Sometimes words have two meanings.

Tristan & Dulcinea.

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  1. saeglópur
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    tristan ivashkov

    23 - druidic sciences - Σ Θ Η - sheet
    pleasures remain. so does the pain.
    Le luci al neon del locale parevano affievolirsi secondo dopo secondo, quasi volessero creare un'atmosfera più familiare, intima, degna di chi la familiarità con qualcosa o con qualcuno l'aveva persa tempo addietro. Erano davvero poche le volte in cui Tristan riusciva ad entrare in sintonia con qualcuno, un po' per il suo caratteraccio, perlopiù perché egli stesso preferiva non relazionarsi con gli altri, ma quando ciò accadeva, era sempre una meravigliosa scoperta: le labbra abbandonavano quell'espressione neutra, priva di colore, e si distendevano appena, lasciando trapelare la proiezione speculare d'un sorriso; il corpo si rilassava tutto d'un colpo, spogliandosi d'ogni inibizione che potesse limitarne i movimenti, un po' come un robot, il quale si muoveva meccanicamente. Solitamente non si affezionava ad un particolare tipo di persona, non c'era un prototipo d'individuo con cui si relazionava più facilmente; al contrario, aveva sempre detestato porsi dei limiti, fattispecie in quell'ambito. Lui voleva essere libero, esente da tutte quelle etichette che non avrebbero fatto altro che renderlo banale, al pari degli altri uomini che si trovavano sulla faccia della Terra, insignificante come un altro qualsiasi essere umano. Aveva sempre detestato rientrare entro determinati schemi, formalità che non facevano altro che sminuirlo, come se il suo ego potesse davvero celarsi dietro quegli insulsi aggettivi, ed era per questo che aveva sempre tentato di superare i propri limiti, una sfida tra titani che sarebbe sicuramente terminata nel peggiore dei modi, con fratture, graffi, cicatrici. Eppure, lui, a tutto quel dolore, ci era avvezzo e non poco. Il dolore era ciò che lo muoveva, il dolore era ciò che lo portava a desiderare sempre di più e cose sempre più discutibili, quasi come se esse potessero riempire quel vuoto che possedeva all'altezza del cuore; deficienza d'amore, lacune da colmare, insegnamenti che non gli erano mai stati impartiti. Solitamente si diceva che Amore fosse complicato, capriccioso, viziato. Amore era intangibile, flebile, leggero, come una nube di fumo i cui componenti chimici finivano nei tuoi polmoni ancor prima che te ne accorgessi. Amore agiva silenziosamente, perché sapeva che non avrebbe mai trovato portoni spalancati, perlomeno non da una persona come Tristan, che quel sentimento lo aveva sempre ripudiato. Troppo nobile ed antico per i suoi gusti, si diceva.
    Eppure, anche lui era stato costretto a cedere.
    Anche lui si era ritrovato a far crollare le proprie barriere, lasciando che quel sentimento lo impregnasse. Perché Amore poteva essere sì meraviglioso, ma anche bastardo, scorretto, doppiogiochista. Amore ti afferrava il cuore, stringendolo con tutta la sua forza, facendoti piegare dal dolore. Amore aveva agito parlando, alle sue orecchie, in Francese, e facendo uscire dalla sua bocca pronunciando parole nella medesima lingua, come possedesse un linguaggio tutto suo, esclusivo.
    «Deve averti fatto un torto proprio grosso, allora, quello sciagurato.» Un sorriso divertito si dipinse sulle sue labbra, lembi di carne rosei impregnati d'alcool e tabacco, mentre lo sguardo sfiorava il bicchiere contenente il liquido scuro. Decise, ad un certo punto, di tagliare la testa al toro e di berlo tutto in un unico sorso, assaporando quella botta di fuoco che s'espandeva nelle sue viscere, un Inferno dal gusto dolce-amaro e a cui lui era oramai abituato.
    «Non ti credo, lo sai... io vorrei sapere sempre tutto.»
    Fregato. E adesso che si fa, Tristan?
    Lo conosceva ancora così bene da capire quando mentisse e quando, invece, non lo facesse.
    «Per alcuni è più facile di altri... allontanarsi intendo.»
    Il suo sguardo, poi, all'udire le parole successive di Dulcinea, si alzò e si spostò su di lei, lasciandosi sfuggire una sfumatura di sorpresa. Inclinò appena la testa, come a mostrarle che la stesse ascoltando con una certa attenzione. Voleva capire dove avesse intenzione di andare a parare, sebbene sapesse a cosa stesse alludendo: se n'era andato, anche lui. E sapere che quella cosa la facesse stare ancora male, gli spezzava il cuore. Aveva diciannove anni quando l'aveva incontrata; adesso, invece, ventitré: aveva raggiunto una certa maturità, ormai, arrivando a capire d'aver sbagliato. Non si pentiva d'averla amata, affatto, ma si pentiva del modo in cui l'aveva fatto. «È tutta questione di abitudine, Dede.» Il lato destro delle sue labbra si alzò per un istante, lasciando trapelare un sorriso amaro, mentre gli occhi verde-azzurri non smettevano, neppure per un secondo, di guardarla. Sembrava una bambina, nell'accezione positiva del termine. Possedeva una curiosità disinteressata, lei, tipica di chi esplorava il mondo per il gusto di farlo.
    Una piccola risata, poi, si elevò dalle sue labbra quando Dulcinea gli servì su un piatto d'argento una minaccia, mescolandosi all'ilarità di lei. Immediatamente nella sua mente cominciarono a figurare i momenti che avevano passato insieme, con un bicchiere d'alcool davanti, le risa, ed i vani tentativi di allontanare i loro corpi e le loro labbra; fotogrammi sfuocati, ma a cui lui era legato. «Mi sei mancata.» Una frase che uscì fuori dai denti con naturalezza, complice la leggerezza al capo causata dal'alcool, ma che si pentì immediatamente d'aver pronunciato, cosa che gli fece affondare i denti nel labbro inferiore: non avrebbe dovuto girare il dito nella piaga.
    «Dai, mi sarò anche fatto già qualche birra, ma non sono così ubr...» Si bloccò nello stesso momento in cui notò le gote di Dulcinea prendere colore, le labbra che si schiusero «... Oh.» Un senso di sorpresa sincero, quello che si palesò in quella piccola parola... e sì, l'alcool doveva avergli dato decisamente alla testa. Fortunatamente, però, la conversazione si spostò nuovamente su Dede, più precisamente sul suo ultimo anno all'interno della sua scuola... o prigione, come l'aveva sempre definita Tristan. Sembrava che non fossero stati dei migliori, quegli ultimi trecentosessantacinque giorni, e la cosa lo portò a starsene, almeno per un primo momento, in silenzio e a far schioccare la lingua contro il palato
    «Dai, non posso esserti mancato fino a questo punto!» Scherzava, voleva sdrammatizzare il tutto con quella pseudo-battuta, ma in realtà sapere che quella scuola del cavolo le avesse provocato non pochi disagi lo faceva sentire di merda. Se solo l'avesse portata con sé, esaudendo il desiderio di lei... se solo non l'avesse lasciata lì!
    «Tu sei tornato a Bucarest dopo... si insomma...»
    La mascella di Tristan s'irrigidì appena e lo sguardo si assottigliò per un istante, il ricordo di lui che quasi ammazzava suo padre ad annebbiargli la mente.
    «Sì. Sì, sono tornato a Bucarest.» Gli occhi, a quel punto, scivolarono sul bicchiere di Black Russian ormai vuoto. «Un altro giro.» Disse poi al barista.
     
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