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Joshua/Edie | 9 Maggio

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    Non so come’è che dovrei sentirmi. Sinceramente, voglio solo dimenticarmi di tutto quello che è successo, e riprendere come se nulla fosse esattamente da dove l’ho lasciato. Come sempre, come ogni giorno della mia esistenza che è solo un susseguirsi immoto di minuti che si accavallano, minuti che corrono via e vanno sempre nello stesso punto. Sono passata a casa solo per una doccia, e forse ho messo l’acqua più calda, come se avessi bisogno di far sciogliere via qualcosa dalla pelle, anche se sono sempre la prima a sapere che non funziona così, che le cose hanno la brutta abitudine di attaccartisi addosso e non lasciare la presa, come fossero parassiti infestanti che scavano sentieri nelle vene. Alla fine, l’unica cosa che so di voler fare, adesso, l’unica che riesce a spingermi ancora sulle gambe e non farmi scivolare sul divano con una bottiglia da svuotare, è il pensiero di aver avuto questi giorni in una pausa da tutto quello a cui, in realtà, non voglio rubare niente. Per quello alla fine mi sono cambiata, rendendomi quasi frettolosa in ogni gesto come se improvvisamente fossi cosciente di ogni secondo, e di come vadano e vadano senza fermarsi mai, senza prendersi anche loro una tregua per darmi uno spazio che questo tempo, non lo renda tanto stretto da sembrare un vestito troppo vecchio in cui è difficile entrare. Le domande e le affermazioni le ho lasciate dietro la porta, quando me la sono chiusa alle spalle stringendo la borsa sotto la spalla, sempre incapace di essere spaventata di strade che per quanto possano susseguirsi nella bocca di tutti, in questa città, per essere teatro di mille pericoli, non hanno mai saputo spaventarmi davvero. Forse è un difetto quello di pensare che di peggio non può succedermi, forse è solo una consolazione a cui invece aggrapparsi per guardare con indifferenza ogni moto e sentirla, ancora, quella barriera che mi separa da tutto e mi da quella sensazione che il respiro lo sa calmare. Ed è anche che io, queste strade e questa strada, le conosco a memoria, e questi passi li ho ripetuti tante e tante volte, senza mai essere capace di smettere di sentirmi in un modo o nell’altro. A volte pendo più dal senso di colpa che, non c’è niente da fare, sa abitarmi le ossa come se fosse parte della mia struttura più intrinseca; altre invece vince di più il bisogno, solo il bisogno di ritrovare i miei spazi, quegli unici a cui permetto di starmi accanto, anche se sa ferirmi. Lo fa perché, alla fine, non penso che nessuno di noi sia davvero capace di scordare com’è fatta la nostra vita, come lo è in quegli spazi segreti che sono fatti di tutto quello che abbiamo passato, di tutto quello che ci è stato tolto, stato fatto, stato dato, regalato, e di tutto quello che io ho gettato via. E lo so che Josh è rimasto un pensiero fisso ancorato alla mia mente in questi giorni, quando non sono mai capace di smettere di preoccuparmi per lui, di smettere di desiderare che questa presa l’allenti per spostarla da me a lui, e strapparsi il diritto alla sua vita senza pensare a me. Per questo i piedi sanno farsi più rapidi, per questo un taxi lo fermo e mi ci infilo con forza aspettando nel silenzio che i palazzi scorrano uno dietro l’altro, accorciando questi istanti quando sempre, sempre, sempre so pensare che è a loro che li rubo. A loro, quando io mi sono ostinata a non renderli così preziosi e importanti, perché così pochi, rispetto a quanti avrebbero dovuto essere, da semplicemente allontanarli come se non fossero una mia proprietà, e in fondo non lo sono. Dal primo all’ultimo, sono di mio padre, di mio fratello, e loro soltanto. Anche questo, delle volte, mi consola in quel modo in cui mi fa estraniare da me stessa, come se mi guardassi da uno schermo e seguissi lo scorrere dei miei giorni, ma incapace di sentirle miei non sapessero ferirmi; alle volte, invece, so solo sentire quanto, in fondo, mi dispiaccia e basta. Per loro, mai per me. Ho smesso di farlo per me troppi anni fa, quando mi sono semplicemente rassegnata, quando ho capito che no, non importa cosa possano pensare tutti quelli che si affacciano a questa condizione, non è fatta per scivolare via, ma per prendersi tutto e non lasciare niente. Gli ho mandato un messaggio al volo, qualche parola appena per dirgli che sto andando da lui, perché oltre tutto, oltre ogni cosa, so che alla fine ho bisogno di vederlo. È che io ho avuto solo loro per tutta la mia vita, da quando siamo rimasti solo noi tre. Solo noi, in una città nuova e tanto grande da farmi sperare, sognare, di perdermi fra tutti e scivolare per essere parte del grigio del cemento. Quasi corro quando sono di nuovo in strada e la distanza che mi separa dal portone, è fatta di qualche passo appena, ma li consumo uno ad uno aspettando che apra prima di muovermi ancora con quella stessa fretta, e lo so che da qualche parte esiste il pensiero di dover quasi recuperare questi giorni dispersi. «Sei da solo?» lo dico mentre faccio capolino dalla porta, sbirciando appena come se dovessi davvero indagare sulla cosa, per poi spingermi dentro sfilando già la borsa dalla spalla per lasciarla cadere in un posto casuale di cui non mi curo. «Dio, volevo prendere delle birre ma alla fine mi sono dimenticata, ne hai?»
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    Sono crollato distrutto dopo un concerto che mi ha tenuto sveglio praticamente fino alle cinque, non ho resistito al richiamo del letto e mi ci sono fiondato con tutte le scarpe, incurante di tutto. A pensarci è un caso fortuito che io sia anche riuscito a trascinarmi in camera e non abbia approfittato del divano direttamente in ingresso. Ho dato sfogo a tutto quello che avevo dentro in tre ore di estenuante liberazione, ed è evidente perché sono letteralmente svuotato quando mi alzo. E' stata colpa del raggio di sole che filtra sempre alla stessa ora della tapparella mangiata dalle tarme, se ho aperto un occhio prima di pranzo. Sì, vivo in una topaia molto rock e poco accogliente, abbraccio a pieno lo stereotipo che mi si cuce addosso, ma m'importa veramente poco; ci sto bene e mi fa comodo. Quello che però mi stupisce è l'essermi anche dimenticato di Lily, la ragazza carina che mi ha sorriso per tutto il concerto e che chiaramente non ha avuto quel che voleva quella notte da me; non che mi faccia onore ma non ho più sedici anni e lei invece probabilmente li ha superati da poco - o almeno me lo auguro! - ed è lì che si stiracchia come un gatto sul mio letto. «Svegliati bambolina, è ora che torni a casa... ti chiamo un taxi» le dico con la voce impastata quando quella mi abbraccia ancora in una mezza fase rem. Non siamo in un posto molto raccomandabile ed è bene che lei non torni a piedi da sola. Non sono uno stronzo, io, le posso anche dare qualche dollaro per il rientro perché non voglio averla sulla coscienza. Vedo che è reticente, che vorrebbe aggrapparsi a me anche in quelle condizioni, anche con il sudore di ieri sera addosso ad entrambi, ma io ho ricevuto un messaggio e lei deve andarsene. Sta arrivando Edie e so che avrò giusto il tempo di farmi una doccia e rendermi decente prima che mi piombi in casa. Ed Edie è sopra ad ogni cosa o persona, alla pari solo di nostro padre. Risparmio i dettagli a Lily ma le lascio intendere che non c'è trippa per gatti se resta perché i miei pensieri ora sono tutti per mia sorella, che non vedo da troppo per i miei gusti. Ho davvero solo il tempo di una doccia al rame e amianto, probabilmente, e di tirare su qualche mezza tapparella ancora intatta prima che mi bussi alla porta. Non ho necessità di guardare dallo spioncino, so che è lei, riconosco i passi della fretta che la contraddistingue quando ha bisogno di me ed apro con la velocità di chi, in compenso, ha altrettanto bisogno di lei. «... come un cane», confermo senza curarmi di quanto il tono contenga un filo di nervosismo. Sorrido, perché è Edie, ed allargo anche le braccia con la teatralità di cui sono capace prima di richiuderle la porta alle spalle. Ho messo la prima maglietta che ho trovato perché con lei non devo fingere di essere l'elegantone che proprio non sono. Non mi piace non vederla per giorni, lo sa benissimo, ed anche se ci sentiamo con qualche messaggio, per me non è lo stesso. Può stare male da un momento all'altro, posso perderla in un battito di ciglia. Mi si crepa l'anima ogni dannata volta che ci penso, ma poi la vedo, vedo che è... è lei, e mi calmo almeno un po'. Non sono mai stato un mammone ma solo Dio sa quanto sono legato a lei e quanto esigo che Edie stia sempre bene, e non sapere se è così mi tende i nervi allo stremo. «Sai dove trovare la mia riserva!» le indico l'arco che porta all'evidente cucinino stretto ed al frigo minuscolo in cui almeno sei birre entrano sempre. Posso solo immaginare lo sguardo preoccupato che le ho rivolto nell'intendere la fretta che l'ha condotta da me; voglio sapere tutto quello che ha fatto negli ultimi giorni, perché anche io ho cose da dire... ma voglio che inizi lei. «Per me no-» la anticipo nel caso voglia prendermi una bottiglia «- devo ancora capire come gira il mondo oggi.» Vorrei, davvero eh, vorrei non entrare subito in argomento ma come faccio se sono così teso? Allora mi avvicino quanto basta ad averla sott'occhio; mi ricordo ancora il momento in cui l'ho distaccata di quasi quindici centimetri, ce ne siamo dette di ogni quella volta. «Edie... che hai?» mi dicono sempre che ho un tono dolce da rammollito quando parlo con lei o la chiamo, ma non me ne frega un cazzo; io ho il diritto ed il dovere di preoccuparmi di mia sorella più di chiunque altro in questo fottutissimo universo.
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    Scivolo negli spazi di questa casa che conosco bene quanto la mia, come se in fondo questi spazi fossero un po’ anche miei. Non penso sia strano sentirmi spesso più a casa qui che nel mio appartamento, e so che è solo perché queste mura non le sento fredde come invece accade, spesso, per quelle che ospito da anni senza mai far altro che abbellirle, renderle belle da guardare, ma mai abbastanza calorose da stringermi in una stretta docile. Mi chino giusto appena per sfilare una bottiglia dal frigo, lasciando perdere una seconda mentre torno a girarmi per guardarlo e sì, lo so che è preoccupato. Il punto è che non sono mai stata brava con lui o con papà, non ad essere davvero capace a stringermi al petto quello che si agita e cerco di nascondere, ma che qui, qui scivola sempre un po’ fuori impedendomi di mascherare davvero tutto. Ma sorrido, lo faccio piano, lasciando andare uno sbuffo appena mentre mi muovo per trovare l’apribottiglie e stappare la birra, poggiandola giusto per sfilarmi la giacca dalle spalle prima di prendere un sorso. Penso che sia normale, per me, rendere mia la sua apprensione anche per qualcosa di così piccolo, come possono essere segnali d’allarme che, distrattamente, lascio correre fra un gesto e l’altro, quando so che mi conosce così bene da poterli captare tutti, uno dopo l’altro, come se fossi un libro aperto. Ma so anche che no, non ho intenzione di dirgli cos’è successo, cos’è che mi ha trattenuta per giorni in cui non ho potuto far altro che rispondere ai suoi messaggi sperando che niente gli sembrasse strano abbastanza da farlo scattare come la molla di un meccanismo. Il punto è che, in realtà, vorrei tenerlo fuori da tutta questa storia, se non altro dalla questione “Cacciatori” e questa roba che è tanto folle, eppure tanto reale e pericolosa. È che non voglio che, di nuovo, nel fare qualcosa per me, finisca ad incastrarsi in situazioni che lo mettono a rischio. Non voglio che per me getti via così tanto, o che si metta in pericolo. È esattamente come, per lui, è preoccuparsi per me. So che probabilmente non sarebbe contento di sapere che sì, gli sto nascondendo la mia piccola disavventura, ma davvero, che altro posso fare? Non saprei perdonarmi mai, mai, mai se gli succedesse qualcosa per questo, come non so essere mai abbastanza calma e tranquilla quando si tratta di lui. Non è un questione di quello che riguarda me e non lui, quando, onestamente, so sentirlo quel modo che mi spinge sempre a condividere le cose con Josh, ma solo, davvero, mi preoccupo. Forse è che lo so, lo davvero che sono pochi i limiti che si pone quando si tratta di fare qualcosa per me, e allora nel non sapere neanche io così bene, alla fine, come spiegare tutta questa storia senza farla sembrare peggio di quanto è stata davvero, almeno per me, so solo trascinarla nel fondo dello stomaco mentre alzo appena le spalle, lasciando andare un respiro lento. È che se posso essere una stronza con tutti, stronza davvero, alla fine con lui ho sempre quel premere dello stomaco che sì, mi fa pensare che debba badare a lui, per quanto mi è possibile. Anche se, onestamente, mi sembra sempre un po’ più il contrario, ma sa andarmi bene così, purché quando debba essere io. farlo, lo faccia. «Mah, sono solo un po’ spossata» lo sfilo dalle labbra mentre faccio dondolare appena la bottiglia, giocherellandoci mentre metto su un sorriso ancora, uno un po’ più scherzoso, perché ho davvero imparato una versione che fosse credibile da raccontare a lui e papà, quando non voglio che si preoccupino più di quanto già non facciano. Perché non voglio, onestamente, che vivano in questo stato perenne, quando lo so, lo so che è impossibile sia diverso, quando tutto ha quella sensazione di scivolare inesorabilmente verso un punto che assomiglia ad un buco nero pronto a consumare ogni cosa. «Ti risparmio i dettagli, ma diciamo che c’entrava lo stomaco e un’improvvisa relazione d’amore intenso con la tazza del water» prendo un sorso ancora con un suono gutturale, mentre arriccio appena il naso in una smorfia come se solo ricordare eventi mai accaduti, potesse di nuovo farmi stare male. «Uno spettacolo davvero raccapricciante»
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    Edie ha la capacità di farmi incazzare che è tanto alta quanto quella di farmi preoccupare. La conosco, sa che non può mentire con me, eppure si ostina a cercare di non rendermi partecipe di quanto di brutto può accadere. Fa così da quanto abbiamo scoperto della maledizione, prova ad allontanarmi dalla realtà perché non vuole che mi preoccupi, certo... certo come se lei potesse gestire lo schifo che la circonda, da sola. Credo di averle creduto una sola volta, quando mi ha detto di non preoccuparmi, dopo ho imparato la lezione. E Dio, lo so benissimo che lei avrebbe bisogno di pace, di non vivere nell'ansia perenne che ogni tanto anche io incito e forse solo di perdersi tra le mie braccia che saranno sempre un porto sicuro. E accadrà, voglio che accada, ma prima mi deve dire cosa le passa per la mente sul serio. E' un libro aperto più di quanto voglia e se con gli altri a cui non tiene può fingere di non avere nulla di male, di essere mediamente apatica o perfino felice, con me non può farlo. Non deve. Abbiamo affrontato questo discorso tante volte da averne la nausea, anche se forse la mia non dipende tutta dall'atmosfera, ma ho il sentore che non finiremo mai di darci battaglia su questo fronte. Vorrebbe essere capace di mostrarsi forte, perché deve esserlo se non vuole morire un po' ogni giorno, ma non può chiedermi di ignorare ogni cosa, ogni segnale. Non può chiedermi di amarla di meno perché da un momento all'altro potrei restare senza di lei. E' una smorfia, sì, quella che mi si stampa in faccia ed è chiara come il sole. Può anche aver vomitato l'anima ieri sera, o stamattina, ma non è quello che la preoccupa. Io a volte mi fisso, a volte esagero anche quelle cose che sono reali perché vengo preso dal timore che abbia per una volta imparato a mentirmi. Ma mi basta che vacilli un istante, che lo sguardo cupo mandi un segnale, e sono lì da lei ad un palmo dal suo cuore. Si può dire che sono più protettivo di quanto dovrei, si può dire che mi sento il fratello maggiore anche se non lo sono ma cazzo, chi può mettersi nei miei panni e lasciarla fingere che vada tutto bene covando un dolore che tiene per sé? Un mostro, ecco chi. E io non sono un mostro. Le darà la pace che vuole, ma non ora. Ora mi vesto di un sorriso ironico e scuoto il capo. Le do il tempo di dire la cazzata del giorno, e poi mi avvicino ancora. Ce la siamo cavata alla pari quando mamma se ne è andata, ci prendiamo cura in due di papà e dei suoi vuoti di memoria anche quando fanno paura; con me, Edie, non può fingersi quel che non è. Non voglio che mi allontani e sono sempre su quel dannato confine che passa dall'essere invadente in modo assurdo al soffrire anche io in silenzio quando non mi vede. Ora ho mal di testa. Le faccio una prima grazia di crederle e sorridere al pensiero della prima volta che è stata lei a tenermi degli ingestibili dread mentre vomitavo anche le paste della comunione. «Che schifo» le dico, arricciando il naso. Ma poi incalzo, perché sono suo fratello, porca vacca.Tanto lo so che anche quando voglio essere arrabbiato con lei inizio sempre con i piedi di piombo, senza mostrare quanto mi urti tutto quello che non so. Non voglio che pianga anche quando è a me che piange il cuore. «... sei sicura che sia questo che ti ha portata fin qui?» La prego con gli occhi di non mentire, e sono serio. Devo chiederlo due volte perché ci sono cose che non vorrei tirare fuori io per primo. Ogni volta che la vedo ho sempre paura che sia per un addio perché i sintomi si intensificano e questo non dovrà mai accadere, mai mai mai. Edie è la mia famiglia.
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    A volte vorrei che mamma fosse ancora qui. A volte vorrei averle chiesto molto più di tutto questo quando ancora potevo, quando invece non l’ho fatto perché abbiamo sperato, abbiamo sperato tutti così tanto che non toccasse anche a me. Ma lo ha fatto, e tutto quello che solo lei, in un certo punto, avrebbe potuto sbrigliare nella mia testa, alla fine è diventato un nodo tanto stretto che non sono mai stata capace di allungarlo, ma solo di farlo diventare sempre più grande. Vorrei chiederle cos’è giusto adesso, cos’è giusto fare o dire, quando onestamente, non ne ho la minima idea. Non penso di averlo mai saputo, come alla fine so di non sapere tante cose, quasi tutte, ed essere solo e sempre limitata fra gli angoli della mia testa, dove cerco direzioni inesistenti che portano sempre agli stessi vicoli ciechi. E non posso chiederlo a nessuno, anche quando adesso lo so, lo so che vuole solo che butti a terra ogni cazzata per romperla e farlo scivolare oltre, così che possa afferrare tutto e dividere con me pesi che avrei dovuto sopportare da sola. Non penso che Josh abbia mai voluto che fossi cosi, da sola, e che al contrario si sia impegnato tanto, così tanto, per farmi sentire che qualcosa, per me, ci sarebbe stato sempre. E ci è riuscito. Sono ancora convinta, fra tutte le mie certezze più sbagliate e quelle che mi sono costruita come fossero una difesa inespugnabile, che se non ci fosse stato mio fratello, non sarei stata capace di sopportare tante e troppe cose. E non so neanche se questo sia giusto, e qualche volta me lo chiedo ma, alla fine, mi sembrano tutte domande a cui è impossibile rispondere, o a cui sono solo io a non saperlo fare. Perché lo so che non se l’è bevuta, e lo so che mi sta chiedendo di essere sincera con lui, ma anche a volerlo fare, sul serio, non penso sarei capace di spiegargli davvero la situazione. Non del tutto, non completamente, non nel modo più corretto che, ironia della sorte, neanche io so davvero quando sono stata così ostinata a non pensarci da non averlo in effetti fatto. Porto la bottiglia più vicina, ci poggio le labbra senza bere, ma premendola sulla rima inferiore mentre tengo ancora gli occhi su di lui, trovando con la schiena un appoggio come un altro mentre l’altra mano me la premo in tasca in un modo casuale. È che vorrei essere capace di fare entrambe le cose, davvero. Vorrei essere capace di non escluderlo mai da nulla, neanche il dettaglio più piccolo, e allo stesso tempo preservare di lui tutto e non trascinarlo in questo tunnel che non ha vie d’uscita. Penso che il problema, alla fine, sia che non si è mai rassegnato. Io sì, anche papà in quegli anni lo ha fatto, lo ha fatto ancora prima di saperlo quando si è rassegnato per mamma, ma lui no. Lui non ha mai accettato il fatto che, semplicemente, è così che è, ed è così che andrà, e a volte vorrei dirgli solo basta. Perché non so come guardare questa sua speranza che è quasi una certezza, per lui, e tenermela fra le dita. Non so farlo, perché al contrario mi sono insegnata che ho un tempo che avanza all’indietro e ha una scadenza precisa. Stringo appena le labbra prima di prenderlo, un altro sorso, abbassando poi lo sguardo come lo faccio con la bottiglia, tenendo gli occhi lì mentre ancora, alzo le spalle in un modo più lento, cercando di staccare l’etichetta dalla bottiglia con l’unghia. «Non è successo niente» lo dico alzando di nuovo lo sguardo, facendolo uscire insieme ad un respiro. «Non ti vedevo da un po’, e non lo so, forse ho solo un po’ di casino in testa. Troppo tempo per pensare immagino, non mi ha mai fatto bene lo sai» alla fine, almeno, è parte della verità. Almeno su di me. Il casino lo ho, lo ho davvero, ed è alla fine quello che mi ha mosso fino a qui, per trovarmi in uno dei pochi posti, se non l’unico, che sa farmi stare meglio anche solo grazie al suo odore.
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    Oh, Edie... Se non le volessi un bene dell'anima ora diventerei una iena, non le darei tregua fino al raggiungimento della verità. Ma è complicato anche per me, è difficile mantenere un equilibrio tra essere un supporto ed un guardiano, un fratello e un amico. E quando mi parla così, quando vedo che non mente, che è spaventata e preoccupata quanto lo sarei io... mi sciolgo, la facciata crolla e la rabbia diventa così velocemente dolore che fa malissimo. Mi rimangio le accuse che ero prontissimo a rivolgerle e la furia con cui mi sarei abbattuto su di lei come altre volte avrei fatto. Io non voglio essere la causa di un nuovo crollo, voglio essere la colonna a cui sa di potersi sempre appoggiare... ma non voglio nemmeno vedere la resa nei suoi occhi; lei non deve arrendersi. Vorrei tanto che non ci fosse questa spada di Damocle sulle nostre dannatissime teste, che non fosse così prezioso ogni istante che passiamo insieme e che il tempo non corresse così veloce. Anni fa era così, sono stato bravo da giovane, anche se i momenti nello scantinato hanno lasciato un solco indelebile in me, sono stato bravo. Siamo riusciti ad essere fratelli quasi normali per un bel po'; litigi, insulti, scherzi, canne, scorribande e prendersi cura di papà... tutto come una famiglia quasi normale. Poi il tempo ha ripreso a scorrere e né io né lei siamo più riusciti a raccontarci la balla che sarebbe andato tutto bene, ho una fottuta paura che ora ogni anno possa essere l'ultimo. Noi lo abbiamo imparato molto presto che i desideri sono solo balle piene di brillantini. Non lo so più che espressione ho in faccia quando mi dice qualcosa che somiglia un po' di più alla verità, ma sento la fronte aggrottarsi ed il cuore fremere sotto il peso di un affetto condannato a cui non posso dar retta. Non mi evito nemmeno il nodo che stringe in gola e sono io a smettere il contatto visivo perché non lo sopporto più. «Già» mi esce con un sospiro che trema nel petto. Non c'è pietà, c'è comprensione. Come glielo dico adesso che mi sono spaventato a morte quando quello del MAFI si è presentato alla porta? Che ho pensato che l'avessero rinchiusa in chissà quale laboratorio di merda? Che ho visto il mondo crollarmi addosso e sentito il germe malato dell'essere impotente davanti ad un destino segnato, farsi avanti di nuovo? Forse non ho bisogno di dirlo, è tutto in bella mostra davanti a lei, nello sguardo che torno a rivolgerle, nel sorriso che mi spacca il cuore e forse in quegli occhi arrossati che non mi preoccupo più di nasconderle. Non voglio delle scuse per il fatto che non si è fatta sentire, voglio solo che stia- Beh, fanculo. «Vieni qui...per favore...» le chiedo, sforzandomi in un sorriso che profuma solo di malinconia e bisogni. Il bisogno di abbracciarla, ad esempio, di sentire che è ancora umana... che è ancora mio sorella per stasera. Aspetto che si avvicini ma già allargo le braccia. Possono togliermi ogni cosa, posso stare in astinenza da ogni cosa per mesi, ma non riesco a non voler stringere Edie a me ogni volta che posso, anche se questo mi fa sembrare un rammollito dal cuore debole. E sì, le permetterò sempre di prendermi in giro per questo. Nessuno potrà mai dirmi che è sbagliato ed il mio peggiore incubo è proprio quello di rimpiangere di non averlo fatto abbastanza volte; il mondo è pieno di tutto ma non di Edie. E' un sospiro pesante e liberatorio quello che mi esce dalle labbra poco dopo, che fa sfumare la rabbia e mi lascia senza alcuna barriera. E' l'ascia di guerra che abbandono per un po', perché mi hanno terrorizzato così tanto che ora combattere non è una prospettiva così allettante. Il nodo in gola, però, resta. «Stai cercando di dirmi che casa mia non è un centro di riflessione psicologica su se stessi, per caso?» ci provo a scherzare perché serve a entrambi anche se i sottotitoli di questi album sono chiarissimi. Io che mi sono spaventato a morte ed ho temuto il peggio, e lei che ha qualcosa che la tormenta di nuovo. Però il discorso lo devo chiudere in qualche modo, anche se non la voglio mortificare o ferire. «Mi è preso un infarto con il MAFI, Edie. Ti prego la prossima volta avvisami prima, non dopo... ok?» E' un patto quello che cerco, anche se sappiamo entrambi che non esiste un momento in cui mi darò pace o crederò nella scelta del destino per mia sorella.
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    Spesso ho pensato di essere cattiva con lui. Cattiva in quel modo che mi porta sempre a considerare così poco e me stessa, quando poi alla fine arrivano questi momenti e so che se magari mi trattassi un po’ meglio, se magari fossi capace di sperare un po’ di più, anche lui starebbe meglio. Quello che so, è che noi ci proviamo. Anche se non siamo mai stati come gli altri, non davvero, e a volte anche se papà c’è ancora, mi sembra quasi come se fossimo rimasti soli così tanto tempo fa da non avere altro. Penso anche che sia normale, che famiglie che subiscono quello che ha subito la nostra, si uniscono di più in tutto quel che resta, e allora, paradossalmente, diventa più difficile muoversi senza fare davvero del male a qualcuno. Lo so che più si è legati, più è facile soffrire e far soffrire, e nella mia vita vorrei essere stata capace di non ferire proprio nessuno, ma so che è un desiderio impossibile come quello di non lasciare, di me, neanche una traccia. Gli sorrido appena, in un modo un po’ stanco, stanco di tutto e niente, ma anche avvinghiato tenacemente alle labbra con una dolcezza che, ormai, esiste solo per la mia famiglia, o quel che ne resta. Anche adesso, vorrei solo essere capace di dirgli un va tutto bene che sia una realtà ferma, quando in realtà, da che sono nata, non è mai andato tutto bene. Ma non c’è davvero nessuno da incolpare, non c’è qualcosa contro cui premere il dito per sfogare una rabbia che, per me, non è mai esistita. Mi dico spesso tante cose, mi dico che dovrei provarci un po’ di più, mi dico che quando ci sono quei momenti in cui voglio solo stare da sola, a fissare il soffitto e svuotare una bottiglia o l’altra, è a lui che sto rubando ogni mio secondo. Penso, anche, a quando alla fine resterà solo lui e onestamente, è l’unica cosa che sì, mi fa pregare di avere più tempo, solo un po’, perché è un pensiero che sa stracciarmi il petto e questo, questo non lo allontano. Chiedere di più per mio fratello è l’unica cosa che mi sono concessa, quasi come se la dovessi difendere quando voglio solo, in qualche modo, quel pensiero che ci tiene sempre insieme, ad affrontare tutto fianco a fianco anche quando, più in là, quello che gli difendo sarà sguarnito senza rimedio. Se devo essere onesta, quella delle domande è stata una delle poche cose che, davvero, mi hanno fatto arrabbiare. Perché ci sono già troppe cose che deve sopportare, troppe che gli impediscono di essere così leggero come sarebbe, forse, se fosse nato altrove, in un posto senza maledizioni, senza timer che corrono sulle teste e non accennano a fermarsi, e non vedo perché aggiungere altro quando noi, davvero, non abbiamo mai fatto niente di male a nessuno. E anche se fosse, penso di sapere che in ogni caso l’unica cosa che continuerei a fare, è cercare di difenderlo e proteggerlo, senza mai schierarmi contro di lui. Funziona così, alla fine, e in un certo senso so che se anche fossi io a fare qualcosa di orribile, non ci sarebbe mai quel momento in cui mi volta le spalle e si allontana per non tornare più. Mi avvicino dopo aver lasciato la birra sul ripiano, muovendo passi lenti per lasciarmi andare, ad occhi socchiusi, ad una delle poche strette che mi sono rimaste nella mia vita. Sembra una cosa piccola, minuscola, ma per me è tanto grande ed immensa da darmi quel senso di tranquillità che ritrovo nei respiri quando si acquietano uno dopo l’altro. «Se lo fosse non sarebbe il mio posto preferito» lo mormoro con un sorriso, uno che si fa più leggero per qualche secondo mentre poggio il lato del volto sulla sua spalla quando, ormai, svetta su di me e non è più il bambino che era un tempo. Ci penso, a com’era quando eravamo piccoli, mentre lascio andare un respiro prima di stringere le labbra, senza ancora scostarmi per prendere questo secondo e renderlo una pausa che mi ristori e mi ridia una pace che, per quanto inframmezzata e logora, può esistere nel rintocco dei secondi. «Sinceramente spero che non ci sia una prossima volta in cui, sai, qualcuno del MAFI cerca qualcosa da noi» anche questa la dico come una battuta, facendola echeggiare in un suono della cassa toracica, scostandomi alla fine per guardarlo mentre piego appena la testa di lato. «Ma sì, promesso, anche se alla fine è stata tutta una storia inutile, quindi anche per quello tutto okay, solo tanto inutile stress»
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    La stringo ed inspiro a fondo con lei. Mi calma averla così vicino, sapere che niente si è messo tra noi, e che niente potrà. Noi non ce lo possiamo permettere un attrito che ci allontani, che non ci faccia parlare per giorni perché ogni fottuto istante conta come decenni. Edie, con il suo profumo, è casa. Le mie braccia la circondano e la tengo stretta a me, alzando il mento perché possa trovare tregua nell'incavo delle mie spalle. E' qui, con me, dove vorrei rimanesse per sempre, e lo so che sono un fottutissimo egoista, ma non riesco a farne a meno. Non mi arrendo all'idea di non invecchiare assieme, di non raccontarci le peggio cose sui nostri vicini invadenti e rumorosi anche quando avremo cinquant'anni... ma non sono nemmeno così cieco da non vedere che il vicolo in cui mi inoltro è buio come la notte e che potrei andare a sbattere contro l'ultimo muro che sarò in grado di sopportare. E cosa farò allora? Cosa farò quando la speranza morirà per davvero? Io... Io non ci posso pensare, insomma c'è gente che ha inventato continuamente cure per cose che sembravano incurabili. Io sarò uno di loro, devo, voglio. Per lei, per Edie, attraverserei il tempo, le galassie ed il dannato Universo per trovare una cura alla maledizione. Non lo voglio il giorno in cui dovrò ricordarla solo attraverso una foto o un maglione rubato dal suo armadio Ci ho provato a convincermi del contrario, e credo di non aver mai assistito ad un giorno tanto folle in vita mia, sono arrivato al punto di trasformarmi esattamente nella persona che non voglio essere. Quindi no, non c'è alternativa alla speranza che non sia il vederla diventare realtà. Se solo il tempo non mi rincorresse come un demone assetato di sangue, Dio! Comunque finché sarà con me le devo la pace che vuole. Ci sono momenti in cui anche io mi accorgo che lo stress l'ha portata al limite e dobbiamo solo spegnere la luce per un po', e cullarci in un temporaneo "va tutto bene" che vale solo per il secondo in cui lo viviamo. Deve sapere che tra le mie braccia sarà sempre al sicuro e io devo nascondere quel velo umido che si impossessa dei miei occhi. Lo nascondo con un sorriso che si allarga appena in un'espressione dolce che sono sicuro di non aver mai mostrato a nessun altro. Beh, oltre a papà ovviamente. Chiudo gli occhi prima che si separi da me, ma ora almeno anche il mio respiro si è fatto più regolare e sono davvero più tranquillo anche se sembrava impossibile poco prima. Credo fermamente che ognuno di noi due viva questi momenti come pillole antidepressive ed è anche per questo che non vorrei finissero mai più. Non ho mai avuto l'estro dei ragazzini tutti orgoglio e facce da culo che non esprimono una sola emozione nemmeno a pagarla a peso d'oro perché "sennò non sei un uomo". Quelli alla fine sono degli insensibili stronzi a cui la vita probabilmente è andata anche troppo bene, io non voglio avvicinarmi a somigliare a qualcuno così. Se devo preoccuparmi, mi preoccupo. Se devo dirti che sono in pena, te lo dico. Se ti amo, lo scopri subito. Se mi stai sul cazzo, lo vedi pure prima di me. «Guarda che la mia offerta è sempre valida... ho imparato anche a raccogliere i calzini da terra» sussurro con un tono già arreso in partenza, perché so che non verrà a vivere con me, ed è anche giusto così sotto ogni aspetto umano... ma niente mi vieta di provare a ventilare l'idea ogni volta che posso. Ricordo benissimo come mi sono sentito quando sono rimasto con papà e lei si è presa la sua indipendenza, sono stato male più di quanto si dovrebbe e non è proprio un caso che il mio appartamento non sia troppo distante dalla tavola calda in cui lavora. «Va bene, ma non mi piace comunque che ti stressi più del dovuto» firmo l'armistizio accontentandomi della promessa che so verrà mantenuta. Le reggo le spalle e poi la lascio andare senza accorgermi di essere ancora veramente stravolto sia per la notte passata quasi in bianco - almeno quelle due ore che ho dormito - sia per tutto quello che lei sa leggermi negli occhi. «Hai... fame?» lo chiedo appena prima che sia il mio stomaco ad esprimere la sua rimostranza. Non le farò mangiare i resti della pizza che sono in frigo da più di quanto dovrebbero, ma... «Posso farti il mio famosissimo french toast che fa impallidire il tuo cuoco. » Poi, rifletto, non so nemmeno che ore siano. «Credo di non mangiare da almeno dodici ore...»
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    Edited by nocturnæ - 2/6/2020, 21:47
     
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    Se fosse sempre così, come in momenti come questo, penso che riuscirei a sopportare tutto. Il punto dei momenti così, però, è proprio che sono disseminati come pulviscolo nell’atmosfera, e non sono una costante immobile in ogni secondo, ma mi basta a farmi prendere un respiro e, per qualche secondo, potermi solo concedere di pensare che siamo due persone normali. Perché alla fine, a modo nostro, in un certo senso sappiamo esserlo. Penso sinceramente che abbiamo la capacità di essere sempre coscienti di tutto quello che ci circonda, di tutto quello che esiste per noi, e anche di scegliere di concederci tutto il resto che per quanto lontano dalla nostra esistenza, siamo riusciti ad incastrare fra un pezzo e l’altro. Penso solo, onestamente, che vorrei così tanto di più per lui. Se potessi, so che gli strapperei ogni preoccupazione dal petto, solo per saperlo privo e capace di prendere tutto quello che può stringere fra le mani senza pensare più a me, anche se so quanto può essere egoista. Lo so, perché so come sarebbe al contrario, in quel modo che alla fine, anche nel saper sperare il meglio, mi impedisce di tirare via tutto per davvero e fingere che tutto sia diverso, che tutto sia, per me, facile come prendere un respiro a pieni polmoni. I sorrisi che faccio a Joshua, restano sempre i sorrisi più veri che sia capace di fare. Anche ora, quando so solo sentire come la fatica di tutto scivoli lungo le braccia, e posso tornare ad esistere in questo rifugio sempre un po’ in mezzo a tutto, ma resistente abbastanza da tenerci al sicuro, da non farci mai schiacciare del tutto dai pesi che, sopra di noi, provano a scavare questa terra per atterrarci. Anche se lo so che anche per lui esiste quel velo perenne, quello che si trascina sopra tutto ed è come un’ombra che non sa mai lasciarci davvero, ma gli vive nello sguardo e nei secondi. Ed è questo che vorrei togliergli di dosso, davvero, se solo sapessi come fare in un modo che sia reale e che, comunque, non gli tolga mai nulla di tutto il resto. Penso solo che tutte le mie speranze, alla fine, siano solo per lui. E so che vorrei solo sapere che, quando dovrò lasciarlo, lo farò sapendo che sta bene. Che nonostante abbia perso tutto prima ancora di averlo, qualcosa a cui aggrapparsi l’ha trovata, ed è una stretta che sa farlo sorreggere con dolcezza. Questi sono i desideri dell’affetto, quando è così grande il mio per lui, tanto da essere un baluardo che mi ricorda sempre, in ogni giorno, che sono capace di farlo e che non ho dimenticato tutto di me. Schiocco per un secondo la lingua sul palato, piegano il sorriso nell’angolo destro delle labbra mentre mi muovo, piano, per ritrovare la birra che torno a stringere mentre scosto i capelli dietro l’orecchio con la mano libera. E so che quando mi chiede questa cosa non è mai uno scherzo, non davvero, neanche quando la infila quasi casualmente fra una cosa e l’altra, ma so che lo intende davvero. Premo per un secondo i denti sul labbro prima di prendere un sorso, e lo so da una parte che, forse, dovrei davvero accettare e concedere qualcosa che, alla fine, non saprebbe davvero essere un peso, mai, perché non lo sarebbe dividere i miei spazi con lui. Ma so anche di come so avere un bisogno che reclama solo un silenzio fatto di nulla, solo di me, per ascoltare ogni mio suono e nient’altro, nel conforto di una solitudine che, di tanto in tanto, sa essere per me come una zattera in una burrasca. «Posso anche venire più spesso, ma ho bisogno della mia tana» lo dico alzando appena le spalle, quando alla fine è una verità che conosce già come la conosco io, e so che non si aspetta davvero un mio , anche se qualche volta ho accarezzato questa idea come lo si fa con qualcosa di tanto vicino, eppure astratto, da non saperlo davvero afferrare fra le dita. Prendo un altro sorso, allora, e lo spingo leggero in gola, e forse dovrei pensare a tante cose, ma onestamente adesso, adesso è uno di quei momenti in cui posso non farlo perché non esiste nessuna mia regola, nessun mio atteggiamento costretto in una ricerca spasmodica di qualcosa che mi faccia sentire sempre a galla. Siamo solo io e Josh, sempre noi, come lo siamo da sempre in ogni nostro momento, quelli più belli come quelli più rabbiosi. «Non ho assolutamente dubbi sul battere le doti di Will ma, Josh dodici ore?» mi spingo appena in avanti con il busto, scuotendo appena la testa mentre lascio andare un sospiro a labbra schiuse, quasi divertito. «Spero che sia un modo di dire e non un conteggio esatto, non costringermi a chiamarti ogni tre per due per ricordarti che devi mangiare»
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    Mi piace che casa mia sia il suo posto preferito e mi piace essere la sua persona preferita. E sì, lo so che per noi è come vincere facile grazie a quello che ci lega... ma più queste sensazioni mi riscaldano, più temo il momento in cui brucerò vivo. Perché arriverà se non mi do una mossa, ma poi mi trovo Edie davanti e voglio vivermi questi attimi senza che il mio tarlo fisso mi divori; voglio la normalità che non abbiamo mai ma che ci sembra sempre di poter raggiungere; perché la cosa importante è che ci siamo, sempre. «Lo so» annuisco con la rassegnazione dolce che circonda il discorso della casa e del fatto che non torneremo mai a vivere assieme. So che ha bisogno di un posto in cui non ci sia io a ricordarle per cosa lotto, lottiamo, e che non le stia addosso non appena vedo una lacrima o un qualsiasi momento di disperazione. Come se poi io non ne vivessi. Perché sappiamo entrambi come sono fatto, non lo sopporterei, e lei non sopporterebbe me. Mi chiedo se abbia smesso di credere di essere in colpa per qualcosa, perché Edie non ha colpe non potrei mai dargliene alcuna. Non ha scelto di ereditare i geni di mamma e Dio solo sa quanto ho pregato di poter dividere con lei il peso della maledizione, di poter fare un po' per uno, oppure di accollarmela tutta. Ma la soluzione sembra ancora così dannatamente lontana... E quindi mi faccio andare bene questo ennesimo "no" che però mi piace credere sia sempre meno convinto. E' per questo che viviamo, ed il mio cuore me lo ricorda mentre si scalda e si aggrappa al tepore che mia sorella sa riaccendere. Colto sul fatto non posso che ammettere, con una colpa che forse un po' sento di avere, di aver trascurato il mio stomaco ed il fatto che lei non lo approvi mi fa sorridere di nuovo. Mi piace che non ci facciamo mai mancare quei gesti che vogliono dire tutto anche in un mondo fatto di niente, e mi fanno andare avanti nella mia convinzione. Io la devo salvare. Perché proprio non può esistere un mondo in cui ci sono io ma lei no. «Ma quell'uomo si è mai reso conto che i clienti non vanno lì per la cucina?» Non ho mai nascosto cosa penso della cucina di Will, e sono sempre più convinto di aver ragione sulla clientela, anche se non oso alludere che si avvicinano perché c'è Edie in divisa. Non lo voglio nemmeno toccare quel tasto che è dolente come pochi altri, ma solo perché so che sa difendersi o non ci lavorerebbe da secoli. «Forse ho contato qualche ora in meno MA Ehi... a mia discolpa...» Inizio a dire mentre mi sposto oltre il piccolo arco ed accendo il fornello - perché io l'ho preso come un sì - ed allungo le mani come fossi un criminale davanti al giudice da cui dipenderà una sentenza di qualche annetto. Forse per il mio stomaco lo sono stato. «... ci hanno dato un contratto fisso al Monroe» allargo le braccia come fosse una scusa plausibile, ma so che devo aggiungere altro e per una volta stiamo davvero parlando di una bella notizia. «E lo sai no, come vanno queste cose? Abbiamo festeggiato e forse abbiamo un po' perso la cognizione del tempo in sala prove, poi c'è stato il concerto e...» E non so nemmeno con quali gambe sono arrivato al mio letto, forse ho il numero di quella Lily scritto sul palmo perché ci vedo dei numeri strani quando afferro la vecchia padella, che di certo non sono un mio nuovo tatuaggio. «Ma ho una nuova canzone che è una bomba» e sì, ne vado fiero, anche se non so quanto l'apprezzerà, ultimamente sono un po' monotematico, ma forse è anche così che esorcizzo la maledizione che dico sempre ci abbia colpiti entrambi, anche se in modi diversi. Il pane sfrigola con calma, e so che il segreto è dare agli ingredienti il loro tempo... senza fretta. Con un piede apro il frigo e mi allungo verso la mia birra, che ora forse un po' mi serve. «La vuoi la pancetta?» chiedo come stessi proponendo un'offerta di pace. Non sto fingendo che tutto vada bene d'improvviso, ma ci sto dando una tregua perché cazzo se ne abbiamo bisogno.
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    Ci sono delle volte in cui mi chiedo come sembriamo da fuori, forse solo come due persone normali che non hanno nulla a premere nei bordi per renderle, in realtà, sempre appena fuori da quella circonferenza che scorre pacata per tante altre persone. Lo so che non siamo gli unici, che al mondo esistono altre famiglie che, anche se non proprio così, hanno altre situazioni che sono come piogge di asteroidi che ne spaccano la crosta per aprire crepe che si allungano. Lo so che no, non siamo più sfortunati di tutti, ma solo di altri eppure, allo stesso tempo, anche tanto, tanto fortunati. Sono sempre divisa in due anche in questo, perché in fondo non mi sembra mai di dovermi accontentare di quello che ho avuto, quando in fondo, almeno questo, qualcosa c’è stato sempre. Ripenso a quando ho incontrato di nuovo Aaron, un caso come un caso sembra essere tutta la mia vita, e penso che in fondo un po’ posso capire quel concetto che per me sa valere solo per cose come questa. Se devo portare qualcosa con me, in quel futuro incerto che di me tratterrà sempre qualche pezzo, voglio farlo con momenti del genere, nelle cose più semplici, quando pretendiamo anche solo la normalità più banale che possa esistere, ma che no, per non non è mai davvero così scontata da essere una noia da vivere. Anzi, potrei dire che sono i miei momenti più preziosi. E sono, sicuramente, quello di cui avevo bisogno adesso, quando per troppo tempo, invece, mi sono premuta nell’assurdo della mia vita in quel modo quasi surreale che mi preme solo l’orizzonte di tutto contro il petto. Lo seguo con gli occhi mentre tengo ancora le labbra arricciate, in una smorfia che è un sorriso che solo un po’, quasi per scherzo, vuole trattenere la nota di un rimprovero dolce. Anche questo è un po’ come badare sempre uno all’altra, ed è davvero una consolazione sapere sempre, in ogni momento, che non importa cosa succederà, io potrò sempre contare su di lui, come lui su di me. “Sempre”, almeno finché ci è concesso, nel tempo che ho e che abbiamo, scritto già con una parola fine avanti a pagine ancora bianche. È che, quasi paradossalmente, sì mi preoccupo anche di queste cose con lui, del mangiare o dormire abbastanza, piccole cose che, in un certo senso, sanno darmi una stabilità che è quella che mi tiene un po’ sempre nel mio equilibrio, impedendomi di cadere. Dimentico la birra per qualche secondo, abbassando la mano per guardarlo con un sorriso diverso, uno che non ha più traccia di nulla se non un moto che lo spalanca appena con un respiro che scivola quasi come uno schiocco, prima di battere la mano libera sul vetro in un gesto rapido. «Oh questa è una bellissima notizia» e lo è davvero, parte integrante di una vita che sì, esiste ed è fatta anche di questo e di tutto quello per cui festeggiare ogni istante. «Sì alla pancetta e direi che devi festeggiare anche con quella grandissima rompipalle di tua sorella» lo dico mentre mi avvicino appena, alzando la bottiglia e guardando per un secondo la sua, come un silenzioso invito prima di tornare a puntare gli occhi su di lui. «Intanto un bel brindisi, e poi quando ti sarai ripreso dai tuoi festeggiamenti folli con gli altri possiamo pensare a qualcosa di più soft e che decisamente non prevede di fare le ore piccole, perché non penso davvero di essere capace di resistere dopo massimo, massimo, l’una» mi scosto dopo aver fatto cozzare le bottiglie prima di prendere un sorso, lanciandogli un sorriso ancora, quasi complice. «Anche se forse con una buona dose di vodka posso trasformarmi in un party animal, anche se non ci giurerei davvero troppo»
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    Vorrei immortalare ognuno di questi attimi di normalità come in una lunga foto magica che possa diventare un video e dopo una memoria che mai mi abbandonerà. Io lo so che quando sarà il momento, se non ci sarò riuscito, diventerò solo un vecchio nostalgico con il cuore spezzato in così tanti frammenti che, DIO, non me lo voglio immaginare. Più di tutto, più di tutto io voglio non doverci pensare a renderli memorie perché voglio che arrivi il giorno in cui la maledizione verrà spezzata ed allora il futuro sarà davvero come dev'essere. Ci aggrappiamo entrambi ai momenti che ci vedono essere una famiglia non tanto diversa da molte altre, io che preparo un toast e lei che mi allunga una birra, vivendo l'armonia che sta alla base di un affetto incalcolabile. Ringrazio quel burattinaio maledetto che nonostante la sfiga ci concede di poter essere così, di non allontanarci mai più di tanto, di orbitare assieme perché mi tiene in vita. Ho scoperto di essere anche più umano di quanto vorrei quando si tocca questo enorme asteroide che ci è piombato addosso senza grandi complimenti. Si può lodare e disprezzare così tanto una divinità che chissà pure se esiste? Beh, in ogni caso un "grazie" per il sorriso fiero che Edie mi rivolge un po' lo sento crescere. Perché io ci sto provando a non fossilizzarmi, a non perdere me stesso dietro la chimera che inseguo anche quando Edie vorrebbe che mi fermassi. Sto portando avanti la vita che ho in mano e ci sto facendo anche qualcosa che mi piace, perché sennò alienarsi è un battito di ciglia. Abbiamo bisogno di poter condividere qualcosa che non sia solo il dolore che ci toglie il respiro. E come faccio a non sorridere con un bel po' di spavalderia quando mi guarda così? Sono questi gli attimi di felicità che devo conservare come i tesori più preziosi che possiedo o che mai avrò.
    «Ebbene sì, il tuo fratellino è leader della band più famosa del Bronx» e devi vivere anche per vedermi diventare davvero un pezzo che conta nella musica di oggi, Edie, perché ora esagero ma lo sai anche tu quanto ci spero. «... ti firmo il toast se vuoi, varrà milioni tra qualche anno.» Lo dico con un nodo in gola perché non è che la normalità sia così facile da mantenere quando tutto ciò che fai si proietta involontariamente nel futuro. Il formaggio sfrigola e so che è il momento giusto per appoggiare il fondo della mia bottiglia al suo e sorriderle con tutto me stesso. Gli attacchi di panico mi sembrano un ricordo tanto lontano ora che lei è qui con me a ricordarmi che c'è, nel presente di ogni giorno. Mi giro solo per consentire alla pancetta di fare il suo ingresso teatrale il scena e riempire di odori familiari la piccola cucina che mi ritrovo, in cui sostanzialmente ci stiamo in due a fatica. «Ci sto» annuisco di fronte ai progetti, perché sono anche quelli che - a volte pure illogici - mi danno respiro, ci danno respiro. «C'è sempre spazio per festeggiare con la mia rompi palle del cuore... e potrei quasi prometterti che non ti terrò sveglia oltre un orario decente, ti voglio in forma.» Le lancio un occhiolino velocissimo che promette una serata movimentata nel modo giusto. Un sorso di birra ed il primo toast mi sembra a posto, lo guardo un po' dubbioso, se il formaggio non si scioglie del tutto devo andare a prendere ripetizione da quell'unto di Will. Bleah, mai. Travaso sul primo piatto che ho a portata e glielo passo. «Et voilà, come sai non abbiamo un tavolo ma il divano è comodissimo. Ora ti raggiungo, c'è parecchio trash in Tv, se ti va qualcosa che spenga del tutto il cervello.» Un po' glielo impongo con lo sguardo di mettersi comoda perché tanto questo posto è anche casa sua per come la vedo io. E perché ho bisogno di un momento in cui darle le spalle e fissare la padella in cui il processo riparte da zero. Non so se l'ha fatto o meno ma devo guardare il mio riflesso distrutto sulla piastrella bianco panna davanti a me; e dirmi che andrà tutto bene.
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    Mi piacerebbe proprio vederlo alla ribalta, scalare la vetta di tutto e raggiungere quello che ha sempre voluto. Mi piacerebbe davvero, e forse questo è il massimo di pensieri che mi concedo così, sopratutto adesso quando è un po’ come se dovessi ricominciare da molto più indietro, a quando ancora imparavo a come gestire me stessa in tutta questa storia. Ma almeno in questo, almeno in questo posso pensare che , vorrei proprio esserci, anche se non gli dico mai di farlo alla svelta prima che, insomma. Succeda quel che deve succedere. È che davvero io non sono capace di sperarlo, perché farlo è un po’ come avere un uncino nella carne, che gira e gira e si impianta lì, impossibile da sfilare senza lacerare ancora di più tutto. Ma no, non gli direi mai di essere tanto rapido da andare di corsa per poter esserci quando succederà, e alla fine so che è anche perché vorrei solo che qualcosa lo vivesse senza quel senso di fretta che, volente o nolente, ci portiamo un po’ sempre con noi. Me lo ripeto anche adesso, con un po’ più di forza ma ancora questo sorriso qui, sulle labbra, come se fosse una volontà immobile, che è inutile desiderare che le cose siano diverse. Ci ho perso la testa quelle prime volte in cui mi sono trasformata e lo sapevo, dalla prima, a cosa stavo andando incontro. Ho perso non so quanto tempo a desiderare solo che fosse tutto diverso e penso che, ad un certo punto, abbia anche incolpato mamma per avermi fatta nascere quando sapeva che esisteva questa possibilità immensa a pendere sulle sue eredi, e nonostante tutto questo non l’ha fermata. È durato poco, perché poi l’ho solo capita, anche se non sono mai stata capace di fare come lei, mai. Ma non importa, perché un altro giorno così, fra di noi, è solo un altro giorno e non davvero uno in meno, e anche nel sapere come va tutto avanti, inesorabilmente, so sentirmi più in pace. Eppure, se devo sperare posso solo sperare che sì, ci sarò quando la sua vita cambierà e raggiungerà la punta di quei sogni che fanno parte di lui e che quindi sono importanti, per me, più di ogni altra cosa al mondo. Per quello non posso far altro che un verso che anche se divertito, solo un po’, alla fine a questo sa crederci davvero, e so anche quanto ci sia per lui, nell’incertezza degli anni a venire, quello stesso punto che glieli fa vedere da così tante prospettive che, alla fine, gli restano un po’ appesi fra le mani senza sapere cosa farne. «Nah, non ne ho bisogno. Io sono quella che venderà le tue foto su ebay, oltre a vantarmi dalla mattina alla sera di essere tua sorella» alleggerisco appena la voce, mentre allungo solo un po’ il collo per guardare nella pentola qualche istante, seguendo i suoi movimenti uno ad uno come se fossero, non lo so, piccole testimonianze di ogni cosa. Aspetto che finisca di travisare prima di avvicinarmi a prendere il mio piatto, chinando appena la testa in segno di un ringraziamento che accompagno con uno schiocco della lingua sul palato, allontanandomi ancora per lasciargli lo spazio che gli serve e, sì. So quanto possano sembrare tutte cose piccole e stupide, ma la verità è che per quanto sia tutto difficile, sapere che possiamo solo sederci su quel divano ed esistere, così, sa consolarmi nel profondo. Sapere che, comunque, qualunque sia la durata di questo tempo, noi ce lo siamo preso poco alla volta, mi da un senso che mi calma e mi fa pensare che sì, posso affrontare davvero tutto quello che mi aspetta. «Diamine, il trash ha una presa ferrea su di me. Vorrei fingere di essere intelligente e colta ma giuro che ogni volta che becco qualcosa tipo keeping up with the Kardashians non riesco a cambiare canale» lo dico alzando la voce mentre mi muovo verso il suddetto divano, lasciandomici cadere mentre poggio il piatto sulle gambe e trattengo la bottiglia in mano prendendo solo un unico, grande e silenzioso respiro, perché adesso ho solo bisogno di questo. Di un momento, due, mille, che possa essere pregno di quella sensazione data dal sapere che sono in un nido che si fa docile e mi culla con dolcezza.
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    Edited by .florence; - 3/6/2020, 21:13
     
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    Va tutto bene, andrà tutto bene. Me lo dico sul serio mentre lo vedo lo squarcio aprirsi dentro anche attraverso uno sporco riflesso. E la ringrazio per avermi dato lo spazio di un minuto di raccoglimento, in fondo non c'è nessuno che mi conosca meglio di lei. E non voglio nemmeno ci sia, ad essere sincero. Mi conosce più di papà che nella figura del genitore ha fatto del suo meglio, ma come complice non è mai riuscito a farmi sentire parte di qualcosa di unico e tremendo, mentre lei sì. Chiudo gli occhi e le palpebre tremano perché sono un deficiente sentimentale e mi devo proprio concentrare sulla sua voce e sulla pancetta per non cadere. Devi provarci, lo ha detto anche Pink, e quella donna è una Dea in terra. Lo so che questi momenti sono oro colato per entrambi, e so che Edie ha bisogno di vedere il mondo che va avanti, il mio soprattutto... ma è doloroso riconoscere qualche successo quando il tempo speso per raggiungerlo è tolto a qualcosa che potrei fare per entrambi. Io nemmeno lo so come faccio a stare in equilibrio o a non perderlo ogni cinque secondi netti, ma tant'è che ancora le mie spalle reggono, e finché lo faranno io continuerò sulla mia strada. Ci sono stati momenti in cui ho sperato che mamma tornasse in qualche modo, anzi dovrei dire che ci spero ancora, perché questo vorrebbe dire che l'oblio aumenta solo la sua durata ma non è definitivo. Però lei non è mai tornata e sono passati quasi vent'anni, ho passato più tempo con Edie che con lei e forse per questo farà così male che non so calcolare i danni di un mio fallimento. Mi riscuoto perché devo, e penso che siamo così fragili nel nostro voler essere forti che un po' sorrido perché la dolcezza si infiltra ovunque ed è un rampicante che ci lega a doppio filo. «Mi raccomando quelle di quando ero bambino vendile a caro prezzo, i fan le adoreranno» riesco a dire, rispondendo penso dopo una vita. E riemergo anche io, alla fine, finché ci riesco, dalla cucina con il mio french e la mia birra. Non ho un divano enorme ma ci stiamo belli comodi, tanto che la raggiungo e mi ci arrampico come sempre, niente scarpe - a casa mia non le uso mai - e gambe accavallate come ogni fisioterapista mi ha sempre implorato di non fare. «Adesso ho capito da chi ho preso... E se quello ti piace, devi vedere questo, si chiama Married at First Sight» lo dico con la naturalezza di chi del trash ha fatto una missione di vita, ed infatti quel genere di programmi in cui devi solo stupirti delle assurdità altrui non chiedono alcuno sforzo per essere visti, e sono il massimo quando non vuoi riflettere su niente, ti azzerano i neuroni. Accendo la TV, il volume ha un tono decente, perché possiamo ancora parlare e sentirci l'un l'altra senza andare in contrasto. Addento il toast perché ho una fame indescrivibile, e non è nemmeno così male, sul tavolino in legno davanti a noi appoggio la birra che so già non durerà tantissimo. «Praticamente questi tipi qui» li indico con il telecomando, e già sorrido divertito dalle loro facce «... si affidano ad un non-so-quale gruppo di esperti per sposarsi con gente che non conoscono e solo dopo vedere se sono le persone giuste. » Non lo farei mai.
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    maledictus
    28 y.o.
    In fondo, siamo un po’ fatti nello stesso modo. Abbiamo entrambi bisogno, ogni tanto, di un momento in cui afferrarci da soli, solo tenerci tutto insieme e forse, dirci che possiamo farlo. Lo so che anche per lui, ogni tanto, c’è il bisogno di un momento che non è mai esclusione, quanto più raccoglimento. Come se dovessimo afferrare tutto quello che siamo e rimetterlo insieme, perché ci servirà essere compatti per quello che c’è fuori, e allora lo facciamo e basta. Persone come noi penso siano semplicemente abituate a farlo, perché non sono solo io, solo mamma, ma anche papà. Letteralmente, Josh è l’unico che si salva completamente, quando abbiamo dovuto affrontare anche quei ricordi annebbiati e guardandoci negli occhi lo sapevamo che spettava a noi, perché siamo una famiglia, e lo siamo nel bene e nel male. Solo che a noi è capitato forse un po’ più di male che altro. Ma adesso, mentre lo seguo avvicinarsi al divano e sedersi come sempre, penso solo che, sinceramente, ci meritiamo anche noi un momento che sia più... non lo so, pacifico. Siamo brave persone, noi due. Alla fine, non, abbiamo mai fatto male a nessuno, e anche la sua scelta di andare su quella strada, so che non è altro che un tentativo disperato, e davvero non ne dubiterei mai. Non dubiterei mai di lui, non si è mai trattato di questo, quanto solo di essere sì, semplicemente preoccupata. Costantemente ed in ogni secondo, sopratutto perché so che resterà lui, lui a badare a nostro padre che no, non è questa grande compagnia ora come ora, e sa essere solo un altro peso che si troverà ad affrontare da solo. Mi si spezza il cuore se ci penso. Perché c’eravamo tutti, noi tre, quando mamma è sparita dalla nostra vita lasciandoci solo i ricordi degli anni che abbiamo avuto con lei, ma so che invece, per lui, non ci sarà davvero nessuno. E questo, questo è il pensiero che sa davvero distruggermi più di tutti quelli che riguardano me, quando so anche che questa cosa, quella che ci marchia tutti in modo diverso, è un segreto nascosto che gli impedisce di poterne davvero parlare con qualcuno che, fuori, potrà esserci per lui quando ne avrà bisogno. Mi sono detta, appena ragazzina mentre muovevo i primi passi in questa città, che se mai avesse trovato qualcuno gli avrei solo detto di dirgli tutto, ogni cosa, perché ho disperatamente bisogno di sapere che qualunque cosa accada, avrà ancora una stretta capace di accoglierlo e di conoscere, anche se da fuori, cos’è che sta passando in ogni dettaglio più piccolo. E lo penso ancora, non m’importa quale sia il rischio che posso correre nel dire a qualcuno cos’è che mi pende sulla testa, anche perché in fondo penso sempre che se Josh si fidasse di qualcuno, lo farei anche io ad occhi chiusi. Mi sfilo le scarpe con un gesto rapido dei piedi, mentre do un morso al toast puntando lo sguardo sulla tv e tenendo ancora la birra in mano, prima di dare un sorso che sto ancora masticando perché, insomma, non è che devo fare la ragazza carina con lui, e non è che di norma sia una che poi se ne frega in generale di cose del genere, figurarsi adesso. «Quindi mi stai dicendo che la passione della famiglia Çevik è il trash lobotomizzante?» mi scappa con il suono di una risata, mentre mi giro verso di lui per mettere su un’espressione un po’, fintamente, scandalizzata. «Dovremmo vergognarci di noi stessi, ma è troppo soddisfacente vedere l’idiozia altrui» torno a guardare la tv mentre mi metto più comoda e sì, sì. Ci sono tante persone che hanno bisogno di tante cose, quando a me, davvero, basta questo. Basta e avanza. «Quindi mi stai dicendo che se tipo ad uno capita un’isterica pazza poi se la deve tenere? Come funziona? Fanno divorzi lampo in tipo due ore nette?»
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