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Eså/Samuel | 30 Giugno | Lyaglaisol-7

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    Guardo queste stesse schegge crollare con un pensiero che per un secondo, mi ricordano uno stralcio di un mondo diverso, un mondo in cui il cielo si copre di strisce che sono stelle cadenti che si affrettano nell’atmosfera, detriti che sono pare della sua esistenza e che bruciano il suo cielo per stemperare ogni notte. Ma questa non è Vena Ilel. Lo guardo per qualche istante nel porsi di una domanda che, su di me, si poggia con il fiato di mille vite che ho vissuto, e che torno a guardare come segmenti divisi che non riescono ad unirsi, ma solo a vagare disperse come pezzi sconnessi che non possono combaciare. Cosa provo è parte di un pensiero disgregato, che tutte quelle vite le sfiora, e diventa così un filo conduttore che non le lascia cadere preda di una gravità che allontana tutto, ma diventa la resistenza ultima immobile nel tutto. Era Urjec che negli anni della mia educazione, mi ripeteva la regola del controllo. Quello che passa dalla conoscenza, la consapevolezza dell’io di cui Saida Zayirah ed Elmar Asad parlavano nelle sere nella Diyat Meheel, ad Hillaj, con le lune che placide volteggiavano sui capi di noi stupiti della loro presenza, tanto quanto delle loro parole. Stupitevi sempre. Lo sguardo scivola di nuovo lentamente lontano da lui, quand’anche Missing è una di quelle gravità che spezzano i miei pensieri e li frammentano, per farli tornare a tutte quelle vite che ho vissuto, e tutti i nomi che ho portato. Sono diventato qualcuno che sa come ascoltare i suoi pensieri, e che sa come sono fatti sotto la forza delle mie mani che sono sempre pronte a stringerli e riconoscerli, per avere quel tipo di potere che da ad un uomo, il dominio di sé stesso. Oltre la Tebaj, e molto più a fondo di quella mera proprietà di sé, per sconfinare in un concetto che sale verso il firmamento, e guarda Al Sahi e le sue terre negli occhi: Majalt’ahaq ‘anlduhkar. Quella consapevolezza viscerale della propria mente, e del proprio spirito, come un’aspirazione silente che serpeggia fra le storie degli Al Shar nelle notti sul Sharsham. È questo che ho cercato in tutti i miei Al’Alaham, quei cammini duraturi fra le dune, senza nessuna compagnia se non quei sussurri che sono bisbigli di consigli e sentieri da percorrere. Questo quello che ho cercato e ricercato nel cuore del Deserto, come una rivelazione che aprisse il cielo, o scivolasse dalla pallida luce di Adlaj e Sehlul. Ma adesso guardo una Luna diversa, una che crolla, e cerco nell’intimità del mio io, una risposta che possa sciogliersi sulla lingua, e arrivare nell’aria con il peso di una sincerità che sono io a decidere di premere nelle mie intenzioni. «Tristezza» è la prima parola che si ferma sulle labbra, e si espande poi in un respiro, mentre una mano si allunga ad indicare la luna, come se per un secondo volessi afferrarla, nasconderla, tirarla giù dal cielo per salvarla. Pregherei Al Sahi di accoglierla nel conforto del suo cielo, ma siamo così lontani da Al Sura, da non sentirne neanche un vago odore. «La tristezza malinconica di mille possibilità, probabilità, consumate in un solo istante» lascio cadere la mano, facendola tornare al mio fianco e lasciando che gli occhi restino lì ancora per qualche istante prima di voltare di nuovo il capo verso di lui. Il suo, per me, è sempre stato un nome sinonimo di devastazione. Missing, mancante. Come tutti i futuri recisi dalle sue mani; che sia così, o con tutti quelli che, come me, ha strappato dalle loro possibilità per trascinali in un mondo che le ha annientate tutte. Non ho mai pensato di essere un’eccezione in questo, ho sempre saputo, tragicamente bene, che se non fossi stato su quel palco, quel giorno quando Saida Zayirah ed Elmar Asad sono venuti a comprare la libertà di alcuni di noi, sarei ancora lì, ad Idur. Sarei ancora Ath, e di me avrei ormai perso ogni cosa. È solo stata fortuna, la mia. Mi volto del tutto verso di lui, lasciando che a quella Luna in crollo resti solo il mio profilo, con le mani che finiscono a giungersi dietro alla schiena, e quel contare basso nella testa che è solo il timer prima di un salto che mi porterà lontano da qui. Solo, e senza nulla di questo luogo. «Ogni volta che vedo un mondo morire, c’è una parte di me che ne soffre. Che sia parte del Ciclo, o sia qualcosa di artificialmente imposto, non posso farne a meno. Ma so accettare il termine di una vita quando è il suo momento, in situazioni come queste invece» abbasso appena lo sguardo, facendolo scivolare lungo il panorama di un luogo che premo negli occhi come se stessi scattando una fotografia, per essere certo di non dimenticarne neanche un dettaglio. Ma sono pensieri futili, e so che un giorno mi resterà solo un nome, e il ricordo di una Luna che cade. «Ho semplicemente fallito. Il mio compito, il mio ideale, me stesso, ciò in cui credo. Ho fallito, e me ne rammarico» torno a guardarlo, le sopracciglia corrugate ed un respiro che resta incastrato fra le labbra, prima di scivolare pesante come se fosse un retaggio lungo millenni. «Ma molti anni fa ho scelto di non odiarti. Ho scelto di lasciare la rabbia alle spalle, e crescerle lontano. La rabbia è per chi ha pretese per sé stesso, e io non ne ho»
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    Edited by usul; - 8/9/2021, 15:08
     
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