I'm a liar

Josh/Edie - 20 Febbraio

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    Sono tornato. Non so quante cazzo di volte me lo dico nella testa prima di rendermene conto. Sono qui e non sono ancora sicuro di meritarmelo, o che di punto in bianco non si trasformi tutto nell'ennesimo fottuto incubo. Me ne accorgo anche nel modo nuovo in cui mi muovo, in cui misuro gli spazi come se un passo in più potesse attivare una trappola che non ho percepito per tempo. Estendo ogni senso al massimo anche solo per camminare a vuoto a casa di Edie. So che Morgan non c'è, ed è una parte della ragione che mi spinge qui adesso, oltre al pulsare impossibile del mio cazzo di cuore. Sono stato via un mese. Un mese senza sentirla, quasi senza vederla se non per quelle volte in cui ho guardato nel mio orologio ed ha fatto più male che bene, mi sono ucciso da solo. L'ho guardato anche due minuti fa per assicurarmi che stesse bene e fosse in auto, che stesse tornando. Non ho nemmeno acceso il telefono, sono passato da casa solo per darmi una ripulita, farmi una cazzo di doccia e distruggere le prove più lampanti di quanto mi sia successo in questi trenta giorni. Sono tornato per lei e per me, perché non c'è stato un giorno in cui ci abbia pensato, un fottuto dannato giorno del cazzo e adesso mi manca già il fiato. Non so più starmene seduto in attesa, anche se controllo le pulsazioni, controllo la mia emotività ora che ho imparato quanto male sa fare e lei, lei non dovrà mai soffrire per mano mia. E poi ho paura, cazzo ho una fottuta paura che vedermi peggiorerà le cose. Me lo sono chiesto in quel pozzo se non sarebbe stato meglio rimanere lì e non tornare più. Se ne sarebbe fatta una ragione, mi dicevo: tutte stronzate, perché se non me la faccio io, non se la fa lei, e noi siamo così. Viviamo assieme, soffriamo assieme e moriamo assieme. E lo so già che è stata di merda, lo vedo anche solo girando per casa al buio, un'oscurità che conosco come le mie tasche adesso. Gli specchi mi parlano, ed è come se in ognuno di essi sapesse riflettersi il suo volto; stravolta, stanca, incazzata, frustrata e forse perfino delusa da me. Ma, soprattutto: spaventata. Posso dirmi che conoscere come è stato per lei ma non lo saprò fino in fondo finché non l'avrò tra le mani ed allora lei non nasconderà nulla a me, ed io a lei. So come il mio volto sia scavato, anche se adesso non sembra che io stia poi così male, ho cicatrici - troppe - che mi segnano sotto i vestiti, sulla schiena, lungo le braccia. Alcune hanno distrutto perfino l'inchiostro con cui ho imbrattato la mia pelle e se ci penso mi dico quanto cazzo stupido fossi a credere di poter essere un fottuto Batman. Beh, sappiate che no, quel buco di merda tanto profondo che mostrano nei film è molto peggio nella realtà. Ed è nella mia testa quando chiudo gli occhi, anche se lo sento come abbia saputo darmi una corazza da vestire, una risolutezza marziale se serve, ed una fragilità che più nascondo e più diventa una fottuta bomba ad orologeria. Fermo i passi a qualche metro dalla porta, al buio, pronto ad essere investito dalla luce quando la accenderà, e non nascondo niente di me. Perché sono qui, e adesso non intendo stare di nuovo via così tanto. E' che quando muove le chiavi, trattengo il fiato. Quanto cazzo mi sei mancata lo sa solo quello stronzo di un dio a cui ho venduto l'anima. Apri la porta.
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    Non sto bene, e non so se arrivata a questo punto della mia vita, sia meglio ostinarmi a dire il contrario, o semplicemente accettarlo. Non sto bene per motivi che potrei elencare da qui alla mia morte, tutti addensati, raggruppati, stretti da qualche parte sotto la mia pelle. Non sto bene, ed è tutto qui, davvero. Sto bene per qualche momento, questo sì, ma non ho mai avuto una corrosione come questa a vivere con me ogni mia giornata, mentre ci sono minuti, ore, spese a controllare uno schermo che no, non si accende mai. Se magari fossi diversa, più forte, potrei fare qualcosa di diverso, qualsiasi cosa che non stia starmene seduta a guardare tutto andare in pezzi e pregare solo in un miracolo in cui non credo, non credo mai. Però, però vado avanti. Lo faccio anche questo per mille motivi, alcuni vecchi, alcuni nuovi, alcuni radicati da qualche parte, anche loro, fra le vene e le ossa, incapace di lasciarli decadere abbastanza da fermarmi e dirmi che no, basta. Se devo essere onesta, quello che mi preoccupa adesso, mentre guido per tornare a casa, è il silenzio. Una volta mi piaceva, ma forse era perché potevo attaccarmi ad una bottiglia e far finta che niente fosse reale, neanche io, e adesso invece no. Adesso sono fisicamente costretta a restare in questa realtà, con tutto quello che contiene. Quindi sì, penso sia il silenzio, il vuoto, se non per Whiskey. Forse finirà che chiamerò Daniel e implorerò scherzosamente una compagnia che in realtà è qualcosa di cui ho un bisogno feroce. Non penso di poter vivere davvero da sola con i miei pensieri, non quando so di non essere abbastanza stanca da poter solo crollare a letto e sperare di sognare solo nero e niente di più, o di non ricordarlo più al mattino. Lo so che invece finirò solo per prendere quelle pillole che il sonno me lo fanno venire comunque, perché ormai lo so che è un’abitudine ogni volta che sono da sola la sera, e no, non c‘è Morgan con cui, almeno, non ho quel pressante silenzio a spaccarmi i timpani a suon di quello che ho nella testa, e si fa così fracassante da non lasciarmi poi tanto spazio. I bambini si muovono, uno di loro, e lo sento quasi con un sollievo che no, non sarei capace di spiegare davvero, mentre una mano la premo in quel punto che anche se è un fastidio, in fondo non lo è, mentre spingo la macchina nel garage ora che Morgan non c’è e quindi non c’è la sua. Mi prendo un secondo, seduta in macchina, a fissare il niente, se non il buio che persiste finché non apro lo sportello e la luce della macchina si accende, permettendomi di spegnerla e tirar via le chiavi per tornare nel buio che ancora, mi circonda finché non afferro per farmi luce nel tratto dalla macchina, alla porta che mi fa accedere alla casa. Il processo è sempre lo stesso. Scosto la borsa dal braccio per sfilare la giacca ancor prima di entrare, appoggiandola al braccio mentre poi mi sfilo le scarpe per liberare i piedi che iniziano a gonfiarsi e far male costretti così, tutto il giorno, ma lo so che se non andassi a lavoro, semplicemente, impazzirei. Del tutto. Non riesco a pensare di passare tutte le mie giornate a riposto qui, da sola, senza niente che possa essere abbastanza da farmi sopportare me stessa. Alla fine apro la porta, pronta già a lanciare le scarpe dentro con un gesto quasi brutale che però si ferma, si blocca, come tutto il resto. Penso di metterci neanche un secondo a lasciar cadere tutto e spingermi solo in avanti, per allungare le braccia e circondarlo con un gesto che lo stringe per quanto mi sia possibile farlo, ora che c’è una protuberanza sulla pancia che rende difficile ogni contatto. Ma non m’importa. Un mese. Ho contato ogni giorno, ogni ora, minuto, e anche tutti i secondi, con quel senso di apnea che non si è calmato, e che non avrebbe potuto calmarsi con niente se non, letteralmente, questo. E non è solo che non sono abituata a non sentirlo, vederlo, parlargli per così tanto, e che il silenzio fra di noi ha quella forza che sa devastarmi davvero; è anche tutta la preoccupazione che non ha fatto che crescere, ancora ed ancora, quando senza nessuna notizia, non sapevo dove fosse. Con chi. A far cosa. O a subire chi sa cosa. Stringo gli occhi mentre stringo anche lui, lo faccio premendo la fronte contro il suo petto mentre prendo un respiro che trema fra le labbra. «Dove diavolo eri finito» non so essere arrabbiata, non quando lo so che c’è un sollievo infinito nella mia voce, per il semplice fatto che è qui, qui, di fronte a me, fermo e immobile dove posso guardarlo, parlargli, e non perdermi fra troppe domande senza nessuna risposta. Non so essere altro che sollevata, anche se con quell’apprensione che resta immobile in ogni mio frammento e non se ne andrà. Ma non importa, mi va bene questo, mi va bene tutto adesso, perché Josh è qui e allora, lo so come ogni altra cosa sa sembrarmi semplicemente insignificante.
     
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    Gesti, respiri e quello sguardo. Io mi prendo tutto senza lasciarle niente, neanche il tempo di capire che sono davvero qui. Riconosco nei suoi movimenti i meccanismi che la trascinano in avanti perché non ci è mai dato di poter guardare indietro e piangere. Non abbiamo mai potuto soffrire al punto da permetterci di elaborare qualcosa perché ogni giorno doveva essere l’ultimo, ed allora avanti come treni. Ma non vuol dire che abbiamo la forza di vivere di questo; lo facevamo perché sapevamo che ci avrebbe distrutti. Che lei sarebbe morta ed io non sarei stato capace di prendermi un solo respiro su questa cazzo di terra senza Edie. L’ho sempre detto e l’ho pensato anche quando ho accolto la corruzione, che piuttosto mi sarei allontanato io ma Mai, mai avrei sopportato di vivere senza di lei. Lontana da me, ma viva, è sempre stata la scelta più ovvia in casi estremi. E l’ho fatto, cristo l’ho fatto e mi ha distrutto. Ha preso ogni pezzo di me solo per ricordami quante fottute stronzate sono ancora capace di fare e questa è una di quelle. Lo so che dovrei essere grato a Slater per non avermi ucciso su due piedi o a quegli stronzi per avermi dato quello che adesso ho, e fatto conoscere parti di me che non esistevano. Ma no, no niente è mai stato una tortura peggiore che starle lontano. Ti ho vista morire così tante volte, Edie, che vorrei dirtelo quanto sia un cazzo si sollievo che tu mi stringa. Questo mi passa per la mente quando la sola cosa che so fare è stringerla a mia volta. E basta, anche nel silenzio, anche al buio, io sarei capace di rimanere qui per sempre. Si, in questo fottuto punto, in piedi, con braccia che la circondano anche se adesso tutto è un po’ troppo scomodo. Perché i bambini crescono, e nel veder morire anche loro ho sentito così tante strette al petto che è un miracolo che il mio cuore batta ancora. È alla gola che si stringe il nodo più grande quando anche respirare diventa impossibile perché il suo profumo è casa per me. L’unica cazzo di casa che abbia mai avuto. Non sono mai state quattro mura a darmi questa definizione, ma è sempre stata lei. Ero a casa anche quando andavano a fare gli stronzi in giro per il Bronx, anche quando camminavano sui tetti e ci raccontavamo di tutto pur di restare in piedi. Anche con un cielo sopra la testa sarei stato a casa se ci fosse stata anche lei, tanto quanto tutto sapeva diventare una merda in sua assenza. Sono solo incastrato, qui, adesso a chiedermi quanto a lungo posso farlo durare. All’infinito, mi dice il cuore: ed io eseguo e basta. Mi prendo un respiro che è una fottuta oasi e per un dannato secondo è così bello che so crederci. So farlo. Così la tengo a me in una disperazione che per un attimo inumidisce gli occhi, e mi forzo a chiuderli perché non sia tanto ovvio quello che già sente. Premo un bacio trai capelli, quando la voce è così bassa che l’abitudine a parlare l’ho abbandonata. Ma io ho solo una cosa da dire. «Mi dispiace...» in un sussurro doloroso che arranca perfino nel petto. «Mi dispiace... mi dispiace..» continuo e potrei farlo in eterno perché è vero, cazzo se è vero. Ancora non so lasciarla andare, non voglio, come cazzo ho fatto un fottuto mese? Come? Adesso anche un secondo di distacco mi sembra troppo, diventa ingestibile ed io non so accettarlo. Ancora è solo fottutamente bello sapere che è viva, che anche se so che era così per troppo ho creduto non lo fosse. Era parte di tutto quello che ho dovuto affrontare, e no, non c'è niente che lenisca questo. «Mi dispiace...» così tanto. lo dico ancora e ancora, con un tono diverso, che si ripete nella difficoltà che ho di parlare quando vorrei solo che capisse che lo so.
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    Non mi è mai importato di niente nella mia vita. Niente. Se non così poche cose, piccole, che sono enormi per me, e mi sono cresciute nel petto, fra i polmoni, gli organi. Josh è una di queste. Lui e papà lo sono sempre stati, sempre, da quando mamma è andata via e non ne abbiamo mai più saputo. Josh è ancora una di queste, quella che sta sempre sopra tutto il resto, e che mi rende capace, come ha sempre fatto, di sopportare un po’ di più tutto. Adesso, adesso mi sembra quasi di respirare dopo aver trattenuto il fiato per troppo, essere rimasta intrappolata sott’acqua gelida, con solo una spessa lastra di ghiaccio a impedirmi di tornare in superficie. Non m’importa neanche di quanto tempo sia passato, non adesso, come se fosse scivolato via, anche se resta premuto ovunque. Ma adesso è qui, e allora non importa più di quel silenzio che mi ha strappato via pezzi di tutto, scavando fosse che posso richiudere solo adesso. L’ho detto così tante volte, che a me basterebbe così poco, davvero così poco, per poter anche solo vivere senza quel peso che ormai è invece una costanza nei miei fiati, quello che non riesco a diluire mai e che un po’ permane anche adesso, anche se più leggero. Mi basterebbe saperlo al sicuro, lì dove ormai non so più sperare in poi più di così. Non ne sono capace, sono drenata da tutto, da ogni volta che ho provato a pensare che sarebbe andata bene, e alla fine si è rotto di nuovo tutto, nonostante io ci abbia provato. Con tutte le forze, e lo so che non posso fare di più, perché i miei limiti li ho superati tutti, ma non è mai abbastanza. Adesso, almeno, posso prendere respiri che non fanno male fra le labbra, e sentire qualcosa che è simile ad un sollievo, anche se lo so che è qui solo ora. Che domani, domani sarò di nuovo in quel vortice che non ha clemenza, e continuerò solo a guardare tutti e non sapere neanche più se quelle prese che ho serrato, sono ancora lì, o se anche loro hanno ceduto e ormai non ho più modo di afferrare nulla. Ma adesso, adesso voglio solo pensare che è qui, che respira, che è reale, e posso sentirlo contro di me, nel suo calore. Scuoto appena la testa, senza scostarla da lui, ma strusciandogliela contro come se volessi premerlo anche così, fisicamente, questo no che ci mette un po’ a risalire dai polmoni, le vene, fino alle labbra. «No, va bene, è tutto okay» è più un bisogno, uno che si solidifica nella voce, perché ho davvero la necessità di pensare che almeno ora, adesso, sia tutto okay. Solo per cinque minuti, solo cinque, in cui dimenticare tutto quello che esiste e rintanarci di nuovo lì, in quel posto che ci ha sempre accolti e in cui ci trovavamo quando qualcosa diventava troppo, e allora avevamo solo bisogno di quel piccolo spazio, grande abbastanza solo per noi due. Non le apro le mani che si sono strette, dietro la schiena, alla stoffa, e che restano lì, artigliate come se avessi paura che anche adesso potesse semplicemente svanire da un momento all’altro, senza farsi più vedere. «Dove sei stato?» lo mormoro piano ancora ferma qui, sempre con questo bisogno che si preme ovunque e mi impedisce di lasciarlo andare, perché ho bisogno di sapere che è qui, e di sentirlo, così da sapere che non si tratta solo di una fantasia, un sogno ad occhi aperti, un miraggio nel buio.
     
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    Fermati, Josh. Sono le parole di mio padre queste, di quel vuoto che ha lasciato quando non sono riuscito a perdonarlo, quando anche adesso non vado da lui. E lo so che anche se non avessi questa fottuta situazione del cazzo da sistemare, non ci andrei con la frequenza con cui so che va lei. Perché io non riesco ad andare avanti, non riesco a muoverlo quel passo che mi dice che perfino senza la maledizione io possa almeno provarci. Ma ricordo che mi chiedeva questo quando, come una fottuta iena mi avventavo con tutte le parole che avevo su di lui. Perché era colpa sua se mamma se n'era andata per sempre, e non avendo più lei da additare, calavo su di lui. Fermati, e respira ragazzo. Cazzo se ci penso è suo anche il tono con cui le leggo, le sento e le ignoro perché non mi sono mai fermato. Mai fino ad adesso. Oh adesso vorrei che tutto si fermasse, anche il tempo, lì nel punto preciso in cui il mio petto brucia. Soffoco in respiri che mi sembra di respirare petrolio. Alla fine è colpa mia, non posso nemmeno guardare quel fottuto di un Crain e dargli tutto il peso che in parte resterà sempre con me. Io non l'ho salvata per primo, Io ho corrotto il mio sangue, ed io le ho fatto questo accettando di allontanarmi e senza sapere per quanto. Giorni, mesi, anni, non ne avevo la fottuta idea, ma l'ho fatto perché era.. la cosa giusta da fare. Certo, mi conviene dirmelo per andare avanti, per saper parlare ancora. «Mi dispiace... » ancora, sempre, in un muoversi di labbra impastate ed una voce che deve arrivare solo a lei, nessun altro. Non me ne frega un cazzo se mi dice che va tutto bene, che è tutto okay perché non è vero. Magari dopo possiamo dirlo di nuovo, ma adesso, adesso deve dirmi che sono una merda, che l'ho lasciata da sola in un mondo per cui non è nata e no, continuo a pensare che non ci sarebbe mai dovuta finire nemmeno per sbaglio. Adesso ho colpe che continuano a premere, elaborate lì dove le mie catene si sono solo strette di più, rinforzandomi e spogliandomi di ogni cosa. Ho bisogno di questo, del mio sentirla contro il petto e tenerla con me. Di sapere che non sono ancora arrivato al punto in cui, guardandomi, non mi riconoscerà. Adesso Faust non è più un elemento sopito che si risveglia a comando; sono io e.. non sono io. Non è qualcosa che si spiega. Scuoto la testa, inspiro profondamente, ed è ancora aria viscosa, un blocco che non se ne va. «Non è vero...» adesso non è solo un sussurro, sono io che guardo oltre la sua spalla, che penso a come si possano mettere in linea le parole giuste, quando alla fine non lo so ancora fare questo. Stringo ancora, non lascio la presa ed è un colpo al cuore quando non lo fa neanche lei, perché lo so come sappiano ancora arrossarsi i miei occhi, come possa frammentarsi di nuovo il respiro o tremarmi la voce. «Non avrei dovuto lasciarti qui» anche se sì, è stata per forza la scelta migliore e no, è stata anche una decisione del cazzo sotto troppi aspetti. Uno mi spinge solo ad affondare di più nei suoi capelli, a chiuderli questi cazzo di occhi e tenermelo il tremolio di merda che resta fisso nel tono che uso, ma non nel corpo che è solido contro quello che ho sopportato. Le avvolgo anche le spalle. Non posso lasciarla andare di nuovo, non lei, non adesso. Non lo so quanto lo tengo il silenzio che mi preme le labbra fino a chiuderle perché sia solo il suo profumo a permettermi di respirare. Risalgo con una mano solo perché ho bisogno di accarezzarle i capelli, come facevo quando eravamo più piccoli, quando mi calmavo così e con niente altro. Prima delle canne. «Sono stato in un posto... ho dovuto assicurarmi che lui non dubitasse di me.» Slater, perché non se ne andrà dalle nostre vite finché non sarà passato questo fottuto Luglio, allora dopo le cose dovranno cambiare. «... che non pensasse che volessi tradirlo o, peggio. Ci è voluto tempo» So che le tengo ancora nascoste le mie nuove cicatrici, come quella che sfiora la pantera quasi deformandone il muso.
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    Edited by nocturnæ - 24/2/2021, 18:16
     
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    Io non sono mai capace di mettermi qui e dirgli che ha sbagliato tutto, quando non so neanche pensarlo. Non è così, e lo so che tutto questo, tutto questo è sempre pregno di pensieri che si muovono verso di me. Non penso di essere mai stata capace di dargli nessuna colpa, mai, non quando abbiamo avuto la vita che ci è capitata, e io l’ho visto sempre sforzarsi, ancora ed ancora, per inseguire qualcosa che inevitabilmente gli scivolava via dalle dita. L’ho visto giorno per giorno, anno dopo anno, e lo so e basta, come so che in quel momento non poteva restare qui, e di quanto probabilmente, sicuramente, sia costato a lui esattamente come è costato a me. Lo so che quel tipo di assenza che ho sentito io sulla pelle in tutti questi giorni, trovava una gemella in quella che sentiva anche lui, ovunque fosse, così lontano da essere solo l’alone perenne nei miei pensieri, ma mai l’immobilità concreta di quello che avevo fra le mie dita. Resto ancora così, e vorrei davvero che non ci fosse niente, niente e basta, che per un attimo mi fosse semplicemente concesso di perdermi in secondi che sono come un balsamo su ferite che si sono aperte lentamente per ogni secondo di silenzio. Ma anche questo, anche questo è un desiderio di quelli impossibili, e ormai dovrei averlo capito che non c’è mai nulla che sia fatto solo di sospiri che sono ricongiungimenti. Mi sembra che, ormai, anche ogni momento che avrei reputato felice, debba per forza invece sporcarsi con qualcosa che è sempre qui, fermo nel mio petto, come mani che scavano nella carne per arrivare al cuore e congelarlo sul posto, contorcerlo su sé stesso senza darmi tregua. E anche in questo, vorrei essere più forte. Più capace, più brava a gestire, pensare, capire, fare qualsiasi cosa che non sia sempre stare qui, ferma, ad aspettare e stringere dita che ormai fanno male, ma che non apro comunque, perché non lo farei mai, e mai lo farò. L’ho detto che non lo avrei mai lasciato andare, e non m’importa se i miei piedi scivolano e non riesco a tirarlo, non m’importa se perdo terreno. Non lo lascerò mai. «Lui non lascio la presa e, anzi, per un secondo la sento farsi più forte ancora, come se davvero mi aspettassi che potesse bastare a strapparlo via da tutto. Tutto e basta, tutto quello che c’è ed esiste e mi fa sentire sempre e solo come se stesse scivolando sempre e ancora. Prendo un respiro, lo faccio ad occhi chiusi, con sopracciglia che si stringono fra di loro, si corrugano in un gesto che è solo questo, un gesto, l’eco di questa sensazione che mi resta ancorata addosso e mi fa solo desiderare, sempre, che tutto possa tornare ad aggiustarsi e correre nel modo in cui dovrebbe. Quando mi sono spinta ad immaginare una vita in un dopo che mi era negato, non immaginavo questo. Immaginavo me e lui, egualmente liberi, ma adesso non lo siamo. Non lo siamo da nessuna parte, mai. Non penso che lo saremo, non come quei momenti in cui ho sognato, grattandomi via poi tutto perché di certi spazi, non ne potevo lasciare nella mia mente. «Sei andato da lui» non è una domanda, non ne ha il suono, e non è neanche una constatazione. È qualcosa che diventa acido nella mia stessa gola, negli organi, inizia a scioglierli mentre mi contorce le interiora. No, non pensavo sarebbe tornato da Slater, anzi. Ero sicura non lo avrebbe fatto, me ne dovevo essere convinta come mi convinco di tante cose. Non è per questo che ho cercato di creare una storia che lo avvolgesse in sicurezze che non possono crollare ora, come non potevano quel giorno, ma è stata come una di quelle certezze che forse nascondono speranze vane, e parlava di come volessi che quell’uomo, se di uomo si può parlare, non fosse così vicino a mio fratello. Non per i Cacciatori, per una storia che è solo contorno. Ma perché non voglio e basta, perché è come guardarlo spingersi sempre più a fondo in un pozzo e restare solo immobile, incapace di afferrarlo, trascinarlo su, di nuovo, verso qualcosa che non è così scuro e non lo sta divorando. «Non devi più vederlo Josh, mai più» sono ancora ferma contro di lui, e provo ad averla ferma una voce che però sento spezzarsi da qualche parte al pensiero che esista quella sagoma densa che mentre cerco di tenermelo qui, vicino, allunga dita per portarlo verso qualcosa che no, non sarà mai un bene. Non per Josh, e non c’era bisogno di tutta questa storia per saperlo. Lo sapevo già, lo sapevo quando sono andata da Daniel perché mi aiutasse a capire, e nel capire, a trovare qualcosa, un punto d’appoggio che mi permetta di trattenerlo, ancora ed ancora, anche quando le braccia sono stanche e i muscoli fanno male, pulsano per sforzi prolungati che non concedono mai riposo. Non ho mai voluto niente di tutto questo per lui, mai, neanche per un secondo, non quando avrei voluto solo vederlo prendere la sua vita e stringersela contro, respirarla tanto a fondo da farsi inebriare da tutto. «Non è imbattibile, nessuno lo è, e non m’importa di cosa possa o non possa fare. Non devi più avere a che fare con lui» lo dico a labbra strette, lo dico con una forza che è solo lo sforzo di averla, perché non voglio, non voglio che sia ancora lì, a stringere quella presa su di lui. Non voglio che ne stringa nessuna, come se fossimo alle due estremità della stessa corda e stessimo lottando per tirarcela via dalle mani. E io non lo so se sono riuscita a guadagnarne un po’, o se ho solo palmi ormai bruciati dallo sfregamento. Ma resto così, perché non si tratta mai di me che muovo passi lontano da lui. Mai. Sempre qui, immobile, contro di lui.
     
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    Siamo sempre stati una cosa sola, anche quando non aveva un cazzo di senso esserlo. Perché non potevo lasciarle portare il suo peso e non fare niente per condividerlo. E cazzo ci siamo uccisi per arrivare a darci un momento che fosse "okay" ed anche questo è così prezioso che nel tenerla stretta a me mi chiedo solo quanto impiegherà a disintegrarsi tutto. Perché sarà così, l'ho già visto, e l'ho già capito come andranno le cose tra noi. E sarebbe una cazzo di sorpresa che per una volta non andassero di merda, aggravandosi ogni respiro di più. Siamo sempre stati una cosa sola quando ho capito che non c'era da chiedere proprio un cazzo, che non potevamo muoverci se non eravamo in due a farle le cose, ed anche se io poi ci ho provato a dirle che no, non mi sarei arreso mai, non è cambiato questo tra noi. Non fino ad oggi. Adesso lo sento che deve cambiare, perché ci sarà sempre questo lato di me che ha bisogno di crescere ed io ho bisogno che lei non lo veda, che Edie non sappia di cosa sono capace e di quanto facilmente spezzerei vite se bastasse ad assicurarle un posto in quel fottuto Paradiso o anche solo un giorno di pace. Non posso più portarla con me così a lungo, non posso... eppure non so starle lontano, non voglio. Come cazzo siamo finiti qui, eh? Come? Oh ma lo so, ci siamo finiti perché io non avevo alternative e questo è il fottuto prezzo da pagare per averci provato. Lo so come sa irrigidirsi pur essendo così testarda da non voler lasciare la presa su di me. Non deve farlo, mai, non deve lasciarla quella mano che arriva fino a trattenermi per il tessuto della maglia, della pelle, che trattiene vene nelle sue perché senza... senza ci sarebbe solo Faust e nient'altro. Però lo so come suona un rimprovero anche quando muove in me solo un sospiro affranto, un prendere fiato che è gelido nello scendere lungo polmoni vuoti, incapaci di riempirsi. Fermo le mani, ma solo perché ho bisogno di sentire tutto il male che fa sapere che non posso darle quello che vuole nemmeno oggi. Edie. Non dico niente, per un po' io non dico un cazzo di niente. Sono fermo e basta, così nel cercare di prendere la sua preoccupazione e trattenerla perché non vorrei soffrisse così, non per me, non quando sto bene. Io sto bene, nel stare sempre di merda, sto meglio di quanto perfino meriti. E lo so che ci sono linee sulla mia pelle che potrebbero gridare il contrario e, cristo, ancora non so quanto resteranno in me appena chiuderò gli occhi. Ma non importa perché alla fine il mio Nord è lei, e sarà sempre il punto in cui tornerò. Proprio qui, stretto così. Lo so come non vede la trama che si muove sotto i nostri piedi, sente solo che sono stato da Slater, ma non il motivo, ed è sempre stato così. Sempre. Non ha mai pensato di valere quei sacrifici che per me non lo sono mai stati. Avevo ed ho il fottuto dovere di fare ogni cosa per lei, per la sua vita che è sempre stata così sul filo del rasoio che non so ancora convincermi che non rischi di morire domani, lontano da me, perché assumerà forme che non potrei controllare. E forse è bene così, perché la compagnia che si è scelta non è tra le più sicure, non è la vita che volevo per lei. E siamo pari così, io non ho la vita che lei voleva per me. Era infattibile, lo sappiamo. Ed è nel saperlo che stringo gli occhi ancora, e poi le labbra e poi Edie. Mi piego appena, quanto basta a lasciarle un bacio trai capelli, premuto così come un addio quando non lo è mai, anche se so che ne ha l'aspetto. E' l'addio a quel senso di protezione che vorrebbe estendere a me, ma che non posso accettare adesso. «Non posso» lo sussurro ma stavolta lo so come la voce sia seria, rassegnata a qualcosa che a mia sorella non andrà mai bene. Come sono rassegnato io ad essere sempre un fottuto corvo. Così mi rialzo, non lascio l'abbraccio, non lascio nulla ma cerco solo il suo sguardo voglio che veda che non sto vaneggiando, che sono sicuro di quello che dico, e che lo so quanto in fondo sia una pugnalata ma sono qui per prendere parte di quel dolore con me, sempre. Sempre, Edie. «Se non mi vedrà verrà a cercare te...» E no, anche se nego lentamente a rafforzare il tutto, lo sappiamo che non gli permetterei mai di farle niente, al costo di finire dal mio cazzo di Dio prima del tempo. «... nessuno è imbattibile.» Mi affretto prima che ribatta, stringendo trai denti quella consapevolezza e come sappia cucirsi su di me. «Ma adesso non è un'alternativa valida, so quello che faccio. Dobbiamo chiudere questa cosa con i Cacciatori ed io poi terrò lui lontano da voi.» Ed è la verità, anche se in quel "voi" ci sono solo lei ed i bambini, gli altri possono andare a fanculo, non ho tempo per loro, che facciano il cazzo che credono e muoiano come preferiscono. «Ce la faremo anche stavolta»
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    Vorrei essere capace di dire semplicemente no, farlo nello stesso modo in cui me lo sento premere nei polmoni. Gridarlo contro tutto, ogni cosa, e non avere altro che quello fra le mani. Ma non sono mai stata capace di farlo, non davvero, perché non so prendere quello che voglio e tirarlo fuori, renderlo solido nell’aria, renderlo una realtà densa che non permette a nient’altro di esistere. Ma vorrei esserne capace, meschinamente, egoisticamente, e dire che basta. Basta lotte, basta tutte, perché per stare bene non ho bisogno di niente di tutto questo. Niente e basta. Qualche volta mi sembra quasi come se in ogni passo, non potessimo far altro che generare correnti che ci portano sempre più lontani da tutto ciò che volevamo, quelle piccole cose che erano sempre troppo poche, ma che per noi andavano bene, e che adesso sono solo punti distanti, irraggiungibili anche se è proprio per raggiungerle che abbiamo iniziato a camminare. No, non vorrei niente di tutto questo, come se si trattasse solo dell’ennesimo scherzo del Destino, che ancora sbatte e sbatte contro tutto, e le pareti le fa tremare, i vetri li spacca, i tetti traballare come pronti a precipitare pezzo per pezzo. Ma non so dirlo, né spiegarlo, né penso di averne davvero la forza. Non lo so, ormai ho questa sensazione fissa, perenne, che non ci sia davvero modo di trascinare via quei legacci che gli si sono legati alle ossa, per quanto provi a tagliarli, reciderli con forza, e farlo così che non lo trattengano più con loro ma lo lascino qui, dove dovrebbe essere. A me non interessa di nessuna guerra, non l’ha fatto mai, e penso invece che sono stata una di quelle che contano le ferite, guardano corpi martoriati e si chiedono, ancora ed ancora, era davvero necessario?. No, non per me, non lo sarà mai, non quando sono io il vessillo alto su quella bandiera che si spinge in avanti, ancora ed ancora, per continuare una marcia nonostante così tanto è andato già perduto. Non volevo questo, come non volevo quel patto, come non volevo che qualcosa si rovinasse per me, come non voglio che ci sia tutto questo a premere, come non voglio che ci siano divisioni così nette nella mia vita, come non voglio pensare che prima o poi, succederà qualcosa ancora ed ogni parola che ho ricamato per proteggerlo, non sarà abbastanza. Lo so che non dovrei dirlo, non dovrei pensarlo, ma lo so in fondo che esiste quella cosa, nella mia testa, da qualche parte, che continua a ripete che se è questa la vita, non so se la voglio. Se deve costare così tanto, se quello che vita la rende per davvero, lo fa anche diventare distante, lo rende cenere, lo smembra, me lo strappa dalle dita e non me lo fa tenere, ma mi spinge ad andare avanti, ancora, perché non posso fermarmi e sprecare tutto quello che è stato dato, ceduto, svenduto, per me. Io volevo solo che restasse. Niente di più, di meno, niente di diverso, che fosse nostro questo tempo che abbiamo aspettato, che ho rifiutato e negato, e che adesso se ne sta qui, e passa così, fra un pungere e l’altro. Serro di più ancora le dita, lo faccio spingendo un respiro nei polmoni mentre lo guardo con la testa reclinata appena indietro, abbastanza da mostrare il mio volto e guardare il suo di rimando. «Io non posso dirti che va bene, Josh» lo dico piano, con un sussurro che è uno sforzo, e mi si contorce ovunque nell’uscire, dandomi la sensazione di uno spacco, uno squarcio. Io ci penso alla nostra vita, a quello che eravamo, a quegli anni in un prima così lontano da avere i contorni di un sogno, ma che da qualche parte esiste ancora, come nascosto dietro mille pieghe, e a cui non posso e non voglio rinunciare. Mai. Neanche per un secondo. «Perché non va bene, non così» stringo appena le labbra, lo faccio con un respiro, con occhi che bruciano ma restano asciutti come seguendo una promessa che non so se ho stretto con me stessa, o se ho sognato di farlo ad un certo punto, in giorni troppo lunghi e notti troppo distrutte. «Chiudere questa cosa, non la chiuderanno finché non sarà morto» non m’importa neanche di questo, e lo so. Lo so che quello che voglio io è diverso, e non ha a che fare con nessuno che esiste fuori da questa stanza, fuori da questa casa che mi sembra quasi stia andando lentamente a fuoco. «E non è questo il punto. Pensi che a me vada bene che sia sempre tu lì fuori a rischiare con lui? Che mi vada bene starmene qui ad aspettare mentre ti riduci in questo stato? Sparisci, non chiami, torni distrutto e ti fai aiutare da un assassino sposto le mani dalla sua schiena, lo faccio per allungargliele sul volto, stringerle lì scuotendo appena la testa, facendolo con una forza che non c’è davvero, ma echeggia da qualche parte. «No, Josh, basta. Ho smesso di star qui a guardarti distruggerti la vita, quindi se non vuoi fare qualcosa tu, la farò io» prendo un altro respiro, lo faccio senza lasciare questa presa che resta ferma, e vorrei fosse sempre qui, impressa, come una presenza che ha qualcosa di me e lui. «Anche io voglio delle cose per te»
     
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    Assassino. lo devio il suo sguardo adesso, perché è la sola cosa che sa entrarmi dentro. Non ho altro che questo dolore che devo tenere dentro, che non posso lasciar uscire quando il solo rischio di un picco emotivo con lei è inconcepibile. Ma lo so come sa scavare un buco talmente profondo da aprirmi in due il petto, ed è qui sanguinante davanti a lei, appoggiato al suo, così i miei rivoli di sangue sono anche i suoi. Perché anche io sono un assassino e sapere che il modo in cui lo dice, un giorno, sarò rivolto a me, è la sola cosa che mi fa abbassare il capo quando dovrei solo tenerlo alto. Perché io credo in quello che faccio ed in quello che sono, e lo so che non è una morale comunque a tanti, e non è più la sua, la... nostra, ma è semplicemente l'unica che saprà garantirmi che lei sarà ancora viva dopo il 4 Luglio. Io non voglio altro, non me ne frega un cazzo del resto se questo è al primo posto. Tra tutte le cose che Slater è, quello che resta in mente a lei è che sia un assassino. Devo essere più duro adesso, devo prenderle le mani con dolcezza, ma farle scivolare via dal mio volto, anche solo per tenerle strette alle mia perché non la lascio la presa, non esiste. «Non sto dicendo che deve piacerti, Edie.» Stringo i denti, affondo in questo muro di gomma che è lei che si fa ogni giorno più testarda. E, cazzo, lo so come è perché sono come lei, ma non possiamo più esserlo in contemporanea, non quando la situazione è così di merda che deve, deve lasciarmi fare ciò di cui entrambi abbiamo bisogno, deve e basta. Perché poi lo sa che lo farò, può leggerlo nei miei occhi, che per quanto dolore li appanni, sono sempre più solidi. «Chiuderemo questa cosa perché andrò da loro, parlerò con loro... e lo farò ogni volta che vorranno, ma non metterò a rischio la tua vita rivoltandomi contro Slater adesso. E' la loro battaglia, non è la nostra, avevi ragione...» Poi però il colpo diventa più duro, mi spezza il fiato perché tra le mie colpe c'è quella di essere sparito per un mese. Nessun contatto, nessuno modo di avvisarla, niente che potesse non farla entrare in panico e perdere sonno e privarsi di quello di cui ha bisogno per andare avanti. E' una colpa tanto pesante che il sospiro che mi lascia è un raschiare continuo contro i polmoni, che non riesco a guardarla negli occhi, che apro la bocca ma per un cazzo di secondo non dico nulla. Mi dispiace, l'ho già detto tante volte e non sembrano mai bastare. Né a me, né evidentemente a lei. «I..Io... » Io devo prendere fiato. Scuoto la testa, respiro, ed è sempre più difficile. Non ha idea di quanto io abbia sofferto in silenzio, con grida che nessuno ha udito, in quella cazzo di caverna in cui sono stato, tra le mani di quegli stronzi a cui già devo anche qualcosa. «Tu non farai niente. Non è questo il momento di pensare a me.» Lo so che lo ringhio, lo so che vorrei fosse una minaccia che no, non è il caso di avere un'idea diversa dalla mia adesso, non su questo. Non dovrà fare niente, e farò di tutto per assicurarmi che succeda. Però la mia è una serietà che indurisce anche l'espressione, che si impunta su una cosa per cui non esiste retrocessione, che in fondo c'è solo lei e nessun altro. «Perché non ti fidi di me?» Perché fa così male anche solo chiedere...?
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    Sono quel tipo di domande, queste, che sanno sempre trovare un modo di infilarsi a fondo, più di qualsiasi cosa, come se fossero fatte di un materiale apposito che la mia carne la conosce così bene, da trovarne i punti più deboli. E io sono sempre qui, sempre a voler fare di più, o anche solo qualcosa, qualsiasi cosa che non sappia di immobilità che non avanza, e non mi permette di sapere che ci sto provando davvero. Io non lo so cos’è giusto, o cosa non lo sia, non l’ho mai saputo, mai, neanche per un secondo, ma lo so che quello che vorrei si spinge a fondo nelle mie vene, e il sonno me lo toglie, me lo strappa via pezzo per pezzo. Lo so che in fondo, si tratta solo di pensare che è colpa mia. Colpa mia se siamo arrivati a questo, se non sono stata capace di tirarlo a me tanto tempo fa, quando tutto stava iniziando a spingersi in questa strada e non l’ho stretto così forte da impedirglielo. Colpa mia che forse, forse non sono mai stata capace di dirgli che anche una vita così breve, a me sarebbe bastata. Con lui, con lui lo avrebbe fatto. Che sarei stata felice anche così, se solo lo fosse stato anche lui. Ma non sono stata capace, sono stata invece capace solo di stringermi fra punti ormai morti che mi impedivano di spingermi fuori e provarci a essere qualcosa che avrebbe potuto convincerlo a non buttar via tutto così. Si merita così tanto e io lo so, lo so, che questo non lo è. Lo so che sono sempre io, che punto i piedi a terra, e nel guardarlo so solo come ogni suo sacrificio fatto per me, sappia sembrarmi solo una coltellata antica, ma che trova sempre un modo di andare più a fondo e farmi perdere altro sangue ancora. Io non voglio niente di tutto questo. Voglio tornare invece a casa, e sapere sempre, in ogni più piccolo secondo ed istante, che lui è al sicuro. Che sta bene, che non è da qualche parte a combattere contro ombre di cui non conosco il nome, ma che lo massacrano sempre di più e mi lasciano qui, impotente contro tutto. Non posso accettarlo, non posso solo starmene qui e guardarlo consumarsi sempre un po’ di più, e sempre più a fondo. «No, no, no» quasi lo pigolo, scuotendo la testa con questa sensazione che si allarga in gola, e i respiri me li rende così tesi da farli bruciare nel loro tragitto, stringendo i polmoni con forza. Rigiro le mani, lo faccio per prendere le sue di rimando, stringerle nelle mie e cercare solo di non crollare qui, di fronte a lui, come vorrei, come desidererei così tanto fare. Smettere con tutto, anche me stessa, cancellare questi mesi e tornare solo in quel punto che non ferisce, non aggrava, non spinge e non prende ancora tutto solo per farmi essere ferma su gambe tremanti. «Io mi fido di te, Josh, non pensare mai che non sia così, mai» me lo premo fra le labbra, liberando una mano per trovare ancora il suo volto, e vorrei solo sempre, sempre, sempre, che lo sapesse come lo so io, in ogni istante, senza mai dubitarne. Se potessi davvero metterglielo fra le mani con la stessa intensità con cui lo sento, se solo potessi mormorarglielo nei pensieri così come è presente, sempre, nei miei, lo so che potrebbe prenderlo come una certezza di granito che non si graffia, non si sgualcisce, ma resta solida contro ogni cosa. «E mi fiderò sempre, ma non ce la faccio più» torno a far scendere la mano, la premo alla base del collo, stringendo ancora l’altra perché sia una presa talmente solida, da non avere in sé nessun dubbio, così come non ne ho io. «Non ce la faccio a vederti così, non ce la faccio più a dire solo che vorrei stessi meglio, e non fare niente. Io non ce la faccio più a starmene a guardarti distruggerti così, Josh, lo capisci? Non ci riesco» mi prendo qualche secondo, lo faccio per lasciare lo spazio a respiri che si spezzano appena e cerco di rendere uniti, anche se non riesco neanche in questo. Mi spingo di nuovo contro di lui, lo faccio per stringerlo ancora fra le mie dita, farlo così da chiudere gli occhi e ascoltare i suoi respiri come se così, potessi ricordarmi come far scivolare dentro e fuori i miei. Me ne resto qui, qualche secondo, a cercare come sempre di premere tutto, e di lasciarlo andare insieme, come se neanche io sapessi scegliere mai cosa farne dei miei stessi pensieri. E lo so, lo so che ho paura a farli diventare parole, come se solo facendoli uscire fossero così sbagliati, perché più ci provo a fare qualcosa, più mi sembra di sbagliare, e non s più dirmi che almeno, almeno continuerò a provare ancora ed ancora, finché non troverò il modo giusto. Probabilmente non lo troverò mai, e al contrario saprò sempre e solo fare peggio, incapace di seguire una strada che possa essere anche solo vagamente giusta. «Io non voglio questo. Ed è proprio questo il momento di pensare a te, quando mai lo hai fatto? Lo abbiamo fatto? Basta. La devi smettere, con tutto. Ti prego, ti prego. Qualunque cosa sia, sono sicura ci sia un altro modo, e sono sicura che possiamo anche trovarne uno per non rendere Slater un problema per me, ma non così. Non se deve costarti questo. E come tu sei disposto a tutto, lo sono anche io» lo dico scostandomi di nuovo per guardarlo, premere gli occhi contro i suoi mentre non cedo, e non cederò mai. Non potrei, non quando si tratta di lui, e forse sì. Forse il mio è egoismo, ma non m’importa. Non posso più far finta che sia tutto okay, non posso più convincermi che stare qui, ferma, sia un bene. Non ce la faccio, non ci riesco. «E non ho più intenzione di starmene con le mani in mano, va bene? No. Non puoi più chiedermi di farlo»
     
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    Devi fidarti di me. Ho solo bisogno di questo, di leggerlo nei suoi occhi. Di sapere che si fida anche se no, non ha idea di cosa stia dicendo sul serio. Anche se domani non lo farà più, o se arriverà quel "dopo" che è già a portata di mano. Ma sai, non importa. Non importa che non lo sappia, non importa che non ci sia una specifica qui a sottolineare quanto si sbagli: io voglio che lo faccia, che mi guardi e me lo dica. Perché il mio mondo potrebbe benissimo esplodere adesso, qui sotto i miei fottuti piedi e non mi importerebbe se lei me lo dicesse. E' una cosa così stupida che lo so che sono un cazzo di imbecille, ma so far contare questo. Il battito che rallenta, l'attesa che si prende spazi che in petto non pensavo di avere più. Sono fermo quando lei è ferma, e lo sono anche quando si muove, perché i nostri spostamenti non sanno più essere sincronizzati; perché io mi sono sempre battuto dove lei si è arresa. Lo so che non vuole smettere di pensare a me, di capire come farmi stare bene, ma no, Edie non esiste un modo adesso. Dovrei dirlo anche se resta nei miei occhi. Io ho scelto una strada che non prevede quella felicità che mi ha sempre augurato, e non me ne frega un cazzo di essere felice, quelle sono le stronzate che vogliamo raccontarci ma ogni volta reggono sempre meno, sempre meno, ed arriverà un momento in cui non ce la faremo neanche a spingerle tra un fiato e l'altro. No, Edie, basta ti prego. Si fida di me, e quasi me ne convinco sul serio, quasi mi basta a prendermi un respiro che fino ad adesso non c'è stato. Chiudo gli occhi l'istante che serve a prendere tutto ciò che ha detto e tenerlo nell'angolo della mia mente da cui lo tirerò sempre fuori al bisogno. C'è quel "ma" che invece mi fa fare un passo avanti, come se sapessi quello di cui ha bisogno, perché è così.. lo so, e saperlo è ancora peggio quando non posso darglielo. Non posso farle avere quella tranquillità che le faccia chiudere gli occhi la notte senza incubi, senza un pensiero fisso che sia su di me. Io la sto distruggendo. Questo è solo colpa mia. Nego, ancora, con quel mezzo sorriso che è solo un dolore che tira le labbra e non resta più di un secondo, un tempo che mi prendo prima di provare almeno a... «Edie» che mi esce quasi come un rantolo, come quel sussurro che non so portare avanti. Mi dispiace così tanto che siamo arrivato al punto in cui non c'è altro che questo, un dolore che ci lascia distanti anche se siamo l'uno contro l'altra. Non posso portarla dove sto andando, ed ogni giorno è di nuovo un fottuto addio. Cristo, ho fatto di tutto perché non fosse così, perché dopo il suo timer non ci fosse quella sensazione che la porta via da me ogni ora. E sono ancora qui, e non è cambiato un cazzo, se non che mi sto allontanando io, che in qualche modo sembra che perderla sia la sola cosa che so fare. Per questo quando mi abbraccia di nuovo io perdo il fiato e riesco solo a stringere di più. Cos'altro posso fare, eh? Che cazzo altro mi resta? E' tardi. «Lo so che non ce la fai...» e non è una colpa che ha lei, né una che voglia lasciare usi per ferirsi, io lo so e basta, lo sento in ogni respiro che provo a prendermi a fatica. Dirsi che esistono altre vie è una stronzata, non ci sono, non per me. Forse per altri, come quella che Morgan ha preso per salvarla, ma io... io ho scelto un tunnel che ha chiuso le porte da un lato e posso solo andare avanti, all'infinito, sperando di ritardare il più possibile il momento in cui perderò tutto. Perché lotterò con ogni fottuta forza per evitarlo. «E' questo il modo.» Lo so che non vuole sentirselo dire, ma deve. «Ascolta, lo so che non vuoi che io lo dica, non l'hai mai voluto.. ma a me importa solo di te, e tu adesso non puoi farlo lo stesso ragionamento e...» niente, devo fare un passo avanti perché non lo voglio il distacco mentre lo dico, così allungo una mano per riportarla da me, di nuovo vicina, di nuovo respiro. «... e va bene così. Avrai dei figli, dovrai andare avanti Edie e.. lasciami finire, ascoltami..» imploro, non posso fare altro. «... non puoi rinunciare a questo. Lo so che non è la vita che volevamo, ma è solo un passo per averla. Per questo devi fidarti di me, io starò bene se starai bene tu.» Nient'altro può farmi del male. «Sono qui»
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    Non mi scosto come non faccio mai quando si tratta di lui, non davvero. Sono sempre qui, in ogni momento, sempre in questo stesso punto che esiste sotto la pelle, e non lascia mai andare nessuna presa. Quasi ostinata, anche se so sempre quanto non sia davvero capace di farlo nel modo giusto. Ma ho detto che questa volta, si sarebbe trattato di Josh. Dopo tutti quegli anni, tutto quel tempo, quella fatica che non è svanita, ma si è spostata senza lasciarlo il tempo a fiati che fossero solo nostri, non può che non essere lui. Lui quello a cui pensare, e lo so quanto non basti quello che ho cercato di fare in questi mesi con Daniel, quanto niente basti mai, e resti sempre tutto scoperto da qualche parte, lasciandomi incapace di trattenere ciò che vorrei fra le dita. Ma ho detto anche che non m’importa se per lui, sarò costretta a farmi odiare, e farlo anche ora per il mio essere testarda che non retrocede ma resta qui, immobile, a guardarlo e dirgli con tutto quello che ho, che non sono pronta a rinunciare a lui. Non lo sarò mai, neanche per un secondo. Mai e basta quando è la cosa più importate che ho, e lo so così bene che anche adesso potrei lasciare tutto, ogni cosa, per andare via con lui a costruirci una vita diversa. Mi devasterebbe, so anche questo, ma sarei pronta ad accettarlo per lui. Sarei pronta a qualsiasi cosa per lui, ed è questo quello che ho adesso nello sguardo, in ogni mio tratto, immobile con tutta la dolcezza che ho sempre riservato a lui in ogni momento della nostra vita. Nostra, perché in fondo si è sempre trattato di questo, di noi e di quanto siamo sempre stati interlacciati uno all’altra. Ho respiri che scivolano piano, ma si fanno profondi, e me lo chiedo se lo capisca di quanto ho bisogno che stia bene, di quanto sia necessario per me e per ogni mia possibile e distante felicità. Di come sia una fondamenta senza cui non posso costruire nulla che non sia sbilenco e traballante, e sempre pronto a crollare da un momento all’altro. Non posso farcela, anche se ci ho provato e provato, ma non sono capace di vivere una vita se quando mi volto, c’è lui sempre più piegato, sempre più annientato, sempre più oscurato da un’ombra che ha mani e denti pronte a prenderlo e divorarlo. Non posso, non ne sarei capace neanche se davvero decidessi di farlo, ma non posso neanche provarci quando non potrei mai, mai, mai accettare che anche solo un mio sorriso, sia ad un prezzo così. Torno a premergli le mani sul volto, a trattenerle lì per guardarlo ancora ed ancora, con sempre quell’unica cosa immobile ovunque, quella che è sempre stata qui, e che lo sarà sempre, e che ormai è diventata una preghiera sgualcita che non è capace di tenersi davvero in piedi, ma lo fa comunque con ostinazione. «Finire cosa, Josh? Cosa è un filo di voce che non la perde la sua dolcezza, ma neanche quel senso disperato che mi si allarga sempre più nel petto, giorno dopo giorno, e mi fa chiedere al silenzio com’è che devo muovermi, com’è che devo fare per trattenerlo con me e tirarlo via da tutto ciò che lo ferisce. «Lo vuoi capire che l’unica cosa di cui ho bisogno per stare bene, è che tu stia bene? Così siamo in un loop, e non migliorerà mai niente» lo premo che ormai la voce si rompe, si frantuma, si spezza poco alla volta e qualcosa agli occhi alla fine quasi risale, rendendoli lucidi senza che nulla però scivoli da lì, come in una volontà ferrea che resta immobile nelle iridi. «Lo faccio invece lo stesso ragionamento» resta anche questo un sussurro senza che io sfili via le mani dal suo volto, ma tenendole lì come una testimonianza fisica di quello che sto mettendo nelle mie parole. Tutto, ogni mio più piccolo angolo e tratteggio. «Che cos’è che stai combattendo, Josh? Cos’è che è così importante? Perché a me non serve, a me non serve niente» premo appena le labbra fra di loro, prendendo un respiro che annega nelle narici e va a fondo, schiacciando i polmoni e dandomi una sensazione di tremore interna, come qualcosa che scuote e scuote ancora ogni cosa. «A me non serve niente di tutto questo, e non posso più far finta che invece sia così, Josh. Devo provare a fare qualcosa per te, perché non me lo perdonerei. Non me lo sto perdonando, e non me lo sono perdonato.»
     
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    Il nostro è un meccanismo sbagliato, lo è dall’inizio, da quando Edie è stata maledetta. Forse per questo adesso so solo tenerla a me, e mi è rimasta sulla pelle la paura che da un momento all’altro l’abbraccio si sgretoli, che lei diventi cenere, per colpa mia. Ma io non lo permetterò mai più. Una volta era per una mancanza, la mia fottuta incapacità di fare l'unica cosa che aveva davvero senso fare e dopo si è messo in mezzo il destino, le trame del mondo e Morgan Crain a fare l'eroe, anche se già avevo scelto una via che non mi avrebbe mai visto dalla sua stessa parte. Adesso però conosco le mie paure, tutte. Le ho viste una ad una, le ho affrontate e no, ho capito che alcune non si superano, si accettano. Ora quello che aggiunge peso al cuore è che non voglio scopra niente di me, non voglio che nel credermi leggibile come sono sempre stato quando ero io a preoccuparmi per entrambi, mi convinca a diventarlo sul serio. Scoprirebbe quanto sangue c'è nelle stesse mani con cui la stringo, non deve accadere mai nemmeno questo, ma ho capito che spetta me far sì che non succeda. Cristo, vorrei tornare indietro nel tempo, vorrei fermare tutto ed anche allora lo so che starei sbagliando. Dovrei impedire a mia madre di mettere al mondo l’unica forza che ho mai avuto. Non posso, ma nella mia testa c’è sempre questo in un circolo continuo di stronzate per cui non posso fare nulla. Quella notte si è acceso un timer sul cuore. Sul suo e sul mio, ed ha scavato dentro un solco che nel crescere lo ha solo crepato di più. Adesso c’è un fottuto buco che io ho potuto riempire solo con la corruzione, con allenamenti e con le sorprese di merda di Slater e... beh lei è incinta perché la vita va avanti anche se io mi fermo e va dove non deve. Perché lei ha bisogno di una famiglia, mentre io ne avevo solo di lei. Avevano ragione, io non so come si vada avanti senza Edie ma ho dovuto imparare una cosa molto importante, l'unica che sa farmi ricacciare il velo umido che bagna i miei occhi, giù fino alle profondità delle ombre che mi prendono. Lo so che quella maledizione non c’è più, che sono cosa a cui non dovrei pensare ma sono stati ventisei fottuti anni di vita in cui ci ho convissuto, tra mia madre e lei. Lo so, ed è per questo che anche nel pensarci riesco a rialzarmi adesso. Questo respiro è così spezzato che resta una reazione a quanto sappia dilagare una tristezza che non ha eguali. Noi due avremmo dovuto spaccare il mondo, piegarlo al nostro volere quando lui stava schiacciando noi in una pressa. Ma te l'ho detto che ce la faremo, e tu devi credermi oggi più di ieri e domani più di oggi. E' per questo che per un attimo, a pensare a quanto cazzo di male ci facciamo anche solo continuando a rincorrerci così, che poi è la sola cosa che abbiamo fatto per anni, che rido. Ma non è una risata bella, di quelle che avrebbero poco senso adesso, no la mia un sorriso che si allarga oltre la curva del dolore. Un'espressione che è la sola che può vedere, che prende l'ironia con cui ci facciamo scudo ogni giorno e la trasforma in quella punta di disperazione che ci accompagna sempre. Cazzo Edie se non avessi imparato a distaccarmi ora sarei solo a pezzi, di nuovo come se non fossi mai partito. Ti tengo ferma, stretta perché è importante che tu lo senta, che mi guardi quando so che non ti piacerà per quello che sto per fare, solo che non lo saprai. Ma io ti tengo al sicuro solo così. Ti parlo con calma, con sicurezza, come se già lo sapessi che sono parole che non accetterai mai, ed è giusto, è per questo che siamo sempre stati una cosa sola, perché so cosa provi anche quando siamo distanti. «E' questo Edie, è quello che sono. E' questa la cosa per cui combatto, perché non arrivi mai il momento in cui sfugga dal mio controllo, dalle mie mani. Lo sai che non puoi seguirmi anche qui, lo sai che c'è un divisorio adesso che non permetterei ti corrompessi mai.» Ma soprattutto «... e che non è colpa tua, ma non dobbiamo parlare di nuovo, sarà questo all'infinito.»No questo ti piacerà ancora meno, e credo sia ciò che si prova a superare la linea. Giusto, sbagliato, sono concetti superati e troppo soggettivi, ho imparato anche questo. «Se vuoi fare qualcosa per me, devi stare tranquilla, devi fidarti perché so quello che faccio e..» la tengo per me la formula di cui ho bisogno, il modo in cui ti guardo di più per districarmi trai tuoi pensieri, tra le emozioni che provi e scegliere di tenerti distante da tutto il dolore per un po', perché tu non raggiunga il picco davanti ai miei occhi e rovini quello che stai provando a costruirti. Mi dispiace, Edie, non ho altra scelta. Durerà poco, il tempo che ti basterà a dormire almeno stanotte e mi assicurerò che tu lo faccia. Calma, respira, stai tranquilla. Ti impongo questo, di provare una tranquillità che ti renda meno agitata che strappi via l'ansia che hai e si concentri solo su una quiete che per quanto irreale è necessaria. «.. e sei stata a lavoro tutto il giorno, sarai stanca e vorrei solo stare un po' con te, mi sei mancata Edie, non sai quanto. Quindi... domani parlerò con i Cacciatori, sistemerò tutto, ma adesso hai bisogno di stenderti ed io non andrò da nessuna parte ok?» Cedi a questo, dammi la tregua di cui anche tu necessiti. Siamo stanchi, lo sai.
    ©


    Skill usata:
    sì devi saperlo che questa cosa mi fa malissimo.

    CITAZIONE
    Nome: Condizionamento Assoluto
    Voto: 28
    Lezione: II Lezione I Anno
    Requisiti: Induzione Emotiva
    Tipologia: Manipolazione - Emozionale
    Descrizione: Il Mago riesce a Manipolare le Emozioni di un individuo, riuscendo a concentrare tutta la sua psiche su un'unica emozione. (Dura 1 Turno)
    Formula: Fionnarachd

    --> e ci concentriamo sul farle provare Calma.
     
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    Penso di averlo sempre saputo quanto pregare fosse inutile. Sono stata sempre più simile a mio padre, con quella vena che è pronta ad accettare e non la ha davvero la forza di una speranza che non conosciamo, ma che forse abbiamo visto nascosta da qualche parte come il bagliore di una luce su uno specchio. Solo un riflesso, nascosto in mille e mille secondi della nostra vita. Come la speranza di mamma nel credere che forse sarei stata risparmiata, e che dopo troppo tempo in cui il nostro sangue era stato macchiato da qualcosa che lo rendeva sempre di qualcos’altro; come quella di Josh nel credere che non sarebbe finita in quel modo, e nell’andare avanti ancora ogni giorno con solo in testa l’obiettivo di sconfiggere tutto. Ma io sono stata sempre come nostro padre, e lo penso ogni volta che vado da lui, ogni volta che lo guardo e ci fissiamo negli occhi con solo tante di quelle consapevolezze mai dette, ma che possiamo leggerci uno contro l’altra ancora ed ancora. Sono questo, e sono sempre stata questo ancor prima di sapere che anche io sarei stata come lei, ancor prima di vedere quanto mio fratello avrebbe distrutto la sua vita solo per qualcosa che per me, non è mai stato importante. Lo so che non vuole che lo dica, o che lo pensi, così come non lo vuole Morgan, ma io sono incastrata in quella concezione da così tanto, che non riesco a scivolarci via, e non ci sono riuscita neanche nello sforzo che per mesi mi sono premuta contro cercando di dirmi che invece, invece ne valevo la pena. Ma non è così, e anche se non fosse successo tutto questo, lo saprei comunque. Lo so soltanto meglio, con più forza, con più certezza, anche se me lo tengo premuto fra le labbra e no, non lo confesso mai a nessuno se non al mio stesso riflesso. Vorrei che fosse tutto semplice, ma lo so quanto sia uno di quei desideri che hanno dell’egoismo infantile, e che penso appartengano a tutti indistintamente. Ma lo vorrei. Che fosse anche solo per un istante, uno appena, un momento in cui non c’è da fingere e posso davvero scivolare in un mondo parallelo. Ma il mio mondo è questo, e non so credere davvero che possa cambiare, per quanto mi ci sforzi, per quanto ci provi. Io non so dove sbattere la testa, penso che il punto sia questo. Non so neanche che direzione prendere, e non lo so mai, neanche una volta, come se fossi bendata e senza occhi in un mondo nero che non mi permette di orientarmi mai. Vorrei che non esistesse niente, neppure io. Essere qualcosa che si perde in mezzo a tutto, senza consistenza, così come lo volevo solo fino ad un anno fa; senza peso, senza nulla, neanche la sensazione di me stessa. Prendo un respiro e sì, lo so che sono stanca, e lo sono in ogni modo che è umanamente possibile, ma importa davvero? Non lo fa. Lo so che non lo fa. Perché il mondo non si ferma, niente si ferma, e non conta mai nessuna stanchezza quando ancora e ancora, si deve sempre restare nello stesso ciclo in cui tutto si ripete anche se in modi diversi, e l’unica cosa da fare è tenersi in equilibrio in qualche modo. Ci penso, ci penso che vorrei davvero, davvero, che la mia Maledizione fosse ancora qui, con me, senza essere mai passata, senza mai aver avuto quell’interruzione che non sa di salvezza, e non lo saprà mai. Ci sono così tante colpe, e le sento volteggiare tutte in questa stretta, anche quando so che non me ne da neanche una. Neppure un frammento. Ma sono mie, e saranno mie per sempre. Lascio andare un respiro e per un attimo, mi sembra quasi di sentire tutto scivolare via, allontanarsi come se tutte queste voci diventassero solo echi distanti che rimbombano a vuoto in un senso che le rende ovattate e non me le fa arrivare davvero. Lì, nascoste in angoli che non vedo, che non guardo, chiudendo gli occhi per sentirle allontanarsi ancora e ascoltare invece tutti gli spazi che lasciano e mi premono sulla pelle in un senso che mi lascia i respiri lenti nei polmoni. Sono stanca, è vero. Stanca nelle ossa che si sono mosse ancora ed ancora in quel frenetico moto che ha cecato di tenermi distratta oggi come tutti gli altri giorni, ma adesso Josh è qui, e forse posso pensare di lasciare solo spazio a questo. Come un colpo di spugna, che lascia scie umide sopra un ripiano, fatte per essere lì finché l’aria non le asciugherà di nuovo. Premo il volto contro il suo petto, lo faccio inspirando appena e annuendo contro di lui, senza scostarmi ma facendomi più vicina, per concentrarmi invece sulla sua presenza e basta. «Va bene» mi sembra di dirlo da un punto così lontano da non sentirlo neanche davvero mio, come se anche la mia stessa voce non fosse altro che un’eco abbandonata a mura che la ripetono ancora ed ancora, perdendone la fonte. «Seni seviyorum1» ha sempre un sapore diverso dirlo con lingue che ci uniscono a fondo, e che non è quella che sentiamo rincorrersi ancora ed ancora lungo le strade di questa città. Scosto il volto per tornare a guardarlo, azzardare un sorriso che si fa lento sulle labbra e si mescola ad un respiro che ha lo stesso ritmo. Qualsiasi cosa sia, posso pensarci domani. Quel grade domani, immenso e perenne, che non smette mai di esistere.



    1 Ti voglio bene

    Edited by .florence; - 12/3/2021, 19:46
     
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    Ti lascio lungo il volto una carezza che porti via per poche ore la merda che stiamo vivendo ancora, che adesso è colpa mia. Ma almeno ho smesso di negarlo, di nascondermi dietro qualcosa solo perché tu non la accetti. E lo so, Cristo lo so che questo non è semplice, non è facile e non voglio che tu perda ogni morale che ti tiene ancorata al mondo, solo perché io ho cambiato le mie. O forse sono nato così, era un fottuto destino che arrivassi fino a questo punto, e poi tentassi di andare anche oltre. E va bene, Edie. Va bene se tu non lo vuoi, è giusto che tu non lo voglia, che tu allontani tutto quello che sono e che non ti fa stare bene, perché adesso so che ti preferisco viva che al mio fianco ma senza più niente che ti ricordi chi sei. I cambiamenti sono dei fottuti bastardi, per noi non hanno mai significato niente di buono ma adesso è solo questione dimensioni. Io posso vivere nella mia, tu nella tua e non vuol dire che non saremo sempre noi. Cazzo no, io sarò sempre qui anche quando crederai di non vedermi perché non voglio fare diversamente. Ma non dirla mai più la stronzata che farai qualcosa per me, non ne ho bisogno. Tu credi sia così, perché non ti fidi di me. Puoi dirmi di sì anche mille volte e lo so che mi seguiresti in capo al mondo se te lo chiedessi, però non significa che ti fidi quando ti dico che sto bene, la tua preoccupazione arriva dove la mia ha sempre cercato una via di fuga. E per questo sei la parte più importante della mia esistenza, ma non ti permetterei mai di fare una cazzata per me, ne faccio io che valgono per due. Tu sei andata avanti, e non posso avercela per questo. Mi gira il cazzo sì perché tra tutti hai scelto un coglione, ma è la tua scelta e tu hai visto qualcosa che ti facesse andare avanti oltre a me, forse è stato il tuo istinto a farti cercare protezione, perché non te ne ho data abbastanza e sì, sì questo ancora fa male. Ma non te lo dico, me lo tengo e basta, non sono un bambino Edie, non puoi vedermi così. Ti stringo sempre, perché tu lo sappia che il tuo posto non è cambiato, lo spazio che occupi da una vita sarà tuo per sempre, come per sempre è un legame che non me ne frega un cazzo se gli altri capiranno o meno: è nostro, solo nostro. Così ti premo le labbra trai capelli ancora, respiro quando espiri, nel bisogno primario di un silenzio che ti calmi i battiti e sia un cuscino morbido contro cui appoggiarti, non un mucchio di ossa pieno di cicatrici. Vedi? A me non serviva altro che questo, il tuo sorriso stanco che mi dice che un po' ha funzionato, che puoi concentrarti solo sul fatto che sono qui e non vado da nessuna parte, che quando mi parli è un nodo in gola che si stringe. Che il mio sorriso poi è solo l'eco di ciò che penso sempre, che non potrei vivere senza di te, mai in nessuna fottuta dimensione, non senza perdere il filo del senno che mi resta. Lascio che l'altra mano ti accarezzi ancora, che ti sfiori il volto perché anche di sera ci sia un po' di quel mondo in te che io non vedrò mai. Annuisco lentamente, lo so che mi vuoi bene, lo so che è una cosa che non intendo più dimenticare nemmeno per sbaglio. «Varoluşumun tüm günleri için.*» E non potrei essere più chiaro mentre è un sussurro che ti racconta un segreto che tanto segreto non è. Ora devi solo stare tranquilla, anche a forza, sederti con me sul divano, penserò io alla cena e penserò io a tutto finché non tornerà lui. Ed allora sì, allora si accenderà qualcosa di diverso che forse neanche tu hai visto. Ma ti ho detto che l'avrei fatta funzionare, no? Ora aspetto solo te, Morgan.
    ©


    * Per tutti i giorni della mia fottuta esistenza.
     
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