Raven

Josh & Edie | 2 Novembre | Casa di Edie

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    Ho ucciso un uomo, Edie.
    Ed è la sola cosa a cui penso da ore, mentre guardo il soffitto che cade a pezzi e mi chiedo se non finirò sotterrato qui dentro. Forse sarebbe la cosa migliore per tutti, ma no, non per te e non per me. La cosa migliore per noi due è che io alzi il culo dal letto, mi faccia una cazzo di doccia e venga da te come ti ho promesso, perché la nostra storia non è finita ed io temo che sia solo appena iniziata. Non credo sia uno di quei racconti che vorrai far leggere a mio nipote. Io lo ricordo come è morto, ricordo le mie mani che si sono mosse con una precisione di cui ancora vado fottutamente fiero, lo sai? Sì io sono stato fiero di quello che ho fatto e per un motivo che non ti potrò dire mai, perché so già come sia facile per te addossarti la colpa di ogni mio passo falso e questo, credimi, non è falso è giusto... lo è in un modo immorale, forse, ma lo è. Te lo dico sempre che combatterò per te con ogni fiato sappia restarmi incollato nei polmoni e non è qualcosa che saprai come impedire. Ha anche ragione Slater, e me lo ripeto - ne ho bisogno ancora - mentre mi guardo allo specchio e mi chiedo chi cazzo sto guardando. Sono ancora il tuo Josh? Sì, certo che lo sono ma dovrò esserlo anche più di prima perché non basta, non posso permettermi di allontanarsi oppure ogni cosa sarà vana, ed allora sì che staresti meglio senza di me. Mi osservo per un tempo che non ha senso, come se da qualche parte io stessi cercando un punto debole, qualcosa che sveli Faust a te prima del tempo, e sarà un tempo lunghissimo questo, lo so. Controllo, come se dal mio volto ad un certo punto potesse colare la maschera che ho costruito, che il Fabbricante ha creato come gli ho chiesto di fare. Non accadrà perché tu non ti specchierai mai lì dentro, te lo assicuro Edie sarai sempre nel posto giusto quando sarai con me. E' una promessa che sono stato così stronzo da non riuscire a mantenere fino ad oggi. Ma ora le cose devono cambiare, ora non ci sarà alcuna debolezza quando ti parlerò dal cuore e sarò così convincente che non sarà difficile per te credermi. E non voglio dire che non lo farei se fossero diverse le cose, o che non voglio farlo: è la sola via da percorrere, e la seguirò per noi. Ho sbagliato in tante cose, ma non ci saranno altri errore che ti trascineranno lontano da me, adesso basta. Adesso ho finito di credere di non poter essere due lati della stessa medaglia, io devo esserlo e lo sarò. Avrai da me quello che Josh può dare, tutto e sempre, ma non ti farò sfiorare Faust neppure con un dito perché l'ho visto di cosa sono capace ed allora forse il piedistallo su cui mi tieni crollerebbe a quel punto. Permettere che succeda è contro tutto ciò per cui mi batto da quando so che toglierti la maledizione non è bastato a salvarti. Ti fiderai di me anche se sono un pezzo di merda, e questo mi uccide un po' più di quanto dovrebbe, ma va bene, va bene perché è l'unico modo per sopravvivere e noi Çevic sappiamo fare solo questo: sopravvivere. Ho aspettato che mi scrivessi che stavi tornando a casa ed avevi chiuso il tuo Pub, e ieri non ho avuto la capacità di chiederti niente, perché ieri ho ucciso un uomo e tu non lo sai. Quindi ora sto arrivando, ho indossato il Josh che meriti ti stia accanto, quello che non sarebbe capace di affondare una lama tanto a fondo in un uomo da trafiggere ogni organo interno. Non ho dormito molto stanotte, sono sincero, non l'ho fatto perché come cazzo avrei dovuto dormire? Male, per forza, eppure non troppo da dirmi di aver commesso un errore. Non ho dormito perché mi è piaciuto essere Faust come lo sono stato, preciso, forte, in grado di tirar fuori ogni stilla vitale da quello stronzo che tanto somiglia al tuo Morgan. Però è un'altra cosa che non saprai, perché il tuo Josh non potrebbe fare niente di simile, quindi no, non te lo farò vedere questo lato di me ed avrai quello di cui noi due abbiamo bisogno: pace, e le mie scuse ancora una volta. Non puoi capire quanto saranno vere quando ti dirò che mi dispiace, perché cazzo mi dispiace di tutto Edie. Mi dispiace doverti fare questo e mi dispiace che tu non potrai avere di nuovo tutto di me, ma va bene così perché non sentirai mai la mia mancanza, te lo giuro, mai. Salgo le scale tra un respiro che si fa più pesante dell'altro, e sento un vuoto che è gelo nel cuore. E' il posto che occupa Faust, lo so. Osservo la tua porta, e mi ricordo ancora di quando mi sono precipitato qui incazzato a morte dopo la festa da Chrys, cazzo se potessi riavvolgere il tempo tornerei lì e ti porterei a casa con me, senza permetterti di allontanarti fino ad arrivare a questo punto con lui. Cazzo ho studiato anche questo e so che non posso farlo, quindi non mi resta che bussare alla tua porta e capire se c'è ancora una parte di te che è troppo incazzata con me. Sono colpevole di una cosa in più di ieri ed in meno di domani, e tanto mi basta perché tu lo veda quando mi apri che sono felice di vederti ed ho qualcosa che preme nello stomaco. «Ehi» Alla fine non riesco a fare come te, non riesco ad entrare con un sorriso che non sia appena più mite o con una battuta che rompa il ghiaccio, noi su questa lastra ci camminiamo ed io voglio assicurarmi che tu stia bene. Però mi conosci sai che mi sto ancora preoccupando per te, per come te ne sei andata da casa mia e per tutto quello che non so e che vi siete detti tu e lui ieri. Mentre io uccidevo un uomo. «Come è andata? Come stai?» Devo saperlo in assoluto come prima cosa. Adesso Edie.
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    Non so come o perché, alla fine, finisca tutto per essere sempre così, un po’ rovinato, quando anche nel sorridere alla fine si sa sempre che ci sono crepe che vanno a fondo. Un po’ me lo sono chiesta, fra ore di silenzio, com’è davvero il sapore di quel tipo di felicità che non penso proprio assaporerò mai, che non è fatta per persone come noi, ed è quella che senza nessun se e nessun ma non porta altro che sé stessa. Eppure è solo uno di quei pensieri che alla fine ho ucciso, come ho fatto tante volte nella mia vita, consapevole che chiedermelo non fa altro che scavare un solco, e poi un altro e uno ancora, finché non mi troverò ancora una volta con troppi crepacci che forse non sarei capace di saltare. Quindi non me lo sono chiesta più, e penso di aver semplicemente accettato che invece, la mia vita è come annaspare in una tempesta, durante un naufragio, e sapere che in ogni istante le onde potrebbero portarmi giù, e lo fanno, togliendomi il respiro senza dirmi quand’è che potrò prenderne uno nuovo. Allora ogni boccata diventa importante, vitale, e so aggrapparmi a quella più che a tutto il resto, anche se c’è fuoco che danza nella stanza e abbraccia il legno per tramutare tutto in una pira, esattamente come quella che ho visto neanche due mesi fa. Una pira, penso che sia il modo del mio cervello di dirmi che anche se mi racconto che non ci sto pensando più di tanto, in realtà lo sto facendo eccome. Sto pensando ad una pira, ed un corpo che le sta sopra, in un saluto di cenere e fiamme. E sto pensando anche al fatto che c’è un dopo, e sto pensando a Josh, e sto pensando a tutto quello che proprio non va bene nella mia vita, ma che non si può cambiare sul serio, e non posso far altro che guardare, ancora una volta, tutto crollare. Sì, penso sempre che avrei preferito essere io quella che se ne va, io quando così non avrei dovuto leggere i segni di tutto quello che succede, e non avrei dovuto sopportare sacrifici che tengo costretti nel mio stomaco, e non sono miei ma sono qui, fermi nelle mie ossa, con il peso di colpe che imparerò a non far respirare perché non diventino sussurri, gesti, punti scuri negli occhi che non sanno promettere altro se non che qualcosa affondi, anneghi, e non sappia più ritrovare nessuna superficie. Io non mi sono mai preparata ad essere quella che resta, e lo so quanto suoni orribile anche per me stessa, ma è una realtà che non posso negare solo per fingere di essere almeno un po’ migliore di quel che sono. Ma per una vita ho avuto sale, e non ho altro da premere sulle ferite. E forse dovrei essere arrabbiata, forse non avrei dovuto esserlo neanche per un secondo, ma alla fine del giorno, so solo che vorrei sfilarmi via da me stessa, ed essere capace, come non sono, di prendere tutto fra le dita e dire che andrà bene. Non lo farà, ed era quel tipo di sensazione che quasi avevo scordato, quasi, ma che adesso mi sembra quasi come tornare ad una casa distrutta che credevo non avrei rivisto mai più, e invece posso attraversarne quelle stesse stanze ancora una volta, anche se riflesse, rovesciate, senza più quel senso che avevo imparato a conoscere, ma con uno nuovo. E posso dirlo che, nonostante tutto, so sentire anche quel tratto di me che ascolta i secondi, e lo sa che da un momento all’altro da quella porta entrerà Josh, come ci è entrato tante di quelle volte. E la verità è anche che adesso so di detestare anche questo posto, questo appartamento, tanto quanto lo amo. Ma non importa niente, perché niente può essere risolto se non una sola, piccola, enorme cosa. Quell’unica che mi è rimasta, quell’unica che mi resterà anche quando tutto sarà finito, e avrò solo l’eredità di qualcuno che vorrei poter almeno dire sarà andato, ma so adesso che no, non sarà andato. Non sarà mai in pace, Morgan. Non c’è neanche un briciolo di consolazione a cui potersi aggrappare per diventare, all’improvviso, una di quelle persone che lo sanno vedere quasi mezzo pieno il bicchiere. Il bicchiere è a terra, l’acqua ha impregnato il tappeto, e ci sono frammenti di vetro ovunque, e tutto quello che posso fare è imparare a camminarci sopra e ignorare quanto facciano male quei pezzi mentre frantumano la carne per andare sempre più in fondo. Sì, penso ancora che vorrei della vodka, o una sigaretta, o entrambe le cose, e lo so quanto sappia essere un impulso asfissiante, ma adesso mi concentro perché li sento i suoi passi proprio qui fuori, e ho bisogno di avere sul volto un’espressione che sia più neutra, più tranquilla, o semplicemente meno qualsiasi cosa sia adesso. Mi sposto per andare ad aprire la porta spostando già lo sguardo li dove so apparirà quello di Josh oltre il legno, in un gesto che è solo la naturalezza di anni e anni che abbiamo trascorso insieme, fianco a fianco, senza mai davvero null’altro se non noi due. Lascio andare un respiro appena lo vedo, e lo so che so sentirmi così terribilmente simile a mille e mille me più piccole, strette in quel semplice bisogno di avere una bolla che potesse essere un respiro, ma adesso è diverso. Non posso consolarmi in quel pensiero che dice che, tanto, smetterà tutto. Continuerà. Lo farà per me, per Josh, per Morgan. Non smetterà proprio niente, ed è forse questa la cosa peggiore di tutte. «Hey» lo bisbiglio spostandomi abbastanza per farlo entrare, richiudere la porta con un gesto che mi fa alzare le spalle e che mi lascia, poi, semplicemente di fronte a lui, con gli occhi che tornano sul suo volto mentre cerco di tenere le labbra dritte, azzardandomi quasi ad un sorriso che so già quanto sembri spento per lui. Ma non penso neanche che si aspetti che sia un tripudio di gioia ora come ora. «Com’è andata...» me lo premo fra le labbra con un gesto della testa che lo invita dentro, dove mi sposto anche io per raggiungere il divano e lasciarmici sopra, alzando ancora le spalle nel guardarlo. «Come vuoi che sia andata, abbiamo parlato. Sto... sto, sono successe un bel po’ di cose tutte insieme» lascio andare un respiro che soffio fra le labbra, leggero eppure con una nota che sa farsi acuminata. «Vorrei fumare una sigaretta, ma non posso, sto pensando di darmi ai cerotti alla nicotina, anche se non so se sono consigliati in gravidanza. In alternativa, posso provare con un eccesso di zuccheri e sperare che abbia qualche tipo di effetto» sì, lo so che sono in uno di quei momenti in cui inizio a dire cose stupide, senza senso, come se cercassi di allontanarmi da un punto perché non voglio finirci dentro e far vedere a tutti quanto sia grande e abissale per me. Non voglio farlo vedere a nessuno, direi che ho fatto già abbastanza con questa cosa di persone che si preoccupano per me.
     
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    Mi fa male al cuore vederti così. È anche colpa mia, che nel volerti tenere lontana dal dolore, ti ho spinto contro una porta chiusa, sigillata. Sapevo cosa stavo facendo, quindi adesso dovrei tenere dritta la mia fottuta spina dorsale e dirmi che quello che sto vedendo è il risultato di qualcosa che nel fare male oggi, non lo farà domani. Ci provo, con tutto me stesso, anche se il cuore sanguina e la sola cosa che vorrei dire è una promessa che non so mantenere. Andrà tutto bene, ci sono io, ci sarò sempre io. Sarebbe un sussurro che nel tono basso che imprimerei non potrebbe darti modo di pensarla diversamente, come quando appoggiavo la fronte alla tua, ed eravamo piccoli, solo per chiudere gli occhi e trovare il coraggio di pensare ad un mondo che sarebbe stato per una cazzo di volta ai nostri piedi. Invece ora quei cazzo di piedi ce li ha messi in testa e non so più quanta pressione saremo in grado di sopportare. Ma io ti darò tutto quello che meriti davvero, a costo di fare mille altre volte quello che ho fatto ieri, sarò qualcosa che potrà garantirti tutto e perfino che io possa restare con te tutto il tempo che vuoi, tutta la vita. Ti guardo negli occhi e provo solo ad evitarti lo sguardo che non voglio rivolgerti. Sei il mo mondo così tanto che se in questa stanza stai male tu, non posso stare bene io. Non voglio. Lo so, ok, lo so che sono passati solo due giorni dal peggior Halloween della nostra vita e non mi sarei mai aspettato di vederti felice o perfino raggiante com'eri quando hai bussato alla mia porta. Però questo fa male e lo fa ad un livello così profondo che non vogliamo traspaia seppur sappiamo esistere. Vive nell’ombra che il cuore getta sulle costole, se mai qui dentro ci fosse abbastanza luce da proiettare una così grande. È così debole il tuo sorriso che non posso evitarmi di imitarlo con qualcosa di simile sul mio volto, e un po’ è anche perché continuo a sentirmi in colpa per così tante cose che non so da dove iniziare. Non ho mai dubitato che mi avresti fatto entrare eppure mi sembra di essere un intruso che si guadagna la tua fiducia. Devo togliermi questa cosa dalla testa o non è sarò capace e, Edie, forse è meglio che io sia capace di farlo, ne converrai quando potrai conoscere tutto, non stasera. Non quando prendo un respiro profondo nel chiudermi la tua porta alle spalle e lasciarti lo spazio con cui ti muovi in questo appartamento che conosco come le mie tasche. Mi tormento le labbra e mi scopro un cazzo di idiota nel cercare curve che ancora non puoi avere. Ma lo faccio senza che tu lo sappia, solo quando non presti attenzione a me perché stai cercando le parole con cui dirmi cosa è successo. Oh Edie... avete parlato e non serve che tu mi dica cosa vi siete detti o quale sia il risultato perché, cazzo, lo vedo. Ammetto che ho sperato che le cose sarebbero andate diversamente e l’ho fatto anche quando Slater mi ha mostrato questa come via da percorrere. Sono arrivato a dirmi che forse quel maledetto di un Crain avrebbe avuto la forza di allontanarti adesso e invece lo so che anche se avesse voluto tu non glielo avresti permesso. E non lo hai fatto, glielo avevo detto. Lui nemmeno aveva idea di quanto fossi finita dentro a questa cosa prima ancora che ne fosse cosciente. Avrebbe dovuto ascoltarmi e ci saremo risparmiati molte stronzate ma no, abbiamo smesso di parlare di questo, te lo prometto in uno sguardo che sollevo per non sembrare che io sia sempre un cazzo di avvoltoio ogni volta che ti vedo. E si, si certo che lo sono questo non potrà cambiare mai nella vita. Ma ti do spazio, un pochino almeno finché non inizi a cercare scappatoie a qualunque cosa seria io saprò dirti e sai che c’è? Che mi sta bene, Cristo Edie è l'unica cosa che serve anche a me per tirare il fiato, prendermi questi respiri che mi sono strappato dal petto tutta la notte. E non puoi vedere quanto io sia stravolto ma lo sono ed adesso l'unica cosa che mi sembra sensata è raggiungerti e spegnere le aspettative del mondo su di noi ancora per un po'. Se sapessi quante cose davvero sono successe in due cazzo di giorni, beh.. beh forse in realtà ora non saresti qui con me, ma non ci voglio pensare adesso. Adesso hai me, Josh, e sono qui per copiare i tuoi gesti e lasciarmi cadere sul divano accanto a te, nella posa più classica che tu conosca, con una caviglia appoggiata al ginocchio e mi lascio andare un secondo alzando lo sguardo al soffitto. «Nope, niente cerotti e non pensare alle sigarette elettroniche, sconsigliate anche quelle... » sto scherzando, anche se ti dico tutte cose vere ma lo faccio perché vorrei che bastasse questo per farci tornare un po' indietro nel tempo, ti guardo di lato e te lo imprimo negli occhi questo mezzo sorriso che sta a dirti che insomma, adesso che hai la bicicletta devi pedalarci bene su. «Mentre per l'overdose di zucchero... » fingo di pensarci al fatto che te lo lascerei fare anche se no, sappiamo entrambi che sarò un chiodo nella schiena per tutta la tua gravidanza perché mi sono informato e non voglio che nemmeno per sbaglio tu riesca sabotare una cosa che potrà darti forza per sempre, forse anche quando io non ci sarò più. «.. perché pensi che io sia qui, mh?» Alludo chiaramente che il tuo eccesso sia io, tanto che allungo il braccio lunga la testiera del divano e ci provo a darti abbastanza fastidio pungolandoti una spalla, nel volerti trascinare vicino a me. La verità è che vorrei appoggiassi la testa sulla mia spalla, un po' come in quel "sempre" che non ci è mai calzato della misura giusta, così anche solo per parlare di stronzate il resto della sera, perché devi saperlo che io ci sono e non ti permetterò mai di dimenticarlo, non ti allontanerò più da me, mi è bastato. «Come le vedi le birre analcoliche?» "Piuttosto bevo acqua sporca dell'East River", lo so già ma per un secondo mi lascio trasportare dall'idea che niente potrà separarci sul serio. Tutto ha comunque in retrogusto amaro, triste nel non essere al massimo della nostra forma.
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    Vorrei, per un secondo, che potessimo tornare a quando eravamo bambini. Prima di mamma, prima di me, prima di tutto, quando ancora in bilico non avevamo girato le nostre carte, e non sapevamo se la nostra sarebbe stata una mano vincente o meno. Non lo è stata, ovviamente, ma lì, in quei giorni, potevamo davvero far finta di niente, e pensare solo che nell’incertezza potevamo davvero scegliere come sentirci. Vorrei tornare lì, ma non è una cosa possibile e se anche lo fosse non lo rifarei, perché non vorrei mai ripetere tutto il resto della nostra vita. Solo quei piccoli frammenti, nel loop di un giradischi rotto che non avanza, ma torna sempre sullo stesso punto, ma questo è solo un desiderio che adesso esiste perché, al contrario, lo so io, lo sa lui, lo sappiamo entrambi quanto tutto sappia essere pesante. In modi diversi, ma che poi sanno essere gli stessi quando, alla fine, non siamo mai stati così bravi a non prenderci anche quello che succedeva all’altro per farne qualcosa che ha una proprietà che nel nostro singolo. Le cose belle, sono bellissime, perché possiamo dividerle e amplificarle, ma quelle brutte lo sono altrettanto nel loro negativo, come acque salmastre che non ci lasciano scappare e ci costringono a passi che si trascinano con forza uno dietro l’altro. Non posso tornare a quei giorni, e lo so che tutto quello che abbiamo sempre avuto, da un momento in poi, sono stati solo frammenti nati dalla decisione di avercelo uno spazio in cui allentare un po’ quella pressione che con così tanta costanza, sembra volerci atterrare da sempre. Avremo questo. Me lo ripeto, ancora ed ancora. Avremo questo. Sempre e in ogni caso, anche se il nostro questo è una resistenza continua che ci lascia sempre più scarni, e con sempre più pezzi che si staccano dal corpo per essere solo cocci che si disseminano ovunque, e io non sto aiutando nessuno così. Lo so adesso come lo sapevo ieri, che tutto quello che posso fare è alzarmi sulle mie gambe e almeno far credere che io possa farcela, che ormai posso farcela a fare tutto. E probabilmente è anche vero, ma so anche di come vorrei solo che non dovesse essere così. Vorrei non dovercela fare e dover lottare, vorrei che Josh non dovesse farcela e lottare, e che potessimo solo prenderci quello per cui lui ha lottato, che sia una di quelle vite così maledettamente banali da stancare, ma che penso io e lui sapremmo accettare se ci fosse data. Ma non abbiamo questa opzione, e possiamo solo decidere se farcela con quel poco che ci è concesso, e lo so che decideremo sempre di farcela, perché non possiamo buttare tutto via. Io non posso farlo. Non posso buttare via gli sforzi di Josh, il suo sangue Corrotto, non posso buttare via il tempo di Morgan e l’eternità che lo aspetta, posso buttare via solo quello che mi rende debole ancora oggi, ma che domani dovrà essere sepolto. Premo una mano sullo stomaco e lo so, lo so che la mia testa si sta già aggrappando a questo mentre lo guardo, si sta già aggrappando al pensiero che se anche è tutto destinato ad andare male, per noi, almeno sarà per questo. Per questo lui, questa lei, che non ha idea di quanto è stato dato via perché potesse essere una possibilità concreta. E guardo Josh, e mi chiedo se sarò mai capace di guardarlo sorridere davvero, se esisterà mai, ad un certo punto, un momento nel nostro futuro più lontano in cui girandomi per incrociare il suo sguardo, saprò trovarci qualcosa di leggero, e senza tutti quei pesi che gli occhi glieli trascinano su un fondale che anche se così diverso dal mio, cerco e cerco ancora, solo perché almeno, lì giù, potremo essere capaci di farci compagnia. Mi passo l’altra mano sul volto, in un gesto leggero mentre sento un suono scivolare dalle labbra come uno sbuffo, che penso sia la cosa più vicina a qualcosa di vagamente simile ad una risata che io possa produrre in questo momento, ma almeno ci sto provando. Anche se non so come si fa, e tutto quello che penso è che prima o poi, prima o poi arriverà un momento in cui mi sembrerà che non posso fare proprio niente, e che alla fine sarò solo colpita come lo sono stata tante altre volte nella mia vita, e me lo chiedo se anche allora potrò allungare una mano e trovare mio fratello lì, dove posso trovarlo adesso. Me lo chiedo perché sì, lo so che adesso ho ancora più paura di prima di quello che gli corre nelle vene, ho ancora più paura di sentirmelo strappare via dalle dita, di sentirlo scivolare da qualche parte così lontana che anche correndo a perdifiato, non sarò capace di ritrovarlo. E no, non è una cosa che posso accettare. Tutto, ma non questo. Allora mi muovo, spostandomi infilandogli i piedi sotto una gamba, in un modo che ha qualcosa di giocoso nel puntargli per un secondo le dita contro la carne, come uno scherzo, prima di raggomitolarmi stringendomi al suo fianco, combaciando con lui nel far scivolare via uno sbuffo. Non gli dico che ho già ceduto ad Halloween e non sono stata così brava nei miei propositi di essere una buona madre, di già, né che credo che succederà ancora, perché è il mio meccanismo base e lo è sempre stato, e qualche volta sento quasi come se non ci fosse altro modo, per me, di attraversare tutto. Ma me lo tengo fra le labbra, mentre una mano la muovo per afferrare una coperta lanciata nell’angolo del divano, spiegandola per coprire entrambi senza chiedergli se ha freddo o nulla di simile. Lo faccio e basta, infilandomi le mani fra le gambe e prendendo qualche respiro ad occhi chiusi, poggiata su di lui, per sentire solo la presenza di questo momento e provare davvero con forza a non pensare a come tutto, adesso, sappia sembrarmi ogni secondo più lontano, come se ci fosse una scadenza su ogni cosa. «Come osi bestemmiare in un modo simile sotto questo sacro tetto che rispetta l’alcol e aberra qualsiasi cosa abbia la parola “analcolica” al suo interno» lo mastico che ho ancora gli occhi chiusi, lasciando andare uno sbuffo che dovrebbe sembrare fintamente infastidito, ma che mi sa sembrare anche lui talmente scolorito da far passare forse solo la vacuità di un’intenzione. «Dovrò convertirmi a succhi biologici, cibi molto verdi e combattere a suon di ciambelle la mia dipendenza da nicotina e catrame» non mi riesce così bene scherzare, ma in fondo non ci provo neanche troppo quando lo so che non sarei davvero credibile, non per Josh. Ne ha visti così tanto di miei momenti bassi, che penso saprebbe riconoscerli anche ad occhi chiusi, a mille miglia, senza nulla se non un sussurro della mia voce. Allora siamo solo così, in uno di quei momenti in cui io lo so, e lui lo sa, e lo sappiamo entrambi che no, non va bene, che sì sarà difficile, ma siamo qui, e questo è tutto quello che adesso voglio sapere.
     
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    Quando mi hai detto che pensavi che questa battaglia, la nostra, fosse finita... sai, per un po' ho voluto crederti. Quando poi ho chiuso gli occhi mi sono preso un solo fottuto secondo in cui mi sono detto che avevi ragione, che senza più niente a trascinarti via da me avrei potuto respirare con te. Me la sono saputa immaginare dolorosamente bene la nostra vita, una in cui dopo aver preso a pugni Morgan, da bravo fratello, avrei deciso che nonostante fosse una testa di cazzo mi sarebbe andato bene perché avrebbe saputo renderti felice. E quando mi hai detto che aspettavi un bambino, due giorni fa, io poi mi ci sono rinchiuso ancora nella bolla di un futuro che nessuno ha la capacità di scrivere per noi due. Mi sono immaginato con una precisione così perfetta come sarebbe stato venirti a trovare, magari ritrovarmi a fare lo zio come so che potrei fare e che farò, ma invece di essere triste, malinconica ed incapace di tirare le labbra più di così, Edie tu eri felice e lo eri come non lo sei mai stata. E cazzo a me non sarebbe bastato niente altro per esserlo, per strapparmi di dosso perfino la pelle pur di vederti così il più a lungo possibile. Un sogno del cazzo, ecco cos'era, uno che per fortuna Slater ha calpestato prima di ricordami che avrei dovuto farlo anche io per andare avanti. I Çevic tirano avanti, si rimettono in piedi e poi camminano e anche se barcollano, non si fermano. Tu non ti fermerai perché anche quando penserai di farlo, ci sarò io a ricordarti che non esiste che tu possa abbandonare la presa e so che se ti permettessi di farlo con me, lo faresti con tutto quello che hai. Questa è l'unica certezza che ho. L'unica che ti offro in un appoggio che mi fa sorridere anche se ti incastri come se non ci fosse spazio in questo divano diverso da quello che occupo io. Dio, ho un fremito quando lo fai perché davvero ho creduto ti averti spinto così in là da non riuscire ad afferrare la tua mano prima che te ne andassi. So che questo non saprei sopportarlo, so che impazzirei definitivamente ma so anche che in te io ho una fiducia incrollabile, devo averla per dirmi che non importa quanto la mia anima sarà imbrattata di sangue non mio, tu ci sarai. Ora la battaglia ha ceduto il passo ad una guerra, una che combatterò con ogni nervo teso, per un futuro che nel non essere mai perfetto, almeno esisterà. Ho paura che non sarai mai felice Edie, non lo sarò io ma questo non mi interessa, vorrei solo che un giorno tu potessi dimenticare quello che dovrai vedere, o superarlo con tutta la forza che possiedi quando non sai di averne così tanta, e nell'andare avanti potessi trovare un tuo posto che ti renda felice. Vorrei dire che mi piacerebbe bastarti per una vita, ma non sono uno stronzo egoista fino a quel punto. E tutto questo me lo tengo tra gli occhi, in uno sguardo che non ti rivolgo perché oggi non posso. Quello che faccio è invece stringerti un po' di più, in questo sospiro che si fa profondo anche in una conversazione tanto leggera. La mia mano scivola sulla tua spalla e la tengo lì guardandoti quasi ridere - molto quasi - e sentendo un nodo allo stomaco. Non smetterò mai di farti capire che non intendo spostarmi da qui e lasciarti sola. Si potrebbe pensare che sia scontato, che tenerti vicina dopo un po' smetta di darmi il senso di appartenenza più dolce che esista, o che sono un cazzo di sentimentale e penso che la cosa vera sia solo l'ultima. Siamo stati trascinato fino a sbattere su ogni fottuto scoglio in questo Oceano di merda e lo sai anche tu che il Mondo non ha ancora finito con noi. Scherzare ti riesce così male stasera che il modo in cui sollevo le mie labbra è solo un tentativo vano di dirti che non importa se non ci riesci, tanto vale lo stesso per me che nel sottolineare piccoli punti qua e là mi tengo l'illusione che funzioni un po', che si allievi il dolore che pungola l'anima. Ti stringo appena la spalla mentre uso un tono che è forse meno credibile del tuo. «Puoi dirlo che lo fai solo per farmi compagnia...» Puoi sentirlo da te che i miei vestiti quasi non puzzano più di fumo, mi ha costretto Slater ma ha ragione, ho molta più capacità polmonare da quando ho smesso, e cazzo è dura perché adesso fumerei come una cazzo di ciminiera solo per tenermi a galla. La verità è che qualcosa di più serio te lo dirò stasera, ma non c'è bisogno che sia in questo momento quando sei stretta a me e mi sembra l'unica occasione in cui i polmoni inalano aria e non fottuto smog. Sembra tutto così lontano quando sei qui, come se sapessi togliermi tutto il peso dalle spalle, ma solo per spostarlo sul cuore però cazzo lui resiste, io invece ho proprio bisogno che tu lo faccia anche nel silenzio di questa casa. L'ho già detto, sono un fottuto sentimentale del cazzo, però ho ucciso un uomo ed ho preso una strada che adesso devo percorrere per forza, quindi so che arriverà il momento in cui smetterai di guardarmi così, di credermi tanto infallibile o degno di qualunque cosa, ma ti giuro che farò in modo che quel giorno non arrivi adesso, o nei prossimi dieci anni. Mi rendo conto di aver irrigidito i muscoli quando li sciolgo nel piegare la testa e sfiorare la tua con le labbra. Forse ad un certo punto dobbiamo solo dirci che non sappiamo come cazzo andrà. E credimi lo farei se non fosse che invece io lo so, più o meno, so cosa devo fare per garantirti il respiro di cui hai bisogno anche se ancora non so come lo farò e cosa ci crollerà intorno quando succederà. Ho bisogno di questo silenzio con te.
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    Quante sono le cose che abbiamo passato? Così tante che qualche volta, nel pensarci, mi rendo conto di come in fondo la nostra vita sia sempre stata una sopravvivenza stremata. Da piccoli con mamma, poi con me, quando poi anche papà ha iniziato ad essere una presenza quasi oscillante, penso di aver capito che semplicemente, i Çevik non erano fatti per qualcosa che restano. E in fondo, non è che posso dire di aver cambiato idea. Per un po’ forse sì, ma avevo sempre quel senso nel fondo, come se tutto di me stesse cercando di dirmi che no, non potevo semplicemente credere a qualcosa senza aspettarmi che dietro quell’angolo, ci fosse altro pronto a togliere ancora qualcosa. I Çevik forse davvero sono fatti solo per sentire come tutto venga perso; come papà con mamma, come papà a con noi, e noi con lui, noi con tutto quello che non sia qui, proprio adesso, stretto in questo punto che esiste ancora solo perché entrambi vi ci aggrappiamo con forza per non farlo scivolare via. Io non credo che in molti capiscano com’è sentirsi sempre con le dita che fanno male a furia di stringere e stringere qualcosa, ma so che non mi è mai importato di essere capita, o che qualcuno capisse tutto il resto che ci riguarda. In realtà, avrei preferito che nessuno capisse mai niente, e ora lo so che se potessi tornare indietro, in qualche modo, mi renderei così ermetica così da non permettere a nulla di scivolare fra spazi che non avrebbero mai dovuto esistere. Non me ne pento, non per me, ma so pentirmi per tutto quello che ne è derivato, e so pensare, ancora, che vorrei solo essere in un momento, una vita, in cui tutto quello che resta da fare è respirare, perché non c’è nessuna lotta per tenerci a galla contro qualcosa che prova ad affondarci. Ma è inutile chiederlo e sì, sono brava a rassegnarmi, e l’ho fatto di nuovo. Non per Morgan, non per Josh, per me stessa. Rassegnata al fatto che, semplicemente, c’è qualcosa scritto nel sangue che esige che sia fatta proprio così questa esistenza, e non ha senso controbattere, né dirsi il contrario solo per poi cadere con le ginocchia sull’asfalto e sentire il colpo riverberare ovunque. Sono brava a tenermi i miei piccoli momenti, a renderli unici e staccati da tutto, come questo; senza che tutto quello che c’è intorno possa davvero infilarsi qui, anche se lo fa in quel modo subdolo che lo hanno le cose quando diventano malinconiche quando ancora le stai vivendo. Come un vecchio film in bianco e nero, con il disturbo della pellicola che si agita sullo schermo, e rende tutto decorato di una sensazione indefinibile, ma presente. Non importa, non avrei comunque mai scommesso su di me, perché se proprio devo lottare per qualcosa, lo so che non sarei io. Sarebbe Josh, sarebbe questo bambino, perché io di mio sono così stanca di me stessa da non sopportare più nessuno sforzo mosso nella mia direzione, perché ne sono stati fatti troppi. Adesso, però, voglio solo pensare a quanto sia stupido quello che dico, e quello che mi risponde, e pensare a come questo sia quasi uno sforzo di stringerci di nuovo come abbiamo fatto mille e mille volte quando erano altre le cose che ci si premevano contro, ma c’erano sempre, perché liberi non lo siamo stati mai. Non lo siamo neanche adesso, e penso che questa sia la maledizione più grande che condividiamo fin dentro le ossa, quella di essere sempre piegati da qualcosa, quando quello che affligge uno lo fa con l’altra e viceversa sempre. Ma trattengo quel sorriso che non ha gioia sulle labbra, quasi come una forza di volontà, e so pensare solo a quanto adesso ci sia tutto, di fronte a noi, che si fa acciaio che dovrò abbattere, catrame che tiene i miei passi, e devo essere capace, invece, di avanzare sempre senza intoppi. Devo farlo per Josh, quando lo so che non ci sarà mai nessuna arresa finché non sarò sollevata da tutto, e se anche penso che sia impossibile, devo fare in modo che diventi una realtà per lui. Mi devo ripetere che non è tardi, che da quel pozzo posso tirarlo via, e che per lui domani voglia dire qualcosa di diverso, qualcosa che non abbia di quei pesi che ha addosso da quando così piccolo, conosceva solo quanto una maledizione si scrivesse nel sangue per togliergli tutto ciò che era parte di lui. L’avrei perdonata, la vita, se si fosse trattato solo di me. Non avrei avuto nulla contro niente se fossi stata solo io, ma nel prendere tanto anche da lui io non so perdonare niente e nessuno. Nel prendere tanto da lui, io so solo odiare qualsiasi cosa che lo abbia spinto, trascinato, relegato in quello spazio che ora è a me che taglia aria dai polmoni. Ma non ci penso ora, non voglio, voglio solo vivere in una bolla che possa essere reale per qualche minuto, perché non ce la faccio. Devo, e so anche che alla fine farcela è quello che farò, ne sarò capace, ma per un momento, uno solo, voglio solo pensare che non ho questo preciso dovere sulla testa. Vorrei poter piangere e piangere per giorni, e commiserare me stessa, ma so che nel farlo non sarei più capace di andare avanti e tenermi sulle mie gambe. Quindi chiedo solo una bolla, una piccola, una che sappia di casa, di mio fratello. «Ovviamente, era tutto assolutamente programmato, ma non c’era modo che riuscissi a smettere senza mettere in forno una pagnotta che mi obbligasse a dire ciao ciao ai miei amati vizi» lo sbuffo appena e sì, sto solo cercando di trovare me, fra tutto, e di aggrapparmici con forza per trascinarmi quella visione, sensazione e realtà addosso, scrivermela sulla pelle e non dimenticarla più. Come un muro eretto dopo aver cercato per mesi di abbatterlo. «Lo sai che fra poco inizierò a provare a conviverti di guardare una rom-com mentre ordino qualcosa di assolutamente dolce a domicilio, vero?» non mi muovo e un po’ chiudo gli occhi, come se davvero volessi dimenticare anche com’è fatta casa mia, dimenticare semplicemente tutto e cancellarlo, esistere solo in una sensazione.
     
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    Ho ancora le labbra premute contro i tuoi capelli, quando chiudo gli occhi un solo fottuto secondo. Non chiedo tanto a questa merda di vita che dobbiamo viverci, ed ho paura che anche questo adesso sia troppo, che il tempo che potrò passare con te si ridurrà. Non è una certezza, è solo un cazzo di presentimento ma pesa come una tonnellata di pietre nello stomaco. Il Destino è una stronzata che raccontano nei libri di fiabe per decerebrati, lo sai? Non ho fiato per dirti che non sarei mai stato io quello in grado di salvarti, non te l'ho detto quando l'ho saputo e non te lo dico adesso. E se tu potessi saperlo e chiedermi perché non mi sono liberato anche da questo peso, saprei solo dirti che non conta, non conta un cazzo perché davanti a noi c'è qualcosa di ancora peggiore che si avvicina ad un ritmo che è incalzante. Sembra che la vita sia questo per noi, che non ci sia tregua mai, che quando un male se ne va, ne arriva un altro, più grande, con più denti pronti a dilaniarci. Ci guarda con occhi famelici dalle ombre del nostro passato, pronto ad invadere il futuro con una forza che ci renderà inermi quando tutto verrà ancora strappato via. Quanto possiamo ancora perdere prima che sia tardi? Quanto potremo sopportare prima che il peso ci tolga anche la voglia di mettere un passo davanti all'altro? Non lo so, ma ho avuto paura che tu avessi già raggiunto il tuo limite e non sai cosa significhi vederlo nei tuoi occhi, non sai cosa ho provato quando mi si è sgretolato il cuore nel capire che sono arrivato tardi ancora una volta, in tempo solo per vedere l'effetto del mio fallimento sulla tua pelle. Ed è la stessa pelle che ora vorrei stringere tanto da fonderla alla mia, perché se diventassimo una sola persona allora saprei come tenerti al sicuro per davvero. Ma sarebbe fottutamente macabro e poi come si fa a vivere con la certezza che vada tutto bene? Per noi sarebbe quasi inumano, perché siamo abituati a sentire il sangue premere nelle vene, lo sterno comprimersi e svuotarsi e gli occhi bruciare per la ricerca ossessiva di un qualcosa che sappiamo esistere ma non vediamo mai. Adesso c'è qualcosa in me che tu non puoi vedere, e fa male Edie, fa male guardarti e sapere che non te lo dirò mai che ho ucciso un uomo e che sarà solo il primo di tanti che dovranno cadere perché io mi assicuri che avremo una vita, che niente ti ferisca di nuovo. Non sono più il bambino che si nascondeva tra le tue braccia quando tutto sembrava all'improvviso così pesante da schiacciarmi, e mamma non c'era e papà non sapeva come esserci. Eppure lo sono in ogni gesto che adesso ti tiene con me, come se potesse essere già così per sempre. Lo so che ti stai facendo forza, lo so come sei fatta quando ti dici le stesse cose che mi dico io e resti in piedi per non darla vinta mai del tutto alla nostra vita del cazzo. Mi sforzo anche io di sorridere quando no, non penso che la cosa di Morgan che ti rende madre sia positiva. Ma tu dovrai pensare che andrà tutto bene, che lo accetterò prima o poi, e forse se davvero lo farò sarà perché morirà e quindi poi si toglierà dal cazzo in via definitiva. «Un piano geniale..» Te lo sussurro che sono ironico quando ho il cuore letteralmente in fiamme al solo pensiero che lo sto facendo, che sto davvero per dirti che questa stronzata mi sta bene. Mi aiuto con la verità che non manca mai perché cazzo, Edie, sei davvero e sempre tutto quello che ho e adesso un po' il timore che ti porteranno via da me mi resta incastrato in gola e dovrò fare di tutto perché non succeda mai, perché tu non sia mai costretta a scegliere tra me e Morgan. Io so cosa risponderesti, ma non saprebbe rendermi felice perché averti con me con la morte del cuore sarebbe anche peggio. Dover vedere ogni giorno che stai soffrendo a causa mia, mi ucciderebbe. Ti stringo le spalle un po' di più, lascio andare la testa lungo lo schienale e fisso per un attimo il tuo soffitto, che è preso molto meglio del mio. Lo sento che ti lasci andare contro di me e mi togli il fiato così, in due secondi in cui non so se sentirmi il peggior fratello in questo fottuto universo, o il migliore tra tutti. «Non ho la minima intenzione di fermarti» che è vero, perché voglio vivermi questa pausa come se fosse vera, come un ricordo a cui dovrò sempre attingere per ricordarmi per cosa combatto e per cosa darò tutto ciò che ho. Non li so fare i giri di parole, né con te né con altri, quindi lascio solo che si imprima più serietà in un sussurro che ti lascio scivolare vicino. «Mi sta bene, Edie.» Non voglio che ne parliamo ore, ok? Non serve, tu ascoltami e basta, prendi questa cosa e trascinatela nel cuore perché è lì che deve stare, lì dove spero di avere sempre un posto anche io. «Magari non sarò il suo migliore amico, ma la faremo funzionare, te lo prometto.» Dirlo costa come svendere l'anima al miglior offerente, e non solo perché immagino Slater ora a guardarci, ma perché ho dovuto imprimere nelle mie parole una verità che non devo mascherare. Lo voglio ancora morto, il tuo Morgan Crain, ma non voglio che tu soffra più di quanto non dovrai quando accadrà e non posso impedirti di essere legata a lui ora che in grembo porti i suoi geni. «E io ci sarò sempre, ok? Qualunque scelta tu faccia o abbia già fatto.»
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    La faremo funzionare. Lo so che sono io, adesso, a sentire tutto un po’ stonato nella mia testa, in quel modo che ovviamente mi porta sempre a finire sullo stesso pensiero. Alla fine, finirà semplicemente tutto, e da lì in poi cos’è che faremo? Non lo so, so anche di come sia un pensiero che mi trascina, ma anche mi respinge, esattamente come lo faceva quello della mia trasformazione definitiva. Si aggrappa alla gola perché resta lì, non si sposta, non c’è modo di sfuggirci. Quindi sì, la faremo funzionare per quel poco che resta che non è assolutamente abbastanza, ma non ho mai avuto niente, non abbiamo mai avuto niente, e questo non fa eccezione. Lo so che sto cercando di non pensarci, che vorrei solo che il tempo mettesse questa cosa al suo posto, lì dove sarà solo una consapevolezza che se ne sta su tutto. Tornare a com’era prima, per me, la vita, almeno in un certo senso. Senza che nel sfiorare quel limite, sappia ancora sentire di come ho semplicemente così tanto da chiedere, da implorare a questa esistenza. Ma invece non dico niente, fisso un po’ un punto imprecisato, e anche adesso so quante sono le cose che vorrei dire, ma le sento strozzarsi in gola, morire sulle labbra, perché sanno solo essere di quel tipo di preghiere che non hanno senso quando nessuno ascolta mai, e i miracoli non esistono. Quindi, è inutile chiedere una cosa o l’altra, e lo so che ho solo due mani, solo due, e posso stringerle solo su una cosa, una e basta, perché non se ne vada e no, non mi trovi ad essere sola. Dopo tutto quello che ho passato lo so, alla fine, che non potrei farcela a trovarmi da sola. Per questo le dita le stringo su Josh adesso e sempre, perché è questa la cosa che mi terrò, è lui, e l’ho sempre saputo, solo che prima non sapevo che esistesse davvero la scelta di pensare per cosa lottare, per cosa sperare alla fine del giorno. E invece sono sempre state due le anime che si sono sciolte nello stesso punto, ma prendo un respiro e provo solo a non pensarci, anche se è qui ed è ovunque. Sì, vorrei davvero che almeno questi mesi, quei pochi che restano, siano più... non lo so, meno complessi, che non ci sia quel senso che si è alzato da qualche parte, alle mie spalle, e Morgan e Josh li ha spinti contro corrente. Mi scosto appena, abbastanza da poterlo guardare e farlo per qualche istante, senza davvero perdere il contatto con lui, ma con la consapevolezza che adesso ho bisogno di guardarlo. Ho bisogno ancora una volta, una e basta, di vederlo e sapere che è qui, solo questo, perché mi è sempre bastato. Josh è stata la mia roccia molto più di quanto sia giusto, di quanto sarà mai giusto, ma anche se lo so che mi ha dato anche più di quanto chiunque avrebbe dovuto, non posso non stringermi a lui anche adesso che lo so, lo sento come ci sia quel senso che mi si trascina nello stomaco e non vuole guardare lì, oltre questi mesi che sono di fronte a me e nel dover essere fra i più belli della mia vita, so quanto sapranno scavarmi dentro poco alla volta, e far male. Lo faranno, e questo è inutile nasconderlo, perché sarebbe stupido e nessuno ci crederebbe, non mio fratello. Quindi sì, lo guardo in quel modo che penso di aver avuto altre mille e mille volte, anche se non vorrei. Ma lo so cosa ci siamo sempre promessi, e lo so che sarà così per sempre, perché quando anche tutto dovrà crollare e mi sembrerà troppo, o gli sembrerà troppo, potremo sempre contare uno sull’altra. Lascio andare un respiro ancora, sedendomi più dritta, premendomi per un attimo le mani sul volto senza lasciare lo spazio di questa vicinanza, ma ricercandolo ancora quando le mani le abbasso alzando appena le spalle, perché in fondo la verità è che non penso di essere davvero capace di fare questa cosa da sola. Vorrei, Dio solo sa quanto vorrei non essere sempre qui a trascinarmi fra ferite vecchie e nuove, ad essere sempre qualcuno che non è capace davvero di pensare a sé stesso, non come dovrei, senza diventare qualcosa che va a poggiarsi su altre spalle, le stesse che vorrei fossero così libere da tutto da non essere mai curve, ma dritte, sempre avanti, verso qualcosa di migliore. «Lo so, Josh, e devo contare ancora molto su questo» lo guardo appena e vorrei solo poter andare in un punto, uno qualunque, in cui non sia tutto talmente fresco da avere ancora segni sulla pelle, talmente fresco da non darmi modo di assimilarlo come dovrei, ma tenerlo ancora vivido nello sterno, in una pulsazione che ho provato ad ignorare per giorni, ma non se ne va. E lo so che in fondo non lo farà, e che sarà qui, con me, per i prossimi otto mesi, se non di più. «Dopo sopratutto, perché io non ho idea di come si fa questa cosa. Non so come si fa a fare la madre, e non pensavo di certo che sarebbe stato così» lo so che in realtà queste sono tutte cose che, per quanto vere, non sono quel punto, quello lì che è quasi una fitta, qualcosa che si aggrappa alla pelle, al petto e la carne, e quasi mi fa tremare muscoli immobili. No, non si tratta davvero di questo, lo so, si tratta del fatto che io quel dopo non voglio vederlo, non voglio sentirlo, né voglio che esista. «Non voglio che muoia» è così semplice, anche se non lo è, e lo so che mi è rimasto incastrato in gola per tutto questo tempo, perché anche dirlo non serve a nulla, e perché non lo avrei mai detto a Morgan, né glielo dirò mai quando lo so che diventerebbe qualcosa che si incastra fra le costole e per lui diventa una colpa, e non ne ha. «Lo amo» mi rotola mia dalla lingua, quasi come un tremore, e lo so che in fondo forse a lui non serve che lo dica, ma forse a me sì. Non so cosa farne di questa cosa, né come farla essere giusta quando niente sa sembrarmi giusto, da nessuna parte e in nessun modo. Mi lascio di nuovo scivolare per premere la fronte contro la sua spalla nel prendere un respiro che si fa enorme e sa di quanto me lo sono tenuto costretto fra le ossa, con la certezza che nel premerlo ancora un po’ fra labbra chiuse sarei solo finita per collassare contro tutto. «Del gelato, ecco cosa dovremmo ordinare»
     
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    Vorrei che il nostro tempo si fermasse, Edie, cazzo lo vorrei così tanto in ogni sospiro che lascio correre tra noi. E non intendo dire che vorrei finisse, ma che smettesse di velocizzare ogni cosa. E' da quando siamo nati che è così, da quando mamma è andata e papà è lentamente degenerato. Siamo soli, e non lo siamo mai. E siamo noi che ci corriamo incontro per sostenerci quando lo sentiamo anche a distanza che da qualche parte stiamo cedendo, che le nostre maschere non reggono e che la cazzo di idea che vada tutto bene è solo una merda a cui non crediamo più. Ora io so anche non devo crollare, finirebbe ogni cosa se lo facessi, mentre sarai tu a non sopportare molto di quanto ti accadrà e solo saperlo mi strazia l'anima, sapere che non ho impedito a quella testa di cazzo di farti questo, di lasciarti una luce negli occhi ed avere il potere di togliertela. Lo so che non ho mai voluto che rimanessi da sola, che non ci provassi neppure a farti una vita, ma le cose sono andate nel modo sbagliato, tutte. Ti giuro che se potessi tornare indietro non saprei cosa cazzo aggiusta perché tutto si rompe, perfino noi che poi ci ricostruiamo a fatica perché ogni frammento pesa nel petto. Mi dispiace Edie, così tanto, che tu sia completamente disarmata adesso, al punto che non riesco a non togliermi la mia, di armatura, per darla a te in una stretta che ti tiene più vicina. Tu lo sai che non è compassione e non è pietà la mia, è solo l'amore sconfinato che mi lega a te. Quello che mi impedisce di chiamare un sorriso tra le labbra se non si riflette prima nel tuo. Lo so che sono un fratello del cazzo, e sono un uomo di merda, e sarò peggio di quanto tu ancora sappia immaginare, e non avrò scusanti che mi rendano buono ai tuoi occhi, ma cazzo puoi contare che non ti lascerò mai sola e farò di tutto perché ti non sappia sentirti privata del mio appoggio. Ed io non posso fare a meno del tuo. Forse siamo due morbosi del cazzo, e non mi interessa, questo siamo ed è così che sappiamo andare avanti. Ti guardo negli occhi quando lo fai anche tu, e lo sai quante cose ti dico senza aprire bocca. Ti dico che non ci meritavamo tanta merda noi due, che non mi va che tu stia male e ti senta sconfitta per questo e ti dico che voglio che la trovi la forza di fargli il culo al futuro del cazzo. Te la darò io se serve, Edie, sempre. Sempre. «Non smettere mai di farlo, siamo una squadra noi due.» Lo siamo? Ci credo quando te lo dico, anche se ti nascondo il modo in cui una stilla di timore si insinua nel mio sguardo appena ti stringi di più a me ed io ti invito a non smettere. Non sai come si fa la madre, e credimi non penso sia una cosa che le persone sappiano, di certo nostra madre ha saltato parecchi passaggi con noi e con te. Sai, a volte ho pregato che tornasse a dirci che è andato tutto bene, che ha trovato una soluzione e continuare ad essere una madre. Non lo ha mai fatto, e questo forse ha solo spinto più in basso nel baratro ogni nostro sogno, così che non potessimo averne nessuno. «Non lo sa nessuno, è una cosa che arriva con calma.. e non dovrai capirlo da sola, ok? Non ci pensare che sarà una cosa in cui nessuno ti aiuterà perché non è così. »Non parlo per Morgan, non lo so che cazzo farà in questi mesi che verranno, ma qualunque cosa faccia non terrà me distante da lei. Però tu mi spezzi l'anima così, quando lo sento come a fondo si sia spinto il sentimento che vi lega, quando tu lo ami, e cazzo glielo avevo detto a quel pezzo di merda che tu eri già molto avanti con lui, perché ti conosco, ma lui ha fatto il cazzo che ha voluto ed adesso tu non vuoi che muoia. Non lo sai quanto sia un colpo al cuore per me sentirtelo dire, quanto separi Faust da Josh, quando il primo vorrebbe solo affondare la lama talmente dentro Morgan da riscrivergli le interiora, e l'altro che sopravvivesse e si prendesse le sue cazzo di responsabilità. Ma tuo fratello, quello che hai davanti adesso, ha solo il cuore infranto come il tuo. Ti sfioro la guancia, lo faccio con la premura che ti riservo sempre anche quando nel rassicurarti sento un vuoto che scava. «Certo che non lo vuoi... » ho un tono così basso, che vorrebbe cullarti come vorrei farlo io, sempre, come se non avessi altro tempo che non fosse questo, quello in cui ti dico che non sei una brutta persona che lo ami, e che non è colpa tua anche se te lo ripeterai per sempre e non mi crederai mai. Appoggio la fronte, prendo un respiro che ne concede al tuo. Non posso dirti che andrà bene, che si salverà e che non dovrai perdere sempre le persone che ami. Ma non ti farò questo, non ti darò una speranza che non hai e non puoi sopportare, sarò solo qui ad assicurarmi che questo non ti uccida e non diventi mai insopportabile tanto da toglierti il fiato. E, cazzo, io ho paura che sia già così. Non so vederti soffrire e restare impassibile, quindi mi si forma un nodo in gola che è incapace di scendere. Dio, Edie. Dio vorrei toglierti dal petto questo peso così tanto che non so nemmeno come spiegartelo e invece mi tengo i tuoi sospiri silenziosi, sul margine del precipizio finché non parli del gelato. Metodo Çevic. Spero che funzioni ancora, spero che funzioni sempre. «Non vuoi abbinare anche della pizza?» E solo perché so che il fritto non lo puoi mangiare, che devio in questo modo, e forse perché ho fame. In realtà il mio stomaco è chiuso, la mano scivola sulla tua spalla e non so più come fare a dirti che sono davvero qui, sempre anche quando io mi sento scivolare via, lontano, irraggiungibile.
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    Io vorrei davvero che esistesse un modo, adesso, per renderci semplicemente persone diverse. Diverse in quello che ci sentiamo stretto sulla pelle, e che ci si infila fra le ossa con forza, anche quando alla fine chiediamo solo di poter respirare. È solo questo, senza mai di quelle pretese folli che la vita vogliono piegarla in due sotto un preciso volere. Solo respirare e farlo bene, senza sentire come i polmoni sappiano far male per lo sforzo di continuare a farlo. E penso che i nostri lo abbiano dimenticato che è un impulso automatico, e allora dobbiamo darglielo ancora ed ancora. E vorrei davvero sapere come essere meglio di così, come fare a tenere alti quei propositi che vorrebbero adesso vederci rovesciati, che vorrebbero me a prendermi cura di lui e non tenerlo sempre stretto in. questa preoccupazione che sa farsi talmente feroce da spogliarlo di tutto il resto. Possiamo girarci intorno quanto vogliamo, ma siamo maledetti ancor di più che da tutto, dalla semplice consapevolezza di non essere capaci di voltarci, di non essere capaci di non avere la dipendenza di ogni nostra felicità anche in quella dell’altro. Siamo stretti nello stesso nido di rovi, e ogni gesto spinge anche l’altro, lo stringe, lo allontana, lo fa graffiare o gli crea quello spazio che per qualche secondo, non fa poi così male. E sì, è vero, siamo una squadra e lo siamo sempre stati. Forse lo abbiamo sempre saputo che sarebbe stato così, fin da bambini, o forse è solo che a crescere come siamo cresciuti noi, con quello che ci succedeva intorno e succedeva anche a noi, non avremmo potuto far altro che girarci e cercarla proprio lì una certezza che si stagliasse solida contro tutto quello che, lo abbiamo imparato fin da subito, era fatto per sgretolarsi. È stato sempre così, siamo cresciuti con la consapevolezza che non ci fosse dovuto niente, non quando vivevamo in quella famiglia che era nata consapevole di quanto era già stata distrutta. Quindi sì, penso che sia stato quello all’inizio, e che ora invece sia solo l’incrollabile certezza che potrebbe succedere di tutto oggi, domani o fra dieci anni, ma questo non cambierà. Continuerà ad esistere, come continueremo ad esistere ed esserci uno per l’altra, e di aver bisogno di questo così come abbiamo bisogno che l’altro stia bene per poter avere dei fiati che siano veri. E io devo stare bene, lo devo fare perché così, finalmente, potremo pensare a lui, e a tutto quello che dobbiamo fare per tenerlo qui, esattamente qui, io e lui. Non esiste altro finale possibile, perché alla fine lo so che se anche tutto fallisse, non smetterò mai di guardarlo ed essere qui, nonostante tutto. E non m’importa di niente, se non di questo adesso. Perché niente resta, non lo fa mai, e dobbiamo lottare ogni giorno, invece, per assicurarci che almeno questo piccolo, minuscolo spazio, non ci venga tolto. Io non ho che da chiedere questo a Josh, questo e basta. Che sia così, che ci sia sempre un posto che possa chiuderci in una bolla dove possiamo rannicchiarci e leccarci le ferite, sempre certi che nell’entrare in questa tana, troveremo l’altro ad aspettare ogni nostro passo per accoglierli tutti. Posso farcela diventa una certezza quando so che ci sarà sempre questo. Per quanto sia dura, per quanto adesso mi sembri che davvero il mondo si stia trasformando per essere qualcosa che sa essere tanto crudele, quando pensavo che ormai fossi andata oltre, in qualche posto più docile; ma non importa, posso farcela e devo, lo farò, e lo so nel momento in cui lo sento qui vicino a me e lo so che darei qualsiasi cosa, qualsiasi, solo per sapere che sta bene. Per sapere che anche lui ce la può fare, e ce la farà, e sapere che dopo tutto quello che abbiamo passato, sempre insieme, sempre spalla a spalla, possiamo prendercela la speranza di avere qualcosa, oltre tutto, oltre ogni cosa. Magari fra dieci anni, non importa, ne ho aspettati venti ne aspetterei altri cento solo per questo. Anche se fosse solo un momento, solo un istante, li aspetterei tutti uno ad uno. Siamo noi, alla fine, e lo so che anche questo secondo, questo istante appena che mi ha scavato nelle ossa e ha saputo di una necessità che mi sono negata e strappata via, solo per sentirla tornare con la stessa brutale impellenza, è qualcosa che gli dovevo. Non penso di poter davvero nascondere qualcosa a Josh, e adesso so solo pensare che l’ultima cosa che voglio, è che pensi che sto alzando qualcosa fra me e lui, quando no, non ne sarei capace, né ne sarò mai, perché se tutta la sua vita è stata spinta verso me, la mia maledizione, e lo è ancora adesso, anche la mia si trova ad avere lui al centro di tutto. È semplicemente così, lo è sempre stato, e questo non può cambiare, e non lo farà. «Lo so che non sarò da sola» lo dico lasciando andare un respiro appena, prima di allungare una mano per sistemare meglio la coperta, attenta ancora a metterla anche su di lui, quasi con ostinazione. E sì, questo è il mio modo di dirgli che lo so, che sì siamo una squadra e che sì, io sarò qui sempre per lui, come so che lui sarà qui sempre per me. Sempre. Prendo un respiro dalle narici, tornando a sistemarmi comodamente stretta a lui, con gli occhi che per un secondo si chiudono, un attimo in cui l’ultimo inspiro si fa pesante, prima che ancora provi a curvare labbra in quello che no, lo so, non è davvero un sorriso, ma più una sorta di promessa che non ho dimenticato, e che ce lo dice come sì, siamo qui e lo saremo sempre. «Pizza con ogni tipo di formaggio esistente sulla faccia della terra, . E ti costringerò a guardare il Diario di Bridget Jones, e questa è la mia decisione definitiva in merito al film di stasera»
     
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