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Eså/Samuel | 30 Giugno | Lyaglaisol-7

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    Nei miei sogni più cupi, vedo Lune cadere. Crollare come sfere che si lasciano cadere da un tavolo, con qualcosa che non ha incuranza, ma intenzionalità, come l’attesa di vedere lo schianto. Le chiamo per nome, come vecchie amiche che scompaiono contro l’orizzonte, ma tutto ciò che resta, sono cumuli di sabbia che corrono lungo pareti spoglie. Questa, è la distruzione del Cosmo. La vedo, la sento fra passanti che corrono ai miei lati, cercando vie di fuga che non esistono quando è il cielo ad infuriare e spingere detriti che crollano come bombe pronte ad esplodere, e non esiste alcun posto in cui nascondersi. Non esistono spazi sicuri di salvezze che sono state annientate, ancor prima di indurre un movimento innaturale, e che mi fa tenere lo sguardo in alto a compiangere l’assassinio di un Mondo. Assassinio è la parola giusta. Una fine che è parte di una decisione che è nata, ed è stata premuta nella realtà, contro ogni spontaneità più naturale, per diventare l’imposizione ultima, a cui tutto deve sottostare. Gli occhi in alto, i piedi fermi a terra, sommerso oltre le grida, oltre tutto, ad ascoltare un pianto inesistente, ma che mi sembra di poter sentire premersi a fondo, e riecheggiare in ogni moto che spezza l’atmosfera per andare più a fondo. Piango la secchezza del Deserto, quella che non è fatta di lacrime, ma di polvere ferma sulle guance. Premo gli occhi in basso, sul caotico esistere che si agita quando è agli sgoccioli, e cerca ancora di arpionarsi a qualcosa. Vedo speranze che sanno di paura, di un terrore a cui non ho nessuna soluzione, e che conosco nel profondo di molti viaggi che mi hanno portato a guardare distruzioni simili, e anche tanto diverse, esterne ed interne, e il consumarsi dell’aria centimetro dopo centimetro. Non posso fare nulla per loro, nessuno di loro, ma è solo un punto nella mia testa, troppo blando per poter davvero rientrare in quella sfera di pensieri che adesso, si agita nell’immobilità delle mie gambe. Ripento a Yean Edhil, e penso a com’è stata la distruzione di quel mio mondo che non ho mai visto, se non fra le parole di mia madre, e suoni che condividiamo fra di noi nella consapevolezza di come non siano altro che ricordi da tenere in vita. È questo, il mio perché. Quello che mi smuove, e che mi agita, e mi porta ai confini di ogni mondo, ed ai confini di me stesso, fra sentieri che si adombrano e non conoscono riposo, ma solo movimenti che si facciano pressanti uno contro l’altro. Un battito di ciglia appena, e un Mondo muore. Un battito di ciglia, e un’Apocalisse si schianta da qualche parte attirata da mani che vi si allungano contro come se fosse la rinascita di ogni cosa. Fuori dal Ciclo, uno sviluppo a cui non è stato concesso di esistere, ma che tagliato è rotolato via, senza poter far altro che crollare, e trascinare tutto con sé. Non ci sarà più nessuna traccia, nessuna rovina, nessuna voce a testimoniare di esistenze che sono state sacrificate senza scampo, e senza scelta, a qualcosa che è arrivato a prendere il posto del naturale corso degli eventi. Stringo appena le dita quando ricomincio a camminare, nella parte opposta verso quella di volti che sono già fantasmi. Ad ogni passo, sento crescere un senso nel petto che si mischia fra tutto ciò che sono, e tutto ciò che sa trovare di quegli spazi che vengono da anni ed anni addietro, e sono pronti a tornare. Non aumento il passo nello scorgerlo da lontano, le man che ricadono lungo i fianchi nell’assecondare movimenti che mi spingono verso di lui, pilastro nel Nulla e suo portabandiera. Non ho sorrisi oggi, non ho nulla se non l’indurimento della mascella, nel guardare il limite massimo di un’idea infrangersi furiosa al suolo. Un punto immobile in sé stesso, al centro di quella Creazione che si bagna nel paradosso del suo opposto. «Riesco solo a sentire il lamento di una Causa imposta, Missing» sposto gli occhi da lui, alzandoli ancora verso l’alto, verso una battaglia persa che si consuma con lentezza e aspetta solo la sua stessa fine. «Questo Mondo non era ancora nel rintocco delle sue ore, ma tu lo hai trascinato alla fine della sua esistenza. Niente sopravvivrà» so che lo sa, come so che quello che lui guarda, adesso, è diverso da ciò che guardo io. Lo stesso evento, ma dai due lati opposti, che ci trascina in due sensazioni diverse, e ci impone immobili nello stesso punto, testimoni resistenti contro il Tempo che si esaurisce sotto il nostro stesso sguardo. Penso ad Urjec, e alla sua scelta di restare imbrigliato in quella fine che aveva visto arrivare, e me lo immagino attenderla immobile nella sua radura. «Neanche un ricordo» me lo stringo fra le labbra prima di abbassare il mento, e trovare a voltarmi verso di lui. «Il tuo Disegno si è compiuto»
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    Edited by usul; - 8/9/2021, 15:08
     
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10 replies since 15/7/2021, 21:49   180 views
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