She got Bette Davis eyes

Horace & Chrys | Felix Felicis - 16 Giugno.

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    felix felicis

    "Che cazzo significa che non torni per domani?"
    "Sono all'incontro, al Felix"
    "Non mi piace che cacciamo distanti"
    "Ma che ti ho fatto si può sapere?"

    Queste ferite non sono niente per me, più è prossima la nostra luna e più velocemente si rimarginano. Cerco solo di rallentare il processo, che ho bisogno di uno sfogo. Uno che tu mi intimi a cercare, non dicendomi dove cazzo finisci.
    Per Natale ti regalo un collare con il GPS. Prendo il microchip per cani, con chissà qualche altra merda dentro. Non capisco quanto ti costi dirmi dove sei, ma dio se mi urta che non torni per la caccia.
    Non che io non sappia cacciare da solo, lo farei anche se non è mai successo di doverlo fare. C'eravate sempre o tu o Lucian con me. Anche se poi ognuno aveva le sue zone.
    Sono un tormento, ma ci tengo. E tu non capisci neanche quanto, visto che devo sfogarmi solo così. Facendomi picchiare fino a che non ne posso più.
    Allora - dopo - quando ognuno di loro ha esaurito la sua energia, io li distruggo. E' la fortuna di chi sa come si prendono, di chi direziona i colpi dove vuole lui.

    "Si, dammi il solito Dom, grazie"
    Dove "il solito" è uno brandy della peggior specie, di quelli fatti con il culo ma non importa. Ho solo di tradizione uno shottino prima di tornare a casa.
    Tanto lo so che appena torno mi roderà di nuovo il culo, e andro in fottuta ansia per capire dove sei. Ho appeso al muro Quentin - che mi ha giurato che non ti avrebbe detto niente - per capire perché cazzo ti ha dato le chiavi.
    Comunque non ne cavo niente.
    E mi metti in posizioni di merda, Ben. Perché non vuoi che ti faccia balia, e non voglio farlo neanche io, ma non sei nemmeno sincero con me.
    Io lo so. Lo so che stai sicuramente facendo una stronzata, per questo non vuoi parlarmene. Non voglio neanche leggere se mi hai risposto o cosa ti sei inventato.
    Mi prendi per un coglione, come sempre. Per quello che va tenuto buono, come se fossi chissà quale mostro. Eppure stava anche andando bene, che cazzo ho fatto adesso?
    E perché non è una cosa di cui puoi parlarmi, anche mettendomi al muro?
    Comunque ho vinto trecento dollari. "No, niente Ben"
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    28 y.o
    Nutro un affetto smisurato per la fragilità di questo amore.
    Che poi non è altri che il suo punto di forza. La linea di partenza da cui siamo soliti passare tutti.
    Nutro un amore smisurato per questa instabilità.
    Per il modo in cui mi sento di camminare da giorni: con passi più incerti, con sicurezze meno mie.
    Amo persino la fallacia dei miei piani.
    Il modo inesatto con i quali tendo a costruirli.
    Il caos al quale li lascio scivolare inesorabilmente.
    Mi sento un genio quando lo faccio.
    Un perfezionista.
    Uno studioso che si dedica alla scienza e che della scienza, quella mai esatta, finisce per nutrirsi.
    Amo l'idea di poterti perdere da un momento all'altro. Sempre, come se non fossi proprietario di questa ossessione.
    Amo l'idea di sapermi geloso, di distruggermi per te. Che non devi stare tra le braccia di nessun altro. Che non devi dedicare tempo a nessuno se non a me.
    Adoro il modo in cui mi fai affannare e mi spingi fuori casa nostra.
    A compiere passi che non ho mai compiuto nella promessa di una sorpresa alla quale non puoi assistere.
    Amo sentirmi a pezzi.
    Ritrovarmi inerme e convincermi di non potercela fare.
    Amo l'idea di non essere all'altezza, ma perché questo mi sprona: ho capito che qualcosa in più, per tenerti interessato, me la fa fare.
    Amo persino questo posto sudicio, questo odore di sudore maschile.
    Amo la veridicità della nostra relazione.
    Insomma, Joshua, non sarei qui se non ti amassi così tanto.
    Se una parte di me non fosse dalla parte di chi non sa convincersi che no, Buddy non va più così bene.
    Non a casa nostra, non quando ha iniziato a spingere in fuori un Joshua che a tratti non riconosco.
    O che, probabilmente, considererei più mio che suo.
    E questo deve essere davvero il tuo regalo.
    Un modo che posso avere di sdebitarmi e, allo stesso tempo, di divertirti.
    Affinché tu non possa annoiarti mai e scegliere me.
    Me che penso al tuo benessere.
    Me che mi abbasso a tanto nella consapevolezza che potrei far di peggio.
    Che questo suolo, se me lo chiedessi, lo raschierei persino con la lingua.
    Per te, amore mio, tutto è lecito.

    "Quattro soliti"
    Esclamo entusiasta prendendo posto dinanzi all'uomo che ho osservato per lungo tempo.
    Sai bene come mi piaccia fare i regali.
    Come mi piaccia sceglierli bene.
    E so per certo, amore mio, che quest'uomo è perfetto.
    Perfetto per me.
    Perfetto per te: così che la stanchezza possa impedirti di star così dietro a Bud.

    "Due per me e due per Armstrong"
    Ma il suo cognome lo sibilo. Faccio in modo che sia solo lui ad ascoltarlo. Un po' per avvisarlo e fingermi, comunque un suo fan. So bene come qui si faccia chiamare Race che, beh, sì, è un po' un nome del cazzo.
    So di accavallare le gambe quando gli sono vicino e di tirar dritta la schiena. Un po' per scostare le ciocche che fuggono dalla coda dal collo, un po' perché mi piace essere elegante, anche in questi posti.

    "Sapevo di aver fatto stra bene a scommettere sulla tua vittoria, Race."
    Ora che voglio che ci sentano, uso il nome che ha scelto per questi giri.

    "Uno spettacolo delicato. Sublime."
     
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    felix felicis
    Uno shot e andiamo a casa.
    E' questa la regola, il modo in cui festeggiamo la tua o la mia vittoria: o quelle perdite che sono un po' fatte solo per fottere il sistema. Certo perché poi noi due da qui usciamo assieme, con il pepe al culo, per tornare veloci al Nido.
    Si, non solo perché abbiamo gente di cui occuparci, ma perché il nostro super attico di lusso ha bisogno di noi.
    Dei nostri corpi, anche quando lottare mi fa a pezzi, io la forza ce l'ho.
    E dovrei dire che sta bene così, se non fosse che oggi tu non ci sei. Per ragioni che a quanto pare - nonostante me l'abbia detto tu che siamo "fidanzati" - non ho neanche il diritto di sapere. Vuoi sapere una cosa Ben?
    Bere così fa schifo. Io questo shottino neanche me lo godo, lo mando giù appena una voce ne ordina di più.

    "Quattro?" alzo gli occhi su chi ho davanti. Cristo, dovresti vederlo Ben. E' proprio davanti a me, in linea d'aria con la mano che appoggia giù il bicchierino vuoto.
    Inclino piano la testa. Forse è per questi miei vizi che non ci vuoi stare domani con me. Perché tendo a voler sapere esattamente chi ho davanti.
    Ci penso, al fatto che magari sia solo uno spaccone, uno che viene qui per il brivido di scommettere su un cavallo zoppo o uno cieco, ma alla fine noi siamo solo cani.
    Lo so che piacciamo, lo so che ci divertiamo anche a dare un cazzo di spettacolo. Qui è diverso da Detroit, ma il mio cognome non ci è mai entrato.
    Per questo trattengo la battuta sul dover vincere la resistenza al fegato adesso. Conosce il mio cognome.
    E non gli risparmio il modo in cui si indurisce un ringhio in gola. Sono sempre cauto in queste condizioni, anche perché non so chi ho davanti, e non mi piace che la gente sappia altre cose di me.
    Sicuro ha la mia attenzione, anche se non è un soldato, non è un marines, non è un aviatore. E' un tipo pulito. E' uno di quelli fatti bene, che sembrano costruiti da un modello greco.
    Diresti che lo guardo troppo, ma non sei qui neanche per prendermi per il culo, quindi vaffanculo Ben. Puzza di alta classe, di quei profumi che si sentono nei negozi invivibili. Ma gli sta bene addosso, pare che scivoli dalla camicia appena aperta.
    Non è una zoccola, quelle - anche al maschile - le riconosco.

    "Quanto ti ho fatto vincere?"
    La prendo larga, non mordo subito, non mi hanno insegnato così, devo prima capire meglio chi ho davanti. Anche se mi aspetto che dandogli tempo mi dirà lui che cosa vuole. E sai perché ho tempo, Ben? Perché non so dove cazzo sei.

    "Sublime. Ti piace quando spezzo le ginocchia a qualcuno?" mastico, piano, scolando uno dei due shot per me. Ed è con questo che mi si apre di più l'espressione da cane sicuro, quella che uso avanzando piano anche io.
    Chiamala come cazzo vuoi, Benny, ma è una minaccia. "Piace anche a me farlo" anche a chi veste bene.
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    28 y.o
    Mi strappa un sorriso quando reagisce come te.
    Quando mi rendo conto di potermi confondere se non fosse per la voce e quel viso che, col tuo, non ha nulla a che vedere.
    Ma sorrido davvero, sottilmente, perché sento che di follie del genere non ne abbiamo ancora fatte e che, per un certo verso, forse ci piacerebbe persino rimediare. Un po' come se non fossimo mai capaci di smettere di esplorare.
    Sei mio compagno anche in questo, anche se sei a casa con Bud ed i bambini.
    Anche quando sembra esserci qualcun altro in grado di calzarti a pennello meglio di quanto saprei farlo io.
    Non è qualcosa che, ad ogni modo, so davvero accettare.
    E me lo studio, questo Horace Armstrong. Lo studio nei movimenti che esegue a riposo. Quando il sudore gli si è ormai asciugato addosso e il respiro ha iniziato a regolarizzarsi. Lo studio perché ne sono affascinato: perché in lui ci sono dei dettagli che solleticano il mio piacere. Me ne lascio avvolgere, come fosse un profumo, il medesimo che indosso oggi.

    "Quattro."
    Ripeto con dolcezza, come se questo concetto, in qualche modo, debba esser semplice.

    "La metà di quanti ne devi aver guadagnati tu, se ho capito com'è che funziona questo mondo."
    Mi sistemo meglio sullo sgabello. Le mani, oggi prive di smalto, si stringono attorno al bicchierino da shot, scoprendo i polsi dalla camicia.

    "Particolarmente, devo ammetterlo."
    Mi volto piano verso di lui, alzando appena il bicchierino, senza però dar cenno di voler brindare per primo. Io aspetto, Josh, perché è quello che ho imparato a fare. Aspetto che sia lui a farsi tanto vicino da lasciarsi avvolgere dalla mia tela.
    Lo guardo, non scosto mai lo sguardo dai suoi occhi, dal suo naso o dalla mascella prominente. Mi piace il fatto che sia spigoloso: ha il volto di un nobile che, però, non potrebbe permettersi di avere la puzza sotto al naso.

    "Anche se sei frettoloso: questo potrebbe denotare una punta di dolcezza nel tuo modo di pensare. D'altronde così si risparmia l'avversario. O potresti essere annoiato e capirei anche questo: posti del genere sono poco stimolanti. "
    Voglio dirgli che lo voglio a casa nostra: che starebbe proprio bene nel nostro giardino, tra il fango e i fiori.

    "Anche se fruttiferi, in giorni più fortunati."
    Mi spingo verso il bancone, affacciandomi come per vedere se qualcuno è interessato ad unirsi.

    "Ad ogni modo è un piacere conoscerti, Horace Armstrong, io sono Chrysanthemum Sinister."
     
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    felix felicis
    Io per bere non aspetto. Non so stare senza cercare di capire perché si debba offrire da bere ad un cane.
    Che poi è tutto di guadagnato, se mi offrisse una cena non mi lamenterei. Quando possiamo mangiare, noi mangiamo. Quando possiamo bere, beviamo e tutto quello che riusciamo a portarci a casa, aiuta il Nido.
    Dentro di me, però, vorrei che fossi geloso Ben. Vorrei sentirti ringhiare per una volta per me, perché magari non ti va che qualcuno mi ronzi attorno, o che mi offra da bere. Che mi guardi come se fosse un'anca di bue perfettamente levigata, con la carne ancora morbida lungo l'osso.
    Il Felix è una macelleria, ma io non sono carne. Io sono quel mostro che adesso ha fame, ho una fame che non va stimolata, né sfiorata.
    E' una fame paurosa, in ansia perché come sempre quando vuoi fare qualcosa senza dirmela, la fai nei momenti peggiori.
    E la luna, io la sento Benjamin. Io la sento e temo che tu faccia la stronzata di non mangiare quando il tuo stesso istinto vorrà guidarti ad uccidere.
    Io stesso ho dovuto fermarmi alle gambe di quel disgraziato, o gli avrei aperto lo sterno con una mano sola.
    Ma se questo fa piacere al tipo qui davanti a me, allora ben venga oggi.
    Me ne accorgo presto che la minaccia non sembra allarmarlo, posso escludere che sia qualcuno arrivato a me per caso.

    Mi giudica, Ben. Giudica il modo in cui non uccido. La delicatezza che lascio per poter avere ancora l'accesso a questo posto. Ma è solo perché non siamo da Princip. Qui nessuno si aspetta la forza di un wendigo con la luna nuova che incombe.
    Devo tenerci al sicuro, abbiamo le nostre regole, i nostri modi, eppure mi infastidisce.
    Mi chiedo se sia di quelli che va a caccia in buchi di fogna come il Felix. Cercano campioni per portarli al loro nuovo locale, o peggio. Ti ho detto per primo che a questi bisogna stare attenti.
    Bevo anche il secondo shot dei miei. Il suo nome non mi dice nulla. Ma deve smettere di pronunciare il mio. Lo fisso.

    "Ok, e che cosa vuoi da me signor Sinister?" perché se vuole solo offrirmi da bere, siamo a posto. Altrimenti, vediamo se si scuce un briciolo di più. Dove cazzo sei Ben?
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    "No, per favore, chiamami Chrys."
    Lascio che lo sgabello giri sotto il culo. Che la schiena vada ad appoggiarsi al bancone. D'altronde non è propriamente un segno di maleducazione: il barman non sta parlando con noi. Non sto dando le spalle a nessuno, benché meno ad Armstrong.
    Dovresti vederlo, Joshua, per capire cos'è che mi sta frullando nella testa. Avresti dovuto vedere come combatte: che passione ci mette. Saresti d'accordo con me se non totalmente eccitato dall'idea di conoscerlo.
    E sai, sai bene come aver adottato Remì abbia stimolato determinati pensieri: che ora sento di doverli salvare tutti. Ora sento che, tu ed io, insieme, potremmo fare davvero grandi, grandissime cose. Più di quante non ne abbiamo già fatte nell'arco della nostra vita.
    Horace Armstrong deve farne parte, seppur in un modo che ancora non ti compete sapere, ma della quale immagine io pregusto ogni dettagli.
    Lo sento respirare in casa nostra.
    Sento il suo odore in giardino.
    Per questo continuo a sorridergli.

    "Vorrei offrirti un lavoro. O almeno, volevo accertarmi che ci fossero gli estremi per poterti fare una proposta del genere. Avresti un giorno a settimana da potermi dedicare?"
    Mastico l'interno della guancia e inclino il capo in sua direzione.
    Non mi piace essere tanto diretto: avrei preferito scambiare quattro parole dinanzi all'ennesimo drink, ma Horace è frettoloso anche in questo. Mi sembra terribilmente evidente come non abbia alcuna intenzione di parlare con me.
    Ma ci provo, d'altronde i regali sono regali e io, a te, regalerei il mondo.

    "Nulla di tanto diverso da quello che fai qui, con la sola differenza che mille dollari li porteresti a casa senza dover sperare di essere il migliore."
    Questo lo sibilo, comunque non è nemmeno così indicato parlare di queste cose qui.
    Lo avrei invitato fuori, ma lui palesemente non vuole starci con me. Evidente non sono piacevole come dici tu.
    Evidentemente ho perso lo smalto.

    "Mille ogni volta che vieni."

     
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    felix felicis
    Vuole che lo chiami Chrys, quindi non è uno di quelli che cercano schiavi qui dentro.
    Quanti ne abbiamo visti passare, anche da Princip. Credevano di poterci acquistare come cani da cortile, da guardia.
    Creature a cui avrebbero dato un posto all'estremità di una catena, quando noi adesso siamo in cima a tutto.
    Non so se Princip fosse davvero legato più a noi che ai soldi, o magari gliene regalavamo anche troppi a lungo termine, ma non ci ha mai ceduti a nessun altro.
    Eravamo il suo guardiano a tre teste, quel cane che si studia a scuola. Creature mitologiche nate per uccidere.
    Le bende che mi fasciano i punti "colpiti" sono ancora rosse per il sangue che prima le ha macchiate, ma la mia pelle è di nuovo intatta. Si è ricucita così velocemente che mi ha aperto una voragine nello stomaco.
    Sei un coglione, Ben. Con questi trecento dollari andavamo a mangiare come lupi stanotte.
    Ma sai che c'è, fai come cazzo ti pare, che magari io ci parlo un po' di più con questo "Chrys".

    Anche perché non sai quanto cazzo mi ha offerto adesso. La mia attenzione si focalizza, come sa fare quando qualcosa sembra fin troppo buona per esistere.
    Così tanti soldi non ti piovono in testa perché sei fortunato. Nemmeno in un locale come il Felix. Tant'è che sono serissimo quando mi faccio tanto vicino da sussurrare - perché i sibili non bastano.
    "Ci conviene uscire, adesso" ché anche Dom sta tendendo un po' troppo l'orecchio.

    Non aspetto che paghi, esco come se non lo conoscessi, come farò quando tornerai: fingerò di non conoscerti finché non mi dirai che cazzo sei andato a fare, e dove.

    "Sono tanti per un combattimento a settimana" che penso sia questo ciò che vuole, la mia forza. Sa il mio nome, potrebbe sapere oppure no che cosa sono, e se lo sa è un problema. Non è qualcosa per cui mettere a rischio te e me insieme, né il Nido e quello che abbiamo costruito.

    "Perché?" lo guardo dritto negli occhi, mi faccio vicino, affinché nessun altro qui fuori senta ciò che sta proponendo solo a me. "Non sono l'unico cane che morde lì dentro" ma soprattutto. "Come sai il mio nome? Mi segui?"

    Magari te ne sei andato perché non so farle le domande, per me sono tutti interrogatori.
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    So di averlo in pugno o almeno, so che non ci sarà alcun problema a raccontargli per filo e per segno ciò che siamo. D'altro canto deve capire bene a cos'è che ci serve e io non ho alcuna intenzione di omettere dettagli col fine di convincerlo meglio. Io voglio che ci scelga: che la proposta sia così allettante da convincerlo a dire di sì. Io non voglio costringerlo in niente, ma so bene come riuscirei ad obnubilargli la mente se solo si rivelerà capace di un passo falso. Io me la sono studiata, Joshua.
    Per questo pago gli shot ad entrambi e lo seguo, senza precederlo, ma camminandogli al fianco.
    Sento che ha delle domande da pormi, il che è terribilmente lecito, ma sento pure com'è che deve percepirsi alle strette.
    Ha la stessa paura che avremmo noi se, un estraneo, venisse a dirci di conoscerci più di quanto siamo riusciti a sbottonarci.
    Apro un colloquium con lui, perché le cose, adesso, vanno fatte in questo modo.
    Ora che ho la sua attenzione.

    "Non sono tanti, Horace. Sai bene quanto vengono pagati certi lavori."
    Lo sa Andy: alla fine non l'ho seguito io, ma è stato Andy a farlo. Andy che non ha alcun problema ad eludere le sicurezze del posto in cui abita. Perché ai fantasmi non ci pensa mai nessuno. Nessuno ha mai quel terrore reverenziale nei loro confronti.
    E a lui è bastato il tempo del combattimento: basta reperire due o tre informazioni è il gioco è fatto. Io l'ho guardato muoversi, Andy, invece, ha agito.

    "Ho bisogno di te per quello che sei."
    Lo guardo negli occhi: in quei bellissimi occhi buoni che ha. Perché io non sono uno schiavista né tantomeno uno stronzo. Io sono buono, Joshua. Buono quanto lui e anche se gli sto offrendo un lavoro pericoloso, so bene come comunque finirei per occuparmi delle sue ferite. Sono fatto così.

    "Credo tu sia l'unica cosa capace di tener testa a un mago nero."
    Sorrido.

    "A mio marito."
    Lo dico con orgoglio. Lo sento come mi punge sulla lingua. E questo perché sono un idiota. Sono quell'inguaribile romantico che ha il terrore folle di perderti.

    "E non ti sto seguendo: è solo che è facile reperire informazioni quando puoi parlare coi morti."
    Una scrollata di spalle.
     
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    felix felicis
    Mi parla nella testa. Lo so cos'è. Me lo ricordo questo modo di fare, qualcosa che finivo per portarmi dietro anche in Afghanistan, giusto per quello che non andava mai detto a voce alta.
    Sono cose che non ho avuto problemi a farmi strappare via di dosso: tutto pur di diventare quella "cosa" che adesso Chrys vuole.
    O credo voglia.
    E lo sai a cosa penso, Ben? Che l'unica mia premessa sarà che non ci dovrà capitare niente di male. A noi due, perché non ti posso tenere lontano da questo e perché se accetterò, beh, immagino finirai per volerlo sapere anche tu.
    Per capire come sia possibile tornare a casa con quattromila dollari al mese. Ma non sono uno stronzo, e averti quasi perso per quel cazzo di virus mi ha lasciato una cicatrice dentro.
    Non so dove di preciso, ma fa male e basta. Perché tu sei sconsiderato ed io sono abituato a ragionare per due, con te.

    Ho imparato a non deviare lo sguardo. Non guardo mai altrove, lascio che i miei occhi si incastrino nei suoi, come rigida roccia. Forse è per questo che non torni, che non mi dici dove sei. Giuro che se ti sei preso dentro con un altro, io non-... va beh, non farlo e basta, cazzo dimmelo prima!

    "Forse hai ragione, Chrys. Ma non voglio morire"
    E' forse la prima cosa che mi esce. Né tu né io moriremo per mano di un mago nero, e non mi rassicura certamente il fatto che si tratti di suo marito. "Né la corruzione nelle vene"

    Non sto dicendo di no, non sono un coglione, sono mille dollari. So cosa ci possiamo fare. Sono anche troppi.

    Lo dico, perché questi presupposti devono valere anche per te. Altrimenti sarei rimasto in guerra, avrei trovato un modo tornare nel cazzo di esercito e mettere fine lì alla mia esistenza. Avrei ridotto le possibilità di sopravvivenza, invece sono questa "cosa", per vivere.
    Ma non sto parlando per me, io parlo per te. Perché tu possa fare un copia incolla di quello che sto dicendo e - se ti unirai a me - clonare queste richieste.
    Poi però ti spegno.
    Chrys parla con i fantasmi, e tu per un secondo non sei più qui. C'è solo la mia mano che sale in un sospiro verso la medaglietta.

    Credo che nei miei occhi si sia persa la durezza di prima, sfumata per qualche secondo.
    "Con-.. con quali fantasmi parli?" C'è Joseph qui?
    Che io ho i miei, e li conosci solo tu, Ben.
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    "Non morirai."
    Il mio è un sussurro dolce, una promessa in cui sono il primo a credere. Perché so cos'è che voglio e come lo voglio. E nelle mie volontà, beh, non è contemplabile che qualcuno come lui possa morire. Non quando è così capace, non quando lo ritengo perfetto per ciò a cui aspiro.
    So che piacerà anche a te, seppur in un tempo distante da questo.
    So che prima o poi rimpiangerai un suo addio, perché tu ed io siamo abitudinari. Ci piace la quiete di casa nostra. La sicurezza dietro le certezze. L'immutabilità, quella che Bud sta distruggendo giorno dopo giorno.
    Non immaginavo che le cose sarebbero andate esattamente così, eppure non voglio farmene un cruccio adesso, non tanto da rattristarmi e allora spingermi a piangere su una spalla di questo bel ragazzo.

    "Mio marito ed io sappiamo controllare la corruzione ed io mi prenderò cura delle vostre ferite. Devi solo fare quello che fai qui con la certezza di un pasto ed un'entrata sicuri. Ci staresti?"
    Lo guardo, Josh, perché c'è una parte di me che già da per scontata la risposta.
    Anche se sono stato sbrigativo nell'esporgli la proposta e, in questa, non ci sono dei veri e propri dettaglia i quali affidarsi. Ma io credo nella nostra buona stella. Nel fato che va a mio favore. che si bea del fascino di cui lo rivesto. Siamo arte. Noi due.

    "Se c'è un modo per mostrarti fiducia, chiedimelo e te lo troverò. Non siamo persone crudeli, Horace, attacchiamo solo se veniamo attaccati. Come te, a detta di Joseph."
    Ho gli occhi un po' più lucidi quando ti dico il suo nome, perché so cosa significa perdere la persona amata. Ho rischiato anche io, me lo ricordo ancora fin troppo bene quel periodo. Lo ricordo così bene che gli occhi che indosso, adesso, sono i tuoi, Josh.
    Andy si è ritratto quando ha capito che parlar di loro due sarebbe stato troppo pesante persino per l'entità che vive nella medaglietta che tiene al collo: come ogni spirito, Joseph ha paura che questa venga abbandonata.
    Vive come Andy, in bilico su ciò che ci hanno lasciato: Joe su un pezzo di metallo, lui sui miei polsi.

    "Negati questa opportunità ed io semplicemente ti oblivierò la mente. Accettala e ti insegnerò i segreti con i quali proteggo casa mia."
    Un accenno al nido: Andy è riuscito ad arrivare sin lì.
     
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    Mi promette che non morirò, lo fa perché ha bisogno di me, Ben.
    Sta cercando, chissà da quando, un picchiatore di questa razza. Forse perché pensa che ogni volta che vorrà affettarmi, le mie ferite si riuniranno da sole.
    È anche per questo che siamo quello che siamo.
    O almeno lo sono io. Per la possibilità di prendermi tutto e sopravvivere sempre.
    Anche con l'esistenza precaria che abbiamo. Con il rischio che già saperlo equivalga ad una possibile denuncia.
    Potrebbe denunciarmi ora. Mi giustizierebbero sul posto e tu non saresti neanche qui.
    Forse così potrei accettarlo, come non accetto ora che sia partito senza dirmi niente.
    Sei un coglione, Ben. Oggi più di me.
    Ed io a questa cosa ci sto, ci sto perché ti ho promesso quella casa. Magari non adesso, ma se faccio questa cosa per un po' di mesi, dopo potremmo averla.
    Un sogno alla volta, e se adesso c'è questo immagino di farlo. Se poi tu mi vorrai dire per quale stracazzo di motivo non sei qui, ne riparleremo.
    Intanto il mio è un ringhio di fastidio. Lui lo sa. Lui sapeva che avrei accettato, ma mi tengo tra le labbra la conferma.
    Negli occhi finisco per guardarlo anche io. E lo sto per dire, sto per dirgli di sì.

    "La fiducia te la guadagni sul campo, con me." E' la cosa più vera che ho. "Possiamo provar-" finché non parla di Joseph.
    Allora non credo di vederci più così bene, la vista si appanna ed il respiro lo trattengo nei polmoni più del dovuto.
    Lo guardo, mi cerco risposte che non volevo avere, dritto negli occhi. "N-o, queste sono stronzate non-" sibilo.

    Stringo così tanto la sua medaglietta che potrei conficcarmela in un palmo e non sentire niente, è tagliente come una lama. E resto zitto, come un coglione per il tempo che serve a ricacciare il mio dolore più in fondo di quanto sia visibile. La mano al fianco trema. Nessuno avrebbe mai potuto sapere di Joseph oltre a te.
    "Lui dov'è?" non so dopo quanto lo chiedo, non voglio guardare cosa c'è al mio fianco, perché non sopporterei di non vederci niente, esattamente come prima.
    Voglio sapere se è finito in paradiso, o se tutti i soldati finiscono all'inferno. "Come sta?" occhi lucidi del cazzo, non mi accorgo di spingere Chrys al muro per sapere.
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    Non mi è concesso comunicare con gli spiriti se non con Andy: lui è l'unico per il quale il tatuaggio non deve mai far effetto. L'unico che ha il passaggio diretto per questo mondo. Come un monito: giusto per ricordare cos'è che ha lasciato dietro di sé e come.
    Non gli ho mai chiesto com'è che stesse: non l'ho mai perdonato per ciò che è stato, però mi emoziono quando tu mi chiedi di Joseph.
    Io non lo so com'è che sta. Non ho lasciato che il suo dolore potesse appartenermi: per un certo verso, non mi è sembrato giusto né tantomeno equo.
    Ma c'è un momento in cui le tue domande, Horace, mi colpiscono. E anche se non sono miei gli occhi che si fanno lucidi, ma quelli di mio marito, qualcosa io cerco di dirtela.
    Lo faccio nelle parole che non so articolare. Nei respiri che lascio venir meno. Non importa, in fondo, di come questi saprebbero rendermi un uomo debole: ti sto cercando proprio per questo. Perché tu hai una forza di cui ho bisogno. Una forza che può entrare perfettamente in contrasto con quella di Joshua. La anelo.

    "Non posso saperlo con certezza: è il mio Andy a far da tramite adesso."
    Il mio Andy. Il mio dolore, i miei traumi.

    "Secondo lui sta bene."
    Mi avvicino, non so perché mi viene istintivo, ma lo faccio per afferrare i lembi della collana e tirar fuori così la placchetta dalla tua maglia.

    "Gli spiriti che non ci lasciano rimangono accanto a noi appesi ad un ninnolo. "
    Mi rigiro il metallo tra le mani: è caldo come la tua pelle.
    Il pollice scivola lungo le scritte in rilievo. Mi soffermo sull'età: doveva essere un ragazzino quando è morto, d'altronde lo è oggi.

    "Posso strappartelo via, se ti fa male."
    Ma tolto la mano, perché non voglio darti l'idea che questo strappo netto possa avvenire proprio adesso. Non senza la tua volontà.

    "Mi occupo anche di questo, a casa mia."
    Gli occhi di mio marito sono liquidi. Si tuffano nei tuoi.

    "Accetto."
    Faccio un passo indietro e riprendo dove ci siamo lasciati. Che non ho intenzione di rattristarmi per i tuoi morti: ho le mie perdite da piangere. Le mie conquiste che ancora non so considerare tali.

    "Ti aspetto a Villa Sinister tra una settimana esatta. Magari vieni per il pomeriggio, ti offro il té."
    Il mio è un sorriso dolce, anche se a tratti amaro, malinconico.

    "Non vedo l'ora di salire in campo con te."
     
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    felix felicis
    Non penso a Joseph così spesso, Ben.
    È vero che è quel motivo per cui a volte stavo un po' sulle mie: come se non avessi altro a richiamarmi a casa se non lui.
    Poi - lo sai - le cose sono cambiate. Tutto cambia, si va avanti come è giusto. Si trovano amici, si... si trova quello che io ho trovato con te.
    Però adesso ho bisogno di chiudere gli occhi un attimo. Di riprendere fiato quando Chrysanthemum Sinister stringe la medaglietta ancora salda al mio collo. Ho bisogno di trovare il silenzio nella mia testa.
    Mi ha insegnato Joseph a farlo, a svuotare i pensieri perché potessi non sentire gli allarmi piovermi addosso così forte.
    Ed io ci provo di nuovo.
    Trattengo il fiato, immagino solo come potrebbe essere se fosse qui davanti a me, qui davanti a noi due.
    Cosa ti direbbe? Forse questo lo so.
    Cosa gli diresti? Ho paura di sapere anche questo.
    Ma non ci siete davvero voi due. C'è un uomo che mi sta chiedendo un aiuto per massacrare di botte suo marito e prendermi mille dollari facili.
    La settimana prossima.
    E non mi importa del suo Andy, mi importa del ringhio con cui lo avviso che ha tentato una presa troppo lunga e deve lasciarla andare.

    Perché quando lo fa - solo allora - i miei occhi si riaprono. Forse sono arrossati, non te li faccio vedere così da mesi. Ma non sei qui.
    Ed io non voglio che quest'uomo vada via dopo quello che mi ha detto. Tanto che lo bracco al muro un po' di più.
    Sono terribilmente serio. "Aspetta-" ansimo.
    "Non devi strappare niente da me, devi dirmi come faccio a farlo... a farlo andare dove gli spetta , non è questo asfalto il suo posto. Lui credeva nel paradiso, cazzo"
    Dovrei stare zitto e non dargli così tanti appigli a cui pensare, ma non ci riesco. È più forte di me.
    "Deve sapere che va bene anche se dopo non ci vedremo più. Non deve stare qui solo perché io andrò all'Inferno" fa male e basta.
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    Doveva essere un incontro a scopo lavorativo questo. Niente di così profondamente personale. Solo un trovarsi di personalità e professionalità diverse. Eppure come mi volto quando mi ferma.
    Come mi blocco, quando la sua voce torna ad accarezzarmi l'udito. I rantoli io li so riconoscere. Un ringhio pure. A volte, se per alcuni è persino difficile distinguerli, per me risuonano chiari. Sono segnali di avvertimento. Ti dicono se c'è qualcosa che non va. E toccare il tasto di Joseph è qualcosa che a lui non sta bene.
    Ma io lo capisco, d'altronde avrei reagito così anche io se tu fossi morto e allora qualcuno avesse avuto la presunzione di parlarmi di te. Il fatto, però, è che io non ho alcuna buona parola per lui: non posso salvarlo dal dolore in quel senso. Non sono un buon samaritano. Non lascio che siano le parole a governare i fatti: io agisco e basta, come un chirurgo, suppongo.
    Per questo scuoto il capo quando mi parla e gli occhi li lascio scivolare altrove. C'è della malinconia nel mio sguardo, ma non è qualcosa per la quale posso avere la presunzione di saper come controllarla.

    "Non è qualcosa che possiamo fare noi, Horace."
    Trattengo un sospiro, perché è sempre terribilmente triste parlare di queste cose. Fa sempre troppo male.

    "Non nel modo che vorremmo, almeno."
    Muso a muso. Gli occhi sono nei suoi, non ho timore della verità, anche se conosco il male che fa. Ci hanno fatti per soffrire.

    "Esiste l'esorcismo, ma non è quello che mi sembri volere."
    Vorrei tendergli la mano. So che per alcune persone funziona così. Come quando vengono a chiedere un prezzo sulla sepoltura. Non si tratta mai effettivamente di soldi, ma di ciò che si è disposti a perdere, tipo. Ciò che si è disposti a lasciare andare.

    "Tu ci parli mai con lui, Horace? Forse saresti più convincente di me. Digli che adesso stai bene, che ce la fai anche senza di lui."
    Ma mollo la presa sul suo sguardo, perché vedi, Josh, io senza di te non ce la farei affatto. Predico bene, ma è solo questo. Sempre e solo questo.
     
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    felix felicis
    E noi andremo all'inferno, Ben.
    E' la strada che abbiamo scelto, una via da percorrere in cambio di questa vita di stenti e libertà. La libertà di non pensare sempre a com'era il mio esercito, com'era servire per una patria di merda.
    La libertà di farmi girare le palle quando non ci sei, quando la luna è ad un soffio ed il dolore nei miei occhi è la sola ragione che smuove il fiato.
    Lo so che non vuoi vedermi così, tu. Ti stava sul cazzo ogni volta che avevo i miei "problemi" e me ne stavo sulle mie, lontano per non contagiarti con il mio umore, con lo spingere ritmico del pollice sulla medaglietta.
    L'ho arrugginita a forza di pensarci, quando nel riflesso di un vetro sporco continuavo a vederlo.
    Joseph che sapeva come sorridere anche in tempi del cazzo. Come riflettersi nel mio specchio per lasciarmi i suoi segnali, i modi palesi che servono per comunicare con me.
    Che non sono bravo a capire davvero tutti i bisogni di chi mi sta intorno, li esalto perché devo essere utile.
    Come ovviamente non lo sono per te, se neanche vuoi dirmi che fine del cazzo intendi fare e quanto a rischio vuoi rimanere sotto una luna nuova.
    E' aggressiva questo mese, mi accarezza la schiena con gli artigli, calda come una madre.
    Come questi occhi verdi in cui mi specchio mantenendo il ringhio di avvertimento. Parlare di Joe è sbagliato, va lasciato nella sua lapide in pace, ma la sua morte sarà sempre colpa mia. Non dovevo lasciargli l'ultima ronda.
    Inspiro, anche se è solo fatica la mia, fatica nel cercare risposte che voglio avere quando non mi vengono date, deve essere la cazzo di ricorrenza del giorno.
    Cristo.
    Mi chiede si parlo con Joe. Mi lascia fermo in un punto che non voglio smuovere, e sono bene come odieresti i miei occhi adesso.
    Odi tutto di me, Ben. Non so neanche se la tua sia gelosia o solo mancanza di quel briciolo di comprensione di cui ogni tanto ho bisogno. So che non te ne parlo, perché non mi crederesti, non capiresti che il mio passato non è un blocco per noi, e tutto questo non lo voglio dire ad un estraneo.

    "Credevo lo sapesse già" Joe, dico. Credevo sapesse che deve andare avanti e non pensare a me, o a noi, o a qualunque cosa siamo. Lui deve andare nel cazzo di paradiso dei soldati, come per i vichinghi. So che deve funzionare così. So che lo sguardo lo distolgo anche io da questo tipo.
    Magari te ne parlerò, magari non ne saprai mai un cazzo, Ben.

    "Giovedì della settimana prossima" sancisco allontanandomi di qualche passo.
    Rinfilo la medaglietta sotto la maglia. E non ne parliamo più.
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