Coffee Break

Peter x Charles

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    Dopo tanto tempo passato in mezzo a guerriglie, faide, disordini politici, trovarmi in una situazione apparentemente tranquilla era uno strano passaggio. Certo non mi illudevo che a NY tutto fosse apposto, avevo già colto fin troppe voci preoccupanti riguardo a traffici loschi, tuttavia la cosa non mi sorprendeva del tutto. Anni fa, quando avevo abbandonato la Grande Mela, la situazione minacciava già di peggiorare. Il MACUSA, per quanto presente e preparato, non poteva evitare sul nascere tutto, perciò la maggior parte delle volte si prodigava per far sparire i nuclei criminali solo dopo che si erano formati. Il mio lavoro invece non era cambiato poi molto. C'era gente che soffriva prima, c'è gente che soffre ora; forse sono gli eventi che portano le persone da me ad essere cambiati, ma sono solo piccoli dettagli. Pensavo troppo, sintomo di una stanchezza mentale che mal si sposava con la concentrazione che dovevo mettere nel mio lavoro. Non credevo di ricevere una carica tanto importante appena arrivato, ma il ruolo di responsabile del reparto di Traumatologia e Ortopedia era vacante, e visto il mio curriculum che mi vedeva ricucire militari e vittime di guerra civili, la scelta non era stata troppo difficile. Ora però avevo davvero bisogno di un caffé. Il signor Barrington aveva prosciugato letteralmente le mie energie, avevo dovuto rinsaldare muscoli bruciati e mezzi esplosi di praticamente tutto il suo lato sinistro. Un imbecille, che si era fatto esplodere addosso un calderone, Dio solo sa cosa stava mescolando.
    Mary, vado al bar a prendere un caffè, chiamami sul cerca-persone se avete bisogno.
    Sempre saggio trattare bene le infermiere. Giusto per non avere rotture, scioperi o altro. L'ospedale ha la stessa struttura di quando ero io lo specializzando, ma ogni tanto mi perdo, troppi corridoi tutti uguali. La strada per il bar dal mio reparto però l'ho imparata bene, la percorro fin troppo spesso. Credo che se facessi dei controlli il sangue avrebbe una composizione simile al caffè. Ancora non conosco bene tutti, qualche faccia degli altri responsabili di reparto, giusto uno o due; per i loro nomi, credo dovrò sforzarmi di più. Benedetti cartellini identificativi, mi hanno salvato più di una volta dal fare figure di merda. E' incredibile come non mi rimanga in mente il nome di quel tizio, lo avrò letto una mezza dozzina di volte, ma niente. Ha una faccia assolutamente anonima, non trovo niente per ricordarmelo.
    Arrivato al bar, la solita fila ad attendermi. Che palle. Sbuffo e vado da bravo al mio posto, in silenzio e annoiato aspetto il mio turno.
    Un espresso, doppio per favore.
    Niente bibitone, li odio. Mi fanno pisciare mille volte nell'arco di due minuti. La tizia al bar mi guarda strano, forse non mi ha riconosciuto. Avrà tempo e modo. Pago e senza nemmeno pensarci due volte mi prendo un tavolino libero, con sotto il naso la cartella di un paziente arrivato in mattinata. Gli organi interni hanno ricevuto un trauma, di genere sconosciuto, e stanno rischiando di cedere. Il paziente ovviamente ha raccontato una palla, cosa assolutamente normale. Il rapporto medico-paziente non prevede sempre verità, per lo più bugia che una volta scoperte portano alla verità. In ogni caso dovevo trovare un modo per capire cosa gli fosse successo, prima di mettermi a ricostruirlo.

    Charles Merez
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    ps, non mi sono soffermata molto su Charles (quasi per niente) perchè ancora non lo conosco, ma dammi tempo <3


    Peter Cunningham
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    «“Questa è la moderna medicina. Progressi che mantengono in vita persone che avrebbero dovuto morire tanto tempo fa, quando perdettero ciò che le rendeva persone. Ora il tuo lavoro è restare abbastanza sano così che quando qui arriva qualcuno che puoi davvero aiutare, non ti ritrovi tanto sballato da distrarti.”
    (Dr. Cox)»

    Era tutta la mattina che cercava di convincere la barista cicciona del quarto piano a preparargli un irish coffe. Il suo turno era finito da circa un'ora, quindi non c'era il rischio che mettesse le mani su qualche paziente, eppure insisteva a non aggiungere un po' di misero whiskey al suo dannatissimo caffe espresso. Erano le sette e mezzo di mattina e secondo lei era "troppo presto per cominciare a bere". Pam, la su citata barista cicciona, aveva la così detta sindrome della mamma. Sfortunatamente c'erano due dettagli che non prendeva in cosniderazione. Prima di tutto lei non era sua madre quindi non erano affaracci suoi. Secondo punto aveva appena terminato un lungo, estenuante, soporifero turno di notte quindi le sette e mezzo di mattina per lui erano un po' come le undici di sera. "Va a casa a dormire, Peter". E considerando anche che lui era più vecchio probabilmente di una trentina d'anni, Pam poteva benissimo andarsene al diavolo. "Dottor Cunningham". Il caffè ovviamente si stava freddando, mentre il suo umore finiva sempre più in basso nella sacala che va da "commetterò un omicidio" e "trovo il resto del mondo tollerabile". "E a casa l'altra sera ho finito il whiskey, mi rimane solo dello schifosissimo gin da discount, che ho preso per quelle serate speciali in cui sono tanto ubriaco che potrei mandare giù una tanica di benizina ed esercitarmi con il mio kit da mangiafuoco. Ora dammi quel dannato caffè, donna". Sulla faccia di Pam si disegnò un sorriso che sperò vivamente non fosse di compiacimento, ma piuttosto un tic nervoso. "Forza, ammettilo che sotto sotto ti piace stare in questo posto a lamentarti tutto il giorno, altrimenti non staremmo qui ogni mattina a fare questo teatrino". Il suo morale scese di una decina di tacche avvicinandosi pericolosamente al momento in cui il suo buon senso cedeva il posto all'istinto omicida. "Sentimi bene", Peter si sporse oltre il bancone, il suo sguardo da folle forse sarebbe stato abbastanza eloquente già da solo, eppure decise di continuare. "Noi facciamo questo teatrino ogni mattina perchè tu hai un evidente problema con il tuo spirito di autoconservazione. Quindi se non vuoi che ti apra come un maiale e venda tutti i tuoi organi al mercato nero, correggimi-questo-dannato-caffè". Sillabò le parole dell'ultima frase, ringhiandole una ad una. Era stata una pessima giornata, o meglio nottata. In altri momenti avrebbe tentato di contenersi, ma no, quella volta non ci riuscì. Pam assunse un'aria torva, quasi severa, sembrava una madre che sgridare il suo bambino. Tuttavia gli sfilò il bicchiere di carta dalle mani. "E va bene, dottor Cunningham, vuole rovinarsi il fegato? D'accordo, benissimo, faccia pure. Aspetti al tavolo perchè avere la sua faccia da psicopatico al bancone mi spaventa i clienti". Probabilmente voleva sputargli nel caffè. Poco male, l'importante era essere riuscito ad ottenere ciò che voleva. Si voltò per trovare il primo tavolino vuoto lontano dal resto del mondo, quando incrociò un essere umano che non odiava completamente. Si avvicinò e sprofondò sulla sedia senza troppi convenevoli. Lanciò un'occhiata alla cartella. "Oh hai la cartella del piccolo bugiardo. Se lui è caduto per le scale io sono una modella brasiliana con un bel paio di tette sode che vive in un attico di Miami, che beve Margaritas e sopratutto non deve avere il permesso della barista per farsi correggere un caffè".

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    Sono intento ad analizzare l'anamnesi data dal paziente, quando un uomo con un camice si siede accanto a me, con tanto di battuta riguardo al mio paziente. L'ho già visto. Ricorda stupido cervello, su Charlie, hai solo visto miriadi di persone che lavorano qui, non puoi dimenticare sempre tutto così facilmente. Ok, non so chi sia. Poco male, non ha usato nomi, non ha salutato. A giudicare dalle occhiaie e dal caffè corretto che ha di fronte a sé, deve aver finito il turno di notte. La cosa divertente e sostanzialmente il motivo principale per cui non mi metto di impegno a imparare i nomi delle persone che mano a mano mi si presentano, sono i tesserini di riconoscimento. Siano sempre lodati. Gli do spudoratamente uno sguardo, poco mi importa che mi veda farlo. Peter Cunningam. Niente popo' di meno che il responsabile di reparto dell'emergenza, colui che una volta fatta una pessima e quasi sempre lenta prima analisi, decide chi mandarmi su in reparto. Il motivo per cui io dovevo analizzare la cartella di questo "Ricardo Santos", immigrato latino dalla dubbia regolarità, era perché la raccolta delle prime informazioni fatte in quel reparto veniva fatto con i piedi di un babbuino. Certo, non potevo aspettarmi molto, quel reparto è un vero manicomio, dove può arrivarti nello stesso istante una nonnina troppo apprensiva per lo starnuto del nipote, lamentando una qualche epidemia magica incurabile, al malato critico su cui intervenire nel giro di due secondi netti. Ci vuole polso e un'incredibile dose di pazienza, oltre che di buona volontà. Io alle prime armi, insomma. Ora un po' meno.
    Il piccolo bugiardo esatto. Sono quasi convinto che abbia testato qualche pozione illegale per soldi, ci scommetto il mio paio di mutande preferite. Ovviamente ho lasciato l'arduo compito di trovare quale sostanza ai miei ragazzi, nel frattempo il poveretto starà con qualche osso spezzato dall'interno. Comunque ti ci vedrei bene a sorseggiare un Margarita.
    Ho sentito qualche voce su quell'uomo, ma ho imparato nel tempo a non basarmi su opinioni altrui, a maggior ragione se poi devo collaborare a stretto contatto con il tizio in questione.
    Tu cosa ne pensi? Se ho ragione devo chiamare le forze dell'ordine, e stamattina non sono proprio in vena.
    Tutte cazzate burocratiche. Troppe cazzate burocratiche. Per poter fare il mio lavoro e curare un disgraziato dovevo compilare almeno una dozzina di carte, mettere almeno una ventina di firme e chiedere almeno mille volte i consensi per curare le persone. Nel tempo avevano reso il lavoro di Medimago un vero macello, rallentando di molto il nostro operato. Tutto ovviamente senza che noi vedessimo il becco di un quattrino in più. Smettila di lamentarti Charles, o il turno lo finisci con acidità di stomaco.


    Charles Merez
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    «“Questa è la moderna medicina. Progressi che mantengono in vita persone che avrebbero dovuto morire tanto tempo fa, quando perdettero ciò che le rendeva persone. Ora il tuo lavoro è restare abbastanza sano così che quando qui arriva qualcuno che puoi davvero aiutare, non ti ritrovi tanto sballato da distrarti.”
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    Whiskey e caffè fanno piacevolmente a cazzotti sulle papille gustative. Manda giù il primo sorso e un'ondata di calore si diffonde nello stomaco attorcigliato dalla stanchezza. Come minimo la barista ci ha sputato dentro, ma non è poi così grave, ha avuto a che fare con liquidi decisamente più disgustosi. In più quel turno di notte è stato sfiancante. Trattiene a stento uno sbadiglio. Forse dovrebbe dormire un po' nella saletta dei medici prima di tornare a casa. Magari non tornarci proprio a casa. Potrebbe andare a trovare Arianna. Dovrebbe farlo. Ascolta distrattamente le parole dell'uomo seduto davanti a lui. Se la ride quando pensa agli specializzandi che cercano diplomaticamente di cavare fuori la verità dalla bocca del paziente. "Con le pozioni è sempre un casino capire che ci abbiano messo dentro. Una volta un tizio ammise di aver usato delle feci di gnomo. Credeva che avessero un qualche potere levitante, non chiedermi perchè". La risposta sarebbe semplice: era un idiota, come metà degli individui che finiscono al pronto soccorso. A volte si chiede quanto davvero faccia la differenza salvare ubriaconi e incoscienti. Non è quel genere di paladino della vita secondo cui a tutti deve essere concessa una seconda possibilità. Gli idioti sono una specie che lascerebbe volentieri estinguersi. Cosa che accadrebbe anche piuttosto velocemente se non ci fossero persone come lui immolate da errori del passato a fare del bene al prossimo. Senza contare che cinque o sei di loro ci hanno fatto una specie di abbonamento al suo reparto. Immagina per un attimo di essere lontano da lì, non avere più nessun pensiero, né tantomeno un passato sulle spalle. Si sente sollevato. Poi ovviamente si sente anche in colpa."Io mi vedrei bene anche con una brasiliana, eppure eccomi qui al bar di un ospedale con te e un caffè in soluzione". Sollevò il bicchiere di carta giusto per sottolineare la tristezza della situazione. "Per quanto riguarda il tizio che si è divertito a giocare con la chimica, direi che fin quando non hai delle prove non è un problema tuo. Per quanto ne sai stava facendo una pozione, questo non lo condanna e ti evita un mucchio di scartoffie. Ovviamente se i tuoi bambini trovano una sostanza illegale sei fregato".

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3 replies since 23/9/2017, 12:16   139 views
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