Mon Dieu

Josh & Alice | 6 luglio 2021

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    Ha perso il conto di quanti viaggi è riuscita a fare da quando sua madre non è più tornata a casa. Ha perso il conto dei posti che ha visitato, seppurn parzialmente, e dei giorni che sono effettivamente trascorsi dalla prima volta che ha scoperto di potersi spostare in luoghi diversi da quelli che conosce. Le lingue delle altre popolazioni non è riuscita ad impararle e diremo persino che è stata fortunata ad essere ancora viva dopo tutto questo tempo passato a mangiare solo quando riusciva a sgraffignarlo a qualcun altro. Terribilmente fortunata, la chiameremo. Perché d'altronde Alice non ha mai dovuto imparare a badare a se stessa: Suo padre e sua madre erano stati certamente degli ottimi maghi bianchi, eppure lei era ancora al primo anno scolastico per poter permetter loro di insegnarle qualcosa di più del semplice far levitare gli oggetti. Se suo padre fosse stato vivo, probabilmente tutto questo non sarebbe successo. Sono cose che una bambina della sua età tende a ripetersi quando, rannicchiandosi nel primo angolo franco che trova, porta alla bocca un tozzo di pane sporco. Lo fa in silenzio. Lo fa con la paura di essere scoperta e per questo costretta a subire cose per cui persino gli adulti urlano. Così manda giù il primo boccone, mentre una lacrima accompagna il suo percorso: Si era ripromessa di non piangere, ma d'altronde le riesce difficile non farlo quando cala nuovamente la notte e la paura del buio sa farsi più prepotente che ha casa. Smette di mangiare perché piangere glielo impedisce e con i singhiozzi non sa prendere l'aria che le serve per mandar giù il bolo. Si arrabbia per questo, tanto da sbattere il cibo a terra e stringersi forte forte nel proprio petto. Le gambe le tira su, se le rannicchia contro e stringe forte, fino a che qualcuno, afferrandola per il piede, non la lascia scivolare all'indietro. ''No!'' Urla dimenandosi, consapevole di ciò che potrebbe succedere di lì a poco. ''Laisse-moi!'' Batte il piede libero a terra, non di proposito, ma perché così facendo vorrebbe colpire il volto dell'uomo nero. ''Je n'ai rien fait''. La bestia grugnisce ed ogni suo suono finisce per ricordarle inevitabilmente quello di un animale. E Alice ha paura delle bestie che non conosce: Ha paura dei mostri che s'annidano nel buio e che complottano affinché lei divenga loro vittima. Poi riesce a colpirla. Non si chiede come lo ha fatto perché d'altronde non le interessa: Deve scappar via. Ma è difficile correre quando si hanno ancora gli occhi lucidi e la magia non la si sa controllare. Però corre e lo fa a perdi fiato, tanto da sentire i polmoni bruciarle fino a che, quando crede di non potercela più fare, scompare.
    Quando riapre gli occhi si accorge di averlo fatto solo perché la magia l'ha sganciata contro un muro ed il colpo che da alla testa le spacca la fronte e cadere a terra. La ferita fa male, ma se non guarda il sangue che le esce sicuramente saprà sentirsi meglio. Se lo ripete, se lo ripete in continuazione, anche se ogni tanto lo sguardo le scende sulla mano e questo la spinge a strabuzzare gli occhi. Così si tira in piedi e con ancora il cuore a mille riprende a correre. Forse vuole cercare un posto in cui rintanarsi prima che qualcun altro possa avvicinarla con la scusa di essersi preoccupato per lei. Forse vuole solo andare via. Sperare che la paura la riporti a casa. La sua. Quella in cui sua madre non è tornata per un'intera settimana. Allora corre, corre anche se si sente stanca. Corre anche se vorrebbe dormire, fino a che poi non ce la fa più e respirando piano, si lascia scivolare a terra. Sfinita.
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    1. Lasciami
    2. Non ho fatto niente.
     
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    «Va bene, facciamo come cazzo volete voi ma chiudiamola qui» alzo le mani, e non va un cazzo bene.
    I Morgana non esistono più. E mi chiedo perché cazzo mi stupisco ancora, continuo a spingere pensieri mentre lo so che quello che resta di questo posto è metà della mia epoca migliore. Già, quella in cui le preoccupazioni peggiori erano aiutare papà a tirare avanti e cercare un modo per pensare al “futuro” di Edie con calma. Avevo tutto il tempo del mondo, o così credevo.
    Ma i Morgan non esistono più, e con loro mi porto addosso la merda di Adam, di Hugo a cui ho concesso un fottuto livido sotto l’occhio destro. Mi ha detto che gli ho rovinato la vita, ed io ho riso. Forse me lo meritavo, ma non mi importa più un cazzo neanche di questo. Che in fondo non fa differenza che io tenga o meno a qualcosa, la vedrò bruciare pur senza muovere un dito. E che il fottuto Tharizdun me ne scampi se provo anche solo a muovermi per evitare che finisca di merda. Peggioro le cose. Mio padre è morto. Lilian è morta. Io probabilmente in parte sono già morto da tempo, quindi che cazzo di senso aveva tenere in piedi questa cosa?
    Non lo so, sono stanco di chiedermelo, mi siedo solo qui per un minuti di silenzio. Qui a bordo palco, qui dove abbiamo inciso due dischi e tre singoli. Qui che ormai è vuoto salvo la polvere che alzo sedendomi di peso e le casse che avevo comprato io. Ho lasciato che loro portassero via quello che gli apparteneva, che si erano sudati per un sogno andato a fanculo come me.
    Jack mi ha dato una mano a caricare la macchina, ma alla fine si è tolto dal cazzo anche lui. Io non ho tempo per sentirmi in colpa, non ho voglia di pensare a stronzate simili quando ben altro preme nelle tempie. Le massaggio in silenzio, e fumo senza dire nulla. Così, da solo, con le memorie di quando cazzo era ancora un punto si sfogo, un qualcosa da conservare come luogo sacro.
    Mi avevano avvisato che dovevo stare lontano, ma ho fatto il cazzo che volevo perché è sempre così e adesso in fondo non so pentirmene come dovrei. E’ finita un’era, è solo questo.
    Non lo quanto tempo passo qui, con i talloni piantati a bordo palco e nella testa solo quella cazzo di liberazione che provavo quassù. A neanche mezzo metro da terra, ma cazzo se bastava. Qualcosa da incidere ce l'ho lo stesso, un modo... un modo lo trovo. Jack, in ultima, mi ha detto che mi avrebbe seguito e cazzo avrei voluto essere abbastanza bravo da dirgli che doveva rifarsi una vita. Invece ho annuito con calma e fanculo a qualsiasi altra cosa.
    Il viale della pietà può fermarsi qui, che prendo il mic rimasto e non mi volto più. Le chiavi le lascerò nel solito posto, dove Hugo verrà a riprenderle più tardi e così no, non ho più una cazzo di sala prove. Sono le volte in cui Faust si accende, una miccia che preme nel dirmi che ho un compito maggiore, che lavoro per un Dio che da me vuole anche l'anima e c'è sempre quel patto per cui ora voglio dargliela.
    Tengo questo addosso quando esco e porca puttana l'ultima cosa che mi aspetto è lei: una bambina lunga distesa davanti alla porta. Merda. E sì, non mi fido, che la prima cosa che faccio è guardarmi intorno, per assicurarmi che non ci sia nessuno che la segue. So fin troppo bene come funziona la vita in questa parte del Bronx. Cristo, sanguina. Stringo i denti e mi abbasso piano sulle ginocchia.
    «Ehi, su non è il caso di dormire qui... » la scuoto per una spalla. «... riesci ad alzarti?» non sembra grave.
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    L'asfalto non è comodo, ma è comunque meglio di tutti gli altri posti in cui ha dormito negli ultimi mesi. Lo sa, lo sa bene e forse è proprio per questo che ci mette più del dovuto ad aprire gli occhi in risposta di quella voce. Sembra quasi un ricordo lontano, lontanissimo il suo. Uno di quei ricordi che uno fatica a ricordare proprio perché a cavallo tra l'infanzia e l'inizio dell'adolescenza. Anche se lei non può ancora essere considerata un'adolescente: Non ha alcun segno caratteristico a renderla simile alle sue compagne di classe né tantomeno il menarca, il quale sua madre non è ancora riuscita a spiegarle. Alice sa che ormai non potrà più farlo, eppure vi è sempre quella parte vigile e ricolma di speranze capace di spingerla a provare ogni mezzo affinché, saltando nel tempo, lei possa in qualche modo tornare da dove tutto è cominciato. Anche se in quel luogo quella voce che ora la esorta ad alzarsi non esiste. Ci sono forse qualche cd sparsi per casa in cui sono incise le sue ninna nanne, ma nulla più di questo.
    Ma rimane immobile ancora un po': Fa fatica a muovere i muscoli perché, d'altronde, le fanno male a forza di correre. Inoltre lo stomaco le brontola e non lo fa in silenzio: Si impegna affinché l'uomo lo senta e forse venga sovrastato dalla tenerezza al punto da offrirle un altro tozzo di pane. Ma quella voce...quella voce la fa sorridere, anche se sorridere fa male sulla faccia e subito la spinge ad assumere un'espressione contrariata. ''Je n'ai rien fait...'' Lo mugugna a fatica, usando il palmo sporco delle mani per tirare il resto del corpo su. Non ha fatto niente, continua a pensare. Che suo padre non è morto per causa sua e di certo sua mamma non se n'è andata solo perché non le voleva più bene. Non è propriamente questo il modo in cui, purtroppo, vanno le cose. Lei sta facendo di suo meglio. Però quando finalmente apre di nuovo gli occhi e se li è strofinati bene anche se con le mani sporche un po' le prudono, l'immagine che le si para dinanzi la fa trasalire. Così scatta sulle gambe ed una mano, istintivamente va ad aggrapparsi una gamba del ragazzo. ''Père...?'' Lo chiama, lo cerca. Lo fa incastrandogli gli occhi nei suoi. Lo fa sorridendo tristemente, come se una parte di se fosse conscia di star vivendo solo uno dei suoi soliti incubi che sono brutti proprio perché svegliandosi, poi, il suo Josh resta morto. ''...père!'' E gli occhi le si bagnano di nuovo: Lavano via lo sporco che le copre le guance in linee dritte a solcargliele caldamente. Come fossero carezze. Le carezze del suo Joshua. ''...tu m'as manqué...'' E gli salta al collo senza minimamente preoccuparsi di nulla. Senza pensare alla testa che le fa male o a quella paura folle che l'ha spinta lì. Vuole solo abbracciarlo. Non desidera nient'altro. ''Pardonne moi...pardonne moi.'' Per aver permesso che ti portassero via da me.
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    1. Non ho fatto niente;
    2. Papà;
    3. Papà;
    4. Mi sei mancato;
    5. Perdonami.
     
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    Francese. Ora le probabilità che sia una turista che si è persa, sono fottutamente alte. Non so se esiste un cazzo di ufficio per i bimbi smarriti ma spero di sì perché è esattamente lì che intendo portarla. Che stasera non ho tempo anche per questo, per una rogna che è come sentissi già stretta alle caviglie. La tengo per un braccio, per aiutarla ad alzarsi ma qualcosa non va. Lo sento nel modo in cu iil mio sangue reagisce, come se volesse ritrarsi. Non smetto di guardarmi attorno, come se mi aspettassi da un momento all'altro qualcuno pronto ad accusarmi di avergli rapito la figlia. In questa merda di quartiere non sarebbe strano, di truffe del cazzo ce ne sono a non finire ed è perché noi poveri stronzi non abbiamo quasi mai un soldo per andare avanti. No, io ormai sono fuori da questi giri ma lo capirei se lei ci fosse finita dentro. Ne ho visti di più giovani.
    «Calme toi» come se fosse mai servito dirlo a qualcuno, me lo spingo fuori senza troppa fatica. In fondo è una lingua che fa parte di me quasi quanto quella di mio padre. E' veloce, è brava e conosce bene la sua parte, tanto che per un attimo mi convince anche se invece mi tengo questo cazzo di mezzo sorriso in volto, che no, non può usare questo trucco con me. Scuoto la testa, non c'è nessun "padre" a cui appellarsi.
    Ho già detto che è brava, ma cazzo le educano proprio bene perché davvero potrei credere a quelle lacrime ed ho un fottuto istinto a passare una mano perché il pollice vada a toglierle, a liberarla da questo peso anche se non so chi sia e sta palesemente per fottermi.
    Mi immobilizzo così, con questa bambina francese al collo, stretta come se importassi davvero qualcosa per lei. E andiamo, chiaramente non è così, ma cazzo sono allibito, è stata tanto vicina a farmi credere che le sue parole avessero un senso.. a meno che... a meno che non abbia battuto la testa così forte da pensare che io sia qualcuno che non sono. Adesso devo capirlo.
    Lentamente, ma senza alcuna esitazione, stacco le sue braccia da me. «Qui t'a dit de le dire?» Ignoro così il trasalire che mi ha centrato in petto, cazzo non posso farmi impietosire così facilmente, non c'è dolore che tenga per giustificare questo. Eppure il suo profumo ha un ché di familiare. Ma sono io che sono un fottuto malinconico del cazzo, anche se mi ha fatto per un secondo pensare a Lilian. Motivo aggiuntivo per credere che sia uno scherzo di pessimo gusto per cui qualcuno me la pagherà. Vediamo fin dove arriva, tanto che resto piegato su di lei. «Où sont tes parents?» la tengo.
    1. Calmati
    2. Chi ti ha detto di dirlo?
    3. Dove sono i tuoi genitori?
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    La bambina ha le mani che le tremano. Ma la presa non la molla, non quando sente il respiro che sa farsi pesante, così tanto da farle girare ulteriormente la testa. Lei non molla, non può farlo proprio ora che lo ha ritrovato e lui è proprio lì, sotto il suo tocco. Vero, vivo come lo ha potuto solo sognare. Perché qualcuno nel suo mondo se lo è portato via e lo ha fatto senza chiederle il permesso, né avvertirla che un giorno se lo sarebbe ritrovato lì, con gli occhi chiusi e le mani giunte al petto. Lilian non le ha impedito di vederlo, di appoggiarsi con i polpastrelli contro il bordo della bara e guardarlo. Senza sbatter minimamente ciglio, come se Alice fosse già grande abbastanza da poter capire che gli uomini muoiono e che suo padre lo aveva fatto per qualcosa di buono. D'altronde l'uomo che lo aveva ucciso era morto a sua volta.
    Il bracciale che tiene al polso vibra e lo fa emettendo dei cigolii quasi impercettibili. Come se si stesse per rompere. Come se fosse difettoso. Ma lei non ci fa caso, non quando quella carezza sa farle chiudere gli occhi che, però, non smettono di lacrimare. Non vuole mollare la presa nemmeno quando Josh cerca di scioglierla e l'allontana. Ma cede e lo fa solo per frugare alla cieca nella taschina della giubbino.
    ''Maman a disparu...'' Lo dice in un filo di voce, mentre la sola immagine sa farla singhiozzare e tremare più di prima. Ha aspettato una settimana intera che Lilian tornasse da lei, non sapendo se chiamare sua zia Edie che era dall'altro capo del mondo o andare a chiedere in giro se qualcuno l'avesse vista lì nelle vicinanze.
    ''Et toi...'' E lui è morto. Ucciso. Ritornato a casa con la gola tagliata e ricucita alla bell'è meglio: Il tanatoprattore che se ne è occupato non è riuscito a nascondere del tutto il segno magico lasciato sulla sua pelle. Che più che un taglio poi ha ricordato un cappio. Tremando ancora, sfila dalla tasca una foto tenuta piegata, ma non per questo conservata con cura al punto da impedirle di sporcarsi di fango e terra. Sono lei e il suo papà. Josh è piegato sulle ginocchia e la tiene stretta per un fianco. Sorridono. Sono entrambi vivi. Felici.
    ''Personne ne m'a dit!'' Lo dice arrabbiata, mentre gli avvicina la foto e lo fa con titubanza. Non vuole che quell'uomo ce le ricorda tanto suo padre possa portargliela via. Non quello che è l'unico ricordo del suo passato. Dei suoi legami.
    ''No...no.''
    Per questo poi mentre gliela sta per dare si ritira e lo fa nascondendola di nuovo. Tirandosi su seppur con fatica e solo per voltarsi e non fargli vedere più le sue lacrime. ''Veux-tu m'aider à me réveiller?'' Lo sibila così piano da accompagnare il silenzio. Perché lui è solo parte di un sogno.
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    1.Mamma è scomparsa.
    2. E tu...
    3. Non me lo ha detto nessuno!
    4. Mi aiuti a svegliarmi?
     
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    Forse sono i suoi occhi, forse il modo che ha di chiuderli quando le passo vicino o forse sono un cazzo di sentimentale ma... ma non penso che stia mentendo. Posso dirmi che è così per starci dentro meglio, in questa cazzo di situazione, ma la verità è che so capirlo se qualcuno mente ed i bambini, per quanto bravi, non la sanno tirare lunga così tanto. «Calme toi» Ancora, lo ripeto come un mantra che mi esca nel tono che usava mio padre quando si rivolgeva a me. Che l'ha fatto per anni. Prima dolcemente, perché potessi appoggiarmi a lui e fermarmi in petto a piangere tutto quello che sapevo avrei perso. Poi, con un tono più duro e quella mano sulla spalla mentre entrambi, impotenti, guardavamo Edie ringhiare attraverso le grate del magazzino. Poi, l'ultima volta che l'ho visto, quando gli ho detto che ormai era inutile, che lo era sempre stato e come non era riuscito sa fare un cazzo per mia madre non lo stava facendo per Edie. Che consolarla non la potrà mai togliere da tutto un cazzo di mondo di dolore. Quindi sì, ce l'ho nel mio fottuto sangue anche questo. Ma lei trema.
    Trema come una foglia e questo mi stringe un punto al petto, ed anche se non sono cazzi miei, non mi interessa e farò presto a portarla da qualcuno che possa darle una famiglia, so anche che niente di quanto penso troverà modo di realizzarsi. Li cerco quei punto che, ancora, mi dicano che è una truffa, una fottuta messinscena da chi ne sa molto più di me. Ma no, non li trovo. Indago ed anche il sangue torna indietro a vuoto come le mie percezioni. E' vera anche se sbagliata in qualche modo.
    «Moi?» Io cosa? Io che non capisco, che mi avvicino di poco perché voglio vedere cosa c'è in quel foglio e perché la mia sola presenza scateni questo. «Vous me cherchiez?» E mi esce che è una piccola indagine lì tra occhi che mi incastrano fermo sul posto. E' una stronzata quella che sto per dire, ma cazzo assomigliano ai miei. Io giuro che per un fottuto attimo ho creduto di guardarmi allo specchio e vedere un me più piccolo, problematico uguale. Però lei ha sbagliato persona, ma se così fosse adesso vedrebbe che non sono chi sta cercando.
    Scatto. Stringo le dita lentamente ma senza intenzione di mollare, sulla foto che stava per mostrarmi. Non so cosa stia dicendo, ma so che il fatto che mi parli di sogni è ancora più un punto che mi paralizza. So per certo che non sta dormendo, non è in trance, lo sentirei. «Tu ne dors pas.» So dire ancora questo, lentamente, molto più di prima. Ho bisogno di vedere quello che ha in mano, e quindi si so anche essere gentile di tanto in tanto. «Laisse moi voir.» Lasciami guardare, per favore.
    1. Calmati
    2. Io?
    3. Mi stavi cercando?
    4. Non stai dormendo.
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    No che non lo cercava. Non avrebbe avuto motivo di farlo seppur nei suoi sogni lo ha rincorso più e più volte sino a ritrovarsi poi lì, braccata da sua madre al suo funerale, con le nocche che s'arrossano solo per la presa che esercita sulla bara e gli occhi in fiamme perché incapaci di versare lacrime. E vorrebbe piangere, Alice, ma non ce la fa: Ci sono troppe persone che non meritano di condividere con lei quel suo dolore, non quando l'uomo che più ha amato nella sua brevissima vita se n'è andato nel modo peggiore in cui potesse andarsene. Con orgoglio, certo, ma privo della dignità che meritava. Perché è stato trattato come una bestia e come le bestie è morto. Alice lo guarda negli occhi che però sono chiusi e sibila delle scuse che non vuole che sua madre possa sentire. Si dice che è una cosa loro e che quella promessa di rivedersi, poi, non è stata mantenuta.
    Non lo cercava perché no, aveva appena iniziato a metterci una pietra sopra. A capire come andasse effettivamente la vita e a convincersi che suo padre, comunque fosse andata, era stato un eroe. Il suo e quello di sua madre.
    Respira profondamente e rimane a fissarlo, con gli occhi ormai violacei dal pianto e la mano serrata a pugno attorno alla foto. Non vuole dargliela. Non sa se può fidarsi di lui.
    Gli è mancato così tanto. Ma scuote la testa e lo fa con grande sforzo. ''Je ne peux pas te chercher...'' Tira su col naso, torna a coprirsi il volto con una mano. Non respira bene. ''Tu devrais être mort...'' Lo sussurra, lo dice più a se stessa che a Josh. Le fa così male pensarlo. Ma non molla la presa sulla foto, non ancora, non ci riesce.
    Non sta dormendo. Se lo ripete e più lo fa, più sente di voler urlare. ''N-no. Ne me l'enlève pas!'' Ma piano piano rilassa i muscoli. ''C'est la seule chose qu'il me reste de to.'' E vorrebbe stringersi forse a lui. Di nuovo, con la medesima forza di prima se non più potente. Non vuole nemmeno tornare indietro. Ha dimenticato che deve cercare sua madre. Ha dimenticato di voler vivere in un posto diverso da questo. Le mancano così tanto le sue braccia. Le era mancata tanto la sua voce.
    ©


    1. Non posso cercarti.
    2. Dovresti essere morto.
    3. No, non portarmela via!
    4. è l'unica cosa che mi è rimasta di te.
     
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    So solo sentire quanto cazzo sta male, e con una fissità che segue la linea dei muscoli per tirarli. Tutto questo mi riporta così spesso indietro che voglio che ci togliamo da qui subito. Qualunque cosa le sua successa non è risolvibile in una sera, meno che meno quando ha del sangue che inizia a rapprendersi lungo le tempie. Penso che potrei portarla da Edie, che magari insieme ne caviamo qualcosa di più. Ma poi mi dico che - ancora - questi non sono cazzi miei. Ho proprio bisogno di convincermene a fondo, nella sicurezza che viene meno ogni volta che guardo questa bambina.
    Sono pazzo a dire che in qualcosa mi somiglia. Sono ancora più uno stronzo con i neuroni fottuti se mi dico che ho ragione, e che quasi ho paura di guardare la foto che ha in mano. Mi ha chiamato papà, ed una non è che possa sbagliarsi così di tanto.
    Sono sempre stato fottutamente attento, e dall'età al massimo potrebbe essere di Gretchen, ma lei non conosce il francese e non ha mai deciso di impararlo, perciò no, è una bella ipotesi - cazzo bellissima - ma non è questa.
    Mi avvicino, per forza, che quasi non sento cosa dice. Mi dimentico della lingua da usare. «Morto?»
    Non capita tutti i giorni che qualcuno venga a dirti che dovresti essere morto. Anche se conosco chi avrebbe voluto che lo fossi. E soprattutto non con questa sicurezza dolorosa che mi fa credere che abbia ragione. Che io sia morto, che sia suo padre e che qualunque diavoleria stia usando per convincermi funziona.
    Ma è chiaro che un punto è un cazzo di errore: io sono vivo. «Regardez-moi, je suis vivant.» Insisto sull'unico punto per cui valga la pena farlo.
    Lascio la presa sulla foto, non voglio costringerla ma non voglio restare qui, perciò prendo invece lei, le stringo una spalla provando anche ad essere fottutamente gentile, e con il solo scopo di portarla con me, a casa mia.
    «N'aie pas peur, je ne l'enlève pas...» lo sappiamo però che il punto non è questo, che il problema è a monte, in qualcosa che non ho voluto chiedere ma adesso preme con urgenza nelle tempie. La libero perché non si senta costretta in niente. E' una cazzo di bambina, nel mio cazzo di appartamento. Merda. «Comment tu t'appeles?» Alla fine lo chiedo, senza guardarla.
    1. Guardami, sono vivo
    2. Non spaventarti, non te la porto via.
    3. Come ti chiami?
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    Ma lui è vivo, tanto da rassicurarla o almeno, da provarci. Perché la bambina non sta dormendo e questo le fa capire che se non fosse davvero vivo allora non potrebbe stringercisi con tanta forza da far arrossare le nocche della mano. Se fosse morto, intangibile o solo uno di quei fantasmi che avvelenano i sogni, probabilmente si dissolverebbe al solo tocco. Ma non lo fa: Lui resta lì anche se non la capisce e si comporta come se si sentisse attaccato da lei. Come se Alice potesse farlo ed agire così solo per ferirlo. Lederlo. Rovinarlo così come l'ha rovinato quel taglio sul collo. Quella scelta che lo ha portato a svanire sotto i suoi occhi.
    Josh pronuncia una parola in una lingua che lei non conosce ma che comunque la porta ad alzare nuovamente il viso in sua direzione. Anche solo per asciugarsi le lacrime e provare almeno per un istante ad osservarlo nella sua interezza. In quei tatuaggi sul collo che suo padre non aveva ma che comunque a guardarli bene, le piacciono tanto.
    Ma almeno la foto non la guarda: Alice se la stringe in petto non appena lui molla la presa per poi cambiare e stringere una spalla di lei. Vi è un connubio di emozioni nella bambina che la spinge a sentirsi sicura anche laddove non ha sicurezze. Perché ogni singolo momento, seppur non con poca difficoltà, si ritrova a rivedere in lui tutti quei dettagli che appartenevano un tempo a suo padre. Sente ancora vibrare il bracciale che ha sul polso e allora si ripete che le basta quello per potersi, un solo istante, concedere totalmente all'estraneo.
    Si lascia così portar via da lui. E lo fa senza controbattere, senza battere ciglia. Che d'altronde la fuori, in strada, non saprebbe dove andare e lui le sembra buono o comunque per nulla propenso a prendersi gioco dei suoi sentimenti.
    Annuisce come per dirgli che va bene, che sta iniziando a fidarsi e che comunque non ha modo di per sfuggirgli, non quando questa casa in cui l'ha portata nemmeno la conosce. Prende a guardarsi intorno curiosa: A prima vista, Josh non sembra avere nulla che appartiene a sua madre. Lilian non è nemmeno qui. ''Alice'' Risponde leggermente distratta, mentre gli si allontana e nel farlo molla la presa da lui. ''Alice Olive Çevik...'' Olive è il nome si sua nonna materna e nel ripeterlo, si chiede se Josh sa dove poterla trovare. ''Connaissez-vous ma mère?'' Ha smesso di piangere, ma questo non le impedisce di avere gli occhi ancora arrossati e circondati da occhiaie violacee. Si chiede, mentre gli porge quella domanda, se abbia senso fargliela. Che se quello è suo padre allora deve sapere dov'è Lilian. Ma non sarebbe strano ritrovarsi a credere che, se qui esiste un Josh ancora vivo, allora sua madre dev'esser sparita per venire a cercarlo. Perché anche a lei mancava ed avrebbe fatto di tutto pur di torna con lui. Purtroppo non ha con sé una sua foto. ''Ma mère s'appelle Lilian Strickler.'' E lo dice per esser sicura che egli capisca. ''Est une chanteuse d'opéra.''
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    1. Tu conosci mia mamma?
    2. Mia madre si chiama Lilian.
    3. E' una cantante d'opera.
     
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    27.
    Non ho bisogno di guardarla per sapere dove sta andando, come si sta muovendo. Ho imparato ormai a tenere tutti nel mio campo visivo, anche se hai margini e quindi questa bambina non ha alcuna possibilità di sfuggirmi anche se beh, non so ancora che cazzo farci con lei. Mi tolgo la giacca con calma, non intendo fissarla, che più la guardo più qualcosa mi si muove dentro e non ha un nome.
    Non sono sicuro che si sia calmata, ma a quello potrò pensarci io non appena si sarà capito di più di questa storia, qualunque essa sia. Adesso me la deve dire e basta. E cazzo no, io non so essere rassicurante. Credo sia palese che non sono la prima persona da cui un bimba spaventato andrebbe. Eppure lei è qui, ora mi serve il suo nome. Non voglio che mi costringa ad andare a cercarlo.
    Il silenzio dura poco, Cristo dura sempre troppo poco e giuro che se avessi saputo cosa sarebbe successo, l'avrei lasciata in quella via fingendo di non averla vista. Perché, insomma, che cazzo di ironia di merda è questa?
    «Cosa Anche questo non è in francese, me ne dimentico quando Alice Olive Çevic è la sola cosa su cui mi fisso. Alice.
    Mi fermo, immobile, come se respirare fosse troppo anche perché in realtà non ci sto riuscendo. Adesso davvero non posso fare altro che guardarla e chiedermi da bravo stronzo se abbiamo qualche parente di cui non so nulla. Ma la verità è chiusa qui in gola e ce l'ha lei in mano, e no, non sto davvero connettendo né ragionando. Mi serve un minuto. Indietreggio, che un po' è come se avessi visto un cazzo di fantasma. Dice che Lilian era sua madre, ma cazzo questa Alice avrà almeno nove anni. Anche se.. anche se Lilian mi avesse nascosto una figlia, non le avrebbe certo dato il mio cognome, che stronzate.
    Tua madre è morta. Tua madre non era Lilian. Che cazzo dovrei dirle davvero? Ma chi cazzo è lei? Ma perché?
    La meditazione non serve ad un cazzo neanche adesso, anche se mi impongo in respiri pesanti di stare fottutamente calmo. Non sto vagliando nessuna ipotesi, so troppo poco. Ma cazzo, cazzo io mi ricordo cosa ho detto ad Edie a Dicembre. Le ho detto che se Lilian non avesse scelto di rinunciare al bambino, o alla bambina, io l'avrei chiamata Alice. «Come Alice Cooper...» con che cazzo di fiato mi esce non lo so, perché poi mi muore in gola. Ed ho il bisogno di accendermi una cazzo di sigaretta anche se le mani tremano e la fiamma ne risente, che non prende subito come dovrebbe. Il primo tiro mi permette un respiro, ma dopo è come prima. Merda. Che cazzo vuol dire?
    «Est-ce que tu sais qui je suis?» mi allontano appena. Soffoco.
    «D'où viens-tu?» Da quale cazzo di fottuto pianeta?

    1. Tu sai chi sono io?
    2. Da dove vieni?
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    12.
    ''You're poison, running through my veins.''
    Ma non sa bene cosa vogliano dire. L'inglese non lo conosce e sua madre non ha mai voluto fargliela sentire, inventandosi che fosse una cosa da grandi e che ci sarebbe sicuramente stato più in là il momento giusto per ascoltarla. E comprenderla, così come debbono essere compresi certi argomenti: Per gradi, con assoluta lentezza, così che Alice potesse non compiere il loro medesimo sbaglio e mettere al mondo un altro bambino quando lei stessa ancora lo era. Ma con questo Lilian non voleva di certo alludere che la nascita di sua figlia fosse un errore madornale: Semplicemente, si era sempre detta, che se fossero stati più accorti probabilmente avrebbero aspettato due o tre anni prima di darle vita. Come se la bambina potesse rimanere tanto a lungo in attesa e perdere così quei momenti preziosi che oggi la legano ancora a suo padre.
    Canta quei versi in maniera distratta e lo fa solo perché una volta ha aggiunto Alice Cooper nel suo mp3 prima che i suoi potessero accorgersene. Sua madre avrebbe preferito leggerle Alice in Wonderland, seppur nascondendole le voci che arricchiscono ancora oggi la figura del suo scrittore. Ma non ne ha mai avuto davvero l'occasione. A volte, così dicevano, non c'era tanto tempo per giocare.
    D'altro canto suo padre era morto proprio a causa delle loro battaglie e solo Pelor sa come potrebbe non sapere chi è l'uomo che ora le sta dinanzi. Certo, è morto già da qualche anno, quando lei era decisamente più piccola di quanto lo sia ora, ma questo non significa che potrebbe dimenticare chi sia. Non è qualcosa che si può fare facilmente, non quando basta l'odore della pelle o anche solo uno sguardo lasciato scivolare di traverso per farle venire la pelle d'oca. E le orecchie le si agitano. Tremano appena, ma giusto sulle punte. Perché sanno muoversi in concomitanza con le espressioni del suo volto e no, adesso non sa affatto com'è che si tiene fermo: Ci sono troppe emozioni a scontrarsi tra di loro, a richiamare una supremazia che non può essere concessa così facilmente.
    Così si limita ad annuire, perché è stanca e non conosce le parole che solitamente si usano in circostanze come queste: Non ha mai dovuto spiegare a nessuno chi fosse suo padre, proprio perché tutti lo conoscevano e ne avevano un profondo rispetto. Annuisce, ma non sa se chiamarlo ancora ''papà'', non quando lui sembra non riconoscerla e la tiene a distanza, come se fosse un male da debellare, qualcosa da espellere quanto prima.
    ''Paris...'' Risponde semplicemente, anche se forse questo Josh vorrebbe conoscere le coordinate dei suoi spostamenti, l'anno in cui è partita ed i motivi per cui è finita proprio qui. Il fatto, poi, è che nemmeno lei sa i perché di tutto questo. Sa solo che è successo e che lui è qui, dove non dovrebbe probabilmente essere, al posto di una madre che invece dovrebbe, ma che ora è sparita. ''à Paris tu étais mon père...'' Ed è proprio qui che cede e gli si avvicina di nuovo, ma questa volta solo per far scivolare finalmente quella maledetta foto tra le sue mani. Aperta, affinché egli non possa non notare quella bambina stretta al fianco di suo padre che, chino sulle ginocchia, la tiene ben salda a sé e sorride, sudato. Perché quella doveva essere una di quelle foto scattate in sala prova, quando Lilian ancora cantava e la portava con loro, permettendole di suonare la batteria per suo padre. Come se fosse brava. ''c'est toi, non?'' E con l'indice lo indica, mordendosi un labbro come per trattenere l'ennesimo pianto che potrebbe scaturire da una sua risposta negativa. Perché potrebbe star sbagliando ogni cosa. Potrebbe aver battuto la testa troppo forte al punto da ritrovarsi ad immaginare ogni cosa. O semplicemente, potrebbe solo che essere animata da una forte speranza. ''et c'est moi''.
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    1. A Parigi eri mio padre
    2. Questo sei tu,no?
    3. Questa sono io
     
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    27.
    Arriva sempre il fottuto momento in cui è palesemente troppo. Da gestire, da sopportare, anche solo da sentire. E finisce che sono io il primo che si lascia sprofondare sul divano. Ma no, non a peso morto perché non esiste un attimo in cui io sia meno teso. Ho solo la cazzo di necessità di appoggiare i gomiti alle ginocchia e tenere su la testa così, nel passare ripetutamente la mano trai capelli.
    La cosa stronza, è che quando canta Poison mi si chiude un nodo in gola. Mi ricordo quando pensavo di dire a Lilian che io sono solo un veleno, uno di quelli bastardi che non ti rendi conto di avere ingerito finché non è tardi, finché non ha preso gli organi vitali e quindi poi il collasso è a pochi istanti da quel punto: imminente. Alice doveva essere - nella mia testa bacata - un modo per ricordare che se era sopravvissuta al veleno, a me, allora avremmo potuto avere una famiglia. Che in fondo per questo so di essere portato, di sapere come cazzo di si fa a prendersi cura di qualcuno. Sì. Dev'essere per questo che mi sono morti quasi tutti. Che la mia ossessione si fa pressante per Chrys e per Edie, che mi restano come ultime colonne. Senza di loro sono certo che sarei in pasto al carissimo Tharizdun da molto tempo. «Parigi...» viene da lì.
    Però lo so che dovrei essere razionale, cazzo, lo so che dovrei dirmi che esiste la possibilità che lei venga da un tempo diverso, e come cazzo lo spiego dopo? Ma.. ma qualcosa è diverso, dentro di me. E' solo diverso.
    Quasi me lo aspetto quando mi dice che a Parigi ero suo padre ma la foto, cazzo la foto no. Quella mi ferma le mani nel tenerla quando mi si avvicina di nuovo. Lo osservo. Non sono io, ma sono io. Sono paradossi che si incontrano e rafforzano la realtà. Così la foto non riesco più a guardarla e gli occhi li fermo su di lei. Come cazzo faccio a dirti che qui non sono tuo padre e che tua madre è morta? Per colpa mia, soprattutto. E perché cazzo mi sento in debito con te ora? «Asseyez-vous ...» batto una mano lungo il divano, tre colpi lenti.
    Mi sto già tormentando le mani, non so che cazzo fare ma so che non intendo riportarla per strada, che non mi importa se non è quella Alice che Lilian non ha neppure voluto provare ad avere. E' Alice.. la... la mia Alice. Che non è mia ma non importa.
    «Tu es à New York » lontana da Parigi e dal tempo, ma questo, beh io non so come spiegarglielo e lei sta soffrendo. Sarò anche uno stronzo, ma non così tanto. «Tu as faim?» Ci giro intorno, prendo tempo, allargo un sorrise che è un triste fantasma di qualcosa di utile.

    1. Siediti
    2. Sei a New York
    3. Hai fame?
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    12.
    Il suo Josh le aveva insegnato che piangere non serve a niente, ma che comunque non fa male quando ci si sente tristi. E lei ora si sente triste, di una malinconia che sa travolgerla in pieno e tenerla immobile lì, davanti all'uomo che assomiglia così terribilmente a suo padre da non poter essere chiamato diversamente. In attesa, forse che lui la stringa tra le braccia come avrebbe fatto se fosse ancora vivo e di ritorno dai suoi impegni. Sa che questo Josh non può soddisfare questi suoi bisogni, eppure se ne resta lì, a cacciar via ogni lacrima e a sperare che lui le dia il permesso di sedersi o anche solo di andarsene per tornare così a cercare la sua mamma.
    Le piace però il modo in cui lui si ripete le cose che dice in una lingua che non conosce. Nel modo in cui forse ragiona ad alta voce e lo fa senza alcun filtro. E questo, per un momento, le fa tirare su le labbra in un sorriso leggero, che non scopre nemmeno i denti, ma che comunque le fa nascondere gli occhi dietro gli zigomi rossi. Poi annuisce e va a sedersi dove Josh le ha indicato. Facendogli spazio, affinché lui possa seguirla e restarle accanto anche se in silenzio. Che ha l'odore simile a quello di suo padre se non identico: Il profumo che usa dev'essere davvero lo stesso. Evita però di ricordare quanto fosse bello indossare le sue maglie come fossero vestiti. Maglie ancora permeate del suo odore e del calore di un corpo che ha rivisto solo freddo. Tanto che toccarlo le ha fatto strano. Le ha lasciato intendere come fosse meschina la morte.
    ''En Amérique?'' Non è stupitissima nel dirlo, d'altronde ha viaggiato così tanto negli ultimi mesi da essere comunque rincuorata dal fatto di ritrovarsi in una casa come questa piuttosto che nascosta in un supermercato dismesso di chissà quale dimensione.
    ''Pourquoi ne sommes-nous pas en France?'' Ed ha senso: Perché suo padre e suo madre erano a Parigi mentre questo Josh vive a New York? Poi forse capisce, ma la domanda che sente di volergli fare non le piace. Non vuole, egoisticamente, che ci sia un'altra Alice a prendere il suo posto. Ad entrare in casa e chiederle di lasciarle spazio sul divano.
    Per questo si trattiene ed annuisce alla sua ultima domanda, per nulla conscia di quanti giorni siano passati dall'ultima volta che ha messo qualcosa di sostanzioso sotto ai denti. A pensarci bene le gira persino la testa adesso, ma forse più che per la fame è per quella ferita ormai rossa e dal sangue ormai secco.
    ''Tu ne connais pas ma mère, n'est-ce pas?'' Perché non le ha ancora detto niente a riguardo e lei ha bisogno di sapere, ha bisogno di trovarla per riportarla a casa sua. Anche se, dove abita lei, lui non esiste più.
    ''Je dois la ramener à la maison...'' Perché è andata via, si è persa e lei non è riuscita a tenderle la mano nemmeno per un istante. E lei ha questo compito: Non può perdere anche lei, anche se non sa com'è che si torna indietro. Anche se non sa com'è che funzionano queste cose.
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    1. In America?
    2. Perché non siamo in Francia?
    3. Tu non la conosci mia madre, vero?
    4. Devo riportarla a casa.
     
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    27.
    Ci ho provato a tenermi distante un fottuto attimo. Non chiedo tanto, solo di non sentirmi una merda ogni cinque minuti. Oppure ogni volta che mi guarda; lo fa come se le dovessi qualcosa ed io, beh io non so cosa. O forse sì, che Lilian è morta e lei non è mai nata. Non nel mio universo, non nella mia linea. E, cazzo, queste erano solo teorie. Slater mi aperto la strada a mondi da visitare che in pochi sanno esplorare, e basta.
    Ha fame. Allungo solo una mano perché non voglio alzarmi, voglio che la birra mi arrivi tra le dita, così da aprirla e farne fuori un sorso che rinfresca e che mi da un fottuto minimo di lucidità. Cristo.
    Io, per contro, il tempo ho provato a studiarlo anni fa, quando ancora speravo di riavvolgerlo per liberare mia madre prima che tramandasse la maledizione ad Edie. Stronzate che sbuffo fuori in un modo strano che mi curva sempre le labbra: è fottuto sarcasmo, sempre lui, l'amico di una vita di merda. Annuisco ma non sto davvero parlando con lei, guardo avanti oltre lo schermo spento e, poi, la finestra scura. Che casino di merda è questo?
    E' una bambina, non molla, non lascia la presa su domande che non hanno risposta; o almeno non una che potrebbe piacerle. Alice Çevic. Continuo a pensarci. La versione di me che era suo padre è morta, ma in qualche modo mi ha trovato, significa che lei un modo per muoversi nel tempo l'ha trovato anche se non ne sembra consapevole Beh, per fortuna ci sono io a spiegare cose che non so, mh?
    Per fortuna c'è Josh che le notizie di merda le sa sempre dare.
    «Parce que je vis ici. Tu sais que je ne suis pas lui...» nel dirlo mi prendo un respiro più profondo, mi sembra sveglia, abbastanza da capire che se le cose sono strane per lei, lo sono anche per me. «Tu te souviens comment tu es arrivé ici ?» Il mio francese è troppo pulito, non ho avuto modo di parlarlo abbastanza con Osmar perché si impadronisse della normalità.
    So sentirmi in colpa anche di questo, altri fottuti squarci che si aprono su una schiena che non sa sopportare altre lame a trafiggerla. Che la vita stava riprendendo ad andarmi di merda in una buona media, perché deve sempre essere tutto fottutamente complicato?
    Mi tolgo il telefono dalla tasca, me lo rigiro in mano.. dovrei scrivere a Chrys, che non so gestirla da solo, nemmeno voglio. Dovrebbe parlarmi, prima. Forse non vuole.
    Lo lascio cadere pesantemente sul tavolino. Fanculo. Non so come dirlo senza che soffra, come se già volessi che non lo facesse più, che fa soffrire anche me. Quindi avanti, altro respiro e la cerco di fianco a me. «Ma Lilian est morte E no non c'è modo di addolcirlo, quando ancora brucia per le colpe che mi faccio di tutto. «Mais ce n'était pas ta maman.» mi affretto ad aggiungere cercando di - che cazzo ne so - calmarla?
    «Si votre maman est ici en ce moment, je vous aiderai à la trouver.» Che almeno una cazzo di cosa so farla: trovare le persone, seguire le tracce, ma non mi piace che Alice, questa Alice, sia qui da sola. Con un padre morto - che ancora mi da i brividi - e una madre che la sta cercando.

    1. Perché vivo qui. Lo sai che non sono lui...
    2. Ti ricordi come sei arrivata qui?
    3. La mia Lilian è morta.
    4. Ma non era la tua mamma.
    5. Se la tua mamma è in questo tempo, ti aiuterò a trovarla.
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    12.
    Rimane in silenzio. In un religiosissimo silenzio che la vede muovere solamente gli occhi. Lo segue nei suoi movimenti: Senza mai abbandonarlo, battendo le ciglia il minor numero delle volte possibili. Si ancora a lui, lo fa senza scendere dal divano, senza porgergli alcuna mano ad indicargli di sedersi, di essere quanto più sincero possibile. Lo fa riuscendo finalmente a trattenere il pianto: Sarà che di lacrime non ne ha più sarà che nessun pezzo di quel puzzle che ha in testa sembra trovare la sua giusta collocazione. Ogni cosa è così oscura e contorta da spingerla alla confusione.
    Annuisce e basta. Lo fa per dirgli che ha capito, che sta memorizzando ogni cosa che gli sta dicendo e per ricordarsi che, almeno in momenti come questi, l'unica cosa che è bene fare è restare ad ascoltare. Perché bisogna parlare solo quando si hanno le idee chiare e si è compreso ciò che l'altro ci ha detto. Lilian le ha sempre detto di darsi il tempo di ragionare prima di esporre le proprie idee. Che gettarle alla rinfusa non è utile anzi, fa solo danno. Ci spinge solamente a convincerci di ciò che potrebbe non essere del tutto vero.
    ''Fuir un monstre...'' Perché da qualcuno stava scappando e questo qualcuno non aveva occhi per guardarla davvero. Né bocca per parlarle. Ha solo corso, corso a perdi fiato e poi, poi non ha visto più nulla. Il buio che solitamente poi preannuncia l'arrivo vi una strada, un grande prato od un fiume in cui una volta si è vista quasi affogare. Si toglie le scarpe dal tallone e tira su i piedi, sul divano, senza chiedergli il permesso.
    ''Morte?'' Le tremano le labbra dietro le braccia che tiene conserte, strette attorno alle gambe. ''Êtes-vous triste à ce sujet?'' Lo chiede perché ricorda benissimo il volto che aveva suo padre quando si rattristava: Quando a lavoro le cose non andavano per il verso giusto ed il suo amico faceva quelle scenate strane che lo costringevano ad alzare la voce. E questo Josh, secondo lei, ha quegli stessi occhi. Forse un po' stanchi, forse un po' carichi di tante preoccupazioni.
    ''Je suis désolé...'' Perché dispiace anche a lei, anche se sta cercando di fare la dura. Anche se ci sta provando. Ed è una frase sussurrata così piano a dubitare che egli possa averla sentita. Le dispiace davvero per ogni cosa: Per aver sbagliato i suoi calcoli iniziali e per aver messo insieme solo ora qualche pezzo di quelle verità che questo Josh le sta raccontando.
    ''Je sais pas...'' Lo dice pensandoci su, ripercorrendo i suoi passi per poi tornare a quel giorno. ''Un jour, je suis rentré à la maison et elle n'était pas là. Elle n'est jamais revenue pour moi.'' Sposta velocemente lo sguardo altrove, per non farsi scoprire in questo momento di tristezza assoluta. Non vuole più aprirsi così tanto e mostrare a questa copia perfetta di suo padre che non è grande abbastanza da sopportare certe cose. ''Peut-être qu'il ne voulait plus de moi...''
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    1. Fuggendo da un mostro;
    2. Morta?;
    3. Sei triste per questo?;
    4. Mi dispiace;
    5. Non lo so;
    6. Un giorno sono tornata a casa e lei non c'era. Non è mai tornata per me;
    7. Forse non mi voleva più.
     
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15 replies since 4/7/2021, 19:11   346 views
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