Bullshit

Josh/Edie | 6 Giugno.

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    Avrei potuto non risponderle, e sono piuttosto sicuro che in una situazione normale sarebbe stato proprio così. Nella situazione in cui due persone hanno tutto il tempo del mondo per incazzarsi e far valere le proprie ragioni, avrei potuto non muovere un fottuto muscolo. Ma noi abbiamo una vita che è appesa al filo più sottile dell'Universo ed ogni volta che ne discutiamo io ho sempre paura che si stia formando l'ultimo ricordo che avrò per sempre di lei. Però cazzo, il diritto di avere le palle girate stavolta ce l'ho e non le risparmierò niente di quanto mi è passato per la testa perché anche lei può superare i limiti e la normalità che vogliamo è fatta sempre più spesso di liti come questa. E così due lettere gliele ho scritte, e so che già si può rendere conto di quanto non mi sia passata per niente. Le ho lasciato proprio uno striminzito "ok", prima di prendere le chiavi di casa e sbattermi la porta alle spalle. E se devo essere sincero non so nemmeno che ora sia quando percorro la strada che mi porta al suo appartamento. Non la nascondo la delusione che ormai è un trucco di scena che conosco troppo bene, non me la riesco a togliere di dosso oggi. E sarà così finché non capirò per quale cazzo di ragione Edie ha scelto di mentirmi. Mi spaventa la facilità con cui l'ha fatto, e mi preoccupa a tal punto che sento la costante vibrazione dell'Onice come una nenia insistente lungo i nervi. Ha preso possesso del mio sistema e lo sta resettando in un modo che non mi sarei aspettato e sì, Cristo, lo so che devo andare a trovare Chrys perché ne so ancora troppo poco sulla fottuta magia nera che ho abbracciato senza esitazioni. I piedi mi guidano nei passi lenti e repressi con cui mi muovo tra la gente. Sono una macchia scura di puro disprezzo che non ha timore nel mostrarsi per quel che è; un animale ferito, ecco cosa sono. Edie ha mentito. Mi ha raccontato una fottuta balla quando eravamo entrambi ad un paio di metri dalla verità e l'ha fatto con così tanta naturalezza che ora mi chiedo se non sono stato un idiota a volerle credere quando mi diceva che stava bene. Forse è vero che mi sono aggrappato troppo ad una tranquillità di cui anche io avevo bisogno, quando magari era palese - o io avrei dovuto capire - che non andava bene un cazzo. Morgan Crain, un nome che difficilmente mi uscirà di testa e che mi tormenta anche quando imbocco finalmente Marion Ave. Ho cancellato le prove con i ragazzi, oggi, perché non c'è niente che valga per me più di questa riunione familiare di cui ho fondamentalmente un bisogno assurdo. Il fatto stesso che Edie sia letteralmente scappata dalla festa per non confrontarsi subito con me, non mi fa presagire niente di buono e sono anche piuttosto sicuro che non sentirò un cazzo di quello che vorrei sentire. Eppure, come dev'essere, sono qui. Qui fuori dalla sua porta perché le voglio un bene dell'anima. Sono qui che batto due lenti colpi al portone del 2564 ed aspetto mi apra. Qui che mi chiedo come abbia potuto nascondermi una cazzata simile e perché abbia deciso di farlo. Le mani strette in una morsa che sbianca le nocche, la mandibola tirata, lo sguardo nervoso oltre lo spioncino. Non so cosa si aspetti da me, adesso, ma so cosa traspare; delusione ed una fottuta matassa di domande senza risposta. Non apro bocca perché non so neppure che tono abbia la mia voce ora.
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    Edited by nocturnæ - 30/6/2020, 12:44
     
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    È stata la prima cosa che ho fatto scrivere a Josh. Ancora con la testa gonfia per troppo alcol, ancora con quel senso che in qualche modo preme e cerca solo di allungare il tempo e cercare la grazia di non dover affrontare quello che a volte diventa troppo e mi da quella sensazione compressa ai polmoni. Ma è stata la prima cosa che ho fatto, perché c’è sempre anche quell’altro senso a dirmi come ogni secondo in cui c’è rabbia o delusione, sia un secondo che scappa via e non è fatto per tornare, ma perdersi chi sa dove lungo la strada. Perché me la ricordo ancora bene l’occhiata di ieri sera, e penso anche che non me la scorderò tanto presto. Delle volte credo che siamo quasi maldestri nel modo di volerci bene, maldestri in quel senso che ci porta sempre a finire in situazioni come questa, alla fine, anche quando nessuno dei due vorrebbe mai ferire l’altro. Io no di certo, e ancora adesso so solo che ci sono mille e mille motivi per cui, alla fine, quella storia me la sono tenuta fra le labbra senza farla uscire. Se non ci fosse stata quella festa, ieri, non lo avrebbe saputo mai. Da un lato, quello che è sempre più stretto su me stessa, penso che sì, sarebbe stato meglio; sarebbe stato meglio cancellare tutto e non lasciare traccia, non su di me, non su di lui. Dall’altro non posso fare a meno di sentirmi come una bambina che rompe qualcosa di prezioso e nasconde i cocci così che nessuno se ne accorga, ma con ancora quel senso che è come una punta infilata nel petto. Non ci sono mai davvero cose giuste o sbagliate, fra le persone, non in questi casi. Non ci sono e basta, quando ogni cosa porta ad una conseguenza che, anche se nascosta, si infila sotto pelle per essere sempre una colpa o un’altra, senza mai concedere quella libertà totale che fa respirare senza pesantezza. No, non penso di essere mai stata una persona positiva, quanto più una che sì, è tristemente consapevole di come alla fine sia tutto un grumo che porta sempre e solo a farsi male, senza potersi salvare mai. Alla fine, ho mandato quel messaggio e per un po’ sono rimasta ancora a letto, a fissare il soffitto della mia camera, prima di alzarmi per mettermi sotto uno scroscio d’acqua tanto fredda da fare quasi male alla pelle, cercando solo di aggrapparmi al senso dello scorrere come fosse una benedizione crudele a piovermi dal cielo. Solo che queste cose non funzionano mai, e alla fine mi sono solo ritrovata a fumare una sigaretta dopo l’altra con il senso precisamente meschino di ogni secondo che passa, come se fossero dei passi, i miei passi, che vanno avanti ed avanti, consapevoli di un burrone, ma incapaci di evitarlo e solo con la certezza che sì, ci cadrò senza potermi più aggrappare a niente. Ancora non so cos’è che gli dirò, e ho provato a non pensarci poi troppo, perché voglio solo evitare di andare lì, in quel punto, ancora ed ancora, fino a perdermi fra così tante cose che adesso sento addosso, che tutto quello che vorrei è scavarmi uno spazio nella terra e nascondermici finché non sarà il momento di cambiare e tutto questo, resterà solo un senso che mi accompagna ma ormai tanto lontano e irraggiungibile, da essere solo un rimpianto con cui vivere in giorni che non so davvero come saranno fatti. Alla fine arriva quel rumore che me lo dice che è qui, è arrivato, e non so se mi sento sollevata perché, almeno, tutta l’angoscia che mi è cresciuta in petto in queste ore, ha una vita ancora breve, quando ogni ansia che ora si alza con più forza passerà nel primo scambio di battute; o se, invece, sentirmi così in fondo a tutto, già abbattuta dal semplice fatto che questo nostro mondo è fatto proprio così, già abbattuta dal fatto che son stata io, con le mie stesse mani, a fargli quello che ho sempre cercato di risparmiargli quando è stata già troppo crudele la vita con lui, e penso si meriti adesso solo di prenderne il meglio e stringerselo contro. Accendo un’altra sigaretta mentre apro la porta e nel guardarlo, lo so già che la rabbia che ieri ho intravisto è ancora ferma nel suo sguardo, e vorrei essere quasi capace di pensare che non ne ha diritto per sfilarmi dalla colpa, ma alla fine no, perché so che ho sbagliato. Ho sbagliato in un modo preciso, perché nel sapere che abbiamo solo noi stessi, che è davvero tutto quello che ci resta, è stato come voltargli le spalle e lasciarlo solo sotto qualcosa che, scuro, ha tirato via la luce. «Hey» lo mormoro scostandomi per farlo entrare, chiudendogli la porta alle spalle prima di infilarmi il filtro fra le labbra per un tiro che allungo e sputo fuori con lentezza. «Inutile girarci intorno, puoi passare agli insulti se vuoi» anche se non gli do davvero tempo di farlo mentre mi appoggio alla porta con le spalle, scostando la sigaretta dal volto per guardarlo senza nulla che si frapponga fra me e lui. «Mi dispiace, nel senso. Di aver sparato delle cazzate in merito, solo che non è che ci sia davvero qualcosa da dire» circa. In realtà neanche io so se c’è qualcosa da dire, ma penso anche che il punto sia che se anche c’è, è una di quelle cose che voglio annegare sul fondo di acqua salmastra e scura, per non poterla neanche guardare mentre perde tutti i respiri uno dopo l’altro.
     
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    Rischio di riuscire ad appoggiare la fronte sulla sua porta d'ingresso, e non perché io sia più alto dello spioncino, ma perché non voglio che la apra sta cazzo di porta. Non lo so cosa mi ha fatto il nido nella gabbia toracica ma so che sono il peggior Josh che si sia mai mostrato ad Edie, e non è che io ne vada fierissimo. Mi chiedo se ci sia un limite a quanto posso stringere i pugni, forse il sangue potrebbe fermarmi, quello che spilla lentamente se le mie unghie forano la pelle per la troppa pressione. Se non sapessi che l'onice non chiede altro, non mi fermerei, sono ancora in tempo per regolarmi quando serve, però che io sia incazzato ad un livello inconcepibile è fuori discussione. Potrebbe quasi vedersi l'aura nera che mi circonda e si infiamma appena sento la porta aprirsi. E sì, glieli punto direttamente in volto i miei occhi perché è così che sono abituato a fare ogni volta che la vedo; io la analizzo come se da questo possa dipendere il mio passo successivo. Forse è davvero così, ma ora mi sento cieco. Sono così preso dal tornado che mi si è scatenato in testa che mi passa pura la stupida idea che quel tipo sia lì adesso, ma lo so che Edie non può essere in grado di sbagliare così tanto con me in una volta sola. Deve essersi accorta che non è che io lo abbia accolto nel migliore dei modi in quel circoletto alla festa, dai, lei non è cieca. Lei mi conosce, ma ora anche questa certezza vacilla, come se si fosse sempre retta su una cazzo di palafitta ed ora la marea si è alzata così tanto da abbattere tutto. E, contro ogni mia aspettativa, la Luna che muove i mari è proprio mia sorella. Maledizione! La supero appena mi apre, e dopo una breve occhiata le sto già dando le spalle. E' mortificata, ma le sue parole mi fanno incazzare comunque. Non so bene cosa si aspetti da me, l'ho detto e me lo sono ripetuto per tutta la strada, ed ora che le sono davanti sono anche certo che ogni mia parola sarà un fottuto stiletto contro di lei. Insulti, certo, come se io non vedessi l'ora di riversare ogni mia frustrazione su di lei, se è questo che vuole non sarò io a darglielo. Non è solo rabbia, quella che mi risale la pelle come una valanga di spilli scagliati a breve distanza, ma è dolore. Il dolore di una ferita che pensavo non si sarebbe riaperta mai più e che veramente credevo di non avere. Sembra una cazzata ad occhio esterno, lo so, di fatto cosa ha fatto Edie di tanto aberrante? Ma non è comprensibile ai più quello che passa tra noi ed a volte neppure noi abbiamo la certezza di capirlo. So solo che la sto guardando con una freddezza che s'infiamma di fastidio quando le sue scuse toccano angoli che... proprio NO. «Stronzate» ringhio, sommessamente, ed allora capisco quanto in basso può davvero arrivarmi il tono quando sono fottutamente irritato. Mi freghi una volta Edie, non due. Ora forse io dubito di tutto, ma non mi biasimo per questo. Smetto di darle le spalle e cerco il suo sguardo perché voglio capire da quando cazzo ha imparato a mentirmi così bene. «Se non ci fosse qualcosa da dire non sarei qui, no?» E' tanto difficile non cedere al ritmo che mi incalza in petto, «Se fosse una cazzata me l'avresti detto Edie, quindi adesso io voglio sapere perché l'hai fatto...» e i buoni propositi vanno a puttane quando mi avvicino di un passo a lei e non mi rendo conto di quanta oscurità mi regna in volto, so solo che se ci fosse uno specchio potrei non riconoscermi. «Perché cazzo non mi hai detto che lo conoscevi così bene, mh?»
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    Vorrei non pensare a come ci siano tante cose ad agire su di lui. “Tante”. Quella cosa, quella in particolare che mi trascino in fondo al respiro, perché alla fine, lo so che abbiamo questo modo di vivere che è sempre così tanto concentrato sull’altro da dimenticarsi troppo spesso del sé, ma se io non ho niente da perdere, non posso dire lo stesso di Joshua. No, al contrario. Lui ha tutto da perdere, anche dopo aver dato già via ogni cosa e ancora di più. Non sarò mai capace di non incazzarmi con tutto, ogni cosa, solo per questo. Di essere davvero arrabbiata ogni volta che sì, mi trovo a pensare a quanto sul serio si sia fustigato e strappato di dosso strati di pelle uno dopo l’altro, fino ad arrivare ai muscoli. E se mai dovessi pensare di pregare, di sprecare tempo e fiato per rivolgermi a qualcosa che tanto non si spreca mica di ascoltare me o qualunque altra anima, lo farei solo per lui. Ogni tanto, in effetti, qualcosa di simile lo faccio, anche se sono solo sproloqui da ubriaca in cui una Divinità o l’altra la insulto perché no, non è davvero giusto tutto questo, e non parlo di me, perché io ho il conforto della mia rassegnazione e non è che me ne freghi davvero di quello che ne sarà di me, ma per lui. Quindi sì, anche ora che lo guardo e vedo come si riempiono i suoi occhi, in quel modo che me lo ricorda costantemente che non è esattamente come prima, che qualcosa che gli si pianta sui muscoli e i nervi esiste e non posso solo ignorarlo, ci penso a come vorrei davvero essere capace di essere un po’ diversa, quel poco che basterebbe a non essere qui adesso. E invece, invece ci siamo. Ci siamo per mille motivi. Primo fra tutti, perché volevo solo dirmi che a me di tutta quella storia, di Morgan, non fregasse davvero un cazzo, c he fosse solo uno dei tanti che ho avuto in questi anni, dopo Aaron, dopo essermi giurata che mai, mai, mai più mi sarei messa in una posizione che mi stritola gli organi interni e mi fa solo sentire quanto tutto inevitabilmente scivoli via senza che io possa fermarlo. E quindi mi sono comportata così, ed è così che ho trattato la cosa, senza parlarne, senza nominarla, senza premerci le dita contro per ricalcarla quando, onestamente, volevo solo seppellirla come lo voglio adesso. No, adesso lo voglio di più, ma questo è un discorso a parte. Ed è solo che sì, sono una cazzo di bugiarda, con me stessa più che con lui, e anche una cagasotto, di quelle che lo sanno precisamente cos’è che non sono capaci di sopportare e allora ci provano in tutti i modi ad evitarlo. Ed è quello che ho fatto, precisamente, nel non portare mai quel nome fra di noi. Evitarlo come lo si fa come una malattia che si appesta sulla pelle e la fa crollare, e io volevo solo tenermi tutto contro i muscoli e le ossa. «Non lo conosco così bene» lo spingo piano fra le labbra, senza neanche pensare di prendere un altro tiro della sigaretta che resta immobile fra le dita, incastrata lì mentre i palmi li premo sulla porta alle mie spalle, come se avessi bisogno di reggermi lì. E no, non penso sia una questione da niente questa. Perché lo so cos’è che esiste davvero nella sua rabbia, cos’è che l’ha fatta nascere, quando sì, è proprio quel silenzio che quel pezzo della mia esistenza lo ha tenuto per sé e, peggio, lo ha coperto con qualche parola che lo ha cancellato come se davvero così facendo potessi cancellarlo anche dalla realtà. «Abbiamo solo scopato per un po’, questo è tutto.» e tecnicamente non è neanche una bugia questa. Perché sì, è stato questo il “rapporto” che abbiamo avuto, quello che imposto quando ha iniziato a premersi contro la mia vita cercando di entrarci, e alla fine sì, ci è riuscito, ma neanche io ora come ora sono davvero così pronta ad ammetterlo. Non così. «Non eravamo amici e di certo non avevamo una relazione, per cui sì non te l’ho detto» non fumo ancora anche se ora ne sento il bisogno, ma ho le mani immobili e bloccate, come i miei occhi che restano su di lui e su quei flutti che non riesco davvero ad ignorare, ma che mi si stringono al cuore per azzannarlo come se avessero fauci che possono sbranarlo secondo dopo secondo. «Voglio dire, anche volendo che avrei dovuto dirti? Che c’era un tipo con cui andavo a letto di tanto in tanto? Per di più tecnicamente avevamo anche chiuso prima della festa»
     
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    Ci sono le attenuanti, ci sono sempre... e sto aspettando che Edie le esponga, e la sto silenziosamente implorando affinché siano sufficienti a placarmi. Ma tanto lo so che non lo sono, perché non dirà mai quello che io voglio sentirmi dire. Mi sono preoccupato tanto di cosa volesse che le dicessi io, ma non so se lei si sia chiesta la stessa cosa. Beh, è una balla perché immagino lo abbia fatto ma ora è anche vero che ogni cosa mi sembra distante, lontana dai "noi" che sono abituato a sussurrarle, lontana dalle strette complici che ci scambiamo e Cristo se mi dà fastidio provare questa bruciante scottatura sotto pelle. Dovrei chiedermi se è davvero Edie ad avere in mano il secchio ghiacciato di cui ho bisogno, oppure no, ma in ogni caso mi allontano da lei di un millimetro, inspiro il suo fumo passivo e immobile, come fosse aria per me. La mandibola schiocca in un disappunto evidente. Non le stacco gli occhi di dosso, adesso non voglio che si sposti nemmeno di un passo da me, o di un respiro, uno di quelli che sto trattenendo con lei. Il timore che possa mentirmi ogni volta che giro il capo è qualcosa di stupido per due come noi, ma cazzo io non le nascondo mai niente, anche se so che potrebbe darle fastidio, le ho parlato della mia conversione anche se sapevo che mi avrebbe guardato come fa sempre quando si preoccupa da morire. E l'ho fatto, e non era certo una cazzata quella, quindi figuriamoci se sono in grado di mentire quando sto così. Se c'è una persona al mondo che sa sempre tutto di me, è Edie. Ed io credevo fosse lo stesso... perché non ci credo ora che sia stata solo una scopata ogni tanto ad indurla a mentire, stona con quello che penso di aver capito io. La sto volutamente pressando anche solo rimanendo fermo quando la vedo che cerca il contatto con la porta, e se è riuscita a fermarmi dal prendere a pugni quel Morgan alla festa, non può fermarmi dall'indagare quello che mi serve ora. Non puoi, Edie.. sembrano sussurrare i miei respiri corti e tesi. Il fiato si incastra tra le costole come un dannatissimo pugnale, perché mi scopro così stupido da non volerle ancora credere. E la confusione, ah, quella è la peggiore delle mie fondamenta d'insicurezza, se c'è lei in campo io non capisco più un cazzo. Però le fila le tiro lo stesso, perché non ho proprio spento tutti i miei neuroni, ho passato anni ad allenarli studiando tutto quello che potevo per salvarla, e lei adesso sembra non capirlo quanto vorrei. Non mi piace metterle le parole in bocca, ma forse ora è quello che ho bisogno di fare. «Non me ne frega un cazzo se scopate, Edie» e mi costa un fottuto rene dirlo a voce alta, perché lei è molto più preziosa e fragile di una sorella di sangue, ed immaginarla in un rapporto con quella testa di cazzo mi urta peggio di un frontale con un treno. Non posso farci niente neppure per il tono che raggiunge la mia voce, sembra scavato direttamente dall'abisso dell'Inferno. Distolgo lo sguardo perché ho bisogno di trovare le parole che non la annientino ma che le spieghino cosa ancora non mi torna di tutta sta messa in scena. «Mi frega che tu non abbia pensato di dirmi che lo conoscevi ed abbia finto che non fosse nessuno se non un cliente, Cristo, adesso tu non puoi mentirmi di nuovo.» Credevo di essere un po' alterato, ma da come respiro è evidente che sono incazzato nero. «Mi frega che ho pensato che un cretino ubriaco, sanguinante e con evidenti problemi personali abbia deciso di trascinarti come un cazzo di trofeo e tu.... tu gliel'hai lasciato fare, come se fosse la cosa più bella del mondo in quel momento.» E forse dai binari ho deviato, ma serro le labbra e scuotendo il capo faccio un passo indietro, perché è lì il punto che mi rode di più. Non sono convinto che il modo in cui l'ha seguito sia dovuto solo all'ebrezza di tornare a scoparci ancora un po' e se davvero sta con un fottuto demente che potrebbe darle più problemi che soddisfazioni, la cosa è più grave del previsto. Ho bisogno, e me lo si legge nello sguardo appena più spento, che Edie mi ripeta di nuovo che non c'è niente di importante tra loro. Mi sta bene che lei trovi qualcuno da amare, cazzo ho pregato perfino che accadesse, ma non può essere qualcuno che le fa passare di merda il tempo che le resta e mi urta anche pensarlo.
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    Lo so che non posso davvero evitare di finire proprio , in quel fascio di cose che, davvero, sto provando un po’ ad affondare in mezzo a tutto, e non è neanche perché voglio mentirgli, ma solo perché ne ho bisogno. Probabilmente penso solo che a raccontarla in un certo modo invece che un altro, anche io possa convincermene tanto da non sentirmi più esattamente come mi sento, in questo modo che si trascina da un lato all’altro come una marea stanca di sé stessa. So anche, però, che non posso davvero guardare Joshua adesso e dire semplicemente che si sbaglia su tutto. Lo so che sì, ho sbagliato proprio lì, in quel punto preciso ed unico che, per primo, ha provato a tirare un velo su quei mesi per nasconderli alla mia stessa vista. Ed è che davvero volevo crederci anche io, ed è che davvero non volevo parlarne quando, non lo so, ci sono troppe cose fatte di contrasti nella mia testa per essere capace di tirarle fuori una ad una e guardare mio fratello per spiegargli, che cosa? Non ne ho idea, e Dio vorrei proprio sapere invece cos’è che dovrei dire, come farlo, come prenderlo per mano e fargli capire che non era per nascondere qualcosa a lui, ma perché ero io a non volerla guardare, a non volerla ascoltare, ad essere così cieca da far finta che no, non fosse mai successo niente. Prendo un respiro profondo, e penso che a questo punto la sigaretta se la fumerà l’aria statica di casa mia, e neanche m’importa. Ho bisogno di riempirmi i polmoni mentre gli occhi li tengo su di lui, senza staccarli mai, e forse un po’ spero che sia capace di vedere cos’è che ho ad aggrumarsi nella testa, quando neanche io sono davvero capace di distendere quei fili che si sono aggrumati uno sull’altro creando una matassa di nodi indistricabile. Lo lascio andare piano il respiro, passandomi solo per un secondo una mano sul volto mentre, per un attimo e uno soltanto, il volto lo scosto come se stessi cercando da qualche parte le lettere da mettere insieme, come se potessero apparirmi magicamente sul muro per formare tutte le parole che mi servirebbero adesso. Lo so che qualunque cosa dirò, non potrò davvero togliergli di dosso quella sensazione che adesso lo fa sentire così fuori dalla mia vita, così lontano da non conoscere com’è che sono fatti i minuti che ho passato, che sapore abbiano, e che è questo il punto per cui la sua mascella si stringe e si contrae, per cui la sua voce spezza l’aria come se volesse azzannarla e azzannare tutto il resto, quando c’è anche troppo nel suo sangue a ribollire di densità scure che lo infiammano bruciando tutto il resto. Quando torno a guardarlo penso di essere solo con occhi che sanno di colpa, ma anche di qualcosa che, indecifrabile, cerca di trascinare davvero tutto sulla superficie in qualche modo, finché non ho un altro respiro più rapido che in un certo senso, sa quasi di rassegnazione. «Sì, lo so» inizio così, scostandomi appena dalla porta con la schiena per mettermi dritta di fronte a lui, senza neanche pensare di muovermi e spostarmi in questa casa quando no, non m’interessa. Quello che m’interessa, adesso, è solo riuscire a poggiare qualcosa di docile su di lui, liberarlo da questo senso che posso guardare come se fosse una terza presenza densa fra di noi, spaccarlo in due, aprirlo per tirarne fuori mio fratello e solo ridargli la certezza che no, non esiste davvero il concetto di lui fuori da qualunque dettaglio della mia vita. Forse è un controsenso, probabilmente sì, ma non m’importa, perché per me non esiste niente di più importante di lui, e neanche io posso mettermi sopra Joshua, così alla fine mi lascio solo afferrare tutto quello che, in realtà, vorrei dissipare per sempre. «Mi dispiace, okay? Non volevo pensarci, voglio dire neanche mi aspettavo di trovarmelo a casa di Chrys, volevo solo lasciarmi tutta quella storia alle spalle» e questo è vero. Perché sono così, per convincermi delle cose troppo spesso devo descriverle così nella mia testa e a voce, come se davvero avessi il potere di cambiarle solo pronunciandole in un modo e descrivendole così come so che mi sarebbero più comode. «È davvero una cosa complicata. Era, era lo marco solo un po’, restando a guardarlo ancora e sì, vorrei solo riuscire a trovare la strada giusta, quel sentiero che mi permetta di arrivare a lui mentre mi sfilo ogni cosa di dosso, lasciando cadere quegli enormi pezzi di metallo che, tanto, non mi sono davvero serviti a molto. «Neanche io so dirti che cazzo era» e penso che non lo saprò mai, in fondo, perché no, non voglio analizzare davvero questa enorme cosa per piantarmela nel petto quando tutto quello che mi serve fare è solo andare avanti. «E non è neanche davvero così male come pensi, è stato sempre... dolce con me, al massimo sono stata io ad averlo trattato di culo.» mi esce così, anche se forse non è il caso mettermi, proprio adesso, a difendere Morgan, anche se alla fine, è vero anche questo. Voglio dire, sono stata probabilmente, sicuramente, io il problema dall’inizio alla fine. «Non volevo davvero mentirti, è solo che non volevo pensarci perché sono un casino, sono un completo casino»
     
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    Credere che abbia deliberatamente scelto di nascondermi una cosa tanto irrilevante, è doloroso quanto cercare di più nello sguardo che mi rivolge. Vorrei sbattere la mia testa dura contro il muro abbastanza affinché io possa ricredermi e smettere di dubitare di lei, ma non posso, non riesco. L'unica cosa che riesco a fare è rimanere immobile, scoglio irto a cui al momento non è il caso di aggrapparsi se non si vuole soffrire di più. Mi schiaccia il torace tutta la tensione che comprime i polmoni e mi fa respirare così piano che sembra io non lo stia facendo affatto. C'è più dramma di quello che dovrebbe, e tra noi è sempre così. Quel che per altri è solo una miccia che può benissimo spegnersi con la pioggia, per noi diventa velocemente un cazzo di falò alto tre metri e con la capacità di bruciare per giorni. E non è che ne usciamo senza scottature, no.. perché ogni volta che un problema ci porta così avanti nel nostro personale disagio la corda si tende e si sfilaccia lentamente. E' logorante e inutile, è l'unica vita che conosciamo e che ci è concesso vivere. Non si può sopportare altrimenti. Lo sa, Edie, ovviamente lo sa come mi sento e sa anche quanto non le sto dicendo... sono io che adesso credo invece di non sapere più un fottuto nulla della sua vita, delle cose importanti almeno. Sono consapevole che più andrà avanti a dirmi che Morgan Crain è irrilevante e più io vorrò sapere come anche quello lì passa ogni singolo minuto della sua fottuta esistenza, perché se è irrilevante ora lo devo decidere io. Non ho nemmeno fatto due metri dentro casa sua, sono ancora sulla porta e mi sento lontano un miglio, tanto da far fatica a sentirla anche se urlasse e come cazzo faccio a non chiedermi se ci sono andato io così lontano o mi ci ha spinto lei? In ogni caso, qualunque sia la risposta che mi verrà data, non è invitante come situazione e non la voglio vivere. Non posso permettermelo, non abbiamo tempo. La verità le addolcisce la voce quando finalmente esce dalle sue labbra e allora, solo allora, attenuo l'indagine che ha posseduto i miei occhi dall'inizio. Gioco con l'anello sulle labbra, come faccio sempre quando sono nervoso, come se il sapore del ferro possa in qualche modo alleviare le mie pene. E, spoiler, non succede mai sul serio. «Mh» vorrei che mi uscisse meno stronzo questo sbuffo che accompagna l'ennesima negazione. E poi cerco il contatto che mi serve, che ci serve, ed allungo la mano in cui brucia l'onice sulla sua spalla, provando così ad avvicinarla a me almeno un po'. Le dita premono un po' sulle ossa, niente di doloroso ma deve sapere che sono qui per lei e non contro di lei, indipendentemente da come mi sto muovendo. Il discorso non si è certo chiuso ma sentirla così mi sta di nuovo demolendo la rabbia ed ora vorrei solo che la nostra vita non fosse un totale caos che non riusciamo nemmeno a gestire a dovere. Eppure ne abbiamo avuti di anni per farlo. La mia espressione si è un po' addolcita adesso, ma non è del tutto cambiata, ci sono rimasto di merda e questo io non lo posso cancellare. Ingentilisco il tono perché sentirla scusarsi così mi spezza il cuore in così tanti punti che neppure so descriverlo, e finisce che sono sempre io a sentirmi ugualmente un cretino. «Edie... basta, basta lo so» Lo so che non voleva mentirmi, perché se non lo sapessi avrei già smesso di parlarle, ma probabilmente ora non mi basta più sentirlo nell'anima, ho bisogno di quelle parole superficiali a cui aggrapparmi e che però non voglio diventino un modo per rinfacciarci le cose quando non andranno più bene. «Ma non farlo più, ti prego, non posso sopportarlo... sai come sono fatto e così è -» ora è a me che costa mantenere lo sguardo fisso su di lei senza retrocedere «- Cristo, io avrei potuto veramente fargli del male, più di quanto già non gli avevano fatto. Devi giurarmi che non ti ha ferita, mai, ho bisogno di saperlo.» Santa verità che mi esce come una confessione di cui dovrei avere paura per primo. Però alla fine io sono sempre qui. Qui per lei, per le cose che vuole dirmi e quelle che vuole negarmi, per incazzarmi e per ridere di quanto siamo due idioti la maggior parte del tempo. Per proteggerla quando non vuole che io lo faccia e ricordarle che non può liberarsi di me. «Hai ragione, tu sei un casino Edie...» Uno sbuffo richiama il fantasma di un sorriso, che però ancora non può essere niente di più. «... per questo devi stare attenta, devi proteggerti quando non posso farlo io.» E lo intendo con serietà assoluta.
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    Fin da bambina, ho sempre pensato che Joshua non è una persona che si ascolta solo nelle parole, in quello che dice. No. Per me è sempre stato come un connubio di tutti i sensi, e di quel qualcosa in più che come un’onda invisibile, diventa una sensazione sulla pelle che non si può spiegare in alcun modo. Anche adesso non posso far altro che guardarlo, ascoltarlo, sentirlo in ogni modo in cui mi è possibile e di più, quando anche questa presa sulla spalla è un’intenzione che va decifrata e che io penso di saper fare così, istantaneamente, perché semplicemente abbiamo vissuto troppe cose insieme. Dicono che sono le esperienze negative quelle a stringere di più i legami fra le persone, e forse un po’ ci credo, perché so sentire quanto il nostro si sia battuto come il ferro nel fuoco per rendersi solido in ogni istante in cui ci è davvero stato tutto così avverso, ma nonostante tutto, quanto siamo stati bravi a rimanere in piedi? Tanto. Anche se di mio, so che non ci sarei mai riuscita senza di lui. Non è un modo di dire dolce, è una certezza titanica, perché dove potrei mai essere senza mio fratello? Da nessuna parte, perché è stato così tante volte un pilastro, per me, anche senza saperlo, anche solo nella sua esistenza, che lo so davvero che non sarei riuscita ad arrivare fin qui se non mi fosse stata concessa quella enorme grazia che è stata la sua nascita. Ed è così che lo guardo, anche ora quando ci siamo smossi come una marea che batte contro le rocce di una scogliera, senza essere davvero distesi come un mare pacato, ma agitati fin dentro quelle profondità che smuovono i fondali e si infrangono in un cielo scuro, senza concedere clemenza a nessuno. Anche adesso lo guardo così, in quel modo che non può fare a meno di voler solo trovare quel conforto che, alla fine, so che non mi verrebbe negato mai, non importa cos’è che posso fare, come so che non lo negherei mai a lui, non importa cos’è che lui potrebbe fare. Prendo un respiro più profondo, e non posso fare a meno di sentire come tutto abbia quel peso specifico, particolare, dato dal semplice fatto che noi non siamo mai davvero stati una famiglia normale, mai neanche per un secondo, e di come allora tutto abbia un gusto diverso fra le nostre labbra, quando abbiamo sempre quella sensazione di correre contro il tempo nella speranza di essere abbastanza veloci da non consumare neanche un secondo di quelli che abbiamo. Però gli sorrido, lo faccio in quel modo che dedico sempre a lui, perché sì, io lo so che farebbe davvero qualunque cosa per me, e lo sapevo ancor prima che si corrompesse il sangue per seguire un sogno che parla di un futuro che, ora, non ci è concesso avere. Lo so nell’istinto, come se ce lo fossimo scritti da qualche parte nelle ossa, e fa solo parte di quelle piccole certezze che, salde, ci trattengono stretti fianco a fianco, come se sapessimo che no, non esisterà mai davvero un momento in cui questa vita non la affronteremo insieme. Però sì, posso già sentire quella punta di sollievo quando adesso, almeno un po’, mi sembra che quelle stesse onde si siano iniziate a ritirare, anche se non sono andate via del tutto, ma abbastanza da darci quello spazio che ha il nostro odore, come una tana scavata nella terra in cui sederci e sentirci sempre protetti da tutto. In un certo senso, o anche in tutti, è sempre così che so sentirmi quando sono con Joshua, come se davvero avessimo uno spazio che ci appartiene e mi fa sentire come tutto sia tanto lontano e non possa farci davvero male, ed è per quello che quando invece so che c’è lui che si stringe in quella sofferenza proprio qui, sa pungermi ancora più in profondità. «Promesso» e in fondo lo so che è vero, perché giuro che sarei disposta a tutto pur di non rivedere lo sguardo che mi ha rivolto ieri sera, pur di non rivederlo così e sapere che sì, è stata colpa mia. Neanche m’importa del resto, ho solo bisogno che non succeda più, non così. «E giuro che non ha mai neanche fatto niente del genere» mi stringo appena nelle spalle, solo per un secondo, scostando un po’ la testa per premermi una mano fra i capelli e scostare quei ciuffi che scivolano via dalla coda malmessa che li tiene legati dietro la testa. «Lungi da me difenderlo, ma davvero, dico sul serio» torno a guardarlo stringendo solo un po’ le labbra, mordendole dall’interno prima di respirare ancora un po’ a fondo, come se stessi cercando di scambiare qualcosa dentro i miei polmoni. «Alla fine, è davvero solo che non volevo che, insomma, diventasse qualcosa di più, giuro» lo lascio con un sospiro trattenendo gli occhi su di lui, quando ora, sì, posso dire che sono sincera sul serio, perché in fondo ruota davvero tutto intorno a questo unico concetto. «E sono una tosta, lo sai»
     
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    Potrebbe parlarmi di come è stato gentile Morgan Crain più o meno tutto il giorno, e non cambierebbe un cazzo. Una parte di me sa che avevo bisogno di sentirmi dire che l'aveva ferita, tormentata, abbattuta o in qualche modo infastidita al punto da meritarsi una mia visita. Sale, amaro, in bocca il sapore dell'ennesimo freno che devo impormi, come se il mio corpo si ribellasse ad una piccola vendetta che sento potrebbe ingigantirsi più del dovuto. E' la corruzione, lo so, lo so perché capisco quando un pensiero o un movimento non sono del tutto miei, quando la bontà che ho dato in pasto al Diavolo retrocede per far spazio ad una mia variante che non è clemente o logica. Mi dico che imparerò a gestirlo, perché mi serve per salvare Edie, perché l'ho fatto per una ragione sensata e perché tutto quello che sto sacrificando ha ragione da vendere. E quindi non lo trattengo un fottuto ringhio basso che mi fa arrendere con meno desiderio del previsto. Dio, quel tipo mi è stato sulle palle dal primo minuto in cui si è dimostrato un immaturo ed ha decisamente peggiorato la situazione quando ha deciso di fare quello che ha fatto ed anche se ad Edie pare in qualche modo piaccia, questo non lo aiuta a piacere a me. Non che sia una cosa rilevante, alla fine dei conti, però non posso nemmeno smettere di pensare alle parole con cui Ray lo ha descritto ed avere una persona a cui badare che può distrarla dal pensare a se stessa e non trascurarsi è inconcepibile. E' quel "qualcosa" nel modo in cui mi guarda che, però, mi convince a tacere e tenermi queste riflessioni. «... credi potrebbe diventarlo, quel "qualcosa di più"?» Ci provo a non sembrare sospettoso, ma un po' più aperto, rilasso anche le spalle e sento le ossa che invocano pietà per essersi tese quasi fossero muscoli o nervi. Vorrei sorriderle un po' di più ma ho una stranissima sensazione alla bocca dello stomaco e la conosco fin troppo bene. Io e lei possiamo capirci così a fondo in un solo sguardo che a volte percepiamo un dettaglio prima che sia noto anche a noi stessi. Ed io credo che il modo in cui si sta muovendo lei, che la ruota di parole con cui mi vuole rassicurare che non sia davvero niente di ché se non qualche scopata da non ripetersi stia girando nel senso opposto, che stia cercando una sorta di autoconvinzione che non arriva. Lascio andare la sua spalla, ora che un moto di calma ha un po' chetato gli animi irruenti, anche se il mio mare si sta ancora abbattendo con forza contro gli scogli, e questo non penso smetterà oggi. «Lo so che lo sei, penso sia una delle poche cose buone che mamma ti ha lasciato. Basta che non te ne dimentichi, però.» E mi sento un po' nostro padre quando lo dico, ma che posso farci? La sua sicurezza per me viene prima della mia, il suo stare bene viene prima del mio e passo giorni e giorni a sentirmi in colpa quando provo un moto di felicità che non posso condividere con lei. I momenti migliori sono quelli in cui i nostri sguardi ridono, assieme, felici. E sì, non capitano più da una vita, forse sono solo tanto stupido da sognarli ancora come se potessero ritornare. Ma se non sarà io a riuscirci, allora chi? «Ho pensato che non ti fidassi più di me abbastanza da dirmi tutto quello che mi hai sempre detto» lo sputo fuori così, d'improvviso, che mi stupisco di averlo proprio detto. Oh, se questa non è la verità non so cosa possa essere; mi sento in questo modo, percepisco questa terribile nenia da quando ho venduto l'anima. Non posso permettermi di perdere il centro al punto da non essere più una persona di cui fidarsi, non se la fiducia viene da Edie.
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    Delle parole di Joshua ascolto sempre tutto. Non so come spiegarlo, ma ancora una volta è quel senso che mi spinge sempre ad andare più in là, come se per tutte le volte che resto in superficie, con lui potessi andare più a fondo, per infilare le mani fra quelle pozze che ormai si sono fatte tanto scure da essere quasi come catrame denso fra le dita. Qualche volta ho paura che ci perderemo lì, fra quelle paludi rimestate in sé stesse di quella sostanza scura, perché lo so che più giù scende lui, più giù vado io, per seguirlo ancora in questa voracità che lo divora pezzo per pezzo e a cui penso costantemente, quando so che, alla fine, non so come tirarlo fuori abbastanza perché su quelle acqua si tenga in equilibrio senza esserne divorato. Quindi ascolto, perché è l’unica cosa che posso fare per lui, ascoltare e sentire com’è che quei moti, insieme a suoi, si animano ovunque nelle sue corde vocali, specchi di quello che gli si ingarbuglia sul fondo dell’anima, fra nodi densi che vorrei solo essere capace di slegare, quando so di non esserlo. Penso che sia questa la parte peggiore, questo guardarci e vedere quanto affondiamo secondo dopo secondo, per cause diverse ma che hanno la stessa inclemenza nel tirarci giù senza concederci un respiro che incameri aria, e sapere sempre che non abbiamo la capacità di liberarci di quei tentacoli, ma solo di stringerci più forte per arrivare su quel fondo insieme e farci compagnia lì, fra tutto quello che diventa scuro e non fa passare nessuna luce. Qualche volta mi sembra ancora di sentire il peso soffocante della colpa, di quella che indiretta eppure così precisa, gli ha fatto stringere quel patto che la sua anima l’ha immolata per un sogno in cui io non sono capace di credere, ma che è per me. Joshua sogna per entrambi, e lo so quanto questo sappia far male alle sue ossa, quando le mie notti sono spente e le sue, invece, sono così piene di possibilità che gli danzano di fronte come se potesse afferrarle, ma scappando via appena allunga le mani per provarci. Penso che i suoi sogni, siano incubi ad occhi aperti, con quel senso di impotenza che si abbassa nelle vene per diventare una premonizione che rifiuta, ancora ed ancora, e alla fine ci lascia solo qui, uno di fronte all’altra, con quel senso che è una stretta che adesso vorrei rendere ancora più solida solo perché la senta, perché lo sappia che qualunque cosa accada, ora e per sempre, in quel per sempre che mi è permesso, io non smetterò mai di tenergli caldo il fianco con la mia presenza. Mi importa così poco di me, adesso, che lo sento come tutti i muri che ho alzato contro il mondo, si frantumano solo per dare a lui l’accesso a tutto quello che nego per non doverlo affrontare. Se sognassi ora, probabilmente sognerei della nostra rovina, ma anche in quella ci vedrei solo uno di fianco all’altra, sempre e comunque. «Mai, non pensare mai una cosa del genere» rispondo alla sua ultima fra per prima, perché è quella che mi ha scavato di più sotto pelle, mentre un po’ me ne frego di tutto e quel passo in più lo faccio, abbastanza da permettermi di allungare una mano e fermargliela sul braccio con una presa salda che non si smuove, e non si cura di nulla se non della sua stessa esistenza forgiata per essere solo quello che è, quando non c’è uno scenario della mia esistenza in cui non sia lui e sempre lui la persona di cui mi fido di più al mondo. «Certo che mi fido di te, sempre» lo aggiungo con un soffio più dolce, di quelli che so avere quando sono con lui e no, non devo tenere una maschera che mi difenda quando lo so, non ci sarà mai, mai un momento in cui mi guarderà senza trattenere nello sguardo quel bisogno di proteggermi così com’è per me che guardo lui, ed è così che creiamo il nostro piccolo, minuscolo spazio, che combatte contro questo mondo che abbiamo scoperto in fretta quanto potesse essere aspro. «Sì, avrebbe potuto» lo dico per questo, anche se sì, lo so quanto mi costi ammetterlo a voce alta, lasciare spazio a questo pensiero per infilarsi nei polmoni e nella testa, accendendo sinapsi che ho cercato di deviare per non dovermici fermare, ed è per questo che prendo un respiro che si allunga con un rumore, un suono che è il raschiare di questa stessa aria tossica che ormai ho odorato facendola entrare in circolo. «Ed è per questo che è finita, qualunque cosa fosse» in fondo, posso dire che è esattamente per questo, in un certo senso. E lo so che forse suono ipocrita quando sono la prima a dire a Josh di trovare qualcuno che questa solitudine che ci portiamo addosso, la spezzi per tranciarla una volta e per tutte. Ma per me è diverso, egoisticamente diverso, quando non voglio avere nulla che davvero, mi faccia solo pensare di volere anche solo un secondo in più, quando i miei sono minuziosamente contati.
     
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    A volte vorrei solo poter essere di gomma, abbastanza resistente per assorbire ogni cosa mi accada attorno senza cambiare la mia forma. Senza smettere di essere rassicurante, affidabile e un porto sicuro per lei. Abbastanza morbido da lasciarmi abbracciare da Edie ogni volta che ne ha bisogno e forse - anche se lo so che non è ciò che mi chiede - così potrei essere un fratello migliore. Lo farei solo per lei, gli altri possono anche fottersi ma non lei. Ma non sono così, sono fatto di carne di ossa e di fottutissimi sentimenti che vorrei davvero a volte poter sotterrare in una buca più profonda di me. Non mi sopporto quando mi impunto, quando mi girano talmente tanto che dimentico il tempo che ci viene portato via con ogni respiro per lasciare spazio ad una incazzatura che ha le sue solide basi per esistere ma che ogni secondo mi divora al contrario e finisce che poi io odio me per il tempo che ho sprecato a far valere ragioni che in senso più ampio non valgono niente. Spesso mi dico che non faccio abbastanza per raggiungere la salvezza che ci serve, che non sono veloce come dovrei, che non sto facendo del mio meglio per lanciarmi totalmente nella corruzione e viverla con l'esperienza di chi lo fa da anni... e la verità è che credo di iniziare a capire che ci vorrà più di quanto sarò capace di ammettere per padroneggiare questa nuova parte di me, quest'amplificazione che ingigantisce ancora di più tutto quanto. E se quando sarò davvero l'esperto che mi auguro diventare, sarà troppo tardi? Sento già l'aria mancarmi nei polmoni. Sono davvero solo uno stupido che non farà mai la storia per noi? Guardo la sua mano spegnere le fiamme che mi animano ogni arteria, come una doccia gelida che dirama una sicurezza che conosco e prova a calmare le acque. Lascio che il mio sguardo vaghi con naturalezza, mentre mi dedico il lusso di un respiro profondo di cui sento il bisogno, dalle dita che si stringono sul braccio fino agli occhi di Edie ed al modo in cui mi guarda ora. Sono un cretino, però ho pensato davvero quello che ho detto, proprio nel momento in cui si è lasciata portare via da Crain, ho avuto il fottuto terrore che potesse succederle qualcosa così tanto distante da me che il suo stesso mettere una barriera tra noi mi avrebbe impedito di farmene una ragione. Probabilmente questa sensazione non se ne andrà facilmente, sono piuttosto sicuro che mi rimarrà incollata addosso tutto il tempo. Ho paura, anche, che quel "ci sentiamo domani" che di solito ci tiene buoni quando abbiamo altri impegni o vogliamo provare a vivercela sta cazzo di vita, non arriverà più ad un certo punto e tutto finirà per diventare dolore e fiamme, e poi cenere. Non so se mi conforti di più il suo tono, il suo tocco o il fatto che ora io di nuovo le creda al cento per cento... però è così che funziona anche oggi. Funziona che abbiamo sempre poco tempo per viverci che ogni cosa nasce e muore dieci volte più velocemente del normale. E' come se vivessimo in un film dentro la TV di un pazzo ubriaco omicida che dopo essersi fatto delle peggiori sostanze ha appoggiato il suo culo sul telecomando e premuto un "avanti veloce" aumentando il corso del tempo di almeno dodici volte. Mi illudo di essere io a volerla proteggere e lo faccio perché non vorrei mai vedere che sta facendo la stessa cosa con me, ma lo fa e questo è anche parte delle fondamenta su cui si regge tutta la nostra palafitta. E' solo che sono così egoista che io non voglio arrivi lo tsunami che ci minaccia da una vita. Dovrei sentirmi sollevato di sapere che Morgan non può diventare niente di più per Edie, ma non ci riesco... non riesco neppure a dirmi che va bene così, ma che cazzo di problemi ho? Dovrei sentirmi rassicurato, dovrei essere tante cose e invece un cazzo, invece la guardo con quel pizzico di rimprovero che ho preso interamente da papà. Questa maledizione è un veleno che ti entra nella ossa e so benissimo di cosa si compongono i momenti in cui Edie vorrebbe fare qualcosa, fare anche solo un passo avanti, ma si dice che non può, che non deve o che non vuole trascinare qualcun altro nella merda già difficilmente affioriamo noi. «Lo troverò un modo, perché non può non esistere...» adesso lo faccio io un passo avanti, ancora, e non è per lei che il mio sguardo si offusca di tutta la cieca convinzione di cui sono capace. «... tu hai il diritto di essere felice Edie, con chiunque tu voglia e questa cosa non può esserti tolta così, non può essere che tu debba sempre rinunciare a tutto.» Mi trema la voce ma è la rabbia che la sua condizione mi provoca, indistinta e feroce, mi agguanta lo stomaco e lo rivolta come un calzino. «Meriti molto più di questa vita...» non lo so dove mi vuole portare questo discorso ma sono così fottutamente frustrato che non posso proprio stare zitto nemmeno quando dovrei, io voglio che sappia che non ci sarà un giorno in vita mia in cui mi arrenderò all'evidenza di una gabbia che la stringe sempre di più impedendole di respirare, di volare, di vivere.
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    Sono discorsi complicati, e sono parole che mi pare abbiano delle spine che nel trascinarsi su di me, lasciano di quei graffi che anche se non sono profondi, bruciano e bruciano. Io non sono fatta per vivere di speranza, penso di non esserlo mai stata, e forse è che da mia madre ho strappato via una rassegnazione che mi si potesse poggiare fra le ossa per forzarmi ad accettare tutto esattamente com’è, senza quella spinta che mi fa guardare appena più in là per avere qualcosa che no, non so credere altro che un riflesso di luce, un miraggio nel deserto, che attrae con forme che non esistono davvero. Il punto penso che sia che io non voglio di più, mai, ma sempre un di meno che lo stomaco me lo stringa, la fame la renda abitudine, e mi lasci ferma in quella stessa pozza fatta di mera accettazione rassegnata a sé stessa, senza neanche uno stimolo che mi porti a pensare di poter uscire da lì e camminare su terre che non sono state fatte per me. Per questo lo guardo con quella punta che nello sguardo si chiude, come se potessi fisicamente stringere fra le dita le maniglia di una porta da tirare con tutta la forza che ho per chiuderla e non ascoltare più tutti quei rumori che vengono da fuori. Non penso di essere una bella persona, non l’ho mai pensato quando, davvero, sono capace di desiderare con così tanta forza qualcosa che sia solo per me, me e basta, e che non contempla nessun altro, quando anche guardando Josh adesso, con la consapevolezza asfissiante di quanto avrebbe bisogno di guardarmi e sapere che sì, in questa lotta sono al suo fianco come sempre, che sì anche io sto combattendo per prendere da questa vita più di quello che mi ha destinato, non so far altro che sperare con forza che invece quelle armi le abbassi, perché non sono capace di sperare e aspettare di vedere come finirà questa crociata quando, onestamente, penso che non porterà a nulla. Lo penso un po’ perché devo, perché non sarei davvero capace di cullarmi in un forse che poi si distruggerebbe fra le dita lasciandomi solo un vuoto troppo grande, e lo penso perché non è mai cambiato niente, mai. Gli stringo le mani sulle braccia in un gesto che in qualche modo, vuole stringerlo allo stesso modo in cui vuole trovare un appiglio mentre gli occhi li abbasso stringendoli appena in un respiro che raschia la gola e mi tiene ferma per qualche istante. Penso che no, non merito di più, non quando la vita me la sono strappata dalle braccia, non quando ho lasciato che fosse lui a prendersi questo carico consumando secondi preziosi per una causa in cui sono la prima a non credere, ma che invece sa farsi fredda come metallo congelato contro la pelle. Quando torno a guardarlo, penso di avere nello sguardo una preghiera che vorrebbe solo dimenticare tutto e ricominciare la mia vita così com’è sempre stata, in quella pretesa di strappare davvero, solo qualche minuto di consolazione in quegli istanti di una normalità che sa solo di noi, dove posso quasi scordare cos’è che in realtà colora i nostri giorni di tinte smunte e sempre più grigie. «Joshua» lo dico piano, con un suono che penso sia ormai sempre lo stesso, quando nel suo nome raggruppo già una domanda che è affermazione perché no, non voglio mai parlare di cose come questa, non voglio mai tornare su questo punto e sentirlo sbattere contro quella porta ancora ed ancora, con una forza che voglio solo ignorare per tornare nel mio buco e coprirmi dal sole. Per questo dico che no, non sono mai stata una brava persona, per questo moto che nel guardarlo adesso, sa quanto dovrebbe atrofizzarsi per lasciare lo spazio di un respiro che diventi un sorriso e semplicemente, accetti quello che mio fratello vuole fare per me. «No» lo dico scuotendo appena la testa e senza rabbia, ma solo con la fermezza di un bisogno che gli scrivo sulle braccia mentre faccio risalire appena le mani per poi farle crollare fino ai polsi, stringendoli un po’ come se volessi in qualche modo fermarlo da una corsa che si muove sfrenata in ogni direzione. «Va bene così, è una mia decisione, potevo fare come mamma, ma sono io a non volerlo» prendo un respiro ancora e, a questo punto, non so neanche verso quale spiaggia sto andando ad arenarmi quando sono troppe le cose che si sono accumulate una sull’altra e che ora mi sembra cerchino di schiacciarmi al suolo. «Non c’è modo, quindi per piacere non parliamone più»
     
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    Vorrei, Edie, che tu un giorno potessi dirmi che ogni cosa è tornata a posto, che non senti più premere sotto pelle l'animale con cui sei così indissolubilmente legata. Vorrei poterti dire domani che ce l'ho fatta, che ogni mio studio ed ogni gradino scalato ha portato a qualcosa perché se c'è una cosa che ti voglio rinfacciare è questa. Voglio rinfacciarti che non sapevi quello che mi dicevi quando volevi impedirmi di corrodermi l'anima. Voglio abbracciarti e sapere che potrò farlo finché non avremo almeno cento anni a testa, perché questa è la vita che deve fare per noi e perché io non mi arrenderò mai al fatto che non ci sia niente da fare. Non è bello, non è normale, non è possibile che davvero non esista un angolo del mondo o una divinità che non possa rispondere alla mia chiamata. Se non sarà Tharizdun sarà un altro, ed io non mi fermerò. Non posso dirti che lo farò anche se vuoi che io lo faccia, te lo leggo negli occhi ed in ogni rimprovero che so tradurre anche dall'apatia di un messaggio. Non posso accettare di vivere all'Inferno per il resto dei miei giorni se non posso sfruttare a mio vantaggio questa indicibile opportunità. Vorrei dirle questo e molto altro ma lo so che me lo legge negli occhi senza che debba parlare, è sempre stato facilissimo per Edie leggermi dentro, scavare ogni buca in cui sotterro segreti e dolore. E lo so che dovrei provare ad essere un po' meno stupido quando mi avvicino agli argomenti che generalmente ci feriscono di più. Lo fanno perché abbiamo idee diverse su come vivere le nostre vite quando non siamo insieme, quando non sono i nostri sguardi a parlare ma le nostre azioni. Io non posso arrendermi all'idea che lei si stia arrendendo e stia allontanando ogni esperienza che possa andare "oltre" la soglia della memoria e rischiare di farle credere di vivere una vita che non ha. E' un fottuto loop da cui non usciremo mai se io non mi muovo. Ma oggi, più che mai, io non sento ragioni ed anche quel suo modo di richiamarmi - che conosco benissimo - non fa che farmi spostare lo sguardo sulla porta da cui sono entrato. «Edie» Le rispondo sempre così, con il tono di chi è talmente testardo da non accettare il "no" che poi mi rifila come risposta. Non posso essere l'uomo invisibile che non farà mai la storia della nostra famiglia e sono sicuro che se questa dannatissima maledizione affligge solo le figlie, la mia stessa esistenza deve per forza essere consacrata alla lotta contro questa bestia che lei non può combattere da sola. E lo so che non posso pretendere mi segua se fatica anche solo a tenersi in piedi senza crollare come un castello di sabbia, ma non può a sua volta impedirmi di spendere ogni energia per salvarla. Non puoi, Edie, non puoi. Sento la presa scivolarmi sui polsi, e brucia tanto quanto le fiamme che ci circondano da sempre. Edie non può amare come vorrebbe, ma non può impedire alla gente di amarla... non può impedirlo a me. Il mio sguardo è ghiaccio ed anche se vorrei che non mi tenesse così stretto, vorrei anche che lo facesse per sempre, in un per sempre che ci porterà alla vecchiaia. Dio, non riesco a pensare ad altro che non sia questo. «Non dirlo» mi rivolgo a lei ancora, ancora come se fossimo soli nella nostra cameretta come due adolescenti che pianificano una vita di tempo che non hanno. Ho una scintilla nello sguardo, quella che mi ha portato a consacrarmi al Circolo, quella che mi farebbe distruggere il pianeta per mia sorella. «Questo Universo è un equilibrio di fattori, non esiste che non ci sia un lato opposto del Maledictus, è solo fottutamente lontano dalla nostra portata adesso. Ma non sarà così per sempre.» Aspiro la sua maledizione come se fosse innominabile, ed infatti per noi lo è, la chiamo come devo solo quando sono davvero intenzionato a far arrivare il messaggio che ho per lei. Non mi accorgo del velo umido che rischia di appannarmi le iridi di ghiaccio. «Non voglio che tu viva una promessa finché non sarà reale, lo sai, ma la renderò reale comunque.» Ed è qui che mi aspetto di tutto. Sono il suo scoglio, il suo salvagente, il bagnino ed a volte se serve anche lo squalo, ma davvero ci sono cose che non può dirmi, tra cui quella che mi ha appena detto.
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    maledictus
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    Vorrei davvero essere capace di farcela. Lo vorrei disperatamente, per lui, per guardarlo e dirgli che sì, , posso credere a tutto, posso tenere ogni suo passo, anche quando vanno verso qualcosa che mi sembra sempre troppo simile ad un precipizio. Vorrei essere una persona che sa credere, una di quelle che è capace di coltivarla una speranza, farla crescere come un germoglio che presto diventerò un’albero solido e tanto grande, da non poterlo circondare con una stretta che lascia sempre uno spazio aperto che quasi corre, corre e corre ancora verso tutto il resto che ancora non si sa di poter afferrare. Ma non lo sono. Non lo sono ora come non lo sono stata tutte quelle volte in cui me lo ha ripetuto, come non lo sono stata in quel vicolo del Bronx con Aaron, quando ancora mi sono trovata solo a guardare quanto stessi perdendo con quel bisogno di girarmi e non saperlo neanche, neppure per un secondo, che c’era così tanto che comunque, non avrei potuto avere; come non lo sono stata in quello scantinato, un mese fa, nel guardare ancora questa stessa chimera negli occhi e rifiutarla come se per me fosse solo un colpo assestato nello sterno. Non ne sono capace, non voglio esserlo probabilmente, nel mio egoismo lugubre che su questo, su questa unica cosa, non sa dirmi quanto vorrei fare per lui, ma solo quello di cui, alla fine, sono io ad avere bisogno, senza clemenza, senza gentilezza, senza niente da dare mai se non questo stesso senso che mi affonda pezzo per pezzo, come una nave con un foro che imbarca sempre più acqua e già sente la consistenza sabbiosa del fondale. E giuro, giuro che vorrei essere diversa in questi momenti, giuro che so desiderarlo, anche mentre rifiuto tutto, perché tutto quello che so sopportare è solo una fine scritta che non prevede via d’uscita quando ho troppa paura che non siano altro che vicoli ciechi che ci braccano, ancora ed ancora, con speranze che non sono altro che spuntoni pronti a trafiggere la carne quando andiamo troppo veloci e non sappiamo fermarci per tempo. Penso che anche Josh, in ogni tentativo fallito, abbia sentito quella stessa pena, quel senso che lo trascina sott’acqua, in balia di una corrente che non ne vuole sapere di concedergli la riva, ma solo rocce dure contro cui farlo sbattere con tanta forza da spezzare il fiato, e penso che lui sia così tanto più forte di me. Io non lo sono davvero. Sono brava a scappare, a nascondermi, a chiudere gli occhi e tapparmi le orecchie con tanta forza da poter non essere consapevole di quello che mi circonda, ma quando me li aprono, quando un suono perfora le dita per arrivare ai timpani, mi trovo sempre con le gambe che tremano e quel groppo in gola che si allarga e il cuore lo fa scalpitare, andare a mille, soffocando tutti i miei respiri e lasciandomi essere solo un pezzo di carne che trema e non sa tenersi su sé stesso. Il mondo mi si chiude contro, e io cerco solo di liberarmi da quella morsa. Stringo ancora gli occhi, e penso che sia perché quella determinazione che vedo nei suoi, sa colpirmi con una forza che vorrei saper abbracciare, far crescere ancora di più, ma che ho anche bisogno si spenga, vada altrove, scorra via come un fiume deviato verso altri mari che non sono il mio, chiuso in sé stesso e ormai putrido nelle sue stesse acque che non hanno mai nessun ricambio. E vorrei dirgli che qualche volta, qualcuna di troppo e mai troppo poco, la vita è semplicemente ingiusta. Che è cattiva, come lo è stata già tanto con noi, con mamma, e che non concede nessuna salvezza, ma colpisce solo perché può farlo, come se avesse quell’istinto quasi sadico che trae piacere dal guardare quanti segni sa lasciare sulla pelle. Me lo stringo fra le labbra mentre scuoto appena la testa, prima di lasciare solo uno dei suoi polsi per piegare la testa e premere le dita contro il volto, lasciarle lì per qualche secondo in respiri che diventano più forti, e non lo so, sinceramente, cos’è che dovrei dire. Cos’è giusto e cosa sbagliato, quando probabilmente non esiste nessuna risposta e tutto è tutto, dal mio punto di vista e dal suo. «O forse non c’è proprio nessun equilibrio, Josh, davvero» lascio andare il polso ed il volto, lo faccio avanzando qualche passo che mi porta più dentro questa casa, ma mai davvero lontana da lui, mentre già mi giro per tornare a guardarlo con le braccia che cadono lungo i fianchi come se fossero pesi immani. «Non ti dirò di nuovo cosa fare o meno con la tua vita, va bene? Lo sai come la penso, quindi è inutile ripeterlo. Ma non- non mettermi nella posizione di sperare in qualcosa, perché non ne sono capace, non voglio esserlo, e non ce la faccio» esce con un misto di stanchezza che si fa secca in gola, resta appesa come ad un filo invisibile che oscilla e mi da quella sensazione per cui lo so, è tutto pronto a spezzarsi e farmi solo cadere. «E non voglio avere questa conversazione adesso, né mai per quel che vale»
     
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    Joshua Çevik
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    mago nero
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    disappointed
    Non lo so quanti respiri mi sono costretto ad ingoiare pur di non diventare sempre l'artefice dei sospiri di Edie. Me lo ricordo bene il giorno in cui ho visto diradarsi la speranza di poter trovare una cura e prendere vita invece la certezza di un'accettazione che non sarai mai del tutto vera, e quel giorno l'ho odiato con tutto me stesso. Credo sia stata quella la prima grande motivazione che mi ha spinto agli angoli del mondo, l'ho fatto perché sarei la persona più felice del pianeta se potessi dirle che a dispetto dei suoi pensieri un modo c'è e l'ho trovato. Vorrei dire che gli anni spesi invano non mi pesino come invece fanno, che non mi rendano un barile di petrolio pronto a dar fuoco a tutti perché in nessuna di quelle stramaledette carte c'era qualcosa di utile. Adesso lo so quanto mi costa ogni fallimento, quanto mi posso ancora piegare prima di spezzarmi o farmi spezzare dall'orologio biologico che governa la sua vita. Mordo il piercing tirandomi il labbro, esattamente come faccio ogni volta che sono così tanto nervoso e che mi trattengo per non diventare lo stronzo insensibile che non posso essere. Vorrei anche poterle dire che ho accettato che una fottuta maledizione me la porterà via e mi priverà di quello che resta della mia infanzia e probabilmente anche della mia vita. "Sai Edie? Va bene, mi va benissimo che tu muoia nei prossimi tre, cinque anni o anche fra tre mesi eh, fai come credi meglio e dopo ti terrò come animale da compagnia." Cristo, è inquietante perfino da sfiorare questo pensiero di merda. E so che anche se lo dicessi, se le dimostrassi che mi arrendo e getto la spugna, non andrebbe bene perché la mia sofferenza anche solo nel provare ad accettare l'ineluttabilità della fine che cavalca verso di lei, la farebbe soffrire e vivere miseramente il resto dei giorni che DIO, io non le voglio neppure pensare queste cose. Fine dei giorni, quante volte mi sono ripetuto che non accadrà finché ci sarò io? E quante dannate volte ho sentito il respiro mancare perché ho temuto che la trasformazione non tornasse sui suoi passi? Quindi alla fine mi ritrovo in questo tornado orribile e so che qualunque cosa dirò sarà una lama dritta al suo cuore che mi si pianterà sulla schiena di rimando, perché poi i sensi di colpa mi morderanno le caviglie fino all'alba. Provo a negare la sua affermazione, perché le prove che un equilibrio esiste le ho, ma nessuna di queste ci può sul serio aiutare adesso per come stiamo messi. Ma la verità
    è che al suo tocco io rispondo stringendo i denti come farebbe un animale ferito, perché un po' è anche quello che sono. Eternamente indeciso ed impossibilitato a scegliere tra affondare in quel semplice gesto e tenerlo stretto a me, o prenderlo come l'ennesimo "mi dispiace, ma devi smetterla" che mi rivolge quando supero la linea che demarca il cerchio in cui viviamo. Uno di quelli che si fanno sempre più stretti, e lo so che non le piace che ne parliamo, e che mi ero ripromesso di non farlo finché non avessi avuto sul serio qualcosa da dirle... ed allora per questo devo stare zitto adesso. Quindi mi sforzo di lasciarle l'ultima parola, le permetto di spostarsi anche se non smetto di fissarla, perché lo sa che se deve ripetermi all'infinito cose come questa deve farlo guardandomi negli occhi. Lo esigo più di quanto dovrei, esigo vedere che si sta arrendendo perché così posso ricambiare provando a darle la forza che non accetta di avere. Mi fermo anche dal dirle che lo so come la pensa, e sì che probabilmente al suo posto - ma nessuno potrà mai sapere cosa si prova a vivere come Edie - avrei le stesse perplessità, che poi è anche il motivo per cui mi dispiace sempre doverle far vedere quanto la corruzione si stia prendendo di me... e forse lo fa con tanta forza perché in parte la sto combattendo. Se l'abbracciassi davvero, se mi lasciassi prendere dalle spire delle ombre, forse potrei aprire gli occhi su quel lato della magia che ancora non afferro e che è davanti a me. Sto tardando l'inevitabile. «Come vuoi...» Accetto anche se so cosa comporta e anche se lei sa che non esisterà una fine al conteggio delle volte che passeremo a rimarcare i concetti che tanto ci dividono. E' solo che questo è l'ennesimo colpo che assorbo e forse per oggi ne ho abbastanza anche io. Mi schiarisco la voce che è più roca che mai e per la prima volta faccio qualcosa che non vorrei fare, e lo faccio perché non voglio perdere tempo mai più... non voglio dirle che troverò una cura quando non ci sto sul serio provando con tutto me stesso, e quindi anche se magari mi servirebbe come l'aria stare un po' con lei, e dimenticarci anche di quel Crain, insieme, non faccio passi avanti. «Devo andare, adesso...» non voglio mentirle dicendole che vado in sala prove, perché non sarebbe credibile e perché io le dico sempre la verità, per dolorosa che sia. «...ci sentiamo dopo, ok? » Lo dico comunque, perché non esiste che non ci teniamo in contatto ma so già che anche se mi chiedesse di restare, stasera non rimarrei. Stasera devo fare quanto in mio possesso per chiudere gli occhi solo con la convinzione di aver fatto almeno un passo avanti verso la soluzione.
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15 replies since 30/6/2020, 09:01   328 views
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