I Need You...

Josh & Edie - 24 Dicembre

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    Il magnifico mondo dei Çevic. Non me ne sono mai andato, non posso andarmene perché è questa la mia vita, e sono io che non so nemmeno con quale cazzo di faccia scendo dalla macchina. Pensi di non volere qualcosa? Allora te la tolgo, così quando invece penserai che l'avresti voluta, sarà troppo tardi... sei felice ora, si? E funziona sempre così. Funziona che quando penso di trovarlo un fottuto equilibrio, proprio quello che mi porta a mentire ad Edie di fronte ad ogni cosa vada più in là di quanto deve con lei, arriva qualcosa che mi prende in pieno. E quindi ora io mi sono rotto il cazzo di ricevere sempre stronzate come questa e doverle tenere in un modo che non so nemmeno cosa sia, o come si faccia. Ma la cosa fottuta, quella che mi ha preso il cervello fino a farlo sanguinare, è che ho pensato tutta la notte a come sarebbe stato crescere una figlia. Ho deciso io che sarebbe stata femmina, ho deciso che avrei fatto di tutto per lei come ho sempre fatto per la mia famiglia perché ci sarebbe entrata a pieno diritto. Ho deciso che avrei superato la fine di questo mondo in qualche modo, avrei incluso Lilian nei patti con Slater, ma solo perché c'era quella cosa che cresceva in lei e che in parte era una fottuta mia eredità. Le ho dato un nome, Alice. Un po' perché Alice Cooper è un fottuto genio, ed un po' perché sua madre.. cazzo sua madre, quella stronza, mi sembrava venuta fuori direttamente da quel libro per bambini. Ci ho lasciato ore in cui non ho dormito e respiri che mi sono stati tolti con due stupide domande. Ma in fondo, davvero a me che dovrebbe fregarmene eh? Io che tempo ho per queste cose? La mia vita non sono dei figli che girano per casa, non sono calma e tranquillità... io non sono più quel cazzo di mago che può permettersi tutto questo e no, no niente verrò mai prima di Edie e del suo bene, niente. Questo mi divide in così tante parti che ci ho passato la notte a dirmi che non mi importava un cazzo, che non avrei voluto niente da Lilian perché non doveva essere quello che avevamo. Né quando ho voluto stringerla fino a farle male, né quando ho sentito che lo voleva anche lei. Non siamo mai stati niente, ed aveva ragione lei. Tutte le stronzate del suo messaggio sono inutili, e le so a memoria perché l'ho letto per tutta questa cazzo di notte. E mi dico che sto bene, che andrà bene in ogni caso perché non c'è niente a cui pensare, niente che complichi esponenzialmente la mia posizione, niente che sia una fottuta gioia a cui aggrapparmi quando lo so che mi frenerebbe invece che farmi andare avanti per la mia strada. Non c'è niente. Però io non sorrido, mi trascino solo fuori dall'auto perché l'unica persona che può capire cosa cazzo sento adesso, è Edie. Lo è sempre stata e lo sarà perché è il mio pilastro anche quando vorrei solo esserlo io per lei. Ho bisogno che mi dica che va bene che le cose non siano cambiate, che non devo pensarci ancora così tanto come faccio anche adesso. Che devo togliermi questa stronzata dalla testa e smettere di sentirlo il nodo che mi stringe la gola. Aspetto solo che apra, lo faccio con un peso che si sposta a fatica quando appoggio il gomito al muro e mi prendo un respiro che si frammenta in troppi pezzi. I miei occhi sono cerchiati da occhiaie che dimostrano come io non abbia dormito, ma le faranno anche capire subito che non è fisico il dolore che mi ha strappato qualcosa dentro e mi ha tolto il fiato. «Ehi..» è un tono basso, l'unico che mi rimane dopo aver distrutto mezza casa per un senso di impotenza che mi uccide. Io sono debole a questo, al non poter fare nulla di fronte a cose a cui invece tengo. E forse anche a Lilian tenevo. Non aspetto, non la ascolto, le do solo il tempo di aprire la porta che già mi prendo qualcosa che ho atteso perfino troppo: la stringo a me come se non fossi io a dovermi appendere come un peso morto alla deriva. Ecco cosa sono oggi, non posso sopportare altro, oggi è una merda.
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    È diverso, oggi, questo giorno, anche se per molti versi non lo è affatto. Come se si fosse semplicemente specchiato, e adesso fossi in quel riflesso capovolto, ma con le stesse identiche cose a premersi un po’ ovunque. Ma è diverso almeno per quella che sarà una serata in cui ancora, saremo solo noi tre, e almeno lo so che non vedrò più quella macchia scura nei loro occhi che sa solo quanti pochi saranno ancora i Natali per noi. Non c’è più nessun limite, e ne sono felice, ma sono anche sempre, sempre consapevole di quanto sia costato. Penso anche, stupidamente, al prossimo di Natale, quando ci saranno i bambini, ma anche loro nati già con un buco che non importa quanto proverò a cancellare, sarà sempre lì. Prendo un respiro, ascolto il silenzio di una casa che si è svuotata, ma a cui sono rimasti aggrappati addobbi che sì, stupidamente mi fanno pensare a Morgan. Non che sia mai stata il tipo che ama feste del genere, anzi, le ho detestate sempre e da sempre, e per i miei buoni motivi, però sì, mi cullo nel pensiero che questa sarà diversa, mentre me ne sto semplicemente seduta sul divano con del sidro caldo. Sì, sidro caldo. Analcolico. Perché dovrò pur bere qualcosa di caldo che sostituisca le enormi dosi di caffeina della mia vita, quelle che non posso bere da qui a troppo, o da qui a troppo poco. Dipende dai punti di vista. Ma oggi, oggi voglio sperare che possa essere qualcosa di migliore, e non so perché, visto che lo so perfettamente che non è mai concesso davvero un pensiero del genere senza che qualcosa, ancora, lo affoghi prima che possa anche solo pensare di vedere la superficie. Ma va un po’ meglio. Va un po’ meglio perché almeno adesso sento di star facendo qualcosa, con Daniel, e di non essere più cieca mentre cammino andando a caso con solo la speranza che sia la strada giusta, e lo so bene, io, quanto la speranza sia solo una bastarda, come fumo negli occhi che ha lo scopo di allontanarti dalle cose, e poi colpirti quando pensi di essere salvo, e allora buttarti giù con tanta violenza da rischiare quasi di non farti rialzare. Quindi sì, so di star meglio sapendo che qualcosa davvero la sto combinando, anche se non mi chiedo troppo spesso se servirà davvero a qualcosa. Deve per forza, e in qualche modo, anche se non è una speranza ma più un’imposizione, è un pensiero che sa calmarmi. Alla fine, lo so che non lascerò la presa, e che non permetterei neanche a Josh di farlo. In nessun caso. Mai. Se anche aprisse le dita, stringerei di più le mie, e per questa sera vorrei solo che per una volta, una, potessimo essere qualcosa di più semplice. Noi tre, sopravvissuti a così tanto. A troppo, da sempre, ma ancora qui, anche se un po’ ammaccati, chi più e chi meno. Giro la testa verso la porta prima di alzarmi, sgranchirmi appena le spalle prima di muovermi con quella lentezza che nasce dal sentire il corpo sempre più fisicamente pesante, di settimana in settimana, verso l’ingresso premendo la mano sulla maniglia per girarla. Ci sono mille cose a cui posso essere pronta nella mia vita e no, non è per vantarmi di essere una donna forte o stronzate del genere, anche perché non lo sono, ma più che altro si tratta di una questione di abitudine. Mera abitudine. Anche una cosa orribile se capita troppo spesso, diventa, appunto, solo semplice abitudine. Ma lo so nelle ossa, nella carne e nel fiato, che non mi abituerò mai a Josh così. A Josh in nessun caso, se quel caso lo vede distrutto da qualcosa, e non ho bisogno che parli, o che si spinga in una stretta che ricambio senza neanche doverci pensare, per sapere già che qualcosa non va, ed è qualcosa che lo ha colpito a fondo. Ne abbiamo passate così tante, che lo so e basta, come lo sa lui e basta, e allora ho solo mani che si premono contro la sua schiena, con qualche passo che ci trascina in casa prima di allungare un braccio per scostarlo da lui solo il tempo che mi serve a spingere la porta e chiuderla. «Hey, hey... che succede?» lo mormoro piano mentre mi allontano di poco, quanto basta a spostare le mani e premergliele sul volto, per piegarlo appena, abbastanza da permettermi di guardarlo e premere gli occhi contro occhiaia che parlano di troppe ore sveglio. E lo so quanto il primo istinto, sempre, sia quello di dirgli che va tutto bene, ma in fondo questa è più un’utopia, una storia che non è stata davvero scritta per noi. Ma io ci sono, e ci sarò sempre, e questo non ho bisogno di dirlo mentre lo guardo e me lo premo negli occhi, così a fondo da farlo diventare tutto ciò che esiste nel mio sguardo.
     
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    Ci siamo sempre fatti bastare quello che avevamo tra noi per dirci che ci avrebbe fatto da scudo contro ogni cosa. Invincibili, un filo continuo che non si può spezzare se diviso in due mani. Ed è stata una stronzata in cui ho creduto per tutta la mia vita e che continuo a sostenere anche se so che potrei essere io a fare il passo falso definitivo e non meritare più che mi apra la porta quando ne ho bisogno come ne ho dell'aria che respiro. Non voglio dirmi che arriverà il giorno in cui se proverò a stringerla lei si divincolerà perché con me non vorrà più averci a che fare, perché sono un assassino ed anche se lo faccio perché lei possa vivere, so che è sempre stata la migliore dei due. Edie ha ancora una morale, io la mia la sto facendo a pezzi per darla in pasto a Slater ogni giorno di più, e mi chiedo come sarò davvero quando non rimarrà più niente. Noi siamo qualcosa che non si può spiegare, che non ha paragoni se non per il senso che ci porta sempre vicini perché non sapremmo respirare se dovessimo separarci per davvero, non quando la nostra cazzo di vita l'abbiamo passata a guardarci le spalle, e viverci insieme. Così chiudo gli occhi e basta mentre la tengo a me come se non le volessi dare il tempo di accorgersi che non lo merito, che non è questo che dovrei darle sul serio. La stringo di più ancora quando affondo il volto trai capelli e mi premuro solo di non esagerare ora che non è sola. E' fottutamente ironico pensare che avrà due bambini e che invece Lilian... Ed io non ho potuto fare niente, non potrò fare niente per risparmiarle il dolore che proverà quando il loro padre morirà perché è così che dovrà andare, e non ho potuto fare niente perché Lilian cambiasse idea. Sono così un fottuto idiota che non so più cosa pensare se non che questa scelta che non ho potuto compiere, mi ha scavato un solco dentro e che ora inghiottirà ogni cosa abbia l'ardire di avvicinarsi. Lascio andare la presa, ma solo perché ho un sospiro che devo liberare dalla cassa toracica ed è già un modo che ho per non guardare subito Edie negli occhi. Non pensavo che avrebbe fatto così male, non pensavo che avrei fatto fatica in principio a trovare le parole per dirle cosa è successo. Eppure la domanda è semplice, ed a me sembra solo impossibile avere un tono decente per dire qualcosa di sensato. Ho sempre pensato che il detto che ti rendi conto di cosa vuoi quando ormai l'hai persa fosse una stronzata, un'enorme cazzata per chi non aveva le palle di alzare il culo ed andare a prendersi ciò che doveva senza accampare scuse. Invece adesso credo anche a questo, al fatto che avrei voluto avere una cosa che mi è stata strappata di mano prima ancora che fosse reale. Non so aprire bocca, quindi quello che faccio è prendermi un respiro profondo, spostare finalmente gli occhi su Edie e chiederle solo per una volta di leggermi nel pensiero perché adesso non so cosa fare. Poi, però, cedo. Lascio che una mano scivoli a tenere la sua che si preme su di me, chiudo gli occhi ancora come se bastasse a cancellare quello che sento e che è impossibile da descrivere. Cedo perché ho bisogno di stringerla ancora, con più disperazione repressa di prima, come se respirare contro le sue spalle sia d'improvviso la cosa più facile del mondo, o l'unica di cui sono capace. Non so dirmi che è una cosa talmente stupida da non valere la mia pena, non riesco a pensarlo. Respiro ancora contro di lei, ho solo bisogno di sentirlo, di sentire che le promesse che ci siamo fatti non sono ancora diventate un foglio di carta bagnato in una notte troppo buia per ritrovarne le parole scritte a penna.
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    Ormai l’ho accettato che la mia vita è fatta proprio così. Così. In questo modo che non so dire se sia ingiusto, o se sia solo un modo come tanti. No, non penso di essere la persona che soffre di più al mondo, né che il mio destino sia peggio di tanti altri, perché mi rendo perfettamente conto che al peggio non esiste mai fine; quindi così, in quel modo in cui non è previsto molto tempo di pausa fra un colpo e l’altro, qualunque esso sia. Che venga da Josh, da Morgan, da me, non importa neanche, e non lo fa per il semplice fatto che quando si tratta di loro, lo so che so sentirmi coinvolta anche quando no, non lo sono davvero. Come adesso. Esattamente come adesso mentre non mi muovo, ma resto in questa stessa presa a trattenere pensieri fra le labbra che corrono veloce per cercare di capire cosa succede, cos’è che lo ha spinto qui in questo modo quando lo so già, da sola, che qualsiasi cosa sia non è positiva. Non lo è mai del resto, e non mi aspetto certo che questo cambi così, all’improvviso, quanto meno che lo faccia quando ho visto la sua faccia, e lo sento adesso quanto si aggrappa a me. Se potessi fare in modo che sia sempre contro di me che agisce il mondo, risparmiando lui, risparmiandolo sempre, giuro che lo farei, ma non funziona così e se una cosa l’ho capita di patti, preghiere e promesse, e che l’altro lato della medaglia è sempre crudele. Ma non importa, non lo fa perché ormai lo so che nell’aver deciso che anche se non lo sono, imparerò ad essere abbastanza, posso rendermi esattamente quella roccia che gli serve come appiglio mentre tutto naufraga, e le onde si fanno talmente alte da minacciare di trascinarlo sul fondo, lì dove tutto si sta rapidamente aggrumando per trascinare via ogni fiato dai polmoni. Non lo lascerò andare, come non lo faccio adesso, ed esattamente come ho pensato la prima volta che ho visto Daniel quando senza soluzioni, senza risvolti immediati a niente, tutto quello che ho capito è stato quanto mi sarei dovuta impegnare davvero, farlo sul serio, e con tutto ciò che ho e che mi resta. Ed è quello che voglio fare, e non per qualche inutile dovere che diventa uno sdebitarsi di vite contro vite, ma perché lo voglio. Se lo merita, a prescindere da tutto, e so anche di non essere così capace a guardarlo così com’è ora, in questo preciso istante, senza sentire qualcosa che mi si contorce nel petto, e diventa quel tipo di sofferenza che conosco bene, ma che ora, ora so come tenere a bada, per lasciar andare respiri che siano lenti. Perché sono qui, e sarò sempre qui, qualsiasi cosa accada, qualsiasi sia quello che si agita intorno o contro di noi, di lui. Non importa. Sì, vorrei che fosse più facile, ma non ci è stato concesso, ed è inutile continuare a dirmi soltanto quanto forse non sia giusto. Non cambierà mai nulla, e quello che posso fare è prendere le cose così come sono, e cercare di renderle migliori. Più sopportabili. Pulire le ferite per non farle infettare, e sperare che con il tempo, e la giusta attenzione, guariscano, anche se lasceranno segni orrendi sulla pelle. Ed è così che lo guardo adesso, immobile di fronte a lui, con solo questa certezza ormai marmorea che continua solo a ripetermi quanto non lo lascio. Non lo lascio e basta, e qualsiasi cosa sia adesso, così come qualsiasi cosa che verrà, potremo guardarla insieme, spalla a spalla, e avanzare consapevoli sempre che se anche uno cederà, l’altro si farà più resistente per permettere quella stessa avanzata che non possiamo fermare. Ho occhi che lo scrutando con una preoccupazione che non parla altro di lui, e di tutte le domande che si affollano nella mia mente e cercano, nel silenzio, qualcosa che diventi la chiarezza di un appiglio, una spiegazione, qualsiasi segno che possa farmi capire qual’è la calamità che affronteremo oggi. Del resto, non mi è mai piaciuto il Natale, poco importa se alla fine quest’anno sarà rovinato come tutti gli altri. Non me lo sarei riuscita a godere in ogni caso, e lo so anche senza dovermelo dire, perché la situazione è quella che è ed è inutile prendersi in giro. Ma adesso tutto questo non ha importanza, e lo guardo con dita che gli restano ferme sul volto, con quel tipo di dolcezza un po’ pressante che è solo la conferma fisica di quello che sappiamo entrambi. «Così mi spaventi Josh» lo mormoro appena, ma senza metterci davvero l’angoscia del terrore, quanto più ancora quella preoccupazione che ha bisogno di sapere a cosa attecchire per sentirmi capace di poter anche solo capire, lontanamente, cosa lo sta agguantando oltre la pelle e la carne, le ossa ed i nervi, per scavare qualcosa affondo. «Me lo dici che succede? Ne parliamo, o non ne parliamo, ma almeno la smetto di fare mille film da Oscar nella mia testa» e sì, ci provo a fare una mezza battuta che mi esce fiacca dalle labbra, come il sorriso che è solo un tentativo che riesce appena a piegare le labbra, ma che so essere solo la reazione a qualcosa che sì, già mi sto preparando a quanto non sia risolvibile. Forse perché quando si tratta di qualcosa di simile, non penso che esista qualcuno che venga da me, che da sempre sono la persona più lontana dall’avere capacità di risolvere alcunché; e anche perché lo conosco abbastanza da leggerglielo negli occhi che è stato investito e ormai le ossa si sono rotte, non c’è modo di farle tornare sane così, con uno schiocco di dita, senza passare prima per giorni, settimane e mesi di attese e sforzi.
     
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    Così mi spaventi Josh. Chiudo gli occhi di più. La tengo a me di più. Trattengo il fiato di più, perché nessun tremolio decida di prendersi le mie mani. Non ora. Non ho più la facoltà di crollare per le ragioni sbagliate, ho un addestramento che dovrebbe dimostralo. Me lo sto chiedendo troppo spesso cosa direbbe se davvero sapesse che esistono tante ragioni per cui dovrebbe spaventarsi sul serio e questa sembra una cazzata in confronto. Forse lo è. Forse ho solo bisogno che lei mi dica che è una stronzata che non merita la mia attenzione o la mia preoccupazione, e invece cazzo io ci sono dentro e basta e quindi mi ci stringo ancora al conforto che sa darmi solo Edie. Sono un fratello di merda, lo so, lo sento che più la stringo e più mi dico che non merita il casino che sto provando a risparmiarle. Sono sicuro, lo sono sempre, e devo esserlo, che terrò le complicazioni di Faust lontane da lei, perché non finisca mai dove non deve quando il mio unico scopo non è mai cambiato, mai. Non posso vivere nel dirmi che non sarò in grado di fare l'unica cosa che conta nella mia fottuta esistenza, dopo potrò anche lasciare andare tutto, tutto tranne mia sorella perché non esiste persona al mondo che abbia un valore che superi questo. Edie è dentro di me, è in ogni fottuta cosa che faccio per noi, ed è rimasta anche quando il piccolo Crain ha deciso di fare il suo meraviglioso passo avanti del cazzo, trovandosi esattamente dove volevo che fosse. L'ho tenuta con me anche se di questo non saprà mai i veri retroscena, quindi non sono stato bravo abbastanza da dirmi che dalla faccenda di Lilian avrei potuto tenerla fuori. No, perché io da solo non vivo. Non ne sono in grado, so fare ciò che mi serve, ma credo sia così perché potrò sempre contare su di lei anche quando sa dirsi di non riuscire a capire cosa sto facendo o perché. E' vero, molte cose non può saperle perché è così che la proteggerò, ma questo non significa che lei non sia essenziale, un legame e forse l'unico che mi sarà mai consentito avere a quanto pare. Annuisco, lentamente, e non so sorridere quando sono ancora troppo serio e tutte le mie parole hanno un cazzo di prezzo altissimo da pagare. «Hai ragione... » che non è un cazzo di consolazione, ma è vero. Mi guardo intorno solo un attimo nel rendermi conto che a casa è stranamente più decorata di quanto mi sarei aspettato. Mia sorella è la rappresentazione femminile del Grinch, ero io quello che girava per casa avvolto dal nastro in stoffa per l'albero. Questa cosa l'ho persa nel tempo quando Natale è diventato solo l'ennesimo giorno su un calendario che vedeva le nostre giornate via via più strazianti, sempre con il peso di vivere "l'ultimo" di qualunque cosa ci si presentasse davanti. Però ha ragione, quindi quello che faccio adesso è guardarla ancora un attimo, come se potessi scegliere nei suoi occhi la sicurezza che dovranno avere i miei. Lilian non avrebbe dovuto entrarmi dentro così nel profondo, né fare quello che ha fatto. Ed io non avrei dovuto permetterglielo. «Lilian.» Per prima cosa è il suo nome, quando in realtà un po' mi separo dalla presa di Edie, solo perché ho bisogno di sedermi per avere più fiato. Lei lo sa che me la scopavo, lo sa perché le ho detto più volte che mi sembrava di fare una stronzata, di mettere troppo a rischio una delle poche cosa di cui mi importava ancora, la band. «Lei ha..» è un argomento di merda per tutta la nostra famiglia questo, ed io lo so bene ed è forse la ragione per cui non voglio che soffra se gliene parlerò e che smetterò se vedrò che invece sarà così. Mi siedo e nel farlo resto quasi immobile, svuotato prima ancora di parlare. «...abortito. » E' una rabbia che monta con calma, una fottuta calma che non farà un cazzo di bene a nessuno mentre mi risale le vertebre una ad una. Sono piegato in avanti, con i gomiti sulle ginocchia e lo so che cazzo di espressione ho adesso, è quella che maschera malissimo quanto dannatamente mi abbia ferito questa cosa, ed è un ringhio l'unico suono che emetto prima di specificare che .. «Non ne sapevo un cazzo. Non mi ha detto che era incinta, non mi ha detto che cosa voleva fare.. l'ha fatto e basta, e lo so che se non l'avessi costretta non me lo avrebbe detto mai.» Mai
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    Che cosa posso dire? Siamo perseguitati dai nostri stessi fantasmi, come riflessi che escono dallo specchio e prendono vita per essere l’assillo della nostra esistenza. Ma è solo un secondo quello a cui permetto alle mie dita di flettersi, perché lo so. Ci siamo già passati, anche se in modo diverso, completamente diverso, e sono passati praticamente tredici anni da quando ci siamo seduti ed un discorso simile lo abbiamo fatto, ma da un’altra prospettiva. Solo un secondo, una terminazione nervosa che flette appena le dita in uno spasmo, mentre lo seguo muoversi con lo sguardo e un fiato, uno solo, me lo tengo stretto ai polmoni. Lo so, adesso, quanto so essere ipocrita, o quanto, semplicemente, non abbia intenzione di vedere il mondo con occhi diversi dai miei, e da quelli che scelgo oltre a questi. Lo so per il semplice fatto che quella sorpresa che sa di un passo indietro, un risucchio nel passato, viene sostituita da quella che sa essere solo rabbia. Lilian non è me, e ci vuole poco, pochissimo, a ricoprire il gesto di una me bambina, ma che bambina non lo è stata mai, perché diventi accettabile, quando la mia era la paura di far nascere qualcosa che fosse esattamente come me, e non avesse scampo già al suo primo vagito, e non sarei stata capace di reggere alla colpa di un capriccio del genere; ed è facile nascondermi lì, dietro quel costrutto così grande, che rende facile ai miei occhi non guardare oltre. Ci penso per un solo secondo a me, quel test positivo, Jude, e tutta quella storia che ho sepolto da qualche parte nella mia testa e che sono stata brava a non far riemergere neanche quando quasi due mesi fa, ormai, ho passato di nuovo la stessa cosa. Ma questo è diverso, e quindi caccio tutto via dalla testa. È diverso perché si tratta di Josh, e no, non sono mai stata capace di strappare tutto da lui per avere una visione che vada oltre, e trattenga in sé un’obiettività che non sono in grado di avere. Lo guardo allora, lo guardo e lo so che ci vuole poco perché io sia arrabbiata, di quella rabbia che sa di un dolore che è il suo, e che sotto la mia pelle si sa infilare in due parole, ed uno sguardo che mi basta più di tutto il resto. Ma sono qui per lui, come sono sempre stata qui per lui, anche nell’essere meno capace di quanto vorrei. Sempre meno, perché mi sforzo, qualche volta, ma lo so quanto è facile per me inciampare, e ricadere in circuiti di pensieri chiusi che mi impediscono di oltrepassare ostacoli che, al contrario, nella mia mente sanno diventare insormontabili. Ma non ora. Non ora che sì, ho bisogno di sapere che posso almeno essere quel posto, per Josh, che sia una consolazione; quello in cui riposare, in cui lasciarsi andare e concedersi, anche lui, quel sentire di un dolore che gli preme il petto e sa di qualcosa che vorrebbe aprirlo da dentro a fuori. Io me lo ricordo cos’è stata per me quella scelta, quanto ci fosse quella parte che voleva solo quella normalità negata, ma quanto allo stesso tempo fosse troppo grande la paura di trasmettere la stessa cosa che mia madre aveva trasmesso a me, e guardare una figlia crescere con la certezza che era mia la colpa di un’esistenza talmente dolorosa, da pregare di non essere mai venuta alla luce. E so anche, paradossalmente, com’è il senso di impotenza nel trovarsi invece di fronte a decisioni già prese, che strappano via tutto, e che possono essere solo guardate vedendo come tutte le altre possibilità, futuri ed esistenze, svaniscano nel nulla. «Ho ancora un po’ di alcol da qualche parte, se vuoi» lo mormoro piano, modulando la mia voce perché lo so, lo so che adesso vorrei solo dire cose tipo che stronza. E in fondo, in fondo lo penso davvero. E sì, torna l’ipocrisia. Perché nell’essere stata nella stessa posizione di Lilian, so anche di come non so giustificarla. Non quando è Josh quello che ha colpito, e io non sono capace di perdonare quasi mai quando si tratta di fare del male a lui. «E molto gelato» mi faccio di nuovo vicina, e lo so che non sono lenta come vorrei ma che, anzi, ho dei passi veloci, mentre continuo a guardarlo ancora ed ancora. «Forse non dovrei dirlo, ma...<i>che stronza/i>, cazzo. Sinceramente» sì, forse non dovrei proprio, ma in fondo lo so che Josh lo sa che sono sempre discorsi a parte quelli che faccio per lui, per noi, e per tante cose. No, non ho mai detto di essere una persona oggettiva, al contrario. Guardo le poche cose a cui tengo, e vorrei solo scagliarmi contro tutto ciò che le colpisce e lo fa con forza. «Come stai?» lo so che è una domanda stupida, perché lo vedo. Lo so, ma penso comunque di volerglielo far uscire dalle labbra, perché è sempre meglio dar voce a tutto e spingerlo fuori con forza, invece che tenerselo dentro con forza fino ad esplodere.
     
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    Mi chiedo se le cose inizieranno a fermarsi prima o poi, se ci sarà un fottuto momento in cui non dovremo stringerci così perché qualcosa ci ha colpiti. Lo so che non accadrà, lo sapevo nel momento in cui ho accettato che il mio sangue smettesse di appartenermi nel modo in cui lo conoscevo io. Lo so da sempre, da quando nello sguardo di nostra madre ho visto la certezza di aver commesso un cazzo di errore a continuare una gravidanza che avrebbe messo al mondo una figlia maledetta alla sua stessa maniera, e lo so perché mi ha dato Edie e senza di lei non saprei vivere. E' una guerra, una che ho giurato che avrei smesso di perdere, ed anche se forse qualche battaglia dovrà ancora finire di merda, io lo so che non sarà sempre così. Eppure oggi, stasera, in questa bolla di tempo in cui mi concedo di stare una merda per qualcosa a cui non pensavo di tenere, non faccio altri che rimanere in silenzio dopo aver ammesso il motivo per cui ho anticipato un Natale del cazzo, a stasera. Annuisco, perché voglio bere, voglio qualunque cosa possa strapparmi via dal giro di pensieri che si fossilizza solo su un nome: Alice. Un'idea che mi devo strappare dal cuore prima che si fissi così in profondità da diventare rabbia, odio ed attecchire nel grande dipinto dei motivi per cui io sono un fottuto corrotto. Mi tormento le mani nel vuoto di parole che segue i commenti di Edie e lo so cosa pensa, pensa tutto ciò che avrei pensato io se lei fosse stata al mio posto. Forse lei con meno rabbia perché ora non sono l'unica persona a cui deve pensare o per cui preoccuparsi, e dovrei ritenermi fortunato perché quei bambini la terranno lontana dai motivi per cui dovrebbe allontanarsi da me. E' che non ho avuto modo di fare niente, e l'impotenza mi uccide piano piano da quando abbiamo dieci anni. Come sto? Ho sempre voluto dirle che stavo bene, a volte anche ostinandomi ad arrampicarmi lungo fottute mura di cristallo perché ci provasse a credermi e si togliesse la preoccupazione dal cuore. Poi ho capito che era inutile, perché lo è quando lei ci prova con me ed io invece vado a fondo finché non mi dice cos'ha e non capisco come cazzo possiamo risolverla, insieme, sempre. Vorrei rispondere che nn mi è importato un cazzo alla fine di Lilian e delle sue scelte, che se me lo avesse chiesto io le avrei detto che non potevamo gestirla, che non poteva tenerlo e l'avrei forse pregata di non farlo, a meno che per lei non fosse stato davvero importante. E allora non lo so che cazzo avrei fatto, sarei impazzito avrei cercato di capire come tenerli al sicuro prima della fine, una fine che non è detto non abbia anche il mio nome inciso su una lapide. Ma ho Edie, adesso, e non posso stare in silenzio a lungo senza che si irrigidisca e lo so che in fondo vorrei solo dirle ogni cosa, tutto, sempre, perché possa dirmi che risolverò anche questo che il tempo me lo farà dimenticare e archiviare quando non faccio che pensarci da più di trenta ore consecutive. Come sto? «Di merda.» Un sospiro che nell'uscirmi dalle labbra, raschia i polmoni come a cercare di strappare i tessuti. Forse non c'è bisogno che lo specifichi che è tutto un fottuto casino nella mia testa, che comunque non ci avrei potuto pensare sul serio e che no, non è una cosa che può fare per me quando la via che ho scelto si farà più solitaria mese dopo mese. Io so solo guardare Edie negli occhi, con un'espressione che non sa nasconderle niente di quello che provo, e tenermi lì nel momento in cui penso solo che arriverà il giorno in cui dovrò unirmi alle ombre e lasciarla sola, ma che se nel farlo sarò riuscito a proteggerla allora sarà la cosa giusta da fare. Però è evidente che io una debolezza c'è l'ho ancora, e Lilian l'ha trovata, ha piantato una lama e poi io me ne sono andato lasciando tracce di sangue sul marciapiede. «Sto di merda.. non pensavo che me ne sarebbe mai fregato un cazzo, io non.. ho modo né tempo e non potrei adesso fare niente di simile.» Eppure è qui che preme in gola quel "ma" che mi fa tornare a guardare avanti, in cerca della bottiglia a cui mi attaccherò senza troppi rimorsi per un sorso che sappia bruciare via ogni cosa. E' triste, ed è una tristezza che anche se ho sempre fottutamente provato, oggi sa essere diversa. «Ma avrebbe dovuto dirmelo, non ho potuto fare niente.» Ed è questo, alla fine, il problema più grande, che non volto pagina e resto fisso qui a dirmi che Lilian è stata una stronza, ma che quella bambina io l'avrei amata se avessi avuto la possibilità di farlo. Dirò una cosa del cazzo, e so che lo farò con quella rabbia repressa che si trasforma in frustrazione e che poi lascia solo occhi umidi e una cazzo di voglia di distruggere ogni cosa mi si avvicini. «L'avrei chiamata Alice.» Ho entrambe le mani a fermare la testa in una morsa perché no, non avrei meritato comunque niente di simile, neppure volendo. Ora so: lo avrei voluto.
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    Lo so che la prima cosa che vorrei dirgli, la prima, è che ha tempo e modo di fare tutto. Ma sono parole che sembrano vetro nella bocca, e lo so quanto saprebbero solo tagliare per aprire discorsi che sono sempre stati qui, ma che anche nell’essere masticati ancora ed ancora, non sono cambiati mai. Quindi non lo faccio, non lo dico quando ancora, sono di fronte a lui, a qualche centimetro, dopo aver raccattato quelle cose che anche se non risolvono niente mai, almeno aiutano. Perché alla fine, questa è una cosa che non si può aggiustare; è una di quelle che va assorbita, e sì posso dire che un bel bicchiere d’alcol, o una bottiglia, aiuta a mettersi in quella modalità che permette solo di afferrare quello che c’è e non guardarsi più indietro. Lo so nell’unico modo in cui le cose le conosco, perché le vivo e le ho vissute, e non sono mai stata una da grandi parole filosofiche, ma so quando dentro hai qualcosa che si contorce e non c’è assolutamente niente che si possa fare. Penso, stupidamente, che se gli fosse stata permessa una cosa simile, forse Josh avrebbe iniziato a pensare di più a sé stesso, e a gettare meno dei suoi minuti e delle sue ore, per continuare una lotta che ha già preso tutto quello che poteva prendere, e che ancora pretende ogni fiato che lui le concede. Avrebbe potuto essere diverso, un po’ come lo è stato per me quando mi sono permessa, questa volta, di guardare delle tacche su troppi test e dirmi che andava bene così. Adesso lo so anche troppo bene che se non fosse per questi due che mi porto nel ventre, non sarei capace adesso di stare qui, di fronte a lui, e a sapere esattamente com’è che devo stare. Solida, come una roccia per lui, perché non affondi, ma sappia sempre trovarla la forza della mia mano che lo trascina via da ogni cosa che lo appesantisce. E so anche di darla a lei la colpa di un’occasione mancata, quando io sono sempre qui a pregare e pregare, senza farlo mai, che qualcosa lo costringa anche con la forza a girarsi e prendere qualcosa per sé, qualcosa che non sia sempre fatta di spine come lo è tutto, ma a cui possa concedersi con quel tipo di dolcezza, che non ha grumi di sangue nascosti al suo interno. Questa è la vita che avrei voluto per lui, e che ostinatamente ancora voglio, come se fosse il primo e l’ultimo desiderio di un moribondo che non sa chiedere di meglio se non la certezza che chi esiste, intorno a lui, possa respirare senza sentire i polmoni esplodere ad ogni istante. Lo so che sono egoista come lo sono sempre stata, perché potrei dire che come adesso è lei che nella mia testa è l’incarnazione di una colpa che macchia tutto, lo sia stata anche io. Ma è diverso, e io a Josh abbiamo sempre dovuto strisciare anche solo per il diritto di un secondo in più, e passare l’esistenza a cercare di tenersi a galla ti spinge in azioni che hanno il peso della necessità. Allungo le mani, le premo piano sulle sue per scostargliele dalla testa e tenerle qualche secondo nelle mie, con uno sguardo che è quello di sempre; quello con cui lo vedo quel mondo che vorrei fosse il suo, così leggero da non lasciargli segni sulla pelle, gli stessi che sono invisibili, ma che io conosco come se fossero anche miei, uno ad uno, e so quanto sappiano scavare a fondo senza mai dargli tregua. La vita non è mai stata clemente con noi, e non penso lo sarà mai. Ci toglie sempre tutto, e anche quando qualcosa ce la da, c’è sempre qualcos’altro che viene preteso e strappato, come se no, non avessimo davvero diritto a stare dritti senza impegnarci a fondo. Ma se c’è una cosa che so, e che adesso mi stringo nello sguardo mentre con lentezza, e un po aiutandomi con la stretta delle nostre mani, mi chino per tenermi in equilibrio sui piedi, a ginocchia piegate, per scivolare ad un’altezza che mi permette di guardarlo negli occhi. Alice, me lo premo sulla lingua, ma senza nessun suono, e so anche quanto una parte di me, in fondo, pensa a quello stralcio di vita che non esiste e non esisterà mai. Prendo un respiro, tenendo ancora le sue mani salde fra le mie, quando è tutto quello che posso fare e offrire, perché se esistesse un modo per prendere tutto ciò che lo affligge e farlo mio, liberarlo, lo avrei già fatto da una vita. «Certo che avrebbe dovuto» lo premo piano fra le labbra, lasciando andare un respiro che scivola dalle narici e si ferma, per un attimo, come se fosse un punto che si infossa sopra il margine di una pagina bianca. Avrebbe dovuto dirglielo prima, o non dirglielo affatto, ma anche questa è una cosa che mi tengo fra le labbra quando adesso voglio solo fare in modo che anche se poco, pochissimo o quasi per niente, possa esistere quel senso di sollievo. «Avevi tutto il diritto di avere voce in capitolo, ma ormai è andata» un po’, mi sembra l’eufemismo di tutta la nostra vita. “Ormai è andata” come se fosse un’iscrizione impressa da qualche parte nelle nostre ossa, una maledizione che ci segue ancora ed ancora e che è molto peggiore di quella che ha stretto me per tutta una vita. «Ma passerà, credimi lo farà. E finché non lo farà, beh, puoi attingere alle mie favolose ed infinite scorte di alcol» scosto solo una mano, per premerla sul lato della pancia rigonfia mentre mi muovo con quel tipo di goffaggine a cui devo solo abituarmi, per trovare spazio di fronte a lui continuando a guardarlo. «E io sono qui per qualsiasi cosa»
     
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    Non ho mai voluto che a raccogliermi da terra fosse lei, anche per le ragioni più futili. Dovrei essere io quello forte dei due, quello che resta in piedi quando c'è una cazzo di tempesta che ci travolge, io che allungo una mano e la stringo al suo braccio per tenerla con me e perché non si perda nel vortice che vuole portarmela via. E so che è quello che tornerò a fare sempre, appena questa merda sarà finita e nella mia testa non girerà più nemmeno il nome di Lilian, ma oggi no. Oggi deve essere Edie a sganciarsi da quello che ha, e da quello che la preoccupa per venire a tenere in piedi frammenti di me che si stanno crepando, di nuovo. E' l'unica che può farlo, lei è il mio filo continuo, non ci sono altre motivazioni che reggano più di questa. Non lo so cosa sarei stato se Alice fosse nata, non so come avrei incastrato quello che davvero sono e che sto diventando con l'essere un padre. Io non sarei mai stato in grado, lo so, non sarei rimasto a casa e con Lilian non ci sarebbe stata nessuna coppia canonica o stronzate simili, mi sarei tenuto a distanza per la loro sicurezza, quello sì. Ma sarei anche andato a vederla, a dirle che c'ero ed avrei fatto lo stronzo impedendo ad entrambe di rifarsi una vita senza di me, senza la mia presenza instabile. Le avrei protette, in ogni fottuto momento, a costo di cancellarmi dalle loro menti se mai fosse servito sul serio farlo, se mi fossi fatto troppi nemici nel tempo. Quello che mi scava dentro è che so che avrei amato quel bambino con ogni cazzo di fibra che mi è rimasta e che ero già pronto ad estendermi su di lui, o lei, perché non succedesse mai niente di sbagliato a loro due. Che idee del cazzo. Lo sa, Edie, che io una vita non l'ho mai voluta e non l'ho mai chiesta perché non ha importanza se non sicuro che lei per prima starà bene, e adesso è anche una cazzo di complicazione il fatto che attenda due gemelli dal Cacciatore con più nemici della fottuta storia, quindi no, no io non ho bisogno di una vita. E' che per un attimo mi è passata davanti prima di andare a schiantarsi nel vuoto ed ho voluto afferrarla, allungare una mano e prenderla per dirmi che forse avrei potuto fare finta di riuscire a fare anche quello. Ma io sono Josh, ed a me queste cose non succedono, non mi dovrebbero interessare, ho imparato la lezione, Universo del cazzo, l'ho imparata, grazie. Lascio che Edie si prenda le mie mani, ed allora mi sforzo abbastanza da guardarla negli occhi perché sappia leggere la disapprovazione che ho anche per me stesso e per essermi concesso il fottuto lusso di crederci un secondo. Uno, prima che Lilian mi ricordasse il motivo per cui io sono al mondo. Non deve parlare, non serve, so che cosa sta pensando, so che forse alla fine la più triste dei due sarà lei perché ha sempre voluto per me una vita piena, una che avrebbe potuto instradarsi se le cose non fossero andate come sono andate. Vorrei dirle che no, non deve pensare a questo, a me.. in questo modo. Ma forse è invece per questo che sono qui, per sostenere il suo sguardo e tenermi tutti i respiri che non saprei lasciarle addosso, quando lei non ha mai avuto alcuna colpa per me, e non ne avrà mai qualunque scelta deciderà di prendere. Sì, Lilian avrebbe dovuto dirmelo, oppure tenersi il suo segreto per sempre. Avrebbe potuto mentire con la giusta capacità ed allora io le avrei creduto, l'avrei lasciata andare e non starei così ora. Ah, ma questo sono io, questa è la mia cazzo di vita e finisce che sono sempre qui a chiedermi che cazzo non è andato ogni fottuta volta. Però, "ormai è andata". «Già» Mi esce che un sospiro che lascio andare quando no, ancora sono teso, ancora non la sto prendendo bene 'sta cosa. Come cazzo potrei? Stringo le mani di Edie come ho sempre fatto quando io avevo bisogno di lei, perché l'alcol aiuta sì e so che darò parecchio fondo alle sue scorte nei prossimi giorni, ma avere lei è diverso, non c'è paragone. «Non credo ti faccia bene stare piegata così, dai, vieni su... » quello che so fare meglio è invertire le parti, ma adesso è solo perché non voglio che la fragilità del suo corpo venga alimentata dalla mia fottuta vita del cazzo. «Lo so che ci sei...» e non dovrei ripeterlo, ma nel farlo sfioro il nostro tatuaggio, quella sottile linea nera che mi ricorda ogni giorno per cosa combatto, anche se in verità io non ne ho bisogno perché il mio cuore non ha mai avuto un dubbio. Dirlo comunque un po' mi pesa, perché sì è vero che lei è qui per me ora, ma non sa quanto tempo le ci vorrà per smettere del tutto di volerci essere, ed io quel giorno lo temo peggio della morte, ed è per evitarlo che faccio parte di ciò che faccio. «Vorrà dire che sarò un bravo zio, anche se "il migliore" suona molto meglio nella mia testa.» Forzo, piano, un sorriso.
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    C’è così tanto in quel poco che dice, che quasi mi sembra di sentirlo, per un attimo, un peso enorme. Uno diverso dal mio, ma con la stessa intensità scritta in ogni particella, che non lo lascia muovere come dovrebbe, come si meriterebbe in questa vita. A volte immagino come sarebbe stato se mamma e papà non si fossero mai conosciuti, o se lei davvero avesse avuto il coraggio di strangolarmi quando ha saputo che sarei stata una femmina. Senza tutte quelle speranze inutili che non ci sono servite mai a niente, non a noi Çevik, e che le hanno fatto dire che quella possibilità su un milione esisteva, e ha voluto credere in quella. Ma no, non è andata così, e in fondo se non si fossero mai conosciuti, adesso non ci sarebbe questo. È tutto sbagliato, lo è dall’inizio alla fine, perché io e Josh stiamo ancora scontando la pena che appartiene a qualcun altro, se mai si è trattato di questo. Non so se sia la colpa che qualcuno ha commesso, chi sa quanto tempo fa nel nostro albero genealogico, che ha fatto scattare quella miccia che, alla fine, ci ha portato qui. Esattamente qui. Con le nostre vite distrutte ancor prima di poter iniziare. Non ci è stata data davvero neanche mezza possibilità, neanche un po’, e siamo stati lanciati direttamente in quella corsia difettata in cui siamo rimasti ancora ed ancora, e da cui probabilmente non usciremo mai. Ma è diverso, e lo so, lo è perché io adesso, anche se è tutto orribile, qualcosa me la so tenere al petto, ma guardo Josh sempre spinto in quella lotta, sempre lì, lontano da tutto, e lo so quanto è questo quello che c’è nelle sue parole. E io non ho mai voluto che questa vita, la spendesse per me. Non ho mai voluto che fosse solo, che fosse già arreso, che non trovasse niente per cui lottare se non me. Non ho mai voluto questo, ma io e lui lo sappiamo fin troppo bene quanto le nostre volontà sono solo onde che si infrangono inutilmente contro una scogliera di metallo, troppo dura anche solo per sperare di lasciare incanalature nel corso del tempo. È come se questa, questa cosa che è successa adesso, fosse ora tutto ciò che ha potuto essere una possibilità, ma che nell’essere andata al vento, non permette ad altro di crescere, e io non sono pronta ad accettare che sia così. Io non posso davvero guardarlo e accettare che ha deciso che sia così che deve essere, che non ci sarà nulla per lui. Non ne sono capace, e non lo sono perché per quanto mi possa fare forte, lo so che ho bisogno di pensare che per lui ci sia qualcosa, più in là. Anche se fossero chilometri, miglia, distanze incalcolabili, ma ho bisogno di sapere che qualcosa c’è, perché adesso è questo quello per cui combatto. Tutti i giorni. Ogni secondo ed istante. Ho bisogno di dirmi che tutto questo non è vero, che anche se lo so, lo so, quanto lui sappia crederci e non vedere altro, non è così. E se lui non vede altro, lo farò io per lui. E se Josh non pensa che ci sarà qualcosa per lui, lì, avanti, lo penserò io al suo posto. Qualsiasi cosa. Manterrò tutti quei sogni che non ha mai sognato, e tutte quelle speranze che non ha mai sperato, esattamente come ha fatto lui con me per tutta la nostra vita. Lo so in fondo che è anche per questo che sono qui, soprattutto per questo, perché l’ho detto un milione di volte, e lo dirò altri miriadi, ma per me non c’è modo di andare avanti in questa vita senza di lui; e non c’è modo di star bene se prima non so che anche lui sta bene. Altrimenti, altrimenti sono sempre spezzata in due, perché Josh è Josh, ed è inutile dire altro. Lo guardo allora, lo faccio stringendo appena le sopracciglia, le labbra, e posso solo sentire questa sensazione che in me diventa enorme, e sì, mi rende quasi la custode di tutto ciò che lui rifiuta, ma che io ho afferrato e ho stretto al petto perché con le mie stesse mani, possa costruirlo per lui. Qualsiasi cosa che non sia questo, qualsiasi cosa che sia per lui un sollievo, non importa quanto ci vorrà. Sarò qui finché non ci sarò riuscita, e sarò qui anche dopo. «Certo che sarai il migliore, su questo non c’è’ dubbio, anche perché insomma “la concorrenza” è quella che è» sì, è una cosa stupida, ma la dico scostando gli occhi da lui alle mani, solo per un attimo. No, non è finita. E voglio dirglielo, ma voglio dirglielo in un modo che gli entri in testa e glielo faccia capire che se lui getterà la spugna, io non lo farò. Perché sì, siamo il sostegno uno dell’altra, e quando uno di noi cede, c’è sempre l’altro pronto a farsi avanti. Ancora ed ancora. «Lo sai, vero, che questo non vuol dire davvero che sarai solo lo zio, sì?» una parte di me non vorrebbe dirlo, perché non vorrei davvero aprirlo adesso questo discorso, ma ho così bisogno di farlo che no, non lo trattengo. Non lo faccio perché è Josh, e quel sempre esiste in ogni istante della mia vita, come una scritta incisa ovunque; nei miei respiri, la mia pelle, le mie ossa. E non vorrei dirlo, ma ho bisogno che davvero lo capisca che se lui non vuole crederci, non vuole sperarci, non vuole lottare anche per questo in mezzo alla sua guerra che esiste sempre ed ovunque, lo farò io per lui. Non perché devo, ma perché voglio.
     
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    La volete la verità, mh? Quella cruda che non piace mai sentire a nessuno? Beh è questa: che posso dirmi quanto voglio che una cosa non mi preoccupa più o non mi stressa, non mi tocca quasi e sono parole bellissime che non servono ad un cazzo. Inutili come lo è stato il mio intervento quando ho solo avuto la possibilità di sapere che avrei potuto avere un figlio ma è stato deciso diversamente senza che io potessi fare nulla. Bella quest'impotenza di merda che ti prende le viscere e le stringe, così per ricordarmi che anche se sono convinto di aver preso in mano la mia vita e la sua dannatissima direzione, poi c'è sempre un muro contro cui sbattere, sia mai che io mi abitui a cose che vanno come fottutamente dovrebbero. Il problema, poi, è che io sono fottutamente categorico in queste cose e dopo una stronzata di questa dimensione sono quasi deciso a sbattere Lilian fuori dal gruppo, anche se lo so che - porca puttana - lei funziona con noi, che c'è chimica e c'è quello che la gente vuole vedere. Solo che non ho voglia di guardarla in faccia adesso e non so se l'avrò a Gennaio quando le cose per noi prenderanno una piega diversa. Le sento a malapena le prime parole di Edie anche se in effetti lo so già che sarò uno zio migliore di Caiden, che se vive come parla, è preso già piuttosto di merda di suo, ma comunque mi scivolano addosso come se non fossi pronto ad ascoltarle sul serio. Eppure lo so che con lei non ho corazze che tengano, non posso averle o sarebbe inutile starle accanto ed anche solo provarci ad essere la miglior versione di me quando mi ha sotto gli occhi. Non posso tenere scudi che non siano solo a protezione di Faust e quello che comporta nelle nostre vite. Perché forse quando ho scelto di lasciare che la Corruzione si prendesse quello che è il pegno per poterne fare pieno uso quando ne ho bisogno, ho affrontato il bivio tra dare la vita a qualcuno, o toglierla per sempre a chiunque. E stando al mio conto personale, direi che ora è ancora più evidente la direzione che sto prendendo. Ma no, lo so che se avessi dovuto scegliere chi sacrificare, avrei semplicemente fatto di tutto per tenere Edie al sicuro come priorità assoluta anche a costo di cancellarlo in anticipo un futuro che non vivrò. Sono finiti, ormai, i tempi in cui potevamo solo stare seduti vicini, sparando stronzate su come sarebbe stato avere una casa quasi come questa, con un dondolo sul portico, alcolici nascosti fuori dalla portata dei bambini e vederci invecchiare su quella poltrona imbottita in salotto. Sono finiti quando non è stato più possibile dirsi che avremmo potuto "fare finta che", qualunque cosa. Forse il nostro punto di forza è che sappiamo quando spegnere o accendere l'interruttore, quando a parlare sono le fantasie di una famiglia già morta in partenza, o è la razionalità che ci guida anche se macchiata sempre da quello che proviamo nell'essere l'unica cosa che ci è rimasta. «Edie» Ci provo ad ammonirla, perché lo so dove vuole arrivare, so che vuole darmi quella speranza che ho sempre stretto io tra le mani per lei, quando la spingevo a farsi coraggio e buttarsi ovunque sentisse di voler andare per non rimanere solo passivamente ferma ad aspettare di morire. E' ancora un fottuto colpo al cuore questo discorso ed è difficile capire come ora sia tutto invertito anche quando in realtà è solo che lei non sa cosa sto facendo per noi. E non lo saprà. Ho detto che provo ad ammonirla, ma non ci riesco, perché poi lo so che non la guardo negli occhi quando le rispondo, lo so che mi prendo un respiro di troppo e lo lascio in sospeso tra noi. So anche che il mio tono è troppo cauto per avere davvero una presa, però ci sono cose che io per me non posso volere e questa è una di quelle, forse perfino la più lampante adesso. Dovrei accontentarla, dirle che va bene, che magari è solo un "non adesso", ma sarebbe una stronzata perché lo capirebbe, mi conosce meglio di chiunque altro in questa dimensione ed in mille altre possibili. «Sarò tutto quello di cui avrete bisogno.» Alla fine lo dico perché davvero non posso farne a meno e lo faccio prendendomi io lo spazio che mi serve a lasciarle una stretta sulla spalla, là dove tengo ferma la mia mano adesso. E' una promessa che posso mantenere, forse la sola a cui so appellarmi adesso nel guardarla negli occhi e chiedere solo un posto in cui leccarmi le ferite con l'unica persona che vorrò intorno a me ogni fottuto giorno della mia stupida esistenza.
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    In fondo lo so che non mi aspettavo una risposta diversa. Lo so che sapevo esattamente che ancora, ancora, avrebbe rimarcato quella che è una decisione che si trascina dietro da tutta una vita, e che qualche volta quasi mi sembra di poter vedere farsi enorme alle sue spalle. Come un mostro di quelli di cui ti parlano da bambino, ma che per lui è così reale da aver modificato ogni suo pensiero, perché si infilassero in quei binari stretti che non lasciano passare mai nient’altro se non i suoi piedi stanchi. Non mi aspettavo una risposta diversa, e in fondo è anche questo il motivo per cui adesso sono io invece a tenerla quell’alternativa; come una porta da tenere aperta, non importa quanta forza ci voglia per non farla sbattere sul suo uscio. Alla fine, lo so che quello che devo fare di mio, è stare sui miei piedi e smetterla di traballare, ed è quello che sto provando a fare. Lo sto provando a fare da luglio, ma sono stata così maldestra da non esserne davvero capace, ma adesso è diverso. Lo è da quando ho saputo cosa è davvero costata la mia vita, e allora l’impegno si è quadruplicato. Ed è come ho detto a Morgan: ci sto provando. A fare tutto, ogni cosa, e a tenere questi piccoli pezzi con me, senza farli sparire mai del tutto. Non pensavo che di punto in bianco, Josh accettasse che esiste anche una sua vita, ma non per questo fa meno male sentire mentre lo dice così, in un modo che lo rende quasi una pietra troppo solida contro il mio sguardo. Ma no, ci vuole di più, adesso, per convincermi che non possa distruggerlo quel pensiero, anche se poco alla volta, anche se ci metterò Dio solo sa quanto, l’ho detto che non m’importa. Perché alla fine, resta sempre lui una di quelle priorità a cui non posso e non so, e neanche voglio, dare meno importanza, nonostante tutto. Siamo stati io e lui per così tanto tempo, che so quanto sia una parte enorme di me, e quanto no, non sarei la stessa se non fosse per lui. Non importa che non sappia vederlo, perché in fondo penso non importasse che io non ero capace di vedere qualcosa oltre quel limite che mi piegava le ossa e le cambiava, e che era la minaccia e la realtà di tutto; non importava per me, non importerà neanche per lui, non quando lo so, e lo sappiamo, che tutto quello che faremo, sempre, è tirarci via dalle sabbie che cercano di inglobarci e divorarci, per impedirci di vedere e sentire il mondo che fuori potrebbe avere per noi una promessa ancora. E in fondo io la mia l’ho avuta, e anche se è così breve e pesa, pesa come macigni immani, non posso permettere che per lui non esista mai altro. Non doveva andare così. Non doveva e basta, e questo è un errore che devo correggere, costi quel che costi. Perché noi il diritto ad una vita lo abbiamo, e se non sarà così, tutta questa storia di patti e giuramenti, e anni a resistere ancora ed ancora, non avrebbe senso. E non funziona così, e anche se invece è proprio così che funziona, beh un modo per cambiare tutto lo trovo. Prendo un respiro mentre ancora gli tengo gli occhi premuti addosso, lasciando che si riempiano di un tutto che sa solo di questa stessa necessità, come una promessa che non ha voce e che no, non potrà mai scacciarmi dal petto. Come io non sono stata mai capace di scacciare la sua, anche se ci ho provato e provato ancora. Ma si è trattato sempre di me, nella nostra vita, e invece adesso no, adesso è di lui che si deve trattare, perché anche lui esiste e deve farlo, deve farlo anche se è convinto di no. Lo so quanto posso ostinarmi, anche nel silenzio di una mano che si muove sopra la sua, la scosta solo per stringerla fra le mie, farlo piano, con tutta la morbidezza di cui sono capace, che è sempre poca, ma è tutta quella che ho. Neanche una goccia di meno. «Josh» un po’ come lo ha detto lui il mio nome, anche se ho la voce che scivola più piano, più lenta, quasi come un soffio che no, non vuole farsi pesante, ma che ha un intento che si preme in ogni nota. Io non lo lascerò andare, e questa cosa, ormai, dovrebbe averla capita. Dovrebbe saperlo e basta, e se non lo sa, glielo dirò ancora ed ancora in tutti i modi che conosco, e se non bastano ne troverò altri e sarò sempre lì a tirarla la sua mano per trascinarlo via da qualsiasi cosa lo stia inghiottendo. Non lo mollo, non importa nient’altro. «Quello di cui ho bisogno davvero da te, lo sai cos’è. È sempre lo stesso, non è cambiato» ne abbiamo parlato così tante volte, anche se ora metto su un sorriso che non sa della rabbia con cui, qualche volta, gli dicevo che avrebbe dovuto smetterla di pensare a me e pensare invece a sé stesso. «Ma non è importante adesso» lo aggiungo scrollando appena le spalle, ma no, la sua mano non la lascio, perché si tratta di questo. Letteralmente. «Ora pensiamo a te e a farti stare un po’ meglio» e vorrei davvero avere una formula perfetta per farlo, ma so che non esiste. So che tutto quello che posso sperare, è che il tempo lenisca qualcosa che si aggrava a fondo nella carne, e non fa altro che bruciare ancora ed ancora.


    Edited by .florence; - 2/1/2021, 23:49
     
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    Edie e Josh. Potremmo parlarci anche solo così, con il tono che imprimiamo nel chiamarci tra noi, che sia un sussurro o un grido che supera le pareti di un appartamento. E a me starebbe bene, Dio, mi starebbe benissimo quando ora come ora so solo pensare a come sappia mancarmi ogni volta che la distanza tra noi diventa temporalmente insopportabile. E lei lo sa, come lo so io che che questa cosa si prenderà il suo spazio perché lo sta già facendo. E no, forse non mi darebbe più fastidio se ci fosse qualcun altro al posto di Morgan, il fatto che si sia trasferita, è stato un colpo che ho retto a fatica. E lo so che Edie deve farsi una vita, io non ho mai voluto altro per lei, ma vederlo adesso e non sentire come si sia allentata la presa che abbiamo a legarci è difficile. Non si tratta neanche di un paragone tra la mia e la sua vita, o il fatto che quella che vivo esista per prendere strade ben diverse dal farmi una famiglia o.... o avere dei figli. È solo che non sono sicuro di essere mai stato pronto a questo, a lei che si muove con in grembo due gemelli, figli di una testa di cazzo su cui non penso cambierò opinione mai, troppo distante dalla via che ormai avevo imparato a percorrere a memoria quando era poco distante dal mio appartamento. Ma, in fondo, io sono anche quello che voleva che vivesse da me mentre la maledizione la consumava e lei fingeva non fosse così. Non la perdo di vista nemmeno quando non sa che sono qui, ed è forse l'unica consolazione a cui mi aggrappo nel dirmi che supereremo la tempesta del cazzo in arrivo e ne usciremo come solo noi sappiamo fare: in piedi, in due, sempre. E' il mio più grande "Te lo prometto". Sì, glielo prometto in silenzio anche adesso, guardandola negli occhi quando mi ricambia l'ammonimento che ho sempre insistito le appartenesse. E lo so che sembra una stronzata ma finisce che sorrido appena, come a dirle che insomma l'allieva potrebbe vagamente aver superato il maestro, ma sarà una concessione che non le farò ogni giorno, è solo per oggi. So sempre come stringere la presa tra le nostre mani, ma ora è nel silenzio che mi prendo che le osservo intrecciarsi per rafforzare quello che siamo, ed è fottuta acqua fresca per me che credo di aver bevuto catrame da quando ho smesso di riuscire a respirare decentemente. Quello che mi spaventa è che lei non lascerà la presa, e ci saranno giorni in cui potrò minimizzare come ha sempre fatto Edie, ed altri in cui andremo a fondo finché non me lo tirerà fuori che non è questo ciò che mi interessa adesso, non è avere quello che ha lei, ma è saperla salva e non ne sarà certo finché non lo vedrò come Luglio andrà avanti e noi staremo bene. Sei mesi sono pochi, pochissimi per non sentire il nodo che mi stringe la gola e fingere che ci sia solo un vuoto e non un segreto che terrò più lontano possibile dalle sue mani. Può stringere me, tutto il tempo che vuole e non mi sottrarrei mai, ma non può vedere Faust e tutto ciò che faccio quando la notte cala e lei dovrebbe solo dormire e non preoccuparsi per me. Credo di stare guardarmi allo specchio, e le parole che vorrei dirle sono le stesse che non ho mai voluto sentire, e mai lo farò. Forse faccio la cosa più giusta annuendo, lentamente, e tenendole per me. Deve capire che l'ho sentita, ho capito quello che intende e sì, sì non ne parleremo oggi. Lascio che sia l'altra mia mano a prendere la sua, e sono anelli che tintinnano tra loro per un istante nel silenzio che ho lasciato tra noi. Ci sono parole che non hanno bisogno di essere scritte da nessuna parte perché io guardo prima questa stretta che sono sicuro di poter reggere e volere per sempre, e poi lo alzo ancora su di lei. Come quando dovevamo dirci che anche se il mondo era pronto a farci crollare addosso tutta la merda che avevamo intorno, niente ci avrebbe toccati davvero se fossimo stati noi a combatterla. Ora lei non può, lo so perché non voglio che rischi mai niente, ma è la forza che richiama anche solo guardandomi che mi serve come se dovessi nutrirmi del nostro legame per poter combattere per entrambi, sempre. «Beh..» devo solo non pensarci troppo, a Lilian e come mi abbia reso inerme, ad Alice che non nascerà mai perché sarei un padre di merda e forse è meglio così. Devo solo riprendermi quel respiro che ancora arranca nei polmoni e usarlo per ricordarmi che siamo andati anche troppo a fondo. «... il metodo Çevic è collaudato» lo dico allungandomi appena perché si senta più sicura nel lasciare la presa e perché mi alzo io a prendere il gelato, soprattutto perché poi mi spetta la scelta del film, non transigo le toccherà subire uno dei miei classici e molto probabilmente sarò io, dopo a lasciar scivolare la mia spalla sulla sua e dirmi che basta, per stasera ne ho abbastanza anche io. «Devo ancora fartela pagare per Bridget Jones... » la minaccia è così poco reale che mi lancio così su qualunque cosa sia sufficiente a tenermi occupato. «.. possiamo iniziare con Batman Forever.» Per una sera vorrei che di nuovo la vita fosse semplice, vorrei quella bolla in cui ci concediamo di vivere sempre meno. Solo stasera.
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    Lo so che l’ho detto mille e mille volte, ma lo dirò altri milioni ancora, anche se non serve a niente e so quanto possa essere solo un sussurro che s’infrange contro un vento talmente alto, da coprire qualsiasi altro suono: a me sarebbe andata bene una vita così. Così semplice, così piccola. Fatta di noi contro un divano, con sì molti e molti problemi, mi andrebbe benissimo, ma senza questo accanirsi che le schiene ce le spezza, e lo fa di quel tanto che basta a far male, ma mai tanto a fondo da non permetterci, ancora, di tornare dritti con un colpo che ferisce. Così, seduti qui a consolarci con una semplice presenza, quando davvero ci è bastato questo per tutta la nostra vita. Eppure adesso no, e in qualche modo lo so, anche se siamo sempre qui, ma ci penso di tanto in tanto, quando sono con Daniel, che quella magia speciale che davvero, davvero, mi sembrava essere tutto, si sia crepata. Penso che sia legato a quella sensazione che nelle viscere mi fa sentire come si stia spostando, e anche se adesso è proprio qui, al mio fianco, in questa stretta che è tutto ciò che di più importante ho al mondo, ci sia uno spazio indicibile che si allarga, poco alla volta, e vuole portarmelo via. Ma non può. E lo so quanto questo “non può” suoni disperato nella mia testa, e quanto sia disperato anche quando esisto lì fuori, e cerco di capire, e farlo davvero, tutti i modi in cui potrebbe solo per impedirlo. Ma siamo stati io e lui per tutta la vita, e non voglio neanche imparare ad essere qualcosa di diverso. Non ne sarei capace, e neanche mi interessa. Esistono delle cose per cui vale la pena lottare nella vita e sì, ci sono arrivata tardi, perché prima non volevo lottare per nulla che non fosse solo oltrepassare tutto e arrivare a quella fine che fine non era, ma solo un lento dissolversi che di me avrebbe lasciato solo il peggio dei ricordi di una presenza che presenza non aveva voluto esserlo mai, e non di più; ma adesso lo so, lo so cos’è quel moto che ti fa alzare e correre, correre anche se quello che hai di fronte è un miraggio ma non importa, lotti anche per quello. E forse sì, la vita che vorrei per noi, per lui, è davvero solo un miraggio, ma correrò lo stesso cercando di raggiungerlo con tutta la forza che ho. Perché ce lo meritiamo. Perché lui se lo merita. E non importa neanche tutto il resto, non davvero, mai, non quando questo è tutto ciò per cui il mio corpo si muove. E sì, l’ho detto mille e mille volte, ma è questo che vorrei alla fine del giorno. Vorrei che ci fosse sempre un momento per raccoglierci esattamente così, su questo stupido divano o sul suo, a guardare un film o un altro senza qualcosa che ci si spinga nel cuore come una spina velenosa che aspetta solo di entrare in circolazione per infettare tutto. Non penso di chiedere poi così tanto quando no, non è vero che m’importa di soldi o stronzate del genere, ma solo di quelle piccole cose che sono in realtà enormi, e so quanto lo siano; perché lo so quanto è enorme chiedere di girarmi e vederlo solo sorridere, adesso e sempre. Farlo in modo diverso da questo, con troppi pensieri fermi sugli angoli delle labbra ad appesantirle appena, come appesantiscono occhi che paradossalmente, nell’essere tanto chiari troppo spesso mi sembrano imbrunirsi e farsi cupi. Ed è solo questo, ed è anche "tutto”. Perché non è poco, e sono persone come noi che lo sanno quanto in realtà, sia come chiedere il mondo, le stelle e la luna. Perché a noi non è mai stato concesso, e anche solo essere qui ed esserlo così, è stata una lotta estenuante. Una che che ha combattuto troppo spesso, quasi sempre, lui per entrambi. E io davvero non so, adesso, dopo essere stata così passiva per tutta la mia vita, già arresa ad ogni destino, convincerlo che invece questa volta sì, posso essere capace di fare anche io quei passi difficili in avanti, fianco a fianco con lui; che questa volta, questa volta, può contare su di me. Ce la faccio, e sto facendo davvero tutto quello che penso sia possibile, e se ci fossero altri modi proverei anche quello, solo per farcela. Mi stringo un po’ di più a lui sbuffando un sorriso, anche se si tira, ma in fondo, posso dire che non sia mai stato così? Forse sì, in altri nostri momenti era più rilassato, ma no. Non abbiamo mai, mai, avuto un momento in cui davvero non ci fosse nulla a premersi contro di noi. E sì, penso ancora a quella bambina che non nascerà mai, e a tutto quello che quasi come se per un attimo fossi lui, so sentire svanire e annegare sotto una tempesta che vorrei essere capace di fermare proprio ora, solo con una parola. Basta. Che anche a noi, a lui, sia concessa quella tranquillità che ferma tutto per un attimo, e lascia di quei sorrisi che no, non hanno niente a pesare da nessuna parte. Anche un secondo solo, un attimo appena. Ma non succede, e lo so, perché non funziona così. Per questo sì, mi stringo di più a lui, senza lasciare quella presa di mani che mi da quel senso di stabilità, che in fondo niente sa darmi. Anche se tutto trema, perché se anche tutto dovesse crollare, io lo so che girandomi troverò sempre Josh. Josh e basta. In tutto quello che siamo e che anche nel cambiare, ci portiamo sempre dietro. «Ma smettila, in realtà tu adori Bridget Jones» lo dico con ancora quel sorriso tirato, affaticato, ma con anche tutta la speranza che forse non mi sono mai concessa, solo per premerla tutta qui, adesso, per lui. Mi allontano solo un secondo, il tempo di prendere il gelato e infilarci uno dei cucchiai infilati nella scatola con già molto spazio vuoto. «Solo che non lo ammetti con l’unico scopo di avere diritto di scelta su cosa vedere adesso» prendo una cucchiaiata e gliela faccio volare di fronte la faccia, a qualche centimetro, prima di porgergli il cucchiaio con uno sguardo che sì, per un secondo se lo concede di avere solo tutto quell’affetto e quella dolcezza che vorrebbe avvolgerlo, e fare in modo che niente più possa ferirlo. Ma non posso farlo, quindi gli sorrido ancora, lentamente, prima di tornare a infilare l’altro cucchiaio nella vaschetta. «Ma va bene, è concesso, anche io ho voglia di vedere Batman e i suoi fantastici addominali scolpiti in una tutina nera attillata»
     
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    Fa male guardarmi intorno adesso e scoprire che non è cambiato così tanto da quando ci fingevamo una famiglia normale. Non è cambiato perché se prima il mio terrore era legato a quella maledizione, adesso sono io che potrei semplicemente non avere più tempo per questo, o non esserci la prossima volta che avrà bisogno di me e, Cristo, non posso nemmeno pensarci. E' questo che mi spezza un fiato in gola, là dove annuisco e basta mentre le lascio il controllo del gelato. Sì, noi abbiamo imparato a goderci le piccole cose, perché quelle belle ed enormi che praticamente prima o poi ognuno vive nella sua stupida vita, a noi non toccano mai. Noi è già tanto se una fottuta stronzata riusciamo a godercela per qualche ora e farne un punto da ricordare quanto tutto farà così schifo che non avremo appigli. Nessuno eccetto uno, perché è una promessa che manterrò finché respiro, quella che avrà sempre me come io avrò sempre lei. Avrei dovuto dirle che quando mi ha detto che sarebbe andata a vivere con un mago bianco, più o meno, che la proteggesse in qualche modo, mi sono sentito un po' morire. Un po', perché lo so che così è giusto, che non potrò sempre stare qui a controllare che i Crain non continuino a farsi altri mille nemici che cercheranno di arrivare a lei come punto debole principale di Morgan. Però Edie è anche il mio, come è il punto di forza di ogni mio passo verso Faust, o Slater, o la Corruzione, quindi l'idea che non avrei più potuto vederla per un loro ordine, e che avrebbero la forza di portarmela via se volessero, mi è entrata nelle ossa. Sarebbe una cazzata, perché con me è totalmente al sicuro, perché adesso posso fare cose che prima neppure sognavo, ma so anche che non posso oppormi alla tranquillità che potrebbe dare a me sapere che questo Daniel è qui quando non ci sono io. Anche se vorrò essere avvisato, o dovrò trovare un modo per innestare un allarme da qualche parte che riconduca solo a me. Ma sono altre le cose che ora mi premono in petto, sono cose che non posso dire quando guardandola mi dico solo che non so cosa farei se non esistesse. Forse lascerei il compito a Slater di farmi a pezzi, separare ogni parte di me così bene che finire nel suo inferno sarà solo l'ultima delle mie gloriose azioni del cazzo. Che tanto lo so arriverei a non sentire più niente. E so anche che non dovrei pensare sempre così di tutto, eppure non riesco a fare altro anche quando mi parla di Batman e della sua tuta, perché in fondo quella più brava a fingere che vada tutto bene per un po', è sempre stata lei. Forse le cose vanno meglio quando mi ferma il cucchiaio davanti e posso solo accettare che un respiro si espanda un po' di più. «E infatti ti sto proprio facendo un dispiacere enorme, che se mi concentro un po' di più posso parlare direttamente con i tuoi ormoni.» Questa gliela assesto senza colpo ferire, così direttamente in grembo dove porta i figli di quella testa di cazzo a cui proprio non voglio pensare ora. Infatti sono abbastanza bravo da concentrarmi sul film, spegnere un po' di luci perché un cineforum si fa bene, o non si fa e prendermi il mio fottuto posto accanto a lei, quello che vorrò avere sempre. Perché in fondo io il Paradiso lo immagino così, noi due a raccontarci le peggiori stronzate e dirci che va bene così, mentre alla TV può passare qualsiasi cosa, se trash, meglio. Sono questi i momenti per cui vivo, per cui combatto e mi faccio a pezzi ogni legamento pur di continuare a poterlo fare. Io è anche per questo che uccido. «Lo sai, vero, che gli addominali esistono solo perché indossa quella tuta, e che senza è indubbiamente più fisicato Alfred?» Nemmeno me lo spiego quanto faccia bene a me sentirmi così, per un po' leggero mentre aspetto solo che il mondo mi crolli addosso di nuovo, ciclicamente, come sarà per tutta la mia vita. Tengo saldamente la vaschetta di gelato su di me, perché stavolta me la merito, sono io quello che sta male quindi è mia di diritto e, nel farlo mi piego un po' verso Edie. E' un "grazie" che non ha bisogno di parole.
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