Layla Burton

APPROVATA || Veggente, Direttore Centro di Studi Temporali, Uomini di lettere, Hakka

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    Veggente | SI - 1998
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    Ricercatrice | Piramide - Livello del Tempo - 2014/ora
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    FEDINA PENALE
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    Americana | 1991 | Legale


    2003 Penso di aver fatto un sogno, un volta. Non erano ancora così vividi come lo sono stati poi, ma ripensandoci ora mi sembra impossibile che sia diverso. Si potrebbe dire che ho creduto a tante cose nella mia vita, ma forse l’unica cosa che vale la pena dire è che io ho creduto in lui. Devo averlo fatto ancor prima di vederlo, quella prima volta nei giardini della Huntington Library, la mia prima volta perché per lui sarebbe successo solo molto più avanti. Il tempo è come un cielo stellato e mi sono chiesta qualche volta, quando non c’era e me ne stavo lì con una tazza fumante di tè a guardare fuori dalla finestra della cucina, se per lui fosse proprio così. Era l’estate dei miei dodici anni e ricordo che i miei genitori mi consentivano ad andare lì di mattina, da sola, quando avevo voglia di camminare o di leggere un libro. Era il turno di Orgoglio e Pregiudizio, quella volta, e non mi mancava che una manciata di pagine per finirlo. Mi ero diretta lungo il restante pezzo di Arden Road, avevo superato la California Boulevard e dritta sulla Del Mar per prendere il pullman che, come tante altre volte e nessuna, mi aveva portato alla Huntington Library. Mi mettevo sempre vicino il ponte ricurvo e gliel’ho detto, tempo dopo, e penso che non lo avrebbe saputo mai se non fosse stato per questo. Se provo a trovare un senso che abbia una logica, nella nostra storia, mi rendo conto di come non esista. Non c’è un inizio o una fine, ma è come se avessimo iniziato a scriverla da ogni punto, così che anche a sfilarne uno solo ogni inizio stesso sarebbe stato impossibile. Non gli ho mai detto cosa mi disse quel giorno. Lo saprà, quando anche per lui arriverà quel momento, e da qualche parte lì fuori lo sa già. Ha smesso di sembrarmi strana la concezione di lui sempre da qualche parte, anche nei momenti in cui è qui con me. Forse è solo che mi sono abituata, o non lo so. Quella volta emerse dagli alberi al lato del ponte, e ricordo di aver avuto quella sensazione che mi ha detto, da subito che non era lì per caso. Mi è sembrato triste, ma se all’epoca non potevo capirlo così bene, l’ho fatto con il tempo, conoscendolo e ripercorrendo quel ricordo, mi sono accorta di quanto lo fosse. Non chiedo mai tante cose, a River. Penso che sia meglio così e, forse, prima o poi conoscerò il perché ti tante volte che sono tanto passato quanto futuro. Penso che quell’incontro fu così importante perché conosceva già tutto di me, mi aveva vissuta nel suo modo di vivere le cose, e come in un cerchio che rincorre ogni suo punto, quello per me fu l’inizio. Non rividi River per molto, molto tempo, e ancora non avevo il diario con ogni data e appunto su ogni nostro incontro, quello che mi sarebbe servito, dopo, per sapere sempre a che punto era con noi, in una specie di puzzle che abbiamo composto volta per volta. La mia vita continuò, ma il pensiero di lui mi rimase così tanto in testa. Ero solo una ragazzina, alla fine, e facevo quello che fanno tutte a quell’età: mi perdevo fra milioni di pensieri e lui lo aveva reso così facile arrivando così, quella mattina, come se fosse spuntato dal nulla. Qualche informazione la cercai, perché dopo un po’, quando i giorni si sono accumulati e ogni mattina, nell’ingenuità dei miei anni, ho sperato di vederlo spuntare di nuovo di fianco a quel ponte, ma non è mai tornato. I giorni sono diventati settimane, alla fine arrivò il momento di tornare ad Ilvermorny senza che lo avessi rivisto un’altra volta. Ricordo di aver pensato addirittura di averlo immaginato, che fosse solo una proiezione della mia testa, e nel fremito di segretezza non parlai mai a nessuno di quell’uomo nei giardini di Huntington Library. Avevo l’imbarazzo delle prime cotte a frenare la lingua, e quando tornai di nuovo a casa, quell’inverno, cercai senza trovare poi troppo. Solo qualche riga, una foto tanto vecchia che mi dovetti avvicinare di molto al vecchio schermo del computer per poterne guardare i lineamenti ed essere certa si trattasse di lui. Poteva essere stato un fantasma, per quanto ne sapevo, ma sperai sempre che non fosse così. Penso che in quei lunghi anni, mentre andavo e venivo Pasadena a Ilvermorny, non mi attraversò mai il pensiero che non lo avrei rivisto. Forse, in fondo e in modo inconscio, mi ero resa davvero conto di quanto sapesse di me, e di quanto questo dovesse significare per forza che, in qualche modo, lo avrebbe scoperto. O aveva, valgono sempre così tanti tempi verbali, con noi, che potrei usarli tutti.

    2006 L’ho rivisto solo tre anni dopo. Ora lo so che da un certo punto di vista è stato quasi un “caso”, ma so anche di come non ci siano mai stati davvero casi per noi. Sì, ho iniziato a credere nel Destino. Poco alla volta e poi tutto insieme. Come quando si è nel letto e si aspetta il sonno, e quello arriva tanto graduale finché non crolla con forza sulle palpebre. Credo nel destino perché ho incontrato lui, quando aveva già incontrato me, e ho incontrato lui quando non sapeva a chi appartenesse il mio volto. Quella seconda volta, però, fu quasi un caso. Per lui, che non voleva arrivare ai miei quindici anni, ma in un dopo che si è perso, fra tante altre cose, e ci ha solo resi possibili. Forse, se non avesse sbagliato, se non ci fossero stati i mei appunti su quella macchina da scrivere anni ed anni dopo, non avrebbe mai cercato di raggiungermi quella volta finendo di nuovo con me a Pasadena, in un’estate calda. È per questo che non so credere all’esistenza del caso, perché è così indispensabile ogni cosa che è successa da rendermi conto di come non possa che esserci un filo che, fra passati, presenti e futuri, collega ogni tassello per metterlo al suo posto. Quella volta, a quindici anni, in quello stesso giardino, cercavo un segno e per me fu quello. Non era un fantasma, né una mia fantasia, e anche se ero più grande e così meno incline alle fantasie, ancora una volta River me le accese una ad una, come se conoscesse già ogni mio interruttore e, in effetti, era proprio così. C’è un motivo se non gli ho detto mai di cosa ci siamo detti in tutti gli incontri che, per lui, ancora non sono avvenuti. Perché a dirglielo e come se scrivessi io le sue parole, ma so che mi si sono scritte a fondo tanto proprio perché erano le sue. E so che nel decidere di non dirglielo, niente cambierà. Sono già avvenuti, per me, e lo hanno fatto con la precisa scelta che una me futura ha fatto nel non dirgli nulla, se non date e luoghi così che potesse trovarmi. Quello che so, per certo, e che da quella prima volta a soli dodici anni ad oggi, che ne ho quasi ventinove, è sempre stato lui. Anche nel modo sporadico di apparirmi, forse proprio perché nel modo di essere e di parlare, lasciava trasparire qualcosa che parlava di intrecci che anche se non potevo ancora conoscere, potevo sentirli fiorire in ogni sua frase. Ancora una volta, sparì così com’era arrivato, senza lasciare nessuna traccia visibile se non quelle che mi sono stretta nel petto e non ho lasciato più andare. Continuavo la mia vita, quella normale che trascorreva fra una sua visita e l’altra, eppure già all’epoca penso che tutto quello che mi riusciva davvero fare, era solo aspettarlo e aspettarlo ancora, così sicura come lo sono ora, che sarebbe arrivato di nuovo. Forse non rendo grande not al mio genere, dopo anni di battaglie a dire che le donne non devono aspettare un uomo in nessun caso e che sono libere, ma è sempre stata una cosa diversa, quella con lui. Avevo la mia vita, fatta di giorni a scuola, di volti, di parole, di conoscenze. Amicizie e incontri casuali, eppure in qualche modo, sempre, c’era una parte di me che paziente aspettava. Paradossalmente, è stato proprio River ad insegnarmi ad essere paziente, a vivere capace di reggere tutti i suoi ritmi che, per me, si traducono in lunghe attese e silenzi in cui non so mai cosa succede, ovunque sia e in tutti i momenti in cui è contemporaneamente. Esistono, per me, mille e mille River, ognuno per ogni suo giorno, e allo stesso tempo solo uno.

    2011 Poi c’è stata quella volta. Forse, nel parlare di me, non dovrei ricondurre tutto a lui. Eppure, so che River è il centro gravitazionale di ogni mio istante da quei dodici anni in poi. Quella volt la chiamo così perché se per me il suo volto, anche se così giovane rispetto a come lo avevo visto, era tanto conosciuto, ci misi poco a capire che il mio non gli diceva nulla. Penso che da qualche parte, per quanto irrazionale fosse, mi sentii tradita. O forse era solo un modo in cui decisi i sentirmi quando nei suoi occhi non lessi nulla che parlasse di me o di chi ero. È vero che di me esistono storie e storie al di fuori dei suoi occhi, ma quella volta riuscii solo a sentire, per qualche istante, un vuoto enorme. Sapevo che sarebbe arrivato quel giorno, il suo primo, e mi aggrappai a quella consapevolezza, forse trovando lì tutto quello che non sapevo ancora, ma che avevo saputo prendere dai suoi occhi e dalla sua voce, disegnando nella mia mentre un mondo che è quello in cui vivo anche adesso. Non provo vergogna ad aspettare, non sento quel moto di furia che spinge per avere l’emancipazione da tutto. Forse per molti il mio aspettare e aspettare, ogni volta, che lui torni può apparire come un gesto stupido, forse qualcuno potrebbe spingersi oltre e trovare delle carenze nella mia persona, ma a me non è mai importato. Non lo faceva quando a ventitré anni mi trovavo di fronte ad un River che di me non sapeva nulla. Mi sentii in un po’ spezzata, forse perché sapevo già in un modo istintivo che sarebbe stato lui e lui soltanto, forse solo perché, ancora così estranea a tutto, per la prima volta ero solo una donna di fronte ad i suoi occhi. Fu un momento pieno di cose, quello. Ricordo che stupidamente mi dissi più e più volte che no, non potevo cedere la “prima volta”, anche se per me non lo era affatto. E se quella volta nei giardini era stato lui a conoscermi già così tanto, adesso era il mio turno di guardarlo e vedere già cosa si nascondeva dentro ogni suo gesto, sguardo, movimento. A pensarci ora, posso solo accettare di come, ancora, dovesse succedere e basta. Di come il tempo non sia una linea che corre dritta, ma fatto di curve e curve tocca punti che fanno perdere senso a prole come passato, presente e futuro. Il mio passato è stato il futuro di River, e il mio futuro è stato il suo passato, e solo per questo ci siamo incontrati e lo abbiamo fatto come lo abbiamo fatto. Ci siamo conosciuti, paradossalmente, perché ci conoscevamo già, e se non è questa la definizione di Destino, non so cosa sia. A quel punto della mia vita ero già lontana da Pasadena, ero lontana da casa, da tutto, ma in qualche modo non ho mai saputo sentirmi fuori posto. Penso che sia perché, in ogni istante, ho la certezza che sono esattamente dove essere, ed è una consapevolezza che cresce ogni volta che spunta da ogni suo momento per arrivare qui, dove ci sono anche io, per poter così incrociare i nostri istanti. Avevo già sogni e premonizioni vivide a quel tempo, e spesso ho sognato di Rivier. Anche questo, insieme a tutto il resto, ha sempre saputo dirmi di come dovesse essere questa la mia storia, di come fosse quello che avevo scelto chi sa quando, nel tempo, ma con tanta forza da farlo essere reale in tutti. In una situazione normale, non ci saremmo incontrati mai. Io non avrei saputo di lui, e neanche lui avrebbe conosciuto il mio nome. Ma fra tutti i luoghi ed i tempi, siamo stati io e lui.

    2014 Io mi ero già abituata agli sbalzi di tempo, ad aspettare e aspettare senza sapere quando e se sarebbe tornato, eppure sapevo sempre che lo avrebbe fatto. Il tempo, per noi, era diverso. E capitava che quando per lui era passato appena un anno dall’ultima volta che mi aveva vista, per me ne erano trascorsi già molti, forse anche per quello era come se il tempo aspettasse che fosse il momento. Ancora oggi, sinceramente, non so come ho fatto ad aspettarlo così tanto in quegli anni. Quelli più caotici, in cui la vita succedeva a tutti, intorno a me, e io ero sempre lì, di fronte a quello steso uscio in attesa che si aprisse. River ha influenzato molto più della mia semplice “vita amorosa” della mia adolescenza e vita. È per lui se mi sono laureata in Storia, per lui se sono finita alla Piramide a studiare il tempo. È stato lui a spiegarmi quanto fosse complesso, anche senza usare parole. Me lo ha mostrato, e come sono stata rapita da lui, subito e senza doverci pensare, lo sono stata anche da questo. Fare il tirocinio proprio lì, alla Priamide, fu normale, come se neanche fosse davvero una scelta, ma un percorso naturale che doveva prendere la mia vita. Quell’anno, tornò più spesso. Avevo preso una casa a Manhattan, un piccolo appartamento, lo stesso che ho tenuto ancora ed ancora in tutti gli anni seguenti, lo stesso in cui ancora adesso abito. Queste stanze, per me, sanno sempre di lui. Penso che quei miei ventitré anni sono stati importanti per molte cose, e come tutte le cose che reputo tali c’è stato lui. Ho continuato ad aspettare, sempre e comunque, e penso che non smetterò mai di aspettarlo; giorno per giorno, anno per anno, volta per volta.
    nome Layla, come la canzone di Eric Clapton e proprio per quella
    cognome Burton
    data di nascita 16 Agosto 1991
    luogo di nascita Pasadena, California
    segno zodiacale Leone ascendente Cancro
    abilità Veggente
    residenza New York - 267 W 139th St, Manhattan
    istruzione Ilvermorny, Thunderbird
    Laurea Brakebils, Storia - Fisica (double degree)
    ruolo Piramide, Livello del Tempo
    macchina Suzuki Ignis nera
    allineamento Neutrale Buono
    personalità ENFJ
    catalizzatore [+] Malachite; Fa da specchio al subcosciente e lo purifica. E' adatta ai sognatori, agli utopici, a coloro che riescono a vivere in modo pieno le proprie emozioni apprezzando il grande nelle piccole cose. I più famosi musicisti e incantatori hanno avuto la Malachite come compagna, questo perché aiuta a portare consapevolezza dei propri stati emozionali in relazione ai fattori esterni e favorisce la percezione di ciò che è astratto, impalpabile. Sono in assoluto le persone che credono di più ai desideri, che posseggono sogni che spesso andranno a realizzarsi.
    [-] Acquamarina; Non è associata a persone coraggiose, è quindi legata ad elementi che non spiccano di grande iniziativa o che hanno un atteggiamento a volte passivo nei confronti delle avversità. Spesso colui che viene scelto dalla parte oscura dell'Acquamarina si ritrova a pensare tanto e a non agire di istinto, che molte volte può essere positivo come negativo: riflettendo spesso non colgono l'occasione quando ce ne sarebbe bisogno. Capita che l'acquamarina oscura infatti scelga persone che sono bloccate all'interno di un viaggio introspettivo.


    ⇉ 14 LUGLIO 2003
    Primo incontro con River [Layla 11 Anni; River 36 Anni]

    ⇉ 12 GIUGNO 2006
    Secondo incontro con River [Layla 15 Anni; River 31 Anni]

    ⇉ 18 GIUGNO 2011
    Incontra un River che non la conosce [Layla 20 Anni; River 25 Anni]

    ⇉ 17 GENNAIO 2014
    [Layla 23 Anni; River 28 Anni] + 4 volte

    ⇉ 4 GENNAIO 2017
    [Layla 25 Anni; River 32 Anni]

    ⇉ 1 MAGGIO 2020
    River si ferma a New York [Layla 28 Anni; River 33 Anni]

    ⇉ 13 MAGGIO 2020
    [Layla 28 Anni; River 32 Anni]



    Sono una persona paziente. Che lo sia sempre stata o che lo sia diventata è relativo. Lo sono ora. Penso di essere capace di sopportare tane cose, forse qualcuno direbbe troppe, sopratutto visto il fatto che no, non mi arrabbio mai davvero. Non così tanto, almeno. Certo, mi capitano quei cinque secondi, ma ormai ho una fibra resistente a tante e tante cose. Non penso sia un male, anzi, penso che sia una delle cose migliori che mi caratterizza. Calma non è la parola che userei, più... tranquilla. Anche quando calma, appunto, non lo sono affatto, sono cresciuta con quel tipo di consapevolezza che ti insegna come agitarsi anche in preda all'ansia non porti da nessuna parte. Forse sono semplicemente docile, anche se onestamente, so quanto possa sembrare un difetto dirlo così. È che ho delle priorità, che di solito involgono il dialogo per risolvere qualcosa o semplicemente un piccolo sfogo consapevole della sua irrazionalità prima di andare avanti, oltre, risolvere le cose. Tranquilla, sì. Tranquilla è la parola perfetta. Non sono una tipa da serate fino alle sei di mattina, non lo sono mai stata, forse perché tutto quello che avrei mai potuto cercare, nella mia vita, l'ho già trovato e non resta che quella pazienza di aspettare, volta per volta, che mi si presenti fra le mani. Non sono una persona solitaria, è solo che preferisco compagnie semplici. Cinema, passeggiate, perché no aperitivi che di tanto in tanto mi fanno tornare un po' traballante a casa, ma mai niente di così eclatante. Mi piace coltivare le cose che ho, mi piace sentirmi circondata da anche pochissime persone, ma che so sentire vicine. So sentirmi sola, questo è ovvio. Spesso, in realtà. Ma è un “sola” che ha sempre un modo mite d'essere, perché è un discorso molto più complesso. È la solitudine quieta di chi sa di cosa ha bisogno in un momento preciso, ma sa anche che non può averla subito. Ma, onestamente, non so trovare qualcosa per cui lamentarmi nella mia vita, e so che in molti sanno ancora definirmi ingenua ad una prima occhiata, perché cerco di avere sempre una visuale se non proprio positiva, almeno ragionevolmente ottimistica. È che ho sempre pensato che lamentarsi non porti a nulla, che le cose sono fatte in un certo modo e se si ha il potere di migliorarle, beh lo si dovrebbe fare. Non sono davvero ingenua, sul serio. Forse è solo che vivo in lunghe attese, forse è solo un insieme infinito di cose. Non saprei dirlo, però me lo chiedo quando sono sola con me stessa, la sera, e posso solo stringere una tazza fra le dita e lasciarmi cullare, presente senza esserlo, dalla voce gracchiante della tv. Forse il punto, quello più semplice, è che semplicemente, dal più profondo del cuore, sono una persona grata. Alla vita, al mondo. A tutto. Sono grata, e questo è quanto.

    Capelli legati, poco trucco, vestiti larghi. È la mia base, di solito. Mi piace lasciare poco trucco perché mi piace quando quelle leggere efelidi che mi coprono naso e zigomi si possono ancora vedere, e insomma, non penso di essere così brava con il make up. Anzi per niente. Le poche volte che ho provato davvero a farlo come si deve mi sono sempre sembrata l'incrocio terribile fra un clown e un egiziano fatto male, forse un po' pirata con tutto sciolto in faccia. Quindi ho un po' rinunciato. Quando vado a lavoro, però, sono un po' più classy. Non è che strafaccio, perché alla fine mi imbarazza pensare di avere gli occhi addosso, però insomma, quell'eleganza giornaliera che non fa mai male. Bluse, camice, pantaloni semplici e scuri, un blazer quando questa città non diventa un forno e il mio confort personale vince il mio senso di style e così si va. Onestamente tutta quella parte di spippe sul mio corpo me la sono sorbita alla grande tanto in fretta quanto l'ho superata, e adesso lascio che sia un po' tutto com'è. Sono sempre la figlia di mia madre e mio padre, dopotutto, quegli stessi che, anche se vivono nella loro villa a Pasadena, erano in prima fila ai Woodstock, e un po' me lo trascino. Poi non è che devo fare colpo su qualcuno, quindi anche la vanità, alla lunga, è andata a farsi un viaggio lasciando spazio solo al comfort. Non che sia trasandata, ma insomma non penso neanche di essere una tipa che si tiene al passo con la moda. Semplice. Lasciar gli occhi liberi da ombretti, eyliner che tanto finirei per passarmi su tutta la faccia perché non so tenere le mani così lontane dagli occhi, con giusto una punta di mascara ma anche quello senza esagerare. Ecco se dovessi dire qual'è il mio obiettivo la mattina, quando mi guardo allo specchio, direi che è quello di rendermi da zombie a persona viva, fine.
    Altezza: 160cm
    Peso: 48kg





    Edited by .florence; - 1/9/2020, 10:54
     
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