro con quelle due persone che credevano in lui, ma era finita, finita il giorno in cui tutto era ricominciato in modo inarrestabile.
    Si mosse però anche lui, seguendo quelli del primo anno. Sextus aveva un piano preciso, evidente, perché guardò Ravius, e all'improvviso gli fece un cenno per prendere le scale principali invece del corridoio che portava a quelle dei sotterranei.
    Ci mise un momento di più a capire dove volesse andare. Sextus guardò loro tre, poi la massa di persone che si accalcava sulla porta per andare di sotto.
    «Xzavier?» Quincy l'aveva notato che Xzavier non c'era, doveva star cercando lui. Non l'aveva visto neanche in dormitorio, doveva essere già in piedi, forse a pattugliare i corridoi come imponeva la sua spilla da prefetto o dieto a quei due rincretiniti dei suoi amici.
    «Andiamo» Sextus si mise accanto a Ravius, non era facilissimo capire chi dei due guidasse, l'unica cosa evidente era la meta: la camera dei segreti.
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    Aveva avuto bisogno di dare solo uno sguardo a Sextus per comprendere nell’intimo cos’è che avrebbero dovuto fare in quel momento. Da parte sua, per Ravius quella appariva come l’unica alternativa possibile. Che Raelyndra entrasse in campo era fuori discussione; sarebbe morta in un modo o nell’altro. Gli “amici” di padre non l’avrebbero considerata – o peggio lo avrebbero fatto, esortandole la stessa ubbidienza che veniva loro esortata in casa –, l’altro lato avrebbe forse solo visto il suo cognome e nulla di più, ed era qualcosa che non poteva permettersi in alcun modo. E poi, non avevano idea di come sarebbe finita quella storia, aveva bisogno di una scappatoia per un caso o l’altro. Se fossero stati i Mangiamorte avrebbe usato perfino la vigliaccheria come scusa – se fosse bastata a tenerlo in vita con Rae, avrebbe sopportato quello smacco al suo orgoglio; se fosse stato Potter, essersi ritirato sarebbe stato un punto a suo favore. Sentiva la paura di Quincy, eppure sapeva istintivamente che erano diverse. Quella del suo compagno era la paura dell’incomprensione, ed era probabilmente figlia di quello che Sextus aveva rappresentato per i Rowle, e di tutto quello che aveva fatto. Non aveva mai desiderato per i suoi amici la stessa cosa che aveva invece desiderato ardentemente e spesso per sua sorella: che fossero altrove, ovunque tranne che lì. Non avrebbe mai neanche immaginato di pensarlo per il castello, eppure erano lì a macinare passi con la consapevolezza del tempo incipiente sulle loro spalle, appena un millimetro indietro rispetto a loro. «Non dobbiamo farci vedere» rispose a Setus più che a Quincy – non sapeva come spiegare in quell’urgenza l’interezza di ciò che avrebbe voluto dire, quindi non lo fece. Così come scelse di non pensare a quanto diverse avrebbero potuto essere le implicazioni e le scelte per tutti loro. A distanza di anni, si rendeva conto di come quello fosse stato un pensiero stupido. Aveva ceduto alla consapevolezza di come e quanto, in fondo, il provenire da quelle famiglie li avesse uniti, e in quel momento aveva scelto di credere che sarebbe stato abbastanza. L’incedere del caos che iniziava a divagare nel castello era stata per loro una manna dal cielo. Quello e la certezza che in quel momento nessuno si sarebbe messo a controllare dei bagni che, in fondo, non venivano usati mai da nessuno. Non aveva idea di dove fossero gli altri, e non poteva permettersi il lusso di pensarlo o, quasi sicuramente, sarebbe stato incapace di fare ciò che invece doveva fare per sua sorella, per garantire ad entrambi un dopo che non fosse così penoso, peggio perfino di quello che avevano già vissuto sulla propria pelle. Il tragitto non fu così complesso, ma sapeva che dipendeva solo dal fatto che tutti, ad Hogwarts, dovevano essere nel pieno dei preparativi. Era quel tipo di calma che non lo è per niente, ma è solo il sintomo di una concentrazione piena di fretta, dell’angosciante sensazione di dover fare in fretta. Il bagno era vuoto, perfino Mirtilla sembrava essersi rintanata da qualche parte, non in vista fra le pareti umide. «Rae, aprila per piacere» fece cenno ai due di allontanarsi appena, anche se forse era un gesto inutile, non avrebbe potuto risparmiare a sua sorella quella consapevolezza, non importava quanto ci provasse. «La McGrannit non ha il tempo di mandare qualcuno qui» era inutile dirlo, ma lo fece lo stesso. Sapeva più di una rassicurazione che nessun altro gli avrebbe dato se non sé stesso. «Piton e i Carrow avranno già avvertito il Signore Oscuro della situazione ad Hogwarts, e qualcuno avrà allertato gli scagnozzi di Silente» Quincy e Sextus avrebbero potuto facilmente intuire la punta agitata della sua voce, quella nota che doveva essere tremendamente simile al tono che aveva quando era con padre. «Ma non penso che abbiamo il tempo di andare a cercare gli altri» non lo avevano, lo sapeva. Ci avrebbero tranquillamente potuto mettere ore a perlustrare il castello, e probabilmente avevano a sento una manciata di minuti. «Ma sapranno che siamo qui» non ci credeva neanche lui, ma lo disse lo stesso, senza contare che anche se lo avessero saputo non avevano modo di raggiungerli una volta che loro fossero stati in fondo, al sicuro nella camera. Ravius era sempre stato un ragazzo previdente, uno a cui piaceva pianificare – non a caso era stato verso gli scacchi che si era mossa la sua passione, al contrario di altri –, non sapeva cosa fare in quella situazione. Non per la prima volta, certo, ma per la prima si rendeva conto di quanto gli fosse pure impossibile calcolare le conseguenze. Il sibilo di Raelyndra, alle sue spalle, e il rumore della pietra segnalarono che la stanza era stata aperta, ma lui si voltò solo un secondo verso di lei prima di tornare a guardare i gemelli. Una volta dentro, sarebbero stati tagliati fuori da tutto. «Andiamo» disse soltanto, mentre i passi di Raelyndra si facevano vicini al suo orecchio.
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    rrivarono nel bagno senza che nessuno li avesse visti. O almeno, nessuno di importante, di quelli che avrebbe potuto dire che dovevano seguire la massa e andare altrove.
    Sextus era accanto a Ravius e Raelyndra, Quincy si fermò qualche passo più indietro. Volevano davvero nascondersi nella Camera dei Segreti?
    Una parte di lui capiva quella necessità, la trovava una scelta sensata. Raelyndra era troppo piccola, e andare nelle segrete significava essere solo fra la carne da macello nel momento in cui la guerra fosse stata vinta e qualcuno fosse andato di sotto a liberarsi dei pesi inutili. Non sarebbe stato torto un capello a nessuno di loro per via del loro sangue, ma c'erano dei punti imprevedibili in quel fatto: nessuno poteva dire come il Signore Oscuro avrebbe potuto reagire sapendo che nelle segrete c'erano dei codardi che non avevano preso parte alla battaglia. Lui, Sextus, Ravius erano già abbastanza grandi per servirlo, in un certo senso. Per Ravius era pure più pericoloso, perché era l'unico Lestrange o quasi a poter stare dalla parte giusta. Per loro due era diverso, con tutti i fratelli che avevano con il Marchio Nero sul braccio il pegno dei Rowle era stato già pagato.
    «Sì, è la scelta migliore» non sentì subito la voce di Sextus, lui e Ravius stavano confabulando vicino a lui, a quanta distanza, poco più di un paio di metri?
    «Non possiamo sapere davvero come andrà a finire. Se Potter ha deciso di farsi vedere o è un pazzo egomaniaco come in effetti è, o sa di avere una possibilità» Sextus continuava a parlare, Quincy ascoltava e basta. Si stava impegnando a seguire quei ragionamenti, ma gli sembravano comunue estranei.
    «Ci conviene stare nascosti, quando sapremo com'è finita capiremo se è il caso di scappare altrove o di recitare la nostra parte»
    Quincy si bloccò, cercando di capire di quale parte parlasse suo fratello. Stava davvero dicendo che loro quattro, da soli, dovevano capire come vivere la loro intera vita? Era uno di quei momenti. Stavano facendo una scelta da cui non si tornava indietro. Se il Signore Oscuro avesse vinto, sarebbero stati dei traditori, probabilmente salvi perché purosangue, ma Salazar solo sapeva con quali conseguenze. Se invece perdeva, ipotesi piuttosto improbabile, Sextus stava suggerendo di fingersi vittime innocenti. Era quello che stava dicendo.
    Suonava sensato.
    Logico, più che sensato.
    Solo che non capiva come potesse pensarlo.
    «Sex, Xzavier non c'è» Quincy parlò con una voce che sembrava provenire da un chilometro di distanza, o almeno così sembrò guardando la faccia di suo fratello. Si stava arrovellando in quei ragionamenti, e gli sembrò che nemmeno per un attimo aveva considerato quel punto. Oppure l'aveva fatto, e aveva semplicemente deciso di sacrificare quel dettaglio.
    «E Thurstan» continuava a suonare come un sogno distante, stavolta anche a lui.
    «E Heron» si piegò appena la voce, un'inflessione strana che suonava come la fine di alcune speranze. Era tutti lì fuori, anche Thorfinn, e pure se a nessuno di loro piaceva Thorfinn, era pur sempre loro fratello.
    Guardò Sextus, incerto a passare il peso sull'altro piede. Ci stava pensando. Davvero doveva pensarci?
    Poi si volt a guardare Ravius, uno sguardo più pratico. Gli stava chiedendo se ce la facesse ad andare da solo con Raelyndra, ma ormai Quincy sapeva che non lo stava facendo perché pensava che fosse la cosa giusta, ma perché aveva capito che lui non poteva scendere nella camera senza sapere che fine avesse fatto la sua intera famiglia.
    –pureblood slytheryn iv year–


    Edited by tippete - 26/4/2024, 15:14
     
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    Non si era pentito delle scelte fatte, si era pentito però di aver dato per scontato alcune cose. Non del fatto che con padre le cose andassero così male che non aveva idea di cosa stesse davvero succedendo, quali fossero le minuzie di piani da cui si era tenuto distante per affronto più che per convinzione, ma aver creduto davvero che sarebbe stato qualcosa di ancora distante per anni, che qualsiasi cosa si sarebbe decisa una volta che tutto quello fosse finito lontano da lì era stato un errore che non avrebbe dimenticato mai. Non aveva modo di saperlo in quel preciso momento, ma la prima delle sue convinzioni, ciò che ancora rendeva di lui una figura amorfa ancora in parte simile ad un bambino, era venuto meno. Avrebbero pensato poi, come diceva Sextus. La cosa importante, per quel momento, era assicurarsi di uscire da quel momento esattamente come erano. Si voltò lentamente verso Quincy, il senso delle sue parole che iniziava a formare nella sua mente sconvolta un sentiero che incideva i suoi passi uno dopo l’altro, a fondo. Un nome che era un dubbio, poi un secondo che alle sue orecchie acquisiva il suono di una certezza. Una preghiera scandita con un precisione che lo lasciò, per qualche secondo, destabilizzato. Quincy non aveva bisogno di dir altro, come del resto raramente qualcuno di loro aveva bisogno di dire più delle sottili insinuazioni che erano abituati a scambiarsi, delle volte senza neppur aprire bocca. «È una follia» gli uscì dalla gola stretta, serrata in un pensiero che aveva disperatamente cercato di spingere via quando già l’assenza di Rohan e Timotheus aveva minacciato di diventare un punto enorme nella sua mente. Eppure era lì, di fronte a lui, la chiara realtà di come tutto quello che aveva in fondo sperato di strappare a quella scuola fosse sempre stato destinato a questo. Anche lì padre era riuscito ad infilare le sue dita, la parte peggiore era che neanche lo sapeva, ma Ravius non dubitava che avrebbe saputo riderne a crepapelle e godere come solo lui era capace di fare delle sventure del figlio, se solo lo avesse saputo. Era una follia per davvero, non avevano davvero modo di sapere cosa sarebbe stato lì fuori ma su una cosa Sextus aveva ragione: se Potter era lì doveva voler dire che una possibilità esisteva. Per quello che aveva visto prima che si muovessero per scivolare via dalla Sala Grande, almeno buon parte del corpo docenti si sarebbe schierata con lui, e non potevano essere realisticamente gli unici assi nella manica che Silente aveva raccolti in anni ed anni di guerra fredda. Era una follia, semplicemente. «Non siamo minimamente preparati a niente del genere» includeva anche sé stesso come se fosse necessario farlo per sottolineare come parlasse di loro tutti, che per quanto grandi agli occhi dei loro genitori che pretendevano da loro qualcosa – madre e padre di sicuro – non avevano neanche le conoscenze più basilari per affrontare una situazione come quella. Lui, dal canto suo, non aveva scelta. Non poteva lasciare Raelyndra e anche se avesse potuto, il sottile terrore nato dal pensiero di incontrare padre in un contesto come quello bastava ad inchiodarlo con i piedi a terra, incapace anche solo di formulare un pensiero che potesse andare più in là. Cosa sarebbe accaduto se avesse lasciato le sicure pareti di quel bagno? Quelle ancora più sicure di un rifugio in cui neanche padre avrebbe potuto mettere piede? Non lo sapeva. Non voleva scoprirlo. «Senza contare che Sextus ha ragione, se sono qui è solo perché Potter ha una possibilità, cosa succederà se vince e voi sarete andati lì fuori?» in cuor suo, sapeva che probabilmente niente di quello che avrebbe potuto mai dire in quel momento avrebbe davvero potuto fare qualche differenza. La famiglia di Quincy e Sextus non era come la loro, quella sua e di Raelyndra, seppur ne tratteneva un pezzo ed un peso, lui faceva di tutto per andare contro a padre per dispetto. Non aveva altro che Raelyndra, e lei era lì al sicuro al suo fianco, non avrebbe permesso a nessuno di toccarla, mai più. E anche se aveva detto quella stessa cosa a sé stesso un migliaio di volte, ed un migliaio aveva fallito, sapeva anche come quella volta fosse diverso. Non avrebbe avuto altre possibilità. «La Camera è la migliore possibilità che abbiamo, ognuno pagherà le conseguenze delle proprie scelte» anche lui, lo sapeva. Lo avrebbe fatto, ma almeno poteva risparmiare qualcosa che avrebbe potuto essere fin troppo peggio.
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    ilenzio che accompagnò l'esclamazione di Ravius. Sextus lo stava guardando di nuovo, e Quincy finalmente riusciva a capire il flusso dei suoi pensieri.
    Era quasi tutto scritto, poteva sentirne le parole.
    È davvero una follia, sei sicuro?
    Sì.
    Sai dove sono?
    Forse.
    Non era una bugia. Tutte le lettere di Eleazar lo avevano in parte preparato all'evenienza. Non che la battaglia fosse ad Hogwarts, Eleazar lo aveva pensato prima, quando Silente era ancora in vita, nell'ultimo anno aveva scartato quella possibilità. Ma aveva dato loro indicazioni. Con il codice segreto che lui e Quincy utilizzavano. Sapeva che aveva suggerito loro di continuare a tener d'occhio Malfoy e la sua cricca, loro avevano aderito agli ordini del Signore Oscuro più di loro. Xzavier l'anno prima era stato infatti attento a socializzare con Draco, a non perderlo d'occhio. In quell'occasione avrebbe cercato di capire dove fosse, avrebbe cercato di farsi dare indicazioni da eseguire altrove, lontano dai suoi occhi per avere un'uscita plausibile in qualunque caso. Lui, Quincy e Sextus, erano stati preparati.
    Solo in quel momento Quincy capì qualcosa che forse Sextus aveva già inteso: preparati a portare avanti la famiglia Rowle se Thurfinn ed Heron, schierati in modo più diretto con il Signore Oscuro, avessero scelto la fazione sbagliata. Ne andava di tutta la famiglia.
    Era importante che tutti fossero al loro posto: Raelyndra, pedina nei giochi di Grosvenor, al sicuro, loro tre minori dei Rowle con il piede in due scarpe, sfruttando la giovane età per non essere colpiti da conseguenze troppo drammatiche.
    Restò immobile perché comunque c'era quell'incertezza di fondo. Bravo era bravo nei duelli, fra i migliori, ma il contesto era del tutto diverso, e ovunque fossero andati, si sarebbero dovuti difendere.
    «Siamo i migliori duellanti del nostro anno» Sextus ribatté a Ravius con più sicurezza di Quincy, come sempre leggendogli praticamente nel pensiero. Si portò i capelli indietro, un gesto che faceva quando le cose si facevano più serie, e persino lui, che riusciva in tutto, aveva la consapevolezza che la sua vittoria non era del tutto decisa a tavolino. Ma Sextus alla fine ce la faceva sempre, non perdeva mai.
    Guardò l'ingresso della Camera dei Segreti, poi Quincy, di nuovo Ravius.
    «Siamo solo dei ragazzini per loro, dei Rowle per gli altri. Se incontriamo qualcuno che sta con Potter possiamo fingere di essere dalla loro parte abbastanza a lungo da poter colpire a sorpresa. Gli altri non ci toccheranno» Quincy annuì alle parole del fratello, stava già pensando a come potessero fare, e aveva trovato una soluzione. Questo lo rassicurava, anche lui ritrovò quell'orgoglio che gli dava certezza. Sextus aveva trovato il modo, pensava fosse fattibile, ed era ovvio che era così.
    «Cerchiamo i nostri fratelli e andiamo nelle serre di Erbologia. Sono pochi i maghi che sanno sfruttare le piante per un combattimento, non verrà nessuno. Blocchiamo la porta con le tentaculae velenose. Possiamo prendere le caccole di troll con un incantesimo di richiamo e faremo la pozione dell'invisibilità nelle serre» e infatti quello era già un piano ben congeniato.
    «Usciti da qui ci dirigeremo tutti a casa di mamma. Non c'è nessuno lì, ed è una casa dei Selwyn, non la controlleranno per un po'. Ravius, andateci anche voi, poi decideremo cosa fare» Quincy guardò il compagno con più sicurezza, l'idea della casa di Bernetta era perfetta, ancor più perché era già protetta dagli estranei. «Lanciate una fiala del vostro sangue sulla pianta rampicante prima di entrare, altrimenti morde».
    Non sembrava più una follia, non così tanto. Ognuno aveva il suo piccolo compito.
    «Draco dormiens nunquam titillandus» fece Sextus, con un sorriso più sicuro che la diceva lunga sulle loro possibilità di farcela.
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    Raelyndra era lì, di fianco a lui, una presenza che nascondeva un’urgenza che non avrebbe potuto dimenticare per molto. Non avrebbe potuto tardare ancora il momento in cui metterla al sicuro, l’unica volta in cui non avrebbe potuto fallire. Eppure, non riusciva a farlo. Sentiva l’aria tendersi fra di loro, dilagare come una piaga in quel bagno mentre l’impatto di quella realtà continuava a colpirlo di secondo in secondo senza lasciargli scampo. Nessun libro lo avrebbe potuto occupare mai abbastanza da offrire una distrazione a quella pretesa che, alla fine, il mondo aveva allungato su di lui. Nessun trucco avrebbe potuto reggere. Era il peso di quella certezza granitica che andava, infine, in pezzi a schiacciarlo. Aveva creduto che in qualche modo tutto quello non avrebbe potuto toccarli, non davvero, non più di quanto facesse ogni volta che tornavano a casa. Eppure sapeva pure che quella stessa certezza aveva inesorabilmente iniziato a sgretolarsi quando alla fine i Mangiamorte avevano preso Hogwarts, ed i suoi zii ne avevano eretto un campo del terrore che aveva spinto anche loro a non mostrare più pietà per nessuno. Quell’anno Hogwarts non era stata una scuola, né quell’idillico ricordo che aveva portato con sé nella memoria ogni estate e Natale passato al Lestrange Manor; era stata un terreno di sopravvivenza, ma non uno che avrebbe davvero potuto prepararli a nulla di simile. I migliori duellanti del loro anno, certo. Ma erano pur sempre solo al quarto, c’era semplicemente troppo che non conoscevano e quello che li aspettava lì fuori era ben diverso da un duello pieno di regole e buoncostume. Quella era una guerra, Ravius conosceva intimamente quanta poca pietà gli adulti sapessero mostrare per dei ragazzini. Nella migliore delle ipotesi, il più del mondo magico aveva deciso di ignorare e far finta di niente, di accomunarli semmai a ciò che i loro genitori, zii, nonni, avevano deciso di compiere. Nel peggiore dei casi... aveva segni infiniti che dimostrassero precisamente cosa potesse accadere nel peggiore dei casi. Eppure, conosceva entrambi. Quincy non avrebbe mollato, Sextus non avrebbe lasciato Quincy da solo. Come del resto, in fondo, lui non avrebbe potuto fare mai con Raelyndra. Comprendeva in qualche modo il punto di vista di entrambi, eppure era così contrario che lo ripudiò dall’inizio alla fine, incapace di conciliare la conseguenza di quelle stesse motivazioni. Non sapeva dove fossero Rohan, Timotheus, nessuno. Sapeva solo dove erano loro quattro, il pensiero che anche quel numero potesse drasticamente crollare e dimezzarsi era un’angoscia che non avrebbe mai saputo nominare, neanche se avesse deciso di farlo. Sulla carta, il piano era impeccabile. Ma aveva la falla di essere completamente ignaro della reale portata di quello che accadeva nel castello. Né Quincy, né Sextus, né Ravius stesso avrebbero potuto davvero prevedere come sarebbe stata. Non ne avevano semplicemente l’esperienza. Non avevano idea di come avrebbero potuto davvero reagire a qualcosa di una portata simile. Era così terribilmente conscio della sua inferiorità, la stessa che padre aveva sottolineato ancora ed ancora senza dargli tregua – così che non avrebbe potuto dimenticarla mai. «Non fatevi venire scrupoli di coscienza» era il modo per dire che stava cedendo, per quanto non avrebbe voluto. Insistere era qualcosa che sapeva sarebbe stata priva di qualsiasi senso, avrebbe solo rubato tempo e li avrebbe lasciati lì in un limbo che pure non sarebbe mai potuto durare abbastanza da trattenerli. Il mondo si sgretolava, non avrebbe potuto cambiarlo, questo gli era chiaro in qualche parte remota della sua mente, troppo distante perché potesse davvero afferrarla e riconoscerla. Del resto, avevano vendicato Raelyndra, e avevano pur insegnato a tutti che nonostante ciò che dicevano i Carrow, lei non poteva essere toccata da nessuno mai. «Draco dormiens nunquam titillandus» aggiunse, guardandoli uno ad uno, stringendoseli nelle palpebre nello stesso modo in cui di nuovo stringeva la mano di sua sorella nella sua. «Ci rivedremo sicuramente lì»
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