On the night you led me under your sin

Vivianne/Horace | 25 Marzo

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    Non venire in questi posti. Un'altra delle prescrizioni andate a puttane, ma non importa. Non mi sento a disagio o fuori luogo. Anzi, credo sia il posto giusto, dove è che devo stare in questo momento. Non perché mi piaccia, beninteso, ma perché se c'è una cosa che tra le tante adesso non voglio lasciar correre è proprio questa. Messa da parte ogni cosa, provando ad aggrapparmi ad un barlume di raziocinio oltre alla rabbia che finisce davvero per accecare, la cosa veramente importante è sapere cosa gli altri sappiano di me. E non mi fido, non mi voglio fidare di nessuno, in questo papà ha ragione, anche se papà di questo non lo sa e non voglio adesso che lo sappia. Non voglio lasciare le cose al caso, alla speranza o al dubbio - che pure si somigliano molto - che qualcosa che voglio rimanga segreto venga invece lasciato aleggiare nel vento, in correnti che non posso afferrare né tantomeno controllare. Non lo so cosa ha detto Lucian ai suoi "amici", non so nemmeno perché l'abbia fatto anche se sono abbastanza sicura che non mi avrebbe lasciato correre rischi raccontando cose pericolose. Non importa, non voglio essere in balia degli altri, e forse è pure l'unico modo che conosco adesso per cercare di tenermi aggrappata con le unghie e con i denti a qualcosa che sia logico o quantomeno sensato. A maggior ragione adesso, che non so chi o come Lucian sia stato ammazzato. Perché non mi passa dalla testa di contemplare nessun altra possibilità oltre a questa.
    Sono figlia di mio padre, qualcosa credo di averla imparata su come cercare una persona, come aggrapparsi ad un nome. Del resto è stato lui a volermi dare il suo numero.
    E qualcosa mi punge dentro di soddisfazione quando è lì che lo trovo, seduto al banco.
    Non mi mostrerei mai qui dentro con il mio vero volto, ma se la mia supposizione è sensata allora non dovrebbe faticare a capire chi sono, anche così. Come del resto non faticava nemmeno Lucian. No, da lui non sono mai riuscita a nascondermi, neanche sotto i tumulti di un gene risvegliato da un sonno durato almeno due generazioni e impazzito tutto insieme sulla mia pelle.
    Se ho ragione sarà questione di pochi attimi.
    Mi guardo di sottecchi in giro e scivolo nel posto vuoto accanto al suo. Il posto è veramente terribile, ma non ci voglio pensare troppo. Come non ci ho pensato troppo quando mi sono presa il proiettile a quel capolinea. Lì veramente Lucian mi ha salvato la vita, e adesso ha un sapore diverso pensarci, realizzarlo fino a questo punto.
    «Horace Armstrong.»
    Non parlo a voce alta, anche se ci sta il suo nome in certi registri qui.
    «Dal Minnesota, un anno prima di me.»
    Vago, tanto credo che ci siano cose che sappia di me ormai perfettamente.
    «Eri nella Air Force, ma ti hanno congedato.»
    E questo tanto vago purtroppo però non è. Ma rimane comune sussurrato, quasi spalla contro spalla. Sono abbastanza certa di non essere ascoltata, mi è stato insegnato anche ad assicurarmi di questo.

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    Mi ero ripromesso di non tornarci, in questo posto. Anche quando i muscoli mi ci portano, quando la bestia scalpita e la luna è così alta da farci a pezzi tutti. Per questo nei momenti in cui il wendigo è prossimo, io me ne vado il più distante possibile: laddove posso cacciare in santa pace. Senza che questi buchi logori diventino un richiamo tanto forte.
    Non sono comunque il tipo che stona qui tra loro, anzi, mi amalgamo piuttosto bene. E si, è perché p morto Lucian che io sono qui. Perché dentro di me esiste una voce che non si dà pace, ed a cui io non do tregua. Lo so che non mi tornano i conti, che qualcosa è sbagliato, stona. Non era da lui neanche una morte del genere. Mi vanterò di conoscerlo abbastanza per saperlo e convincermene.
    Però si, con questa birra che pende molla dalle mani e la scarsità di gente al bancone. Non le guardo le ballerine, non sono qui per loro. Non so, ho come la speranza del cazzo di vedere Lucian sbucare prima o poi qui in mezzo. O forse avevo bisogno di stare lontano da Ben, perché con la luna nuova abbiamo dato il meglio di noi, ma ora le forze disumane riprendono il loro lento andirivieni, allontanandosi da noi.

    Ma a te non devo spiegare come funzioni un Wendigo, vero Vivianne? Tu sai già come funzioniamo e penso tu sappia che cosa sono. Per questo Ben ha ancora ragione quando mi dà del coglione, continuamente. E' che sono duro a morire, come mio padre. Un Armstrong fatto e finito. Prendo l'ennesimo sorso, ma neanche di questo so sfinirmi. Io mi ubriaco solo quando Benji deve scaricare le sue energie, cedo alla cavalletta che gli gira nello stomaco, ma fosse per me e basta. Non che io voglia fare bella figura con te, ma cristo il tuo odore è un faro in mezzo ad ormoni e sudore.

    E non mi volto, immagino che non sia una coincidenza. Non sarò un fine stratega, ma neanche un decerebrato. Solo che questo sorriso è un miraggio che dura poco, ha una piccola curvatura in basso quando mi rendo conto che non potevo sperare di scamparla con un nome e basta. Con un numero che - per inciso - non hai chiamato. Mi chiedo perché tu abbia preferito venirmi a pescare qui, di persona. Il fondo della bottiglia tocca il bancone, con delicatezza.

    "Con disonore" puntualizzo, anche se immagino che sia ben scritto pure questo, ma forse non sei arrivata in fondo al fascicolo. Per quanto siano dati non sempre così facili da raggiungere. L'America ha uno strano modo di trattare chi gli ha salvato il culo per quasi cinque anni. Uno stranissimo modo del cazzo, si. "Ora ti fidi di più?" mi volto solo adesso, verso di te, o verso quella che no, non è la tua faccia, sono piuttosto sicuro sia quella di prima, si. Dell'altro giorno, per come Lucian parlava.

    "Questa faccia? Pessima idea" è un ghigno un po' stronzo, come un sorriso incredulo, si, ma richiamo comunque il barista perché ti presti attenzione. Penso che tu non sia qui solo per dirmi che sai fare qualche ricerca su di me. No?

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    «Sì.», so anche questo.
    Lo so cosa significa venir congedati con disonore. Capisco forse anche perché allora sia arrivato fin qui, in questo buco, dopo il suo servizio. Anche se lo sento di star generalizzando. Non sarei altrimenti la degna figlia di un militare. Quella è stata l'informazione più facile da ottenere, dal momento che credo personalmente di far parte - in via indiretta, per una sorta di osmosi - di quello stesso mondo. Non si tratta semplicemente di papà, che pur ci ha provato a tenermi distante. Si tratta di tutta la mia famiglia, anche di Rust, di Cam, di una infanzia nella quale ho imparato presto cosa volesse dire avere un genitore al fronte maturando di anno in anno la consapevolezza di poter non vederlo ritornare a casa. Il congedo con disonore quindi forse è un sentimento che posso capire, quantomeno sfiorare. Ma non mi va di addentrarmi in altro, non credo di essere qui solo per focalizzarmi ossessivamente su quello e pensare di sviscerarci una persona, una identità. Potrei anche farlo, quello che mi interessa stasera è mettere in chiaro le cose subito.
    «No.» Non mi fido. Come è difficile per me adesso fidarmi di chiunque non sia la mia famiglia. Papà, la mamma, Rust, Cam, Aalia; mi fidavo anche di Lucian. Adesso il mondo si è decisamente ristretto. Adesso mi fido a sento persino dei miei.
    «Perché immagino tu sappia comunque molte più cose su di me, e vorrei capire cosa.» gli dico finendo con lo scivolare, con lo sguardo, dal bordo del bancone fino a risalire sul suo viso.
    E lo capisco se finisce sulla difensiva, ma non è corretto che la cosa sia unilaterale.
    Perché ci ho pensato, dopo. Non mi ha trovato casualmente del resto, no? Sapeva di trovarmi al Sacred, e questa è una delle cose che non ho fatto a tempo a dire a Lucian, o quantomeno, non credo lui abbia fatto a tempo a dirle ad altri.
    «Non mi piace lasciare le cose così»
    Chiedo al barista una birra, giusto il tempo di voltarmi di nuovo di fronte al suo commento.
    «Perché?»

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    Il problema è che io lo sento ancora, l'odore di Lucian su di te, Vivianne. Perché sono tracce che restano, impronte di tutto ciò che vi siete detti e promessi, questo forse fa più male di qualunque altra parola. Perché perdere un altro di noi è terribile, e non importa se con Ben ci siamo detti che dobbiamo aspettarcelo. Cristo, lo so, ma non significa che sia facile. Credo solo che prima o poi smetterò di sopportare con la sua capacità. Lui che può passare sopra con la razionalità, io non ci riesco, io ho ceduto ai miei istinti perché questo sono: una bestia che quando non può sfogare si fa una birra al Felix.
    Quello che non sai, è che funziono esattamente così, quando la bestia - esausta - si allontana da me, io mi avvicino ad altro, arranco verso un bancone e ritorno l'ex soldato radiato dal suo reggimento. Spinto nel fango perché è lì che devono stare i sentimentali del cazzo. Come se non avessi fatto per questo Paese del cazzo tutto quello che ho potuto. Ora se riesco a fotterlo bilancio un po' l'equazione.
    Ma è quasi una sera buona, sai? Magari la stai vagamente migliorando ma non aspettarti che io venga a dirtelo apertamente. Non adesso almeno, non se per sottolineare frasi tipo.

    Tu però non sei qui per due chiacchiere e me ne rendo conto spegnendo del tutto quel sorriso iniziare. Prendo un respiro meno teso, approvo quasi il tuo non lasciarti andare ad un semplice numero scritto su un foglietto, così. Volatile, troppo.
    Magari Ben mi perdona per aver fatto l'ennesima cazzata, visto che tu non l'hai neanche considerata. Riporto gli occhi verso la bottiglia, con l'indice la piego, la tengo in equilibri ora che è mezza vuota. Trovo così la quadra giusta, solo l'indice che ruota alla bocca del collo.
    "Mi fa piacere che ti abbia già fatto un'impressione così alta" ci scherzo, si, perché non sono una spia, non ti ho tracciato, ho solo seguito un odore, tant'è che "Ma per me è tutto merito suo" mi indico il naso, ci picchietto due colpi con la mano libera.

    Fermo la bottiglia, però, tanto ormai se sai questo sai anche benissimo cosa sono. E se non lo è, non ci perdo niente a fartelo capire.
    "Oltre a quello che fai queste settimane, o che non fai, so solo che hai un padre che è bene non fare incazzare" o almeno è quello che ho percepito da Lucian, dal modo in cui nel parlarne non ne parlava mai del tutto. Non ti ha mai tradita, se è quello che vuoi sapere. E non mi serviva cercare altro, avevo solo bisogno di vedere se era tutto ok, e il fatto che usi più volti mi fa pensare che ci sia una marea di cose che non so.
    Ma con commento oltre sul tuo aspetto, ti guardo un secondo dalla testa ai piedi, sollevo un sopracciglio e prendo un altro sorso. si c'è del disappunto, un giudizio lasciato andare così - tanto per vedere se, e quanto, ti incazzi. "Glielo dovevo"

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    Il mondo senza Lucian è un posto diverso. Il mio lo è radicalmente. Un po' come se ci avessero calato una patina sopra, un filtro diverso e adesso fosse... non lo so, semplicemente più difficile da sostenere. Anche solo questo banalmente. Il sentimento più semplice che mi riesce identificare con chiarezza straziante è il senso di assoluta solitudine. Il suo era un mondo pericoloso, ma separazioni tanto nette non mi riesce farle. Lucian era parte della mia vita. E anche adesso mi sento fondamentalmente spaventosamente sola. Che posso dirmi di essere diventaat più dura, sì, ma non più decisa. Prendo solo decisioni più di pancia senza pensare alle conseguenze perché ho il difetto di non volerci dare peso quando sto così male. Un po' come se me le volessi attirare addosso le sventure, come se volessi sentire ancora più male, forse per acquietae per un istante un dolore che invece, diversamente da altri, non so come gestire, non voglio gestire, perché semplicemente non voglio accettarlo. Non voglio accettare che Lucian non ci sia più. Non voglio accettare di camminare da sola, di non aver qualcuno da chiamare la mattina, da aspettare la sera dentro il letto quando aveva tempo di tornare. Ora quel tempo di tornare non ce lo avrà mai più. Adesso io non lo vedrò mai più. Il mondo senza Lucian è un posto diverso, ed io mi sento sola. Incompresa persino dai iei. Sola. E allora perché non dovrei indurirmi il cuore?
    «Ho il brutto vizio di essere una Dixon, ma negli ultimi tempi mi sento particolarmente Dixon.»
    Sembra quasi uno scherzo, una battuta ma credo anche questo ne faccia parte. Il voler battere la testa, la testardaggine è una mia caratteristica. Ultimamente mi spacco anche il cranio. E più non capisco e più me lo frantumo.
    «Già, avevo questo dubbio ma me lo hai confermato tu stesso.»
    Che sei un wendigo.
    Non ho paura, non ne avevo con Lucian, adesso forse è pure inutile, anche se non davvero così. Anche se lui non è Lucian, non lo conosco e non posso fidarmi. Credo continui a risuonarmi nel cervello lo stesso dissennato "non importa". L'unica consolazione che provo è forse sapere che almeno Lucian aveva qualcuno di simile a lui, qualcuno al di fuori della mafia. Anche se in realtà non so perché non me lo abbia mai detto. Doveva essere una cosa importante. Con tutte le volte che gli chiedevo di essere sincero, di cercare di non dimenticarsi della sua umanità, di non lasciarsi abbrutire, imbestialire. Perchè non me lo ha detto?
    Cazzo, odio le domande a cui non c'è risposta. Perché è morta anche quella, non c'è più, e mi viene così assurdo, innaturale, non prendere il telefono, chiamarlo e chiedergli perché. Chiedergli qualsiasi cosa.
    Sì, sono proprio sola.
    «E cos'è che non starei facendo
    Lo guardo stavolta, mentre il barista poggia la mia birra sul bancone di fronte a me. Ma non distolgo lo sguardo, e forse è stanco, forse è infastidito. Perché un po' me lo immagino, la frase conteneva un sottotesto abbastanza preciso.
    Torno a guardare poi avanti, prendendo la birra.
    «Continuo a non capire cosa centri la faccia, ma non importa.» aggiungo prima di portarmela alle labbra.

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    Immagino che prima o poi avresti preso il suo cognome, quello di Lucian. Che se fosse riuscito a trovare un equilibrio per andarsene allora l'avrebbe fatto e ti avrebbe portata via con sé. O magari no, magari è quello che io avrei fatto al suo posto. Avrei trovato un punto del cazzo nello sperduto niente dei nostri deserti e lì ci avrei tirato su casa, una fattoria, roba semplice e più lontano possibile dalla guerra. Un posto in cui forse avrei evitato di essere questo.
    Ma la bestia mia ha salvato, Anny, e questo è il risultato die miei sforzi: un nuovo scopo per vivere, il tempo che che cura le ferite e tutte quelle stronzate a cui non avrei creduto. Ora le perdite per me si trasformano in fori di proiettile, cicatrici di estrazioni. Fa male solo se ci premi il dito e le arrossi, altrimenti nulla. Si limitano ad esistere, ma non sono più il punto cruciale della mia vita, il motivo che mi muove.
    Il problema qui è che Lucian non doveva morire così, con i polmoni in ammollo. Non poteva essere sotterrato né lasciato inerme nel buio della notte e più ci penso più qualcosa non mi torna, più non credo che sia davvero morto.
    Se bevo un altro sorso è per questo, per mandar giù la cazzata prima di dirtela. Non lo sai, Vivianne, come cambia il mio umore dopo la luna nuova, come mi sento quando le forze mi lasciano umano, un po' meno volenteroso di fare così tanto del bene, un po' più incazzato.
    Anche se di questo tu non hai colpe, al momento solo il merito di avermi scovato senza che io dovessi fare uno sforzo per nascondermi.
    Mi faccio vedere solo perché trovandomi qui tu non abbia da cercare il nostro Nido, la culla di una ribellione da cui è mio dovere tenerti distante. Lucian non sarebbe contento se finissi in casini peggiori dei suoi, a causa mia.

    "Non era qualcosa che intendevo nasconderti" ti lascio un occhiolino, di quelli più militari che divertenti, non sono sicuro di essere molto divertente stasera. O stanotte, sono qui da un po' di ore, si.
    "Lui si fidava di te. Io mi fidavo di lui. Ho fatto un salto nel vuoto." Uno di quelli che un wendigo non dovrebbe proprio fare, ma sarà che ho talmente tanta rabbia in corpo che per ogni cosa lotterei strenuamente.
    "Ha detto che eri sveglia, insultare la tua intelligenza mi sembrava un pessimo primo inizio" mi tengo questo sorriso rivolto alla bottiglia, come se d'improvviso dall'altro lato del bancone di fosse Lucian, potessi sentirlo parlarmi dei suoi problemi senza mai affondare le radici nella verità, senza mai dirmi tutto fino in fondo.
    Mi parlava di quella wendigo con cui si allenava del modo in cui respingeva il suo cercare un aggancio, una famiglia. Mi chiedo se l'avrebbe portata da noi per salvarla da un destino che non mi ha mai spiegato. O se io e Ben dovremmo andare a prenderla.

    "Non stai andando avanti" diretto senza un freno, preciso. Ordino una seconda birra, spingendo la bottiglia vuota di nuovo verso il barista, con calma.
    "Non stai facendo che niente di diverso dal sopravvivere, e va bene, va comunque bene per ora" insisto nel ripetere che non ho un elenco di regole da seguire, di passi da percorrere o orme da calpestare, ognuno vive il suo dolore.
    "Senti non sono il migliore a dare consigli e immagino tu non li voglia, ma finché non so cosa è successo a Lucian davvero, beh-" adesso la paranoia la ricaccio in gola. "- mi serviva sul serio solo capire se eri al sicuro. Ti senti al sicuro?" sollevo un sopracciglio, cerco di non dare tutto quel peso immenso.
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    Eccola di nuovo. L'eco della voce di Lucian. Si fidava di me, sì lo so, ma non è la stessa cosa saperlo da me e invece sentirlo adesso che lui non c'è più. Quando te ne vai è come se le parole poi si solidificassero e diventassero verità immortalate dalla fine della vita che, sì, ha immortalato anche Lucian così, e ha reso reliquia ogni sua cosa. Non voglio concentrarmi su questo però, fa già abbastanza male, è già così surreale e doloroso sentir parlar di lui al passato. Di tempo ne è trascorso troppo poco.
    «Sì, un salto nel vuoto.» perchè potrei decidere adesso che dei wendigo non me ne frega niente, ed in effetti è vero. Non difendevo Lucian perché difendevo la sua razza, perché proteggevo la dignità di uomini come lui, costretti a queste bestialità. Ho dovuto tenere un grosso segreto con lui, ma adesso lui non c'è più. Adesso potrei rientrare nei ranghi della "legge".
    «Non ti puoi fidare di me.»
    Anche se le cose poi sono diverse. Perché, per il suo stesso motivo, non potrei consegnarlo al Macusa come se niente fosse. Sarebbe come tradire Lucian, e poi, in generale, non è nelle mie corde far ammazzare gente così. Questo sì, questo credo di averlo imparato da Lucian, o forse no, forse era la condizione originaria che mi ha permesso di avvicinarmi e poi restare con lui. Sì, altrimenti non sarebbe stato possibile. E invece è stato tutto così adorabilmente facile.
    E molto probabilmente lo sa anche lui che non sarei in grado, ma non sto raccontando balle. Io sono sempre stata una mina vagante. Lucian aveva le spalle coperte e gli altri hanno mostrato pazienza verso di me. Adesso non credo sarebbe lo stesso.
    Non mi piacciono le sue supposizioni. Non so neanche se definirle tali, forse no, ma non mi piacciono e basta. Non perché non siano vere, probabilmente lo sono anche, è solo che non mi va di sentirglielo dire. Forse non da lui, che non hai idea di chi io sia. Forse da qualcun altro sì, da qualcuno a me vicino.
    «Lo hai dedotto continuando a spiarmi per tutto questo tempo?»
    Ah, è una stronzata. Continuerei a non accettarlo. Perché non accetto che mi si dica di farmi coraggio, di rimettermi a vivere. Sono passati due mesi, cazzo. Non capiscono, no, neanche papà in fondo. Che cazzo dovrei fare? Mettermi a ballare? Riprendere la mia vita come se niente fosse? Che cosa significa "andare avanti"? La persona di cui ero innamorata è morta, il mio compagno è morto.
    Ha ragione, non mi piacciono i consigli adesso.
    «Mi sembra un giudizio affrettato da parte di uno che non mi conosce.»
    E non so quando vorrò cominciare ad "andare avanti".
    «Non sono mai stata al sicuro, questo oltre a Lucian.»
    Ma non sono sicura lo sappia cosa è che mi ha perseguitato in tutti questi anni. A confronto con Lucian non ho corso mai nessun rischio. No, forse lo sa, non ho ancora capito cosa sappia di preciso su di me a parte papà.
    «Ma per quello che intendi, sì, sono a posto.»
    Anche se in realtà non me ne sto preoccupando. In realtà sto solo pensando a come capire come è morto. Non mi passa neanche dal cervello l'idea che potrebbero cercare anche me.
    Pianto i gomiti sul bancone e mi tengo il viso con le mani. Passo i palmi aperti sulle orbite prendendo un respiro.
    «Ora non parlare più di Lucian, Cristo.»

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    Dovendo essere sinceri, a questo mondo farei bene a non fidarmi di nessuno. Il problema, Vivianne, è che io ho l'esercito nel cervello, ho l'idea di squarta incastonata nelle tempie, come se quelle medagliette ce le avessero impuntate direttamente sulla scatola cranica. Se batto un colpo troppo forte, rimbomba il metallo.
    Mi lasci comunque un sorriso, ma non perché io non creda che tu sia pericolosa. Magari lo sei davvero, ora forse non sei al massimo delle tue forze ma niente ti vieta di nascondere miriadi di informazioni che non conosco. Magari legate a tuo padre. Deduzione del cazzo, penso.
    Ma alzo le mani dal bancone in segno di resa, immagino non sia il massimo sapere di essere "spiati" o ancor più giudicati e questo non è nemmeno quello che volevo sentissi. Io davvero non lo so cosa immaginavo di fare, non era nei miei piani muovere i passi fino a capire chi eri davvero, come stavi e come poteva funzionare quel "badare a te" suggerito da Lucian.
    Forse non sono più fatto per questo, forse sono arrugginito, fuori forma. E tu non hai chiamato il mio numero, non hai bisogno di un amico con cui parlare, mh? Non ti senti sola, vero?

    "Ricevuto, dopo stasera smetto di fidarmi" non penso sia plausibile ma una promessa è una promessa ed io resto uno di parola. Il brutto sarà quando dovrò dimostrarti che non mi fido, ma ora non sono così minaccioso, ora sono solo più leggero, quasi sollevato che tu abbia mosso passi e pensieri per trovarmi. Ti sto dando qualcosa da fare. Si, anche se forse la mia speranza non è onesta. Io mi aspetto che spingendomi così oltre un confine, Lucian poi venga qui a ringhiare che sto esagerando, che va bene guardati a distanza ma non offrirti da bere. Non varcare un territorio suo. Quanto vorrei che lo facesse.

    Ma so quando è il momento di fare un passo indietro, quando gli argini restano sottili, delicati. Tanto che il mio tono non ha più quel velo di scherno, né si macchia di compassione. Aspetto soltanto, ti concedo qualche attimo di silenzio trai tuoi soli pensieri.
    "Ehi..." sospendo il giudizio e la frase, forse un po' il respiro, quando torno a guardarti. Sono una bestia, e come le bestie che tu conosci non so arretrare, non so dire qualcosa senza cercare una conferma nel movimento prima che nella voce. "... ora che sai che sono una pessima spia, è fatta?" perché l'alternativa è "O vuoi restare ancora un po'? Questo non è un gran posto ma possiamo fare due passi qui fuori, anche in silenzio" un po' come se non volessi lasciarti un'impressione pessima di me, non quando magari un po' ti girerò ancora intorno, e lo farò finché non saprò che stai meglio, contro ogni tua rigida concessione mentale. Dai, andiamo.
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    Sì, che non vorrei far la drammatica e nemmeno la profetessa di sventura, ma è meglio non fidarsi di me. Perché il suo, quello di Lucian sarà pure un mondo complesso, quello di Detroit, quello di cui Lucian non si è mai sentito in grado di parlarmi fino in fondo, ma anche entrare nel mio non è semplice. No, questa cosa deve restare fuori. Da Sunset, da papà, da tutto quanto, perché le cose diventerebbero ancora più complicate e a me interessa soltanto trovare un colpevole. È questa l'unica cosa complicata che adesso posso e sento di volermi concedere. Tutto il resto lo voglio gestire io ed io soltanto, senza il giudizio, le indicazioni, le pressioni e le ambizioni degli altri.
    Mi sono intestardita, sì, e probabilmente questa cosa finirà per ammazzarmi davvero. Ma sul serio stavolta. Eppure non riesce a spaventarmi, nemmeno a turbarmi o a desiderare anche solo di rimettermi sulla giusta carreggiata per una elaborazione del lutto quanto più sana possibile. No, sono la prima che rifiuta un aiuto. Forse perché non mi fido, ma credo piuttosto perché non voglio affrontare la cosa e basta. Non ho le forze, adesso non ce le ho proprio, neanche per fare le cose più basilari, neanche per preoccuparmi delle cose più naturali. Mi sembra evidente. Sono in questo locale con una persona - tra l'altro un wendigo - che nemmeno conosco. Potrebbe persino essere tutta una farsa. Potrebbe essere lui l'assassino che adesso cerca me, e qui fuori aspetta di ammazzarmi allo stesso modo. Per motivi che… boh. Facendo due conti penso che due nemici potrei anche essermeli fatti durante gli ultimi anni.
    Eppure non mi allarma nemmeno questo. Forse sono solo una grandissima deficiente. Probabilmente è così: la stanchezza mi rende stupida e sconsiderata.
    «No, usciamo. Questo posto fa schifo.»
    Non finisco nemmeno la birra. Non mi andava nemmeno. Per fortuna non mi sono buttata sull'alcol. Anzi, comincia ad un certo punto a farmi persino schifo. Tanto non voglio negare il problema, lo vedo in maniera decisamente nitida, non ho bisogno di nascondermi dietro niente. Come lo voglia affrontare purtroppo è un'altra questione.
    Ripercorro a testa bassa il tragitto dal bancone all'ingresso fino a che l'aria fredda non mi colpisce in faccia.
    Scavo nelle tasche della giacca ma trovo solamente il pacchetto di sigarette. Me lo avvicino alle labbra per afferrarne con i denti una e rimetterlo poi di nuovo in tasca.
    «Hai da accendere?»

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    Magari fuori da qua respiro anche io, che dici? Magari evito di sentirmi un'ombra alle spalle e voltarmi con la speranza di vederla. Anche se no, non si lasciano due birre così, quelle le recupero io con una mano sola. Il barista mi conosce, mi chiama Race, ed accenno si che tornerò a pagarle. Non so se sia vero, non lo sa neanche lui, ma stavolta magari non è una gran perdita. Che io potrei offrire, ma lo stato non continua a pagare quelli come me. Noi abbiamo un debito di vita, un po' come se ogni cosa fosse l'ultimo desiderio.
    E penso sia così che intendo vivermela, così che prendo le cose con la filosofia del continuare ad andare avanti a muso duro. Durissimo.
    E non sta a me commentare, che davvero è un posto di merda ma non così merda. Può esserci di peggio, si, può esserci Detroit.
    Mi sta pure bene smetterla di parlare di Lucian, che forse in due non ne caviamo niente, e immagino che siano già stati troppo sbagliati i miei passi ma si, vivo per non pentirmi delle cose - non potrei avere il tempo per riscriverle diversamente. Non con te, né con altri.
    Lucian lo sapeva. Lucian non è morto, e cristo se ne resto sicuro.

    Però no, non ti avrei lasciata a disperarti su quel bancone, l'aria serve a tutti e due. Ti raggiungo con le birre ancora ferme tra le dita di una mano, e l'altra che scava in tasca in cerca di un accendino. Ho la presunzione di dirti che sei al sicuro con me, qualunque ubriaco del cazzo o cercatore di rogne professionista, non ti farà niente finché ci sarò qui io. La bestia sarà pure sopita, ma me la cavavo bene anche senza essere un wendigo.
    Trovo l'accendino, ma te lo passo perché sia tu ad attivare la fiamma: stupidamente penso che tu abbia bisogno di fare qualcosa, di tenerti impegnata per non trovare tutto pronto, né adagiarti nel vero e profondo silenzio.
    Non sei sola, Vivianne. Noi siamo un branco, un Nido in cui se ti portassi mi taglierebbero le mani - non lo posso fare questo - ma che mi porto addosso, sulla pelle, come una cicatrice di cui andare fiero.
    "Quanto ti ci è voluto per trovarmi?" è solo curiosità nel riprendermi l'accendino, è uno di quelli da quattro soldi al tabacchino, lo tengo in tasca per gli altri, io non ho mai preso il vizio del fumo, e dopo l'esercito non mi è rimasta neanche come abitudine. Forse perché di quella parte di vita preferirei non ricordare niente.
    "C'è scritto per cosa il "disonore"? Non ho mai visto il mio fascicolo" alzo le spalle, inizio io a muovermi per non stare fermi, una direzione è come un'altra.
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    La prima boccata di fumo insieme all'aria più fredda è paradossalmente come una prima vera boccata d'ossigeno, anche se sta roba di questo passo finirà davvero per bruciarmi i polmoni. È un vizio che sì, in questo caso, in questi ultimi tempi è decisamente peggiorato. Fra le tante, meglio così.
    Mi passo una mano dietro il collo, i capelli che non sono della mia normale consistenza, perché mi sono finalmente accomodata ad avere un aspetto preciso, anche se per molto tempo non ho saputo più gestire e ritrovare i miei stessi tratti, e Lucian se lo è vissuto tutto quel periodo. Forse mi manca quel dramma. Rispetto a questo, sicuramente.
    «Non troppo.» gli rispondo masticando il filtro della sigaretta.
    Mi infilo le mani infreddolite in tasca e comincio a guardarmi attorno, forse per scegliere una direzione, per far mente locale su che strada dovrò ripercorrere per tornare poi a casa.
    «Il tuo nome è nei registri. Eri poi nei contatti di Lucian, ho controllato. Mi hai seguito abbastanza per capire diverse cose di me, quindi dovevi essere familiari con Brooklyn, e senza la pensione del congedo i locali abbordabili qui non sono tanti.»
    Non te lo dico poi che questo posto mi sembrava abbastanza consono alla disperazione di un militare congedato. Forse è uno stereotipo o una immagine che mi sono costruita in testa da esempi reali come quella di papà che non riusciva a sopportare di star lontano dalla guerra.
    È quasi buffo, come questo mondo continui a circondarmi. Forse dovrei pensare di arruolarmi anche io, forse sono tutti segnali dall'universo. Sì, vabe, un pensiero stupido che si affaccia senza senso tra gli altri.
    «La fortuna ha fatto la sua parte.»
    Senza quella sarei comunque andata da poche parti. Non ho le stesse doti investigative di papà, ma a lui comunque non avrei mai chiesto, e non l'ho fatto infatti. Se sapesse che sono qui probabilmente mi staccherebbe la testa. Ma, se forse in passato - neanche troppo remoto - era diverso, adesso non mi preoccupa l'idea di dovermi tenere dei segreti così. Forse anche perché non mi va nemmeno di sentire gente lamentarsi. Brava egoista, fastidiosa e testarda fino a farsi male, molto male. Magari non stasera, ma di questo passo molto presto.
    Quando sono sicura di essere ormai abbastanza lontani sulla strada dal Felix mi passo una mano sul volto quasi per cancellare quei tratti facciali e riprendere i miei "originali".
    «Non ho scavato oltre, non volevo trovarmi in casini. So però quali sono le cause che comportano il congedo con disonore.»
    Forse a papà farebbe incazzare più questo che il fatto sia anche lui un wendigo.
    «La cosa più innocua che tu possa aver fatto è esserti drogato.»

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    Mi chiedo solo quanto sarà facile, allora, senza maschera farmi trovare da chi combatte all'altro capo della barricata. Per questo mentre parli mi perdi un attimo, ma non è che non sto attento, Vivianne, giuro: è solo che devo tenere al sicuro i miei. Mi serve sapere che cosa hai fatto, brava, così, per capire dove sto sbagliando e se sia il caso di trovare un contatto più stabile con gli hacker perché ripuliscano il mio nome ed il mio volto non sia tracciabile. Non intendo mascherarmi come sarebbe logico, o come hai fatto tu finora. Vorrei solo non essere così leggibile per chi poi dovrà non trovarmi.
    Non sono un licantropo, non sono un vampiro, non sono una bestia a cui si può dare il beneficio del dubbio, la mia dieta non piace a molti di voi.
    A molti di loro.
    A quanto pare noi possiamo solo scegliere se essere mostri vivi o mostri morti, non umani, mai. Magari per questo la mia umanità esce adesso, in gesti semplici, come se dovessi dimostrarlo a me più che a te che cosa sono. Che cosa posso ancora essere, pure se siamo stato cresciuti per comportarci da animali, per finire al macello e combattere come i cani in Messico.

    "Acqua, niente droga per i piloti del reggimento" che poi è questo che forse mi ha salvato dai vizi, dal diventare adesso come quei barboni che una volta erano dei veterani, poi sono caduti in disgrazia, un po' come ci sono caduto io. Ed io, Vivianne, ero anche uno dei migliori, non per niente ero riuscito a diventare un mezzo ufficiale, grosso abbastanza da comandare i miei uomini, la mia batteria, sette caccia. Sembra solo che sia successo troppi anni fa, tanto che nel dirlo mi infilo le mani in tasca, incavo un po' le spalle, non riesco a percepire quando mi tormento le labbra, ma Ben tutte 'ste cose le conta al posto mio.

    "Ho preso a pugni un Tenente Colonnello" o almeno questo è quello che dicono, si, non che sia davvero la verità, almeno nel disonore hanno cercato di riparare ad una parte dei loro stessi errori di calcolo. Si, il padre di Joseph pestava come un cazzo di lottatore. Ad ogni modo nel dirlo quasi rido, rifilo un lancio perfetto della prima bottiglia vuota nel bidone poco distante, risuona il vetro che si infrange. Faccio anche la differenziata, onesto mh?
    Non so neanche perché te la spiego un po' meglio, forse perché almeno così penserai ad altro, riderai di me, esprimerai un giudizio ma non resterai a testa china su Lucian e quel dolore che te lo tiene ancora così distante.
    Manca anche a me, non credere.
    "Tuttavia... andrebbe detto che le ho prese per primo, cristo quante ne ho prese quella volta" e non credere, non mi sto realmente vantando di niente, sto solo deviando, pensando che Joseph sarebbe andato nel panico ma che ci siamo picchiati perché era morto. "Era il padre di un soldato che ho perso in missione, abbattuto appena prima del congedo di Natale" giusto a ribadire che non ci sono davvero storie felici qui, basta capire come immagazzinarle per andare avanti. Si, lo dico io che a volte resto in silenzio giorni interi.

    "Hai cambiato faccia - prima - perché non vuoi farti vedere in posti così di merda, o c'è qualcosa che ovviamente non so e dovrei sapere?" torniamo un attimo a noi però, mh?

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    Pur camminando rimango a fissare il vuoto del marciapiede sulla punta delle mie scarpe nell'ascoltare i reali motivi del suo congedo. Prendo la sigaretta tra indice e pollice, con un tiro, prima di sbuffare fuori il fumo e annuire con le labbra tirate verso il mento in una smorfia.
    «Che merda.» un altro sbuffo di fumo, prima tirare su il capo e buttarlo quasi indietro a fissare il lampione che frizza vicino sul marciapiede.
    Sì, che merda finire così. Con così tante responsabilità, con una macchia tale già così giovani.
    «Scusa ma come cazzo hai fatto a fare tutta 'sta roba in così poco tempo?» che io a venticinque anni, quasi ventisei, non mi sembra di essere giunta ancora ad un emerito cazzo. Faccio solo avanti e indietro da casa al Sacred Heart per una specializzazione che in questo momento sto affrontando tutto tranne che con entusiasmo e con l'impegno che dovrei. Vado avanti più per inerzia, per quel suo non vivere abbastanzasopravvivere, come ha detto lui. Sì, ha detto proprio così. E lui, ho controllato, era ne ranghi piuttosto alti, decisamente alti per la sua età.
    Così giovane e già con una vita persa di cui dover rendere conto. Ci credo gli sia girato il cazzo ad un certo punto. Ci sono altri modi, suppongo, di essere militari, oltre al modo con cui lo è papà o addirittura Camron. Forse era troppo giovane, è questo il fatto. Ma papà era decisamente giovane quando mi lasciava sola con la mamma e tornava sul campo. È anche inutile che ci stia troppo ad indagare o a fare paragoni a questo punto. Non ha molto senso, visto che sotto ad ogni uniforme o addirittura struttura biologica quello che ho sempre cercato negli altri, da papà fino a Lucian, è sempre stata solo l'umanità. È quella che alla fine ti frega. Forse ancora in senso buono però.
    Prendo ancora un tiro lungo dalla sigaretta quasi finita; forse è la mia parte preferita, quella più vicina al filtro, che fa più male.
    Lo guardo abbastanza interrogativa, perché mi sembra di tornare ad un punto che ho lasciato sospeso diversi minuti fa con il suo commento che, onestamente, non ho compreso.
    «Non riesco a capire cos'altro dovresti sapere.»
    A questo punto meglio andare dritti al punto. Tanto questa serata mi sembra votata ormai al fugare ogni possibile dubbio insorto.
    «Il posto è pericoloso. Non ho nessuna voglia di andare in giro con la mia vera faccia.»
    Che poi vera… è difficile stabilirlo. Ormai una vera faccia non ce l'ho più. Questa è forse quella a cui mi sto affezionando dopo l'ennesimo trauma che mi ha scombinato di nuovo i geni.

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    Come ho fatto, dici? Beh. Beh lasciami dire che per un secondo questa domanda arriva in un punto che è ben oltre le mie barriere. Fa un po' male, ma dopo un po' tutto sembra sopportabile. Vorrei fare una battuta del cazzo, ma non mi esce. Vorrei dirti che ho sessant'anni ma non li porto poi così male. Si ecco se io fossi in grado di essere sempre così simpatico allora non mi direbbero che sono una testa di cazzo da così tanto tempo.
    La verità è che non ho perso solo Joseph in quell'inferno. Ho perso altri amici, ho perso compagni, ho quasi perso anche una gamba - ed a me è andata molto meglio che ad altri. Ci siamo solo trovati tutti nel posto sbagliato. Magari adesso anche tu non vorresti essere qui.
    Penso che se è da domani che non posso fidarmi, allora stasera posso cercare questa connessione.
    "Ho solo-" Sono solo scappato di casa, in sostanza. Da un padre di merda troppo fissato e da una madre che non avrebbe fatto niente per preservarci. Ancora sette mesi e Tamara verrà via da lì, la porteró da me anche se il Nido non è un posto sicuro per una diciottenne. Forse io non sono nulla di sicuro e basta.
    "- mi sono arruolato alla fine del liceo." Alzo le spalle, ti guardo a tratti alternando con la strada ed il contesto. I miei sensi arrivano ovunque io necessiti.
    "E volare è sempre stato un modo per andarmene dal Minnesota e dai miei. Non credevo che ci fosse davvero tutta quella merda oltre i confini" Dio quanto era bello stare lassù, con il cuore in gola a fare a cazzotti con l'adrenalina. L'ho amato tanto quanto ora lo odio.
    E ci ripenso a quanto Joseph fosse convinto di salvare qualcuno, di poter fare qualcosa per il suo Paese: un Paese del cazzo, ingrato. "Penso di essere solo stato un coglione fortunato, finché... finché le cose non sono andate di merda e dalla merda si sono evolute."
    A Detroit, come Lucian. Di cui non vogliamo parlare, vero? Già.

    E comunque hai ragione, quello è un posto di merda e tu non mi sembri la persona giusta da portarci. Forse non è il posto in cui dovresti farti vedere e basta.
    Scusa, non sono abituato alla magia usata in questo modo e quando ho avuto quello che ho avuto, l'ho persa definitivamente.
    "Chiaro" aggiungo piano, trovando un post per appoggiare anche la bottiglia che non finirò. Non ho voglia di annebbiare la mente adesso.

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    Credo, involontariamente, di aver toccato un nervo scoperto. Proprio quando mi sono concessa di sbottonarmi un po' di più. Sì, in effetti quando una cosa pare strana o addirittura strabiliante solitamente c'è sempre qualcosa a monte di più o meno doloroso, sicuramente sofferto, perché non si arriva a certe vette senza aver faticato tanto o sacrificato qualcosa. Sono quasi sempre storie che - se uno si è fatto da solo - comportano sempre qualcosa di non così scontato, sul quale è profondamente sbagliato giocarci o ironizzare troppo. Non vorrei anche averla presa con troppa leggerezza. Anche se da un lato pensarci mi consola: non sono ancora diventata completamente insensibile e stronza. Il mio difetto fatale è ancora vivo e vegeto, anche e soprattutto nei confronti degli sconosciuti. La compassione. Dovrebbe rassicurarmi la cosa. O forse no. Non lo so, onestamente.
    Quella parola, evolute, ha un senso preciso, che mi costringe a dover scegliere con più attenzione le parole. Perché so cosa voleva dire essere un wendigo per Lucian, anche se la mia non è stata altro, in realtà, che una grossa pretesa. C'era una sofferenza, scelte fatte forse in maniera diversa, il rimpianto per non essere stato altro, per non essersi riuscito ad elevare o sollevare dalla sua condizione. Per Lucian non credo sia mai stata veramente una evoluzione. Detroit deve essere stata il rifiuto per gente che come lui ha subito un fallimento. Horace nei fatti, Lucian nella nascita stessa. Doveva trovarli così, quel Princip, raccoglierli quando si trovavano sul fondo di qualcosa.
    «Non mi ha mai voluto parlare di Detroit.»
    Prendo l'ultimissimo tiro e butto la sigaretta a terra, dove la spengo con la suola della scarpa. No, comunque non ne voglio parlare.
    «Mi dispiace.» anche se non so se abbia molto senso dirlo, anche se non so se ci sia veramente qualcosa di cui dispiacersi, o se lui stesso pensa che ci sia. Potrebbe risultare quasi offensivo, non lo so. Ma è come se sentissi gli echi provenire da quel fondo, e penso che da lì Lucian sia stato preso, e che forse è lì che è ritornato. Un mondo terribile.
    Questa storia sul mio volto temo continuerà a rimanere un mistero, ma non credo sia così necessario alla fine. Forse lo era, all'inizio, quando la mia curiosità nel sapere chi fosse e cosa volesse Horace, e allora premeva di più. Ma adesso…
    «Senti, io credo di dovermi avviare a casa.»

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