The wine advocate

Valentin & Emeraude | Putnam Valley, 23 aprile 2024

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    Valentin Hollow
    fèlibien - kabakov . 20 y.o . cacciatore . percettore spiritico
    A Putnam Valley si arriva con una bottiglia di qualcosa da bere. Almeno, questo se si è cacciatori. E ti dici che magari il motivo per il quale mamma Emeraude non ha permesso a te e Zero di restare è proprio questo: che non avevate nulla da offrirle quel giorno quando, preso dalla frenesia, hai deciso di far ciò che ti diceva il cuore piuttosto che la testa. Che di viaggi, di questo tipo di viaggi, tu non ci hai mai capito molto. Marlow ci ha provato a formarti, ma per lui l'unica cosa importante è stata saperti pronto a partire. Pronto a tornare indietro, a conoscere ciò che ti era stato strappato per poi...ecco, poi niente. Perché ti basta resta bloccato mesi in questa dimensione, in questo tempo, per renderti conto di essere solo che uno dei tanti parassiti di una società ormai al collasso.
    E non trovi un motivo per restare, anche se di levare le tende non ti sembra ancora l'ora. Semplicemente sono pensieri a cui ti lasci andare senza però ritrovarti ad interpellare Zero. Che se capisse ciò che ti passa per la testa, beh, lì sì che sarebbe un guaio.
    Non ragioni lucidamente nemmeno ora che esci dall'hotel in cui tu e Zero dormite e lavorate per andare a trovare la mamma. La mamma che ancora ti conosce come Marlow Hollow e che del tuo essere sangue del suo sangue forse non ha ancora le idee così chiare. Certo è che sei stato criptico con lei. Criptico e sciocco. Perché nel non saper come dirle le cose alla fine hai finito per disseminare indizi qua e là. Hai lasciato impronte così come i cacciatori non dovrebbero. Hai sbagliato di nuovo, siamo almeno a 3 a 0 per l'inesperienza. Quella che ti ucciderà se non riuscirai a trovare un punto fermo nel quale stare. Fermarti un istante.
    Così salì nello scassone di auto che siete riusciti a mettere insieme e parti. La bottiglia di vino rosso, della quale non conosci la marca è ferma sul sedile del passeggero. Ben legata con la cintura, certo, così che non sia nemmeno lei la prima tra i due a cadere rovinosamente a terra. Guidare da solo ti mette tristezza, ma questo perché sei solito farlo in compagnia di Zero che è un po' come un fratello. Anzi, lo è in tutto e per tutto, anche se questo non è riuscito a scacciar via i fantasmi di un passato che, tornando alla sua origine, ripercorrono la tua storia tormentandoti i sogni.
    A volte sogni un Theo adulto quanto te per poi scoprire di essere tu. Tu solo dinanzi ad uno specchio. Pallido come un cencio e smarrito. Così come effettivamente siete senza la supervisione di Marlow. Così come ti senti macinando miglia su questa strada. Che magari questo è il giorno decisivo, ti dici. Perché se la mamma ti ha chiamato al numero che le hai lasciato significa che è pronta a capirci tanto quanto te. Che qualcosa nel caos di questo universo sta forse funzionando. Che dalla morte dello zio Morgan è riuscita a riprendersi, così come di tutti quegli eventi che il te da piccolo non è riuscito a vivere perché la tua vita è stata diversa da questa qui sin dal primo battito di ciglia.

    Quando parcheggi l'auto ti assicuri di farla vedere a chi è in casa. Così che la tua visita possa essere ulteriormente annunciata dallo scassone che borbotta lungo la strada sterrata. Parli da solo, appunti mentalmente tutte quelle sensazioni che questa sera scriverai su Molly e poi scendi.
    La bottiglia di vino ora stretta tra le mani come fosse direttamente un cimelio di famiglia. Qualcosa da dover proteggere assolutamente almeno fino alla porta di Putnam Valley. "Signorina Kabakov, salve!" Non ti sembra di averle visto fedi alle dita, né di aver conosciuto tuo padre che, almeno qui in zona, non sembra farsi vivo. "A Putnam Valley si porta sempre da bere." Un altro indizio da stupidi. Una spinta della bottiglia tra le sue braccia. "Lo avevo dimenticato." O non dovresti ricordarlo, ma questa è un'altra storia che dovrà essere sbrogliata quanto prima.
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    Forse hai rimandato troppo questa cosa. Ma nel momento in cui hanno cominciato a farsi largo dei dubbi più importanti nella tua testa è arrivato tutto il resto che, come al solito, ti ha trascinata altrove. Non lontano da Putnam Valley, quello mai, ma lontana con il pensiero, con il conglomerato, la matassa che si è annodata nella testa per tutti questi mesi. Nel male ma poi anche nel bene, in un certo senso, anche se le cose pure con Kieran aspettano di trovare un nome, uno vero, e forse aspettano perché hai paura per te stessa e ne hai pure per lui, forse perché troppa fretta offusca e poi brucia, e ti porti dietro cicatrici ancora troppo sensibili al tocco. Fanno ancora male come spilli, e allora anche una mano gentile che scansa l'armatura, all'inizio, fa paura.
    Quindi certe cose sono state messe da parte, in maniera naturale. Le potresti pure lasciar correre, forse, ma no, c'è un tarlo ormai infilato nella tua mente da quel maledetto giorno che la cucina vomitava da ogni angolo, da ogni fessura il sangue di tua figlia, che mangiucchia, scricchiola, scava e sussurra che non puoi lasciare niente al caso, niente fuori dal tuo controllo, dalla presa della tua mano. Che ti gracchia che i colpi secchi, durante certe notti, quando la temperatura cala, non sono quelli delle travi di legno che tengono su la casa, ma sono direttamente quelli delle tue ossa che tengono in piedi questo intera realtà.
    Per cui non puoi lasciare correre, anche se Marlow Hollow - come si è chiamato - da che lo hai visto la prima volta ti è sembrato soltanto un ragazzino perso, troppo giovane per essere un cacciatore solo, troppo cresciuto per pensare che ci fosse qualcuno disposto ancora a cercarlo. Anche se vorresti dirti che lo fai prima per lui, perché qualcosa ti impietosisce, ti intenerisce, piuttosto che per te, per testare la presa del tuo guanto di ferro sulla tua casa e sul tuo mondo.
    Hai scelto che non vi fosse nessuno in casa, nessun cacciatore, neanche Kieran, neanche i bambini, proprio perché non vuoi concederti alcun errore di valutazione. Una nota malata non smette mai di risuonarti in testa: quel bastardo che ha strappato via il braccio a Veronica poteva avere su per giù quell'età.
    «Buongiorno, Marlow.»
    Lo hai atteso all'ingresso, fuori dalla porta, quando hai sentito il suono del motore della macchina avvicinarsi, nel silenzio di Putnam Valley. E anche stavolta che lo rivedi, con quella bottiglia inusuale stretta tra le mani, ti suscita di nuovo la stessa sensazione: di un ragazzo solo e forse troppo perso in un mondo come il vostro. Forse è già tanto che sia sempre vivo: se continuerà a cacciare in solitudine è probabile che la sua vita sarà davvero breve. Ti prende un nodo allo stomaco ma fingi che non sia nulla.
    «Grazie di essere venuto. Vieni, entra.» gli fai un cenno perché ti segua.
    In casa domina il silenzio, e ormai ti sei abituata anche a quello, a questa nuova vita che non ce la fa mai ad acquietarsi, ma che è diventata più severa, forse pure più scontrosa, offesa, ma dove ogni giorno prova a germogliare qualcosa di nuovo e più resistente.
    Raggiunto il salotto gli indichi di nuovo di sedersi su una delle poltrone, mentre ti preoccupi di prendere due bicchieri puliti dal comò.
    «Lo sai che volevo parlarti.»
    Li posi sul tavolino davanti a voi, prima di prendere posto di fronte a lui, a portata di occhi.
    «Ci sono delle cose che non ho chiare. È un problema se ne parliamo?»
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    Ti si stringe il cuore ogni volta che ti senti accolto da lei. E sorridi ad ogni suo movimento come se vederla ancora in vita e in salute sapesse davvero sconvolgere la tua intera esistenza. D'altro canto non sapresti affermare nulla di diverso: essere giunti qui è stato sicuramente un atto di coraggio non indifferente, anche se sconsiderato e terribilmente pericoloso. E una parte di te, quella meno razionale e più impulsiva, sa di non aver altri scopi se non questo. Che a conti fatti non è nemmeno un vero e proprio scopo, ma solo un atto di fede cieca. Una fede che poi è amore smisurato e al col tempo stupidità latente. Il fatto è che aspetti che sia tua madre a constatare la cosa. Che sia proprio quella donna capace di somigliare tanto a dirti come sarebbe giusto muoversi in questi circostanze, perché di chiaro non c'è ancora nulla e non importa quanti mesi siano effettivamente passati dal vostro arrivo: tu e Zero non siete riusciti a trovare nulla che potesse effettivamente ricollegarti ad Ilya.
    Così la segui a testa bassa, con ogni difesa tenuta giù, in attesa, perché i muscoli ora sono rigidi solo per l'angoscia a cui questo incontro ti spinge. Un'angoscia genuina che però si alimenta di tutte quelle aspettative che, crescendo, hai immaginato che tua madre avrebbe potuto avere su di te. Delle sue speranze, quelle che hai finto di conoscere e delle quali lei ti avrebbe parlato se non fosse morta, ne conservi gelosamente il ricordo. Te ne sei rivestito, in effetti, tirandoti su al meglio delle tue possibilità.

    "Forse sarebbe giusto cominciare dicendovi che il mio nome non è Marlow" sei garbato nel dirlo. Il tono della tua voce è dolce, si incrina appena come mossa dal terrore e non osi tanti altri passi in avanti nel dirlo, perché sai come la mamma potrebbe reagire e non la biasimeresti se di punto in bianco le venisse voglia di schiantarti fuori casa sua.

    "Ho bisogno di parlarvi anche io, ma non ci riuscirei portando il fardello di questa bugia."
    Che è una bugia bianca, ma comunque una bugia detta alla mamma. Qualcosa che, nell'atto pratico, finirebbe per non farti fare una bella figura.

    "Il mio nome è Valentin...Hollow. Valentin Hollow, sì, il cognome è dell'uomo che mi ha adottato e si è preso cura di me." Deglutisci, il momento della menzogna è ormai finito. C'era solo quella, in effetti, a stornare su tutto il resto. Eppure i non detti che emergeranno fuori adesso non saranno da meno. Senti già la pelle farsi d'oca e il sorriso morire piano piano in favore di un'espressione più seria. Magari non è il momento giusto per scherzare ed è per questo che resti fermo, immobile come un idiota. Per darle l'idea di essere innocuo e lasciarle la libertà di legarti ad una sedia qualora ne sentisse la necessità.
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    Qualcosa dentro di te si contrae. Lo fa istintivamente. Forse perché sei davvero diventata questa casa. Forse perché ogni sussulto, ogni minacciosa scossa è come se facesse vibrare anche le tue di ossa, anche la tua gamba rotta facendoti istintivamente piantare meglio i piedi per terra qualora ci fosse il bisogno, l'urgenza di scattare e farlo per correre dai bambini. Ma qui non c'è nessuno oggi se non tu e lui che hai di fronte. Ma è un istinto che ormai non si sradica più, non dopo quello che hai visto, non dopo come è stata ridotta Ronnie da quella bestia che sembrava solo un ragazzino, e forse lo era davvero, ma tu ormai ci vedi solo e soltanto quella stramaledettissima bestia che hai spedito all'inferno.
    Qualcosa dentro di te si contrae, ma trova espressione solamente nel volto che si indurisce, si piega impercettibilmente indietro, come per darti modo di guardare secondo una diversa prospettiva il volto giovane che hai davanti. Non che sia diventato improvvisamente una minaccia, ma non ti piacciono le menzogne, e ti piacciono ancora meno se si consumano dentro casa tua, se diventano il biglietto per entrare e rimanere sotto il tuo tetto.
    Lo capisci adesso cosa voleva dire Morgan, come si era sentito dopo il tuo di silenzio, quello con il quale avevi chiesto soccorso ai Crain in un momento veramente difficile. E adesso forse pure lui fa lo stesso, anche se ci sono cicatrici veramente difficili da ignorare, specialmente se qualcuno ci preme così forte sopra. Sono vulnerabilità costate veramente care, ferite che non vuoi riaprire. Il solo pensiero ti genera dolore e rabbia.
    Snoccioli sotto la lingua, tra i denti, qualche istante di silenzio, continuando a guardarlo, a studiarlo, come per cercare, per assicurarti la presenza dei bordi di una maschera invisibile sul suo viso.
    «Valentin Hollow.»
    E il tuo cervello semplicemente lo registra come Valentin, ma lo traduce quasi automaticamente come Valentine, con l'inflessione più americana, diversa da quella di tuo figlio, nonostante tutti i nomignoli che ormai lo abbreviano, per comodità, il suo nome.
    Ma la tua testa non ti spinge più in là di questo. Del resto, perché dovrebbe farlo? Che motivo ne avrebbe? Ci sono cose impensabili, cose sulle quali il tuo pensiero neanche mai si è avventurato, perché sei una donna reale che non crede nelle coincidenze, e non crede in nient'altra cosa se non quella reale che si consuma sotto i tuoi occhi, direttamente tra le tue mani.
    «E da dove è che allora vieni? E perché hai mentito?»
    Seria, ormai dura e irreprensibile.
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