Poison Master

Josh / Slater - 5 Agosto || Acquisto Maschera - 3 non-comuni, 6 poveri

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    Joshua Çevik
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    Morgan Crain.
    Ho lasciato casa sua da due ore, e Cristo, sto forzando sull'acceleratore per non fare retromarcia e chiedergli se ha almeno il coraggio di uscire da quella cazzo di casa e dalle sue barriere per affrontarmi come si deve. E sono bravo, cazzo se sono bravo, perché vado avanti e non mi fermo al locale anche solo per dire ad Edie che deve stare lontana da questo particolare tipo di stronzo. E se non lo faccio è solo perché glielo sto dando il beneficio del dubbio che sia stato almeno sincero quando mi ha detto che taglierà corto con lei prima che sia tardi. Ma, cazzo, io credo che sia già tardi e quindi devo mettere più chilometri possibile tra me e lui perché ho le mani in fiamme e giuro sulla mia famiglia che saprei fargli rimangiare tutte le stronzate che ha avuto la malsana idea di dire. A me, capito? A ME. Un paladino del cazzo che viene a dirmi che sono stato un inutile coglione, come se non lo sapessi già. Come se non lo sapessi già. Dio, devo fermarmi. Non riesco a farmela uscire sta stronzata dalla testa perché so che è vero, e devo togliere le mani dal volante prima che sappia ridurlo in frantumi. Non mi è bastato Ray, non mi è servita Edie nella sua docile convinzione di saper frenare la mia caduta in questo abisso che mi sono scelto, ma che non ho una cazzo di voglia di risalire. Quindi lo calpesto il terreno sotto i piedi quando sbatto la portiera dell'auto ed ignoro i pochi passanti. Mi infilo in questo vicolo che il tramonto è già bello che avanzato, ed anche quando il telefono vibra in tasca non faccio altro che guardare di cosa si tratta e non rispondere alla chiamata. E' papà, ed io non ho la forza di parlare con lui adesso, e non so quando cazzo la avrò perché sarei capace di pentirmi di ogni sillaba e mi manca altro che il cazzo di Morgan Crain mi rovini il resto dell'esistenza visto che sembra non vedere l'ora di farlo. Lo spedirei al creatore con gli interessi, porca puttana, solo perché mi ha rotto i coglioni ad un livello così profondo che per più di un minuto mi sono immaginato a strappargli il cuore dal petto con le mie stesse mani, per farglielo mangiare e questo... questo è quello che sono e sarò se non saprò controllarmi. Mi ferma solo il fatto che se Edie mi vedesse, potrei perderla del tutto.. prima di quando me la vedrò portare via da lui o da chiunque sappia prendere il mio posto con tanta facilità. E' per questo che sono qui, per trovare una risposta. E' per questo che ho pensato che a casa avrei solo fatto a pezzi il mio appartamento, senza un fottuto dollaro da parte per sistemarlo. E' per questo che metto piede con una calma sacrale che ha poco senso di esistere, in questa chiesa gotica nascosta ai no-mag, dove un tempo si praticava un culto ma che ora è un luogo di ombre e rituali di devozione a Tharizdun. Il mio Dio. Il Dio che ho scelto perché mi avrebbe portato alla soluzione dei miei cazzo di mali e che ora, invece sembra chiedermi un pegno che non so come consegnare nelle sue mani, quando vorrei solo che si mangiasse il mio cuore e spegnesse ogni fiamma che lo alimenta. Ogni mania che mi perseguita e tormenta da settimane. Ma poi non lo so nemmeno che cazzo ci sono venuto a fare qui, non so più un cazzo, se non che ho una voglia matta di spezzare il collo a qualcuno e potrebbe essere veramente il primo che mi capita a tiro. Quando cazzo sono diventato così? Non voglio nemmeno sapere che ho già una risposta, mi appoggio al cancello cigolante e resto qui, in quella che tra poco sarà una zona buia senza una candela o alcuna luce. Il buio è l'unica cosa che merito, l'unica di cui ho bisogno.
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    Edited by Tippete - 8/11/2020, 20:14
     
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    La teoria del caos suggerisce che anche in un sistema equilibrato un piccolo cambiamento nelle condizioni iniziali può portare ad un risultato catastrofico e imprevedibile. Qualsiasi evento abbia spinto il ragazzo fino a quel momento, può vedere gli effetti del caos turbinare nel suo sangue. È energia che emana attraverso lo spazio che lo circonda, lascia dietro di sé un desiderio inespresso di distruzione. Lo percepisce come una aroma familiare. Non è inusuale che Slater si faccia affascinare da certi esemplari durante la sua permanenza in altre dimensioni, li vede come strumenti che Tharizdun pone sul suo cammino ogni volta che ne ha bisogno. La provvidenza del caos ha una sua logica intangibile, ne può intravedere lo scampolo solo se osserva molto attentamente, molto da vicino. Tessere il resto dell’opera è compito suo, afferrare delicatamente quel filo perché passi attraverso la cruna del suo ago, senza che gli sfugga, senza che si strappi nelle sue mani. L’equilibrio tra forza e morbidezza poggia su una bilancia instabile, si alterna da un lato e dall’altro e richiede spesso più umanità di quanta non ne possegga, una fine comprensione dell’indole emotiva di cui Slater si può fare osservatore, ma mai veramente partecipe. Sebbene sia convinto che osservare il mare in tempesta sia più facile dalla banchina di un porto che immerso nelle fauci delle onde, può intuire solo i lineamenti della sua essenza. Questa volta, in questo giorno, ha l’aspetto di un ragazzo, un mago nero, perché è sempre un mago nero, che risveglia esattamente come Riley Colroy la sua innata curiosità, un passeggero clandestino in una mente altrimenti svincolata da qualsiasi interesse per gli individui che lo circondano. Una debolezza. Probabilmente. Tuttavia se ne lascia distrarre quel tanto che basta perché il ragazzo appaia come un’opportunità sul lungo e tedioso percorso di osservazione che focalizza intorno alla figura di Morgan Crain. Ma come ogni volta, anche in quest’occasione incrociare il cammino di quel mago nero non è semplicemente un caso, Tharizdun gli parla attraverso di lui, attraverso la rabbia cieca che si trascina addosso come un animale ferito, disperato, pronto ad uccidere. Lo ha condotto fino all’orlo del baratro solo per lui e ancora una volta Slater è pronto a cogliere quel dono. Distende un sorriso sotto il cappuccio scuro che porta calato fin sopra gli occhi. I giochi stanno per iniziare, può sentirlo nell’aria. Presto o tardi potrà inserire alcuni piccoli cambiamenti per manipolare il corso degli eventi a favore del caos. Sarà interessante guardare i modi in cui ciascuno di loro agonizzerà cercando nuovi equilibri. Questo vale per Morgan. Ma vale anche per il suo nuovo giovane interesse. Lo aspetta lì dov’è prestabilito che vada, Tharizdun cerca sempre le sue vibrazioni in chiunque allunghi la sua mano. Curiosamente ogni luogo è diverso in base al mago. Per Colroy era la tomba in cui seppelliva se stesso sotto tonnellate di vizi distruttivi, per il ragazzo è una chiesa. “Affascinante”, lo mormora nella sua tipica tonalità monocorde, ma risuona come tra pareti di marmo e non importa se sono all’esterno o all’interno della chiesa, la verità è che ogni mago nero quando è al buio è a casa. Inclina appena la testa per osservare il modo in cui la luce cambia sul suo viso insieme all’espressione che immagina sia di sorpresa nello scoprire di non essere solo. “Potevi andare dovunque” nonostante non sia un viaggiatore - lo sente - sa che un’auto poteva condurlo dovunque, ma ha scelto di tornare nel grembo del suo dio e, in fondo, è già molto più di quanto sperasse in qualcuno tanto giovane. Non tutti i maghi neri cercano risposte tra le braccia di Tharizdun. Paura. Suppone. Nessuno ama guardare nel caos e scoprire che ricambia lo sguardo. Le cose che potrebbe dire vengono da un luogo che gioca con gli aspetti più bui della verità. “Invece hai scelto questo posto. Mi chiedo cosa ti aspetti di trovare, o magari invece da cosa tu stia scappando, quanto deve spaventarti per spingerti a pensare che solo un dio potrebbe salvarti”. Non ha la pretesa di aspettarsi una risposta ragionevole, però comincia a camminare lentamente per scoprire se individuandolo il ragazzo si limiterà a seguirlo nel buio, o proverà ad attaccarlo.
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    Joshua Çevik
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    Non mi pare di aver chiesto così tanto, no? Un cazzo di momento di pace per raccogliere le idee e tenere a freno gli impulsi che mi percorrono le vene in risalita costante, così controcorrente perché è un cazzo di divertimento sentire la corruzione che divora ogni cosa e non avere più la minima intenzione di impedirglielo. Sono praticamente qui a dirle di mangiarmi vivo perché è meglio sia così piuttosto che io faccia la stronzata del secolo e perda tutto quello che mi resta in tre secondi netti. Però io volevo godermi da solo questo strazio, invece la voce dell'incappucciato mi raggiunge e mi blocca qui sul posto. Me ne fregasse qualcosa della mia vita mi farei anche due domande, ma al momento resto in silenzio con un dovuto fastidio ad animarmi l'espressione seria. Quindi lo so che sto già scuotendo la testa e che per un attimo il mio sguardo si volge al soffitto alto e buio di questa chiesa, come a dire che - porca puttana - io non posso proprio avere niente di quello che chiedo ed in nessun momento della mia esistenza, possibilmente. No ma visto che ci siamo, perché non passiamo direttamente alla parte in cui dovrò raccogliere i frammenti di quel che rimarrà della mia famiglia con un cucchiaino da tè? Ma no, che gusto ci sarebbe a perdersi tutte le tappe del mio malumore imperante? Nessuno immagino. «Pensa un po'..» Gli faccio eco, perché se c'è una cosa che mi rompe ancora di più il cazzo di chi si avvicina quando ho un odio per il mondo che supera la mia voglia di nasconderlo, è chi lo fa pensando anche di sapere qualcosa su di me. Peggio è quando ci prende in parte, piantando una lama in una ferita che non vede l'ora di essere riaperta altre tremila volte, perché è divertente no? No. E' che poi mi girano ad una velocità impossibile quando mi rendo anche conto che ho voglia di rispondergli come se fossi io il bisognoso che la gente non sa ascoltare. E nel farlo, nel rivolgergli sul serio la parola, che poi è probabile esca più come un mezzo ringhio che serba più rabbia di quanta io possa o voglia contenerne, scosto la schiena dal muro. Non faccio alcun passo avanti, ma non lo perdo di vista mentre mi si avvicina, ho i nervi talmente a fior di pelle che non volterei le spalle neppure ad un sasso in questo momento. «La mia salvezza non è mai stata parte dei miei piani.» E lo dico guardando ancora, per un solo attimo, l'anello con l'onice incastonata, che mi arroventa l'anulare con forza, pronto a dirmi che lui non vede l'ora di uscire di nuovo a giocare. Ma il motivo per cui sono qui, alla fine, non glielo dico. Certo non è una coincidenza che io non sia più solo in questo momento, ma è una ragione in più per alimentare il sospetto che non mi premuro di celare in nessun modo. Per quanto ne so, l'incappucciato potrebbe essere Tharizdun in persona, e penso che finirei per mandarlo a cagare in ogni caso, perché non è la giornata giusta per farmi la paternale o dirmi qualcosa che non sia propriamente in linea con i miei pensieri, anche dovesse essere un Dio a farlo. «Non sto scappando» questo però mi esce lo stesso ed è un fottuto ringhio d'orgoglio che tiene a sottolineare un dettaglio non indifferente. Io non scappo, non sono mai scappato da niente anche quando avevo un cazzo di terrore osceno addosso, e sono sempre andato avanti per trovare una cura e se non sono tornato indietro ad eliminare la più vicina fonte di odio che si alimenta come una fiamma, è solo perché tengo così tanto ad Edie che un cazzo di beneficio del dubbio a Morgan Crain lo devo, ma è un gettone che spero anche saprà consumare molto presto cosicché io non abbia più niente a frenarmi. Non sto scappando. Non so perché lo pensi.
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    Immerso nell’ombra che soffoca l’abside Slater annega nel proprio sguardo la figura del ragazzo. Esistono piccolissime incaute sfumature che si disegnano sulla sua espressione ogni volta che un pensiero lo sfiora per lasciarlo più rabbioso di prima. Un connubio di pennellate prive di colori ai suoi occhi, ma affascinanti per la semplice imprevedibile tecnica con cui le imprime sul proprio viso. Se potesse aprirgli la mente e guardare all’interno ripercorrerebbe minuziosamente le strade che l’hanno portato fino a quel punto e a quelle parole. Forse gli sfugge il quadro generale, sa che di certo non afferra i riflessi emotivi più delicati, ma la rabbia del ragazzo e la forza dei suoi dettagli offrono di lui un’immagine chiara. Gli sembra di poter sentire le parole di Tox, direbbe che la sua è una visione distorta della realtà, una caricatura deforme come quei ridicoli dipinti che lo aveva spinto a fare. La dimensionalità delle cose è completamente diversa per uno come lui, la realtà esiste su più piani e il ragazzo che vede alla fine della navata è una creatura che attraversa ognuno di essi, deve solo scoprirne i punti deboli, uno dopo l’altro, con assoluta calma. Percorre la distanza che li separa, un passo alla volta, lentamente attraverso la navata fino all’ingresso. Supera incurante panche di legno che l’incuria ed il tempo hanno trasformato nei relitti di un vecchio culto. Non accolgono più nessuno se non i fantasmi del passato e si chiede quali tra loro appartengano al ragazzo, se è in grado di vederli o li ignora come fanno tutti quelli che non vogliono guardarsi alle spalle. Lui non abbassa lo sguardo, ma ha la sensazione che il ragazzo stia cercando di non vedere molte cose. Se non è un rifugio quello che cerca, se non è la salvezza ciò che vuole allora forse Slater può fare davvero qualcosa per lui. In cambio c’è solo la lealtà, una cosa che in fondo avrebbe dovuto offrirgli dal giorno esatto in cui ha accettato la corruzione del dio oscuro nel suo sangue. “Bene, perché la salvezza non rientra mai nei piani di Tharizdun”. Tharizdun distrugge, al massimo condanna, non salva. Non fa parte dei piani nemmeno per le anime che accettano il suo potere, perché alla fine di ogni cosa tornano a lui e a quel punto le divora perché lo rafforzino, anche se nessuna sarà mai abbastanza. Nessuno di loro sarà mai abbastanza per salvarlo. Si libererà solamente quando Slater e i figli dopo di lui riuniranno finalmente le sue gemme. Nel frattempo la rabbia del ragazzo potrebbe tornare uno strumento utile, vuole comprenderne le ragioni per farla propria un giorno. “Quindi stai cercando qualcosa” non è una domanda, ma spera lo esorti a rispondere, perché sapere cosa vuole lo può condurre a scoprire di cosa pensi di essere stato privato. Ha scoperto che indipendentemente dalla dimensione la rabbia è un istinto che si anima nel rispondere a un’ingiustizia, alla percezione che ci sia stata una violazione dei propri diritti. La difficoltà si limita al fatto che in ogni cultura la morale è differente. Tuttavia questa gli è più familiare di altre grazie ad Eli. Può solo sperare che chi lo abbia offeso sia l’uomo che lo interessa. Si ferma poco distante dal ragazzo, lascia che le braccia rimangano incrociate dietro la schiena con il palmo chiuso intorno ad una mano, perché non ha molta voglia di sembrare minaccioso, ma in qualche maniera ispirare fiducia. “Se così fosse, probabilmente sono la cosa più vicina ad un… sacerdote che potrai mai trovare qui dentro. Fai la tua richiesta e vedremo se sei in grado di sopportare le conseguenze” in quel momento cerca di sorridergli, vuole trasmettere affidabilità e calma, qualcosa che in effetti gli è stata descritta come luce del sole attraverso le foglie. Tuttavia il risultato invece è fin troppo affilato e involontariamente beffardo. Si ritrova ad ascoltare il silenzio, ma per un attimo lo attraversa il pensiero che il ragazzo potrebbe non essere affatto come vorrebbe. “Cerca di non mentirmi perché me ne accorgerei e non sono molto gentile quando ho la sensazione che gli altri provino a prendermi in giro. Preferirei piuttosto che non dicessi niente, o te ne andassi”, non glielo permetterà, ovviamente. Non solo perchè la codardia merita una punizione, ma anche perchè Morgan non ha ancora idea di cosa lo aspetta e il racconto di un bizzarro incontro in una chiesa potrebbe metterlo in allarme e prepararlo al futuro.
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    Joshua Çevik
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    Mi costringo ad inspirare senza sembrare più scazzato di quanto non sono, ma se all'inizio è una forzatura, dopo mi rendo conto che faccio sempre meno fatica. Chiunque sia quest'uomo ha in mano le redini di qualcosa, lo sento vibrare oltre la coscienza irritabile che mi ritrovo e quindi non accenno a discostarmi troppo dal muro che ho dietro le spalle, come se d'improvviso mi aspettassi di vederlo a due passi da me, quando in genere è già troppo tardi. Sono paranoico, penso di esserlo precisamente da quando sono nato ma oggi sono anche particolarmente provato dalla sensazione sbagliata di sentirmi privare di ogni mio potere per più tempo di quanto avrei desiderato. Di chi sia la colpa, lo sappiamo già tutti abbondantemente. Il suo nome, adesso, è solo una cazzo di maledizione da cui non so come liberarmi, come se quella che si è presa vent'anni di Edie non ci fosse bastata per la vita. Tornerò a prenderlo, ma lo farò quando non avrò niente di me che sappia sfuggire al mio controllo.. un controllo che adesso sento farsi debole e cazzo se mi disturba come poche altre cose al mondo. «Mh» Sono bravo però, perché non lo alzo più lo sguardo mentre mi propone cose ed avanza idee che si intrecciando ad una risposta che voglio dargli, ma lo fisso su di lui lasciando che il flusso dei miei pensieri scurisca le iridi ed infiammi le pupille. Un mese fa gli avrei detto che volevo che Edie fosse libera e che non me ne sarebbe fregato nulla di quanto avrei dovuto pagare per rendere la cosa possibile senza ricadute su di lei di alcun genere, pur provando a distaccarmi dal patto che lo stronzo non capirà mai di aver fatto finché non morirà. Sì, mi spunta un mezzo sorriso al pensiero di vederlo schiattare senza grandi cerimonie, magari da solo, mi dispiace solo per suo fratello ma non abbastanza da empatizzare con un cazzone simile. Distolgo lo sguardo quando me lo chiede davvero cosa voglio e lo fa come se sottintendesse di poter essere lui una delle soluzioni ai miei problemi. Un "Sarcedote" di Tharizdun, mh? Mi blocco dal dirgli subito che non deve prendermi per il culo perché sono già particolarmente girato oggi e non finirebbe gran bene, ma è serio e me ne rendo conto quando per primo mi minaccia, più o meno, provando ad assicurarsi che io non menta. Ma, amici miei, io non mento mai. Non se non è necessario ad altro e per "altro" intendo che quello stronzo di Crain mi ha messo in una posizione di merda adesso e gliela farò pagare se non sistema le cose togliendosi dalle palle da solo. «Controllo» E' la prima cosa che so dire, che mi esce diretta come un ringhio basso che gratta le corde vocali ed è seguito dal mostrargli la mia mano. E non ci sarebbe niente di male se non fosse che la stronza sta tremando per una gestione incontrollata del potere che vorrebbe solo riversarsi sul primo corpo umano che trova per investirlo di ogni cosa possibile e strappargli anche l'ultimo alito di vita. E questo solo perché non mi è piaciuto sentire cosa aveva da dire Morgan Crain che, non è che si può dire sia una cazzata, ma se già sono così dubito di saper sopportare di peggio. «Potere» Alzo anche la seconda mano aprendole con i palmi verso l'alto perché ora entrambe tremano, mentre è un lampo quello che mi attraversa il volto e provo quasi ad abbozzare un sorriso che non ha niente che non sia scherno verso me stesso e la mia fottuta incapacità di darmi una cazzo di calmata. «Un classico no? Ma non convincermi di essere il genio della lampada, io ho bisogno di sapere tutto.» Me la tengo per me la battuta sui tre desideri del genio della lampada ma lo faccio solo perché voglio proprio sapere cosa intende dirmi. Lui potrà non accettare le stronzate, ma nemmeno io sono tanto diverso.
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    Un classico? Forse. Ma non per questo necessariamente banale, certi cliché vivono ricorsi storici perché sono veri più di molti altri. La questione non è se il bisogno di potere del ragazzo sia un desiderio ordinario, ma quanto sia disposto a spingersi in là per ottenerlo, cosa è disposto a sacrificare, a quante parti di se stesso può rinunciare. La verità è che il controllo non esiste, non nella sua forma assoluta. Se ammettesse che sia possibile allora dovrebbe credere che persino Tharizdun può essere messo in ginocchio. Ma la sua prigionia è solo una temporanea illusione di sottomissione. Slater fa vanto di non vendere sciocche illusioni, ma verità imprescindibili e per quanto quel ragazzo sembri convinto, ancora ha difficoltà a credere che sia davvero capace di cambiare. Nel profondo, al di là della parete impenetrabile del suo viso, Slater può sentire che è accesa ancora una scintilla, molto fioca, di tenerezza e non è decisamente il genere di mago nero che sottovaluta il potere che ha il candore di un animo tenero. Valuta il rischio. Considera che non può fidarsi di lui, non ancora, e se non può fidarsi di lui allora non gli serve a niente. Però, forse ci può lavorare. Non crede di poter soffocare con le proprie mani quella piccola scintilla senza il rischio di scatenare un incendio incontrollabile, ma forse potrà usarla a suo vantaggio. Non esclude la possibilità che sarà proprio il ragazzo a spegnerla. Se ci riuscisse Slater potrebbe persino considerare l’idea di avviarlo lungo un percorso di unione alla fratellanza, ma mai nessuno dopo Tox è stato all’altezza di un tale privilegio. Tuttavia non scarta nessuna strada per quanto improbabile, sarà lui a prendere l’una o l’altra e Slater rimarrà lì ad osservarlo, pronto ad accoglierlo se si rivelerà capace.
    La forza del ragazzo non è indifferente, ha già avuto l’opportunità di constatarlo, ma è grezza, ancora molto infantile. È un bene a suo modo perché vuol dire che c’è un ampio margine di miglioramento, alla fine potrebbe arrivare persino ad ottenere ciò che vuole. Lo porterà esattamente dove potrà osservarlo giocare insieme agli altri e alla fine uscirne vittorioso o perdente. Sarà interessante. Per questa ragione annuisce, una volta sola, con una lentezza precisa, in direzione del ragazzo.
    “Non sono un jin, ma presto saprai ogni cosa. Quello che chiedi è un classico perché è vero. La magia nera ti dà il controllo, Tharizdun ti da il potere. Io posso aiutarti ad ottenere entrambi. Molto più potere e controllo di quanto tu possa immaginare, ma niente si raggiunge facilmente”, se fosse altrimenti non sarebbe possibile distinguersi per l’eccellenza e in un mondo dove tutti sono uguali non ci sarebbe più niente. È il conflitto che genera la vita, lo è da sempre e lo sarà ancora. Tharizdun accoglie in sé il seme di follia che dà il via ad ogni cosa. Il disordine che precede il cambiamento. Il ragazzo deve fare un passo in avanti su quel gradino che si rifiuta di salire. “La ragione per cui sei così in conflitto è perché sei ancora aggrappato a chi eri. Le cose cambiano e tu devi cambiare insieme a loro. Io posso aiutarti a diventare la persona che vuoi essere, ma solo se sei disposto a cambiare il modo in cui vedi te stesso e il modo in cui vedi gli altri. Ci saranno parti di te che dovrai abbandonare per accoglierne delle nuove. Ma se non ti fidi di me, niente di tutto ciò sarà possibile”. Il dolore che ha provato lui stesso quando hanno trasformato la sua carne in fili di metallo e giunzioni accarezza la sua pelle come un fantasma. Lo ricorda come terribile e straziante, ma ormai sono solo parole senza significato. Se il suo maestro, Eli, gli avesse permesso di rinunciare solo perché era doloroso adesso non sarebbe la creatura inarrestabile che è diventato. Ha bisogno che il ragazzo sia disposto a fare lo stesso, perché non c’è un altro modo di imparare se non attraverso la fiducia che alla fine sarai più forte. “Non ti mentirò mai. Non cercherò di cambiare chi vuoi essere, finché farai esattamente quello che ti dico e onorerai Tharizdun io rispetterò ognuna delle tue scelte e ti darò molto più controllo e potere di molti altri su questa terra, ma se accetti e poi ti rivolti contro di me io ti ucciderò” e non potrebbe essere più sincero nonostante il tono di voce rimanga quello monotono di sempre, persino sull’ultima parola, che sembra essere abbandonata lì come fosse qualsiasi altra e non la promessa di una morte rapida e inesorabile. La violenza e la rabbia solo emozioni interessanti, ma le regole che vigono su di un patto che sancisce anche solo verbalmente sono come un vincolo e devono esserlo anche per il ragazzo. Solo poche cose potrebbero spingere Slater ad infrangerlo, tra queste una parola di Tharizdun, eppure ritiene che sia un vanto per un ragazzo che non è nessuno nel grande piano delle cose avere sul collo solo la scure del suo dio. Slater toglie il guanto per esibirsi in una tradizione tipicamente di questa dimensione, è raro che altri scelgano uno contatto così intimo per sancire un accordo. Allunga la mano scoperta nella sua direzione come se lui avesse altra scelta se non quella di stringerla, o morire.
    “Accetta dicendomi il tuo nome e il nome di chi ti ha insegnato fino ad ora”.
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    "...niente si raggiunge facilmente". Questa cosa non ha mai avuto la capacità di spaventarmi, perché se così fosse stato non sarei qui ora. E' vero anche che sarei un fottuto stronzo se non dicessi che un po' i brividi li mette questo incappucciato, ma me ne sbatto il cazzo perché quello che dice mi interessa molto di più della prima impressione che dà. Non c'è mai stato davvero un cazzo di facile nella mia vita, o che io non abbia dovuto conquistare con le fottute unghie, quindi sì amico mio, io lo so benissimo che senso hanno le tue parole e se non sto muovendo un muscolo vuol dire che forse la tua risposta già ce l'hai. Edie è salva, è viva, e questo dovrà rimanere un dogma fisso di qualunque cosa sia sul punto di offrirmi, ma il resto è un cazzo niente per i miei personali interessi. Abbasso le mani lungo i fianchi, lentamente, richiamando la furia che mi ha condotto così distante dall'unico essere che saprei voler annientare ogni secondo di troppo che ruba al mondo, e chiedendole una tregua in questo momento che si fa interessante. Ora mi chiedo come ci si possa fidare di una persona che compare dalle ombre, nel buio di un posto di merda, proprio nell'esatto momento in cui hai lo scazzo maggiore della tua esistenza e ti offre - pur con le clausole che non sai ancora - precisamente quello che vuoi. Purtroppo la ragione non entra quasi mai in gioco quando si tratta di fiducia ed istinto, ed è la corruzione che ho nel sangue che mi suggerisce di non fare alcun passo indietro, già lusingata da promesse che potrebbero sul serio venir mantenute. O forse questa è solo la cazzo di fortuna che ha qualcuno che non ha più nulla da perdere e qui mi sa che questa partita la vinco a mani basse. «Ho capito» ed è vero, non lo dico a caso solo per farlo smettere, ma piuttosto per farlo continuare, perché ogni suo passo nella giusta direzione vede il mio seguirlo come ombra ed anche se non lo so dove cazzo mi porterà sta cosa, so già che sarà la cosa più difficile che dovrò fare; affrontare un percorso che comunque non ho mai pensato fosse una scampagnata di piacere nemmeno prima. E' solo che non ho paura, non ho un fottuto briciolo di quella salvaguardia che forse mi farebbe chiedere che cazzo mi passa per la testa prima di allungare una mano e saldare una stretta che ricorderò a vita. Ma l'ho detto, che cazzo io non ho niente da perdere se non me stesso e sono più sicuro che saprò perdermi se non avrò niente che possa indicarmi come si sopravvive, si convive e si controlla questa fottuta corruzione. L'assurdo è che c'è una cazzo di risata di merda che mi risale la gola e per poco non risuona con tutto il sarcasmo che ho dovuto contenere per non spaccare la faccia al cacciatore, e lo so che non è per niente raccomandabile l'espressione che mi si cuce in volto; ma chi cazzo ha mai detto che io sia una persona raccomandabile? Chi l'ha deciso? Ho buttato via quella parte di me quando ho deciso che avrei dato ogni fibra di me per salvare mia sorella e niente di questo dovrà mai ricaderle addosso come colpa. Anche adesso che stringo la presa, sono io che lo faccio con tutta l'intenzione di non muoverlo un passo indietro, perché tanto dietro di me c'è una tale vita di merda che avanti non può proprio essere peggio. E se invece lo sarà, fanculo, perché io sono... «Joshua Çevik» glielo dico che non so tenerlo il tono impersonale con cui poco prima ha provato a minacciarmi, come se davvero della mia vita mi fottesse qualcosa, è più importante per me andare avanti piuttosto che sottrarmi a qualunque cosa abbia in mente. Non so mai ammettere di aver bisogno di aiuto, non è da me, io ho sempre fatto tutto quello che dovevo, ma cazzo adesso che non sono sicuro di avere un controllo sufficiente se finissi per ferire le uniche persone che mi restano, rimpiangerei di non aver stretto la sua mano adesso. Ed il rimpianto, lasciatemelo dire, è una merda. «Ho scelto la corruzione in una zona remota dell'Africa, è stato un certo Dume ad iniziarmi, ma non si è curato di niente altro. E' successo pochi mesi fa.» Sì, sono un cazzo di pivello, e sì non ce l'ho ancora un nome: che culo eh? Beh, in realtà nella mia testa esiste ma prima voglio il suo. Però resto fermo nell'idea che a me non frega un po' un cazzo di esserci dentro da poco, quello che voglio è che non si noti, che non voglia significare niente perché i poteri che avevo prima, il controllo che esercitavo, si sono nutriti dell'oscurità che ho accolto ed ora sono queste le cose che devo abbracciare e cazzo se mi serve capirlo. «E non sono un cazzo di traditore, mai stato.»
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    Mago Nero
    Gli occhi di Slater rimangono imprigionati nella stretta che il ragazzo ricambia. Il contatto è quasi invadente anche se a stento riesce a percepirlo, il dolore è un’entità inconsistente nella sua mente e così a volte anche quel genere di pressione, leggera, ma risoluta, presente solo perché ingombrante, diventa una percezione sfumata. Si aspettava che qualcosa accedesse, invece ancora una volta niente. Il simbolismo è un concetto che comprende solo in parte, quando riguarda Tharizdun e i suoi rituali sente il peso del loro significato, se invece coinvolge una concezione culturale straniera, come può esserlo una semplice stretta di mano, ai suoi occhi non è nient’altro che questo, una stretta di mano senza senso, solo con un flebile scopo allegorico. Ne segue la consueta assoluta indifferenza, ma c’è qualcosa che preme da molto lontano e forse se sapesse coglierla direbbe che è una punta di delusione. C’era una dimensione in cui per sancire un’alleanza due creature ne ammazzavano insieme una terza, bacchettando alla fine del massacro. Una stretta di mano è indubbiamente più comoda, meno frivola, sbrigativa e concisa. Questa volta gli è bastato poco. “Slater”, pronuncia il suo nome con calma come per tutte le altre volte vuole che rimanga ben impresso. “Non usare il tuo nome” taglia corto sciogliendo la stretta, senza dare ulteriore adito alla sua dichiarazione di onestà. Quella manifestazione è superflua, eccessiva, dettata solo dalla sua emotività burrascosa, nel complesso riconosce che abbia un valore per lui, ma non ha alcun peso per Slater. A rassicurarlo sulla sua lealtà è la certezza che non ha mentito quando ha fatto la sua richiesta, non ha bisogno di altro. Partiranno da lì e poi gliene concederà di più ad ogni nodo stretto intorno alla sua anima finché non gli apparterrà completamente, o morirà soffocato. “Devi dirmi il tuo nome da mago nero, è a lui che ho accettato di insegnare, di certo non a… Joshua Çevik lavoreranno anche su di lui, ma non con lui, la sua identità è un affare che riguarda solo il ragazzo e verso la quale Slater non ha alcun interesse, a meno che non si riveli utile per la curiosa correlazione che ha con Morgan e su cui indagherà certamente.
    “Hai una maschera? Un mantello?” è perentorio, ma in modo disinvolto, indossa di nuovo il guanto che calza perfettamente, dettaglio indispensabile per una buona presa sulle armi. “Dume si è assicurato di darti gli elementi per nasconderti? oppure devo occuparmi di ucciderlo prima che lasci allo sbando altri maghi neri?” glielo dice sbrigativo muovendosi in direzione del cancello. Supera il ragazzo lasciando dietro di sé solo i lembi del mantello che ingabbiano l’aria che agita ad ogni passo.
    Quando esce dalla chiesa la luce sembra ferita dall’individuo vestito di nero, che invece di rifletterla l’assorbe come il fondo di un pozzo, o la macchia di una diapositiva, che naviga nell’immagine verso la strada. Poi Slater d’improvviso si ferma, si volta verso il ragazzo, che si aspetta abbia preso a seguirlo per dare le prime informazioni che gli servono. Così lo zittisce all’istante sollevando una mano. “Eri in Africa. Perché?” non ha davanti esattamente il tipo di ragazzo da viaggio umanitario zaino in spalla, questo lo capisce persino lui, solo che l’informazione ha faticato ad arrivare per la scarsa familiarità con la cultura locale. Deve sbrigarsi a rimediare, purtroppo pedinare quell’insaziabile nomade lo ha occupato instancabilmente.
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    Joshua Çevik
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    mago nero
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    Il mio nome. Non ho mai pensato che qualcuno potesse pronunciarlo come se non valesse un emerito cazzo, ma in fondo forse ha più ragione di quanta immagini. Io, come fratello, come amico, come persona... non ho mai avuto il fottuto valore che mi sono sempre attribuito quindi, alla fine, a cosa mi è servito essere Josh prima di ogni altra cosa? A niente, ad un cazzo di niente più assoluto quindi vaffanculo anche a lui che si becca una frustrazione che mi stringe le labbra in un sospiro che non gli concederò di percepire così tanto. Io non ho bisogno di Joshua, ed ora non ne ha più bisogno nemmeno Edie, perché quando c'è Morgan che salva il mondo, a chi cazzo frega del resto. A me, ovviamente solo a me. Non è del tutto vero che non ho un nome, è solo che non ho mai saputo decidere, sempre in bilico se accettare la vita che mi sono scelto o provare a tenermi di riserva un piano per fare un passo indietro una volta avuto quello che mi serviva. Non ho mai stretto alcun premio per la mia perseveranza e, come lui, ho implorato un patto con il Diavolo che solo nel mio caso non ha saputo raggiungermi, ma credo di essere pronto a stringere. Anzi, cazzo, lo so. Lo so e basta. E' basso il tono che uso, basso come l'umore che mi scava un buco nero nell'anima. «Faust» E non c'è niente che possa equivalere al rintocco famelico che si aggrappa ad un sorriso che di divertito non ha niente e di sadico ha tutto. E' un lampo, come quel poter che mi attraversa le vene, come un nome che ora è l'unico che debba contare. Come Slater, il cui tono è un cazzo di sollievo; impersonale, puro, limpido senza stronzate di mezzo. La mia identità è un puzzle a cui mancano dei pezzi, e nel riprendermi la stretta e seguirlo fuori, mi rendo conto di quanto sia stato vago Dume nel fare il suo cazzo di lavoro, quello per cui sono andato in capo al mondo e mi trovo ora a sembrare un fottuto pivello davanti a quello che ha già deciso di essere il mio maestro ora. E' un bel passo per me che l'aiuto di qualcuno non l'ho mai voluto e mi costa un dannato ringhio ogni passo che faccio nel tentativo di mantenere alto un ego che è ormai infranto in talmente tanti punti che mi chiedo che senso abbia tenerlo in piedi. L'idea che Dume possa morire per quello che ha fondamentalmente dimenticato di dirmi - ma che sapevo mancasse ed io stesso non ho voluto approfondire - non mi tocca minimamente, non provo niente per quell'uomo ed ora anche il briciolo di gratitudine è andato a fanculo col resto di me che è rimasto in chiesa. E glielo vorrei anche dire a Slater che no, non ho un mantello, non ho una maschera, né niente che sappia celare la mia identità, ma mi ferma, e si ferma. Gli faccio eco qualche passo indietro. Merda, siamo già alle domande intime: ottimo, è proprio quello che non vedevo l'ora di fare, raccontare i cazzi miei così. E lo so che la minaccia di prima non era campata in aria e, porca puttana, non me ne frega nemmeno un cazzo di tenermela per me sta cosa, non del tutto almeno, e quindi anche se la coscienza mi obbliga ad una stretta che serra la mascella e stringe i pugni, lo dico. Dovrei sparargli che "in realtà stavo seguendo una strada che si è rivelata un'inutile merda, quindi guarda non ha un cazzo di senso parlarne, andiamo avanti" ma non è propriamente quello che dico. Raddrizzo le spalle, tendo sempre ad incurvarle troppo, ed è colpa della postura sbagliata quando mi ostino a tenere il microfono tanto più in basso di quanto dovrei e girarci attorno come un dannato. Comunque, «Per spezzare una maledizione» nemmeno mi stupisco di quanto limpido suoni questo ringhio che brucia di frustrazione direttamente le corde vocali che mi ritrovo. Così, quasi le sentissi sollevarsi una ad una. Vorrà sapere di più, immagino, ma finché non ne sono sicuro non vado avanti, non entrerò a mani basse nella vita di Edie perché Slater me lo ha chiesto, seppur saprà vedere quanto importanti siano queste parole per me, e forse perfino cogliere il fallimento che mi agita il petto. Laddove però Josh ha fallito miseramente, Faust dovrà prendersi tutto.
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    Slater
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    Mago Nero
    Spezzare una maledizione. Possibile? È così vicino a Morgan da aver sfiorato la possibilità di essere un candidato nelle mani di Samenar? A questo punto non ha dubbi che la casualità in questo frangente non centri nulla. Già prima di saperlo ne aveva la certezza, eppure adesso tutto ha molto più senso. Un uomo giusto. Joshua non ha mai avuto alcuna speranza di farcela, perché si portava l’ombra torbida di Faust appollaiata sulla sua coscienza come l’incubo di un bambino insonne. Non avrebbe mai potuto spezzare la maledizione, qualunque essa fosse, chiunque abbia colpito in prima istanza. Ed è indubbio che non ne sia assolutamente consapevole. Per un lungo istante Slater osserva la possibilità di dirglielo in quel preciso momento. Non avresti mai potuto spezzarla, perché non sei un uomo giusto. Si chiede quale sarebbe la sua reazione, quale sentimento vedrebbe affiorare sul suo viso. Lo vede spezzarsi dentro se stesso e riversare il suo odio contro di lui e la magia nera, ma lo vede anche sorridere beffardamente in faccia a quell’ironia crudele. Forse glielo dirà, un giorno. Quando sarà legato a sé abbastanza da non rischiare che gli sfugga dalle mani e sia costretto a prendere una decisione drastica per risolvere l’errore di essere stato troppo affrettato. Si sofferma a guardarlo negli occhi per lunghi secondi che uno dopo l'altro falliscono nel tentativo di nascondere l'interesse vorace in cui lo ingoia. Freme di una volontà incalzante che ha molto da dire, ma tace comunque. Poi distoglie lo sguardo e lo porta altrove, lasciando sospesa una conversazione che rimarrà lì finché non sarà il momento, quando accadrà che diventi una scintilla per scatenare una sequela di eventi più interessanti della gratificazione di una curiosità fine a se stessa.
    “Faust”, dice sommessamente lasciando che quel nome si animi con un sottile filo di voce, perché giochi nella sua mente nel richiamare nient’altro che un vuoto inevitabile di conoscenze. Adesso però, lo vede. In piedi nel buio con il suo mantello e lo sguardo impenetrabile nascosto dietro ad una maschera inespressiva, lo vede con quella sua postura, annichilito dentro se stesso, testa china spalle tese fin troppo sollevate e pugni chiusi. Gli piace quello che vede. Così come gli è piaciuto quello che ha visto in lui diverse notti prima, quando ancora non aveva idea di chi fosse con esattezza, se non un mago nero troppo incauto da utilizzare la magia con il volto scoperto. Il velo disteso su quella dimensione aveva riverberato di quella stessa energia distruttiva che tentava di trattenere fuori. “Non usare mai più la magia nera senza la tua maschera. Se non vuoi distruggere Joshua non puoi andartene in giro a fare a pezzi rottami”, si volta appena in direzione della sua macchina per esortarlo. “Non amo perdere tempo quindi prendila, così puoi iniziare a mostrarmi cosa sai fare” e lo farà finché non sarà troppo stanco pesino per ricordare di avere un viso dietro di essa. Ha tutta l’intenzione di consumare la rabbia in cui lo vede bruciare senza estinguersi. Finché si comporterà come una bomba pronta ad esplodere sarà inutile insegnargli ad imbrigilare la sua volontà. Quando sarà finalmente in ginocchio sarà più facile rimodellare la sua mente perché il conflitto e tutta quella resistenza che si dibatte dentro di lui diventino un’arma e non una ragione per sentirsi sopraffatto.
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    Joshua Çevik
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    Cazzo. Mi sta facendo una fottuta radiografia e lo so che è perché le maledizioni attirano indubbiamente una certa curiosità ma ho il sospetto che ci sia molto di più nel suo sguardo. Potrei dirmi molto facilmente che anche di questo mi frega poco, che ci guardi pure nella mia anima di merda e che ci legga il cazzo che vuole, ma non sarebbe proprio del tutto vero. Me lo pianta addosso come se d'un tratto fossi salito su un piedistallo illuminato da chissà quale riflettore. Non posso fare niente che non sia tenere per me ogni dettaglio, ognuna di quelle fottute missioni che alla fine non mi sono proprio servite ad un cazzo perché anche con la corruzione sono arrivato irrimediabilmente tardi. Ripete il mio nome, quello che ora saprò tenermi addosso come la migliore delle armature, come la chiave di un mondo che ho di poco sfiorato ma che ora mi si stringe addosso, invitante come un corpo su cui voglio poter mettere le mani fino ad attrarlo a me. Quello che non mi aspetto, invece, è un riferimento a qualcosa che accaduto quasi un mese fa, quando quella testa di cazzo di Ray ha cercato di farsi uccidere da me sfidando la merda in cui stavo passando e mi ha dato una valvola di sfogo per cui alla fine l'ho pure ringraziato; non ho mai usato il mio sangue tanto quanto quella volta eppure ora è solo fastidio quello che provo. Fastidio per non essermi accorto di essere osservato, di avere due fari puntati su di me e per aver quasi pensato che fosse perfino casuale questo incontro in sta chiesa, ed invece non lo è. Ed ho già come l'impressione che Slater al caso non lasci proprio nulla. La ramanzina passa inosservata, ha ragione ovviamente, farsi vedere in quelle condizioni poteva essere particolarmente rischioso, non fosse per il fatto che allora come adesso non me frega un cazzo se mi tracciano e vengono da me perché li sfido proprio a fare un fottuto passo avanti e morire. Sto esagerando? Può essere, ma ne sbatto ugualmente perché la prima cosa che mi vortica nel cervello è una fottuta domanda che gli devo fare perché sono già più che nervoso. «Da quanto mi segui?» Che è anche l'unico modo che ho per chiedergli cosa sa di me, così da evitarci stronzate per cui io non gli dico qualcosa ma lui la sa lo stesso, sarebbe una perdita di tempo che proprio mi farebbe girare le palle più di quanto non siano girate ora, ed ora lo sono parecchio. Non riesco a percepire la minima lusinga, ad ora, nel pensare che invece di essere io ad aver accettato qualcosa di sensato per me, sia lui che mi ha scelto da prima. E per sua immensa fortuna, deve aver trovato proprio un allievo del cazzo perché tra le tante mancanze di Dume e mie, c'è anche questa: «Non ho nessuna maschera, e nessun mantello.» E glielo vorrei far vedere sì di cosa sono capace ma ora penso che anche lui sappia rendersi conto che mancano i presupposti e mi urta particolarmente il cazzo percepire un senso di inferiorità così radicato da alterarmi i battiti ed il sangue che mi ribolle nelle vene. Ho studiato i maghi neri prima di trovarmi al cospetto del mio iniziatore, ovviamente, ho fatto le mie ricerche e lo so che nascondere l'identità è importante quanto saper controllare i propri poteri, eppure sono qui come un cazzo di pivello e già me lo posso immaginare come si volterà verso di me ora e magari si renderà conto che non vale la pena sprecare del tempo con me che finirò comunque per fare la cazzata finale della mia esistenza molto, molto in fretta di questo passo.
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    Slater
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    Mago Nero
    “Non ti ho mai seguito” ed è per questo che sei così interessante. Oserebbe dire singolare, ma non è la prima volta che coincidenze di quel genere s’intrecciano con il suo cammino per mostrargli la direzione in cui volgere gli occhi. Adesso guarda esattamente dove dovrebbe e anche se forse Faust non sarà mai davvero utile quanto spera che si riveli, la verità è che è impossibile negare il modo in cui si stia dimostrando capace di attrarre il suo interesse.
    Slater non ha la capacità di percepire i mutamenti del velo come avviene per Lucius, ma può sentire il diffondersi di energia nera attraverso le sue trame per slargarne l’intessitura. E quando ha sentito così vicino la magia nera tirare quegli stessi fili e spezzarli uno dopo l’altro per richiamare un frammento di caos dentro questa realtà, non ha potuto fare a meno di esserne attratto anche lui e trovare Joshua a giocare come un bambino in mezzo al fango. Si era ripromesso di non perderlo di vista, ma così era successo, l’episodio non si era ripetuto e la singolarità si era dissipata in una foresta di milioni di altre simili. “Se sono nei paraggi so quando qualcuno usa la magia nera in quella maniera”. Tuttavia in quel momento non era bastato. Si rimprovera di aver lasciato correre un dettaglio così importante, ha rischiato di farsi sfuggire un’opportunità, ma come tutte le cose veramente importanti è difficile che passino mai davvero inosservate, si ripropongono con insistenza. E forse senza quell’occasione, quella notte, nemmeno questa volta si sarebbe soffermato a dovere. Invece lo ha riconosciuto. E a quel punto è stato pronto a cogliere il messaggio.
    Torna ad osservare Faust aspettandosi che si muova, nel suo sguardo si può notare quella nota di sollecitazione che però, rimane insoddisfatta. Quando diventa chiaro il motivo Slater non può che rimanere perplesso per il modo in cui possano essere tanto approssimativi gli esseri umani. Allunga una mano sbrigativo per toccare la spalla del ragazzo e trascinarlo al di là del buco nero che lo risucchia ogni volta.
    Nel negozio di maschere un’ombra scura vortica su se stessa e poi scompare in un istante lasciando al suo posto i due maghi. Slater scioglie la presa sul ragazzo e arretra per dargli lo spazio necessario a guardarsi intorno. Il negozio è grande, in modo forse disorientante, ha quella tensione di mistero che manca al mondo dei no mag. Su ogni lunghissimo scaffale ci sono tante maschere quante possono esserne immaginate da un essere umano. Ogni settore è organizzato per cultura, materiale, fattura, rarità e abilità in un intrecciarsi elaborato ma accurato di corridoi e incroci.
    “Qui prenderemo la maschera, il resto per il momento posso dartelo io”, i suoi mantelli e le sue protezioni sono tutte accuratamente conservate come la prima volta in cui sono state indossate, la perfezione si nasconde anche nella percezione che gli altri possono avere della tua immagine. Ci crede fermamente, se così non fosse, la maschera di un mago nero non sarebbe tanto importante. “Alcune persone scelgono la maschera in base al proprio nome, o per l’aspetto di una creatura mitologica che sentono vicina, di un animale, del proprio totem, o per via di un legame con il loro passato”, comincia a camminare tra le maschere senza fare grandi passi, vagando giusto tra le infinite possibilità che senza un volto da nascondere non sembrano poi così significative. Ne sfiora qualcuna casualmente, per alzarne il bordo e vederla meglio alla luce del negozio. “Ognuna di esse ha una sua abilità in base al significato che sei in grado di dargli, altre sono incantante, devi solo decidere che cosa vuoi che vedano le tue vittime e chiedere al fabbricante” e non è una cosa semplice perché riguarda molto più da vicino chi è davvero Faust di quanto non saprà mai dire a parole Joshua Çevik. Gli apparterrà come quel viso appartiene a lui e alla fine guardandolo sarà facile vedere due persone completamente diverse.
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    Joshua Çevik
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    mago nero
    26 anni
    Ok, Slater è un pezzo forte del lato oscuro. Messaggio ricevuto. Adesso lo so, perché io non sono minimamente in grado di fare quello che ha detto tanto che se qualcuno usasse la nostra magia non saprei accorgermene se non guardandolo direttamente. Ma io faccio anche fatica a capire come cazzo usarla quindi non è le cosa sappia stupirmi eccessivamente. Dovrei chiedergli per quale motivo non stia voltando i tacchi e invece insista nel rimanere qui, che tanto alla fine il destino di chi mi sta accanto è quello di andarsene, e che lo vogliano ammettere o meno andrà esattamente così. Quindi sì, stringo i denti e mi becco quello sguardo che di solito mi piace rivolgere agli altri ma che odio sia rivolto a me: quello che dichiara che sto già praticamente disattendendo le aspettative e vorrei dirgli che non sa neppure quante volte capiterà se vorrà gravitarmi attorno per davvero. Eh già amico, non hai proprio puntato su un cavallo vincente, lasciatelo dire. E' più o meno questo lo sguardo con cui ricambio il suo anche se lo so che non è tutto perché il mio formicolio nervoso non ha fatto altro che agitarsi fino ad adesso ed ora sta letteralmente impazzendo come una bussola che non sa più dove il sia il fottuto nord. E, a dir il vero, penso di non saperlo nemmeno io. Penso che, in questo sospiro che mi abbassa le spalle, ci sia spazio solo per Faust e la sua voglia di divorare ogni cosa sul suo cammino, di diventare un incubo per gente di merda che pensa di fottermi ancora ed a ripetizione come fossi una puttana di un motel, e poi scappare senza neppure pagarmi. Quindi fanculo. Il tempo che impiega ad a trascinarmi con sé ha la durata di un battito di ciglia che non mi dà neppure il tempo di un "ma che cazzo?" e mi lascia invece senza parole quando mi trovo in un negozio che non riconosco, ma che in qualche modo mi reclama. E quando qualcosa del genere mi parla, sul serio, io lo ascolto. Il ricordo della mia frustrazione terrena si astrae un attimo e resta fuori da una porta che non abbiamo mai varcato, solo per dare spazio alla mia curiosità di farsi i cazzi suoi in giro per il negozio. La voce di Slater è come quella di un narratore, mi accompagna nel mio sfiorare gli scaffali mentre in realtà sto immagazzinando ogni dato che mi dà in pasto, perché questo lo so fare e posso farlo anche alterato come sono. C'è ben altro qui dentro, c'è potere. Di posti simili ne ho visti, ci sono circoli in cui sono rimasto settimane che conoscevano questi antri dedicati alla magia più antica, più grezza a volte, ma niente - ve lo dico io - ha saputo farmi rimanere così a lungo ad ammirare la fattura magistrale di qualcosa. Ho sentito parlare del Fabbricante di Maschere, ma cazzo con i casini della mia vita non ho proprio avuto mai il tempo di chiedermi dove fosse o decidermi di andare a trovarlo per imbrigliare la mia identità in qualche modo. Non mi sono mai identificato in nessuna creatura, non ho mai scelto un totem perché niente delle loro simbologie è mai servito a definirmi, però a questa domanda so rispondere è solo che quando me la fa resto fermo. Fermo ad un passo dalla maschera di una pantera. Che ironia di merda ha la vita per dirti qualcosa. Non oso neppure sfiorarla, tanto mi si irrigidisce la mascella. Edie è così presente nella mia vita, nella mia mente, e nel mio cuore che l'ultima cosa che voglio è che altri possano vederlo, che possano intromettersi nella mia cazzo di esistenza e portarmi via anche l'ultima luce che la illumina. «Voglio che vedano le stronzate che hanno fatto, che si specchino nel rimpianto delle loro esistenze di merda e che non ci provino a fare un passo verso di me senza prima aver implorato che io ripulisca loro l'anima di merda che si ritrovano. Non devono vedermi, nemmeno in un profilo che non sia un cazzo di lampo che glielo vuol solo far dimenticare. Non devono ricordarsi di alcuna figura, animale, o totem. Ho bisogno di uno specchio che faccia questo coprendo il mio volto.» E più guarderanno a fondo nella loro anima e più quegli stronzi sapranno che hanno sbagliato fin dal principio a pensare a me quando loro sono sempre stati il fottuto problema fin dall'inizio. Non ho bisogno dell'approvazione di Slater, ma so che è questo ciò che mi serve ed è quello che chiederò al fabbricante perché niente dei simboli che propone - che potranno andare bene ad altri, sicuramente - fa al caso mio.
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    cornish accent neutral accent — voice voice
    black magician — mask creator — templar knight
    Sentì la porta aprirsi per il pagamento di sangue che richiedeva, e quel segnale, il fattore scatenante dell'abitudine, gli fece posare la maschera sul banco da lavoro, nel retro del negozio che faceva da collegamento per le due diverse facciate della sua attività. Indossò la maschera, quella "da lavoro", che modificava la sua voce tanto da cancellare anche ciò che di norma era incancellabile, come il suo accento della Cornovaglia, pesante come le espressioni che gli venivano automatiche, anche quelle reduci della vita passata a Sennen Cove che si era scritta nella sua stessa carne. Per quelle, però, per le espressioni, bastava solo la faccia coperta. Superò la tenda dietro il bancone richiudendola subito alle sue spalle, lasciando che di nuovo fosse tutto nero. Era raro che andassero in due nel suo negozio, probabilmente per il mero fatto che vendeva maschere, ciò che doveva nascondere un'identità, celarla perché nessun altro la conoscesse. Essere in due significava se non altro condividere uno di quei segreti che potevano essere rivelati solo a qualcuno verso cui si riponeva estrema fiducia. Oppure, in casi purtroppo più rari nel suo lavoro, semplicemente si trattava di qualcuno che non aveva intenzione di fare nulla di così male. Non palesò subito la sua presenza, i suoi occhi viaggiavano incuriositi sui due clienti. Uno, conosciuto, l'aveva visto in precedenza, e di per sé aveva tratti che accendevano la sua curiosità che si nutriva delle immagini fino a formarsene storie inesistenti, che erano l'equivalente di un pasto. L'altro, un ragazzo, era la prima che lo vedeva, ma anche solo per il fatto che era parte di quel quadretto bizzarro, sapeva incuriosirlo. Li osservò restando immobile, carpendo quello che era un discorso che immaginava avrebbero poi rivolto a lui, un discorso a dir poco sanguinante. Non conosceva altra parola per definirlo, ma quello era il punto di partenza per una maschera ben più che reale, una maschera che rappresentava esattamente ciò che di affascinante trovava nel suo lavoro. Aveva studiato a lungo le maschere e la loro fabbricazione, comprendendo come quelle che davvero erano valide fossero solo quelle che coglievano il preciso scopo che avevano: rappresentare l'identità in modo così profondo da mutarla nella sua stessa forza e maledizione, da non rinchiuderla in un'idea nebulosa, ma darle corpo, anima, voce. Bramava di poter creare quel genere di maschere, sfidanti e reali, il problema era che in un esercizio come il suo quella era un'eventualità più unica che rara. Fu quella curiosità a spingerlo lontano dal bancone, verso quelle maschere che si erano soffermati a guardare. «Posso fare una maschera che sia precisamente così». Non sapeva davvero se fosse possibile fino in fondo, era un lavoro molto complesso, ma proprio per quella ragione incredibilmente interessante, sfidante. Lo faceva sentire vivo, e per questo non si curò di risultare invadente in quella che non era una conversazione nata con lo scopo di includerlo. «Come materiale quello di uno specchio sarebbe incredibilmente difficile da lavorare, fragile. Quello che mi preoccupa di più è che può risultare scivoloso agli incantamenti. Ma posso ovviare a tutto con una base di metallo, trattare la superficie perché sia uno specchio».
    i have no special talents. i am only passionately curious
     
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    Uno specchio. Mi rimane incastrato nel cervello il concetto di questo, del riflesso che nessuno vuole vedere di sé e che è precisamente ciò che ho visto io quando Edie ha lasciato il mio appartamento ed io mi sono riflesso sulla superficie piatta in salotto. La peggior variante di me, l'immagine destrutturata di una missione andata in frantumi dentro un corpo troppo stretto per contenerla. La vergogna di un pensiero che a voce alta non mi uscirà mai, e che è stato il primo su tutti a prevalere. Pensando a come mi sono sentito, cosa ho provato a quanto vicino sono andato all'idea che la mia inutilità sapesse diventare l'unica realtà vivibile, ho parlato, ho chiesto. Non ho mai avuto modo di pensare ad una maschera fino ad ora, credevo avrei impiegato del tempo per scegliere, per ragionare, magari sfiorando ognuna delle creazioni che sfilano sotto il mio sguardo attento, eppure no. No non ho avuto bisogno di niente che non fosse accettare il mio pensiero, il mio desiderio e quello che credo debba ben riflettersi nell'identità di Faust, del mago nero che ho scelto di diventare pur trovandomi ancora a troppi passi da lui. Salvaguardare me, significa tenere Edie al sicuro da chiunque possa rintracciarmi nel camminarle a fianco, perché lo so quello che il sangue chiede, il pegno della corruzione, e so che mi porterà a compiere azioni che mi impedirebbero altrimenti di muovermi ovunque senza problemi. Mi serve una maschera, sì, mi serve lo specchio di Faust. La voce mi raggiunge dopo un fiotto di parole che è puro istinto, e mi volto con calma verso la figura che si avvicina. Così questo è il Fabbricante di Maschere, e ammetto che il non perdersi in convenevoli è qualcosa che apprezzo parecchio, soprattutto quando non ce ne sono che possano servire ad intrattenere una conversazione che non deve avvenire. In realtà avrebbe potuto dirmi che le mie cazzo di idee sono irrealizzabili, e lo avrei accettato perché non so come funzioni il suo lavoro, ed invece viene fuori che può con dei dovuti accorgimenti che fanno parte del suo mestiere molto più che del mio. Annuisco, ha tutta la mia attenzione. «Mi sta bene» uso un tono neutro che sappia non essere condito da inutili puttanate di contesto, quanto più dalla sostanza di una praticità che vale più di mille riverenze.
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