The killer in me is the killer in you

Josh/Chrys | Villa Sinister | Bronx | 10 Agosto | Contenuti sensibili

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    E' finita, cazzo. Non ne potevo più, mi sono mosso come un fottuto fantasma per il reparto. Ho evitato Morgan, ho evitato Caiden e sono entrato di corsa solo dopo, quando tutto era finito, quando la commozione se n'era andata. E Dio, se non ho ingoiato il rospo di nuovo, sempre, perché lei fosse felice ma cazzo quanto mi è costato stasera. Tutto, mi è costato tutto. Tanto che lo sento in nervi che si sono tesi a ripetizione, come a dirmi che sono sempre stato sul punto di fare del mio peggio, ma poi fermarmi perché "non si può". Non vorrai mica essere così stronzo da rovinare questo giorno per Edie, Josh?
    No, certo che no. Allora mi sono spento, ho vagato, uno zombie, un rianimato in attesa del colpo di grazia che non è arrivato. Ed in questo vuoto che ho sentito, cazzo se ci sono stato di merda. E lo so che in fondo sono state ore volate in attimi che ho masticato fino a tornare a casa. Casa sua, casa mia, poco cambia adesso. Mi sento di respirare, ma lo faccio addosso a lui, a Chrys.
    Lo lascio solo per il tempo che mi serve a portare Alice, tra le mia braccia, nella sua stanza. Dorme, e lo farà per ore, perché voglio sia così adesso che mi si stringe in petto un ringhio lungo una fottuta vita. La mia, distrutta, sprecata e cazzo se è un melodramma, ma Dio se mi sembra giusto adesso. Ora che i passi li divoro in falcate, che già mi sfilo la maglia prima ancora di raggiungerlo, perché lo vedo e che lui mi veda o meno non mi interessa. Ne ho bisogno come se ne ha di respirare dopo l'apnea. Un'apnea di ventidue ore. E no, non sto pensando a quello che mi ha chiesto, quello che abbiamo deciso e che voglio tenermi per me. Penso solo al modo in cui il suo volto finisce tra le mie mani, il suo collo sigillato nelle mie labbra, il suo petto stretto a me che lo spingo contro la prima superficie che trovo. Ringhio.
    Non ci penso, non lo faccio, ho solo voglia di.. maledizione. Lo so di cosa ho voglia, cristo santo.
    E' questo, una cosa che non dico, che mi spezza il fiato come se baciarlo così avidamente in ogni sua parte non mi bastasse. So cos'è che voglio, so cosa mi spaventa, so cosa chiedere e Dio so che faccia ho quando mi stacco un attimo per respirare. Fiato che non arriva, che nella mia fottuta urgenza, una che preme sotto il ventre.
    Rallento, lo faccio seriamente, lo faccio annaspando in ansimi che già da ora mi spaventano. E lo guardo, cazzo non l'ho mai guardato così, in ogni sua parte.
    Cazzo, lo voglio così tanto che brucia contro i jeans, contro i tessuti che strapperei solo con la convinzione di riuscire a respirare, dopo averlo fatto.
    Stronzate in respiri che spingo avanti come lo faccio con me, con lui contro di me, e questa fottuta voglia che mi spegne il cervello, ma non è la sola cosa che ho.
    «Fallo con me, Chrys» suona come una fottuta preghiera di cui non so pentirmi perché è un desiderio che non regolo, non controllo, non nego. Che se qualcosa deve sovrastarmi, se stasera non posso difendermi, che sia lui - cazzo - a farlo. Nessun altro può. «Fallo tu»
    Fottimi come cazzo ha fatto il resto del mondo, e non essere mai gentile. Fallo nel modo peggiore che ti riesce.
    E cazzo lo so che ora potrebbe ridere, ma io sono dannatamente serio, tanto che lo sento come manchi qualche battito essenziale, non mi importa, non voglio un cazzo di niente, solo questo. Ho perso troppo stasera.
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    Siamo perfetti Josh, anche se fuori di qui qualcuno direbbe il contrario. Anche se non è questo che viene insegnato agli altri. I bambini non li si cresce come noi, al massimo ci si sforza affinché vengano su nel modo opposto. Perché non siamo dei buoni esempi ed io mi chiedo a chi somiglierà Alice. Se sua madre e suo padre hanno influenzato già la sua crescita o se anche noi finiremo per metterci del nostro. Anche se è più un tuo problema che il mio: Che io sono ancora in quella fase in cui non mi vuole. Anche se in casa mia ha una stanza tutta per lei e Judas, beh, è diventato suo. Io non influenzerò di certo il mondo: Non Alice, non dei figli che non avrò mai, ma tu, tu hai da sempre quell'ascendente che bene o male ti rimane incastrato dentro. Sai cambiare ogni cosa col semplice sguardo. Allora io mi chiedo com'è che si faccia ad opporvisi. O anche solo ad aver bisogno di qualcosa di diverso. Fuori di qui siamo dei reietti, ma in questa casa, che pur non volendo resterà per sempre tumolo di oppressi, tu sei perfetto. E per una sorta di legame so esserlo anche io: Anche se per farlo devo ridisegnarne il perimetro e riempir di fiori le crepe dalle quali potrebbe riemergere il passato. Perché la bellezza credo venga proprio da lì, da ciò che non voglio vedere perché altrimenti mi sentirei male. Da ciò che abbiamo scritto con pennarelli indelebili e che, per un certo verso, vorremmo poi cancellare.
    Ed è un controsenso, a pensarci bene, perché ora ho te ed ogni tua presa è una riscrittura del mio futuro incerto. Il controsenso sei tu, in effetti, che sai essere penna di passato e presente. Che esisti in ogni tempo ed in ogni forma. Esisti, eppure c'è gente che non vorrebbe che le cose andassero in questo esatto modo. Ed è un pensiero che mi martella in testa solo ora: Non ci ho mai fatto caso quand'ero con Ray, né tantomeno quando frequentavo Adam o Borja. L'eccitazione forse fa parte della consapevolezza di non poter essere di certo all'altezza delle loro aspettative. Non sarò mai come loro mi vogliono ma tu...tu sai essere così perfetto. Così volubile.
    Allora ti osservo con lo sguardo mentre lasci che Alice si conceda totalmente al suo sonno. Gli tiriamo su la coperta sulle spalle affinché la brezza estiva comunque non la raffreddi. Ci prendiamo, per la prima volta, cura di qualcosa che non sia necessariamente noi stessi. E che se ne dica: Io sono stato egoista persino nel farmi del male. Perché tra quelle cicatrici ho sperato di poter rivedere te.
    ''Finalmente a casa...'' Ed è un sospiro che tiro su nel sorriso che mi si incastra sotto gli zigomi. Sarà quasi l'ora dell'alba. Scommetto che se ci tiriamo sul tetto forse riusciamo a vederla nel pieno dei suoi colori. Ma lui non sembra propriamente dell'idea ed è qualcosa che elaboro quando mi ritrovo a stringermelo contro e mi rendo conto di come il mio corpo ormai risponda da sé a certi stimoli. Lo vuole, non sa muoversi armoniosamente senza. Come fosse un arto slogato senza la sua stampella. Dinoccolato, altalenante. Con lui addosso, invece, è perfetto.
    ''Io?'' L'affanno mi costringe a staccare le labbra. A riprendere un respiro decisamente più lungo che comunque non spezza il rivolo di saliva che ci tiene incollati. Lingua a lingua, neanche ad essere estremità di una medesima parte. Ed io lo so cos'è che vuole, perché è proprio così che glielo avrei chiesto anche io. Credo sia così che l'ho pensata sino ad oggi. Prendimi Josh, fammi del male.
    Ma vi è sempre quella parte di me che si permea di orgoglio e scalpita nel dirmi che no, non ho voglia di un contentino. Non voglio che lui si conceda solo perché nel decidere di sposarmi, comunque non ha saputo dirmi che mi ama. Nemmeno io, d'altronde, ho saputo farlo.
    ''La prima volta non è mai delle migliori...sai?'' E non so se glielo dico in una sorta di ansia da prestazione o se perché sento davvero di voler essere il meglio per lui e l'idea di fargli male non so, non mi sconfinfera. Non come accadrebbe a parti inverse. Lascio scivolare una mano sul suo viso, fino ad ancorarla dietro la nuca. Non riesco a smettere di guardarlo, non quando nel farlo mi ricordo che presto sarà mio marito. Che cazzata, che pazzia.
    Poi mi concentro sul busto ed è uno scivolare di polpastrelli che ne ridisegnano ogni tatuaggio, ogni fottuta cicatrice.
    ''Vieni dai...'' E glielo dico dolcemente, mentre a mia volta mi libero della maglia e lo faccio sfilandomi le scarpe dai talloni per poi lasciarle scivolare lungo il corridoio. La mano scivola lungo il braccio per poi fermarsi sul polso. Lo tira piano e solo per portarlo in stanza. Che lo farei anche qui, ovviamente, solo che da quando c'è Alice per casa nutro un po' più di vergogna.
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    «Tu, sì» chi cazzo altro dovrebbe essere, mh?
    Non lo lascerei fare a nessun altro e cazzo se non fosse che sento di averne bisogno, nemmeno lui potrebbe farlo. Nessuno, perché io scelgo sempre tutto ma adesso, adesso cazzo non ho più il controllo di niente. Solo di mani che seguono vie tracciate ma ogni volta pretendono di trovare quei punti che non ho scoperto, non ho ancora stretto, non ho ancora divorato.
    Sono una fottuta macchia d'inchiostro, mi espando, dilato fiati e respiri perché siano solo in grado di sovrastare quelli degli altri e, nemmeno in quel caso, so placarmi. Non do pace, non do tregua e fa male cazzo, fa male non avere in mano niente alla fine. Punge in ogni parte del corpo ed è come se il solo contatto con Chrys fosse la fottuta cura. Più mi allontano più la rabbia morde la caviglie, più mi avvicino e più è il dolore a farlo. Una tristezza di merda che devo farmi strappare via ad ogni costo, con unghie denti e qualsiasi cazzo di cosa abbia sempre voluto farmi. Adesso è il momento.
    Ma ringhio, stringo i denti, divoro spazio espandendomi ancora, sempre, prendendomi anche quello che non mi sta dando, quel modo che ha di lasciarsi premere contro le superfici perché il mio corpo si incastri sempre così bene. Dev'essere vero anche il contrario.
    Sono serio, fottutamente serio. Lo si vede, credo lo senta perché non ci prova neanche a fermarmi, a dirmi che non dovrei, che sono solo sconvolto. Lo sa che non mi piace essere trattato come un ragazzino, perché non lo sono. Quel Josh è morto quando si è messo in testa di salvare sua sorella, e adesso non è recuperabile, non è salvabile e mi serve solo un cazzo di esorcismo. Il suo, sempre, perché ovunque mi guardi non esiste un ricordo che non ne contenga una traccia.
    Traccia che seguo quando respiro, mi fermo a farlo che mi si incastra in gola ed è paura, fottuta e stronza come sempre, ma non è abbastanza. E non lo sono io.
    Non me ne frega un cazzo se farà male, Cristo è la sola cosa che voglio, che lo faccia, che si prenda quello che nessun altro avrà mai, che sia me per una fottuta notte o un alba, che non so più che ore siano e non me ne frega un cazzo. Che mi prenda e basta, che io non ne posso più nemmeno di questo corpo che spingo alla ricerca di un premio, di un trofeo. Io sono il tuo cazzo di trofeo stasera e voglio sia così.
    «Non sono una minorenne nel backstage... » Non serve che mi spieghi l'ovvio, lo so, lo tengo a denti stretti che mi forzo quel mezzo ghigno che conosce, che si placa in un nuovo respiro da spingerli addosso, è sempre questione di lottare per la fottuta supremazia. Ma io ho perso, e mi è mancato il fiato per ore. Fallo e basta.
    Non so cambiare idea, non so avere addosso niente che non sia il suo profumo, il modo in cui chiudo gli occhi per tenerlo nelle narici.
    Chiudo la porta con la mano libera che mi resta, e non ho perso un briciolo delle mie intenzioni. Che lo faccia, cazzo, che adesso io non ne posso più di niente, neppure di rifletterci e beh, no non è solo disperazione ma cazzo se ci sono vicino. Ma lo voglio, Dio se lo voglio, non si spiega. E cazzo se va bene così stasera.
    Non sarò quella minorenne di cui ho parlato, ma cazzo se ci somiglio ora che fisso un punto a caso della sua spalla mentre le dita le uso per slacciare la mia cintura, sfilare i jeans e quasi stringergli la vita tra le mani.
    Mi fermo solo perché so riconoscere quando già ansimo, quando mi rendo conto che qualunque cosa sia, mi sta svuotando la testa. Non c'è più nessuno che non sia Chrys, allora sono di nuovo vicino, tanto da premere la fronte contro la sua, chiudere gli occhi e stringerli più che posso. Lo fermo per un fianco. Dio se ne ho voglia.
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    Io non ho mai avuto in mano le redini di nulla. Nemmeno del mio corpo, che è metafora perfetta di risposta a stimoli esterni. Che è metafora perfetta del futuro che si staglia dinanzi al tuo. Perché se tu ti muovi lui fa altrettanto. Specularmente, di riflesso, come se fossimo parte della stessa cornice e forgiati nel medesimo vetro. Siamo cocci taglienti che nel combaciare poi ricreano mosaici idilliaci. Siamo iconografia di santità e perdizione. Divinità del ricongiungimento e del pianto, che nello sfiorar la tua pelle un po' lacrimo. Ma non sono triste, seppur il tuo sguardo trasudi tristezza da ogni poro. Sono solo grato alla vita di poter star lì a contare ogni poro della tua pelle. A ripetere a memoria il numero esatto di sfumature di colore che circondano la tua pupilla.
    Hai l'iride più bello dell'universo. Sei l'aurora boreale sul circolo polare artico. C'è una landa infinita di vita sotto le tue ciglia ed è proprio lì che vorrei abitare io. Con la schiena nuda sul ghiaccio a contar gli sbuffi di fumo che fuoriescono dalle narici. Voglio essere la ciminiera che deturpa il tuo paesaggio naturale. La centrale elettrica che dona energia al tuo sguardo. Voglio essere quella stessa luce che oggi è a riposo. Che tieni sopita in qualche buco oscuro in cui non so mettere mano. Del quale non ho la chiave.
    Vorrei persino risponderti. Cercare di mantenere un certo tipo di dialogo quando in realtà l'unica cosa che so fare è sorriderti di rimando. Con malinconica sicurezza, forse. Ma tirando su gli zigomi sino ad arrossarli. Che forse sono persino emozionato: Valle a capire certe cose. So solo che sento le dita della mano bollire, bruciare ad ogni passo e forse persino il viso inizia ad andare a fuoco. Per un istante guardo altrove, non perché quegli occhi non mi piacciano più, quanto per rendermi conto di dov'è che siamo.
    Ed è casa mia, casa dei miei genitori. L'oculo in cui lavoro, dove oggi dorme una bambina di appena dodici anni. Dove sto per avere la mia prima volta con lui. Che questo non significa che non abbiamo mai scopato. Questo significa che...che forse si sta fidando di me più del previsto e che io, lo so bene, ho paura.
    Ma con lui ne ho avuta sempre: Per Gretchen che me lo avrebbe portato viva. Per Lilian e quel bambino che poi, in qualche modo, è venuto al mondo e che ora dorme nel mio vecchio letto. Per quella bambina che mi disprezza. Per questo matrimonio che non mi sarei mai aspettato di dover organizzare ma che questa sera si è materializzato in un sì violento, pretenzioso. Che io non mi sarei mai aspettato di sentire. No, non me lo sarei mai aspettato. Ma ci sono cose che ho capito di non poter premeditare, gestire del tutto. Come questa, che mi vede lasciar scivolare i jeans lungo il pavimento e premere le ginocchia contro il letto. Risalendolo in movimenti lenti che mi permettono di mantener l'attenzione alta su di lui. ''Sì, sì ok, ma non farmi ridere dai...'' Una minorenne del backstage...ma che dice? Me lo cava in risatine che soffoco nella sua carne, in baci che si trasformano in morsi lungo le sue spalle ed in dita che stringono i polsi per poi portare le mani verso l'alto, ferme sulla sua testa.
    ''Chissà quando è stato il momento esatto in cui sei diventato così...'' Ed è un'osservazione blanda la mia, che mi rivede disegnare il suo petto con le dita, tatuaggio per tatuaggio, lasciando che la mente vada automaticamente a ricordare com'era Josh quando avevamo appena diciassette anni. Gli lascio un bacio sul petto. ''Non avevi i lineamenti così definiti una volta...'' Prendo fiato e mi tiro su, ma solo per farmi spazio tra le sue gambe. Piano, senza pretesa. Porto una mano libera contro la sua gamba e la risalgo, fino a premermela contro un fianco. ''Sei...'' E non so se questo è un continuo diretto di quella dichiarazione d'amore mal riuscita. Un sequel che cerca di spiegare il prequel. Un film di serie c. ''Sei l'uomo più bello che io abbia mai visto.'' Ed è vero: Ha sempre avuto qualcosa in più degli altri. Forse quel tatto e quella delicatezza che a me mancavano. Che non ho mai capito come tirar davvero fuori o se ne fossi, invece, totalmente sprovvisto. ''Quasi Michelangiolesco.'' E mi chino di nuovo, questa volta lasciando scivolare le mani lungo i suoi fianchi per tirarli sù e costringerlo con il bacino contro il mio.
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    Voglio perdere questo cazzo di controllo che mi sono sempre tenuto addosso, come una fottuta seconda pelle. E lo so che domani potrei pentirmene, che domani si rialzeranno quei muri che mi hanno sempre tenuto in piedi. Su cui graffiavo anelli e dita perché reggessero un peso che non sapevo sopportare. Ora però non hanno senso, non hanno uno scopo e Dio se voglio che le redini le prenda lui. E' una spinta, uno stimolo a cui non mi sottraggo, perché voglio tutto e non voglio niente, cazzo.
    Lascio andare tutto, e Dio è così liberatorio che mi sembra di essermi tolto di dosso trenta chili di armatura, di aghi che hanno perforato tutti i centimetri che ora studia, guarda, osserva come se non mi avesse mai visto. Sono sempre io, non è cambiato un cazzo anche se è cambiato tutto. L'inchiostro è spezzato da tagli che si alternano tra profondi e superficiali, l'addestramento di Slater. Ma cazzo se non voglio pensare a lui proprio adesso, tanto che ci metto un secondo a tornare su Chrys, gli ho dato appena il tempo di un respiro e lui si è preso la possibilità di togliermeli tutti.
    Cazzo lo voglio al punto da sentirmi al limite già adesso, e vorrei affondare dove non vede, spingermi così dentro di lui da tremare per la forza che impiegherei in spinte che rubano e basta. Che sono un fottuto ladro e lo sa, mi ripeto che lo sa. Ma oggi no, cazzo oggi no.
    Nelle sue mani, sono il suo fottuto burattino, ma non per tanto, che lo so come mi preme il fuoco nelle vene adesso, come il contatto sia una fiamma che so solo alimentare, ci riverso benzina in questi cazzo di baci. Lava pura.
    Mi faccio muovere, trascino le mani lungo le lenzuola, le spingo in alto dove i polsi hanno stretto e chiudo le dita attorno al metallo, in alto sopra la mia testa. In realtà lo so solo seguendo, che nel sapere cosa mi aspetta non lo so davvero, ma cazzo se è di marmo al solo pensiero. Dovrebbe essere sbagliato? Beh non lo è per niente, non so sentirlo diverso da come dev'essere: così, così per una sera. Per una sera non risponderò alla violenza con la violenza, la accoglierò perché cazzo se me la merito, quindi sì che faccia male, più che può. «Mh?»
    Come cazzo sono diventato Chrys? Glielo ringhio contro, in una mano che è già ascesa per stringere una presa salda dietro la testa, là dove anche se li ha tagliati so sentire l'inizio di quei ricci a cui mi sono appeso per anni, pur senza saperlo.
    Non sono come mi dipinge, non sono una cazzo di scultura e deve smetterla di idealizzarmi, non lo sono. Non sono l'uomo più bello che tu abbia visto ed in questo momento non so neanche se sono un uomo, tanto che nel guardarti non riesco a farlo del tutto. Voglio solo perdermi nel modo che hai di pensare che io sia speciale, per te voglio esserlo almeno una volta. Questa.
    «Non dire stronzate..» tanto che poi lo dico, con un sorriso che si infrange in un bacio, che non lo so reggere il modo in cui mi guardi e pretendi che capisca, che mi renda conto della realtà di quello che dici. Un altro giorno, forse, saprei raggirare bene le tue parole, adesso invece aprono brividi come spaccature dopo un sisma. O durante, che questo sei, un fottuto terremoto dal momento in cui ti ho tirato via da quel vicolo. E cazzo se ci sei sempre stato. Mi hai visto sbagliare così tante volte, che adesso una cosa giusta la voglio fare per forza, la voglio mia. Lo capisci?
    Dipingimi come cazzo vuoi, Chrys. Fai di me il tuo eroe, il cattivo della storia, il fottuto stronzo che ha perso troppo per potersi rendere conto di cosa davvero ha tra le mani. E Cristo se farà di tutto per non perdere te, mai.
    Prenditi le mie cicatrici, il cazzo di bacino contro il tuo, la mia pelle, il mio odio, la mia rabbia e la mia fottuta voglia.
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    Non conosco delicatezze che sappiano manifestarsi in un movimento più lento della mano. Che sale e riscende ricercando i suoi punti più sensibili. Non conosco il modo più giusto con il quale sfiorarlo senza ricercare risposte ai pizzichi che gli procuro per sentirlo saltare e far sì che l'attenzione gli si concentri su altro. Su questi baci che non so negargli quando una mano scende e preme sulle cosce affinché le gambe si divarichino abbastanza da farla scivolare tra le natiche. Ne accarezzo piano la pelle, lo faccio forzando il braccio in movimenti che possano quantomeno essere il più lenti possibili. Anche se non so manovrare la pressione. Anche se la foga sa irrigidirmi i muscoli, tendermi nell'immediato al limite.
    ''Dico quello che voglio, invece.'' E me lo strappa in un risolino che soffoco nuovamente tra la sua pelle, mentre lo penetro con un dito e lo faccio tenendomelo incollato addosso, in respiri che cerco di regolarizzare quanto posso, mentre con la coda dell'occhio lo guardo e con ogni senso cerco di rendermi conto della sua reazione. Voglio solo che stia bene. Voglio solo che abbia ciò che vuole e che lo abbia nel migliore dei modi affinché io sia l'unico. Affinché si senta a sua volta l'unico. Che poi non sarebbe un pensiero sbagliato, non quando questa è una prima volta anche per me, che mi ritrovo a governare su di un territorio da cui precedentemente mi sono lasciato schiacciare. Inerme, affinché le regole le dettasse lui.
    Quando le dita diventano due le sfilo e lo faccio mettendomi comodo. Allontanando di nuovo i baci dal suo petto per poi spingere col bacino sino a sentirlo in un gemito che trattengo per non svelare nell'immediato quel brivido che inizia a risalirmi la schiena come un capello. Rabbrividisco che lo sto solo sfiorando. ''Josh...'' e forse lo chiamo per accertarmi che sia tutto ok, anche se non glielo chiedo direttamente. Anche se mi basta sentirmi pronunciare il suo nome per andare più a fondo e schiudere le labbra in un boccheggiare che potrei non vergognarmi più di lasciargli udire. ''Ti amo...ok?'' Ed è un ok che aspetta una scusa, la scusa di accelerare leggermente il movimento, solo per lasciare che sia lui a prendere la mia forma. Ad amalgamarsi a me. A divenire una cosa sola in un salire e scendere che non accetta vere e proprie scuse, ma che me le fa scivolare dalle labbra contorte, già esauste. Se ti amo non posso farti del male, no? Quindi ricordatelo nel caso invece lo faccia. Perché l'amore è questo e forse avrei voluto che anche tu fossi il mio primo.
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    Può dire quello che vuole, può fare quello che vuole.Sono redini che cazzo gli ho lasciato in mano implorandolo di tenerle perché io non so più come si faccia. Non conosco un solo strattone in grado di strappargliele di mano perché non so cambiare idea. Neanche in quel brivido che mi incolla più in alto, più su, nel trascinarmi dove so che non ho scampo. Da lui ci sono sempre stato.
    Gliel'ho chiesto io, cazzo, dove penso di andare adesso? Ma la fottuta verità è che sto aspettando. E l'attesa non è una bestia a cui so far fronte, non la sopporto, mi logora anche se capisco perché lo fa. Cazzo se lo capisco, ne conosco perfino i sospiri che trattiene.
    I miei sono fottuti ansimi, con un tremolio che stringo i denti perché cazzo non so farne a meno, sono stanco di nascondere chi sono, cosa sono e non fargli vedere come oggi io non sia altro che argilla nelle sue mani. E dio se le voglio ovunque, tanto che già solo il percorrermi mi accende ed è una fottuta resistenza che faccio, una violenza alla mia di voglia, quella che mi vedrebbe ribaltare la situazione e, insoddisfatto, premere fino allo spasmo quei centimetri che conosce.
    Forse sa capirlo dal silenzio quanto ci provo a non essere teso, a non avere un'aspettativa a formicolare ovunque lui passi le dita. Come se trattenessi un cazzo di respiro solo perché lui lo veda, se ne accorga, rallenti e no, non rallentare cazzo. Non farlo, non devi avere nessuna fottuta pietà per me, non stanotte.
    E non mi basta, anche se la gola si secca, se il respiro si mozza se, se, se.. Se per così poco già mi vedo stringere un grumo di lenzuola tra le dita di quella mano che non uso su di lui, che non percorre le vertebre come a sgranare un fottuto rosario. Io non sono mai così gentile.
    Ma cazzo lo so che sono al limite, che vita di merda che ho fatto ha perso il suo senso di nuovo e più della volta precedente, che mi sento così a pezzi che mi basta una parola. Una, due, quattro. Se sono giuste non serve niente altro a farmi chiudere gli occhi per imporre loro di non inumidirsi tanto velocemente. E non basta.
    Non lo so sentire quando mi chiama la prima volta, è solo un dolore che si espande piano e cazzo se mi ci abituo in fretta, se ancora non capisco ma non importa, non importa perché deve andare così, e quindi so che riapro gli occhi su di lui con un respiro che si fa in pezzi da subito.
    «Si..» Si lo so che mi ama, lo so che è una cazzo di premura la sua ma non dovrebbe usarla, non c'è niente che mi spezzi più della gentilezza con cui lo fa, con cui in fondo mi rendo conto che nemmeno quella merito.
    Lo guardo ansimare, ma non so fare lo stesso, non subito. Prima è dolore, prima brucia, corrode, distrugge.
    Ma dopo non basta neanche questo, ancora, deve andare più a fondo perché non lo sto ancora sentendo come dovrei, perché ancora io non soffro abbastanza. Ho bisogno che si scontri con me, che dia fuoco ai pensieri, che non si trattenga cazzo.
    Lo aiuto, mi sposto con le mani che lo tengano per la vita e so guardarlo dritto negli occhi in un ringhio che si piega a lato, come a dire che no, no che non mi va bene così, no che non mi basta. Puoi fare di peggio Chrys, andiamo!
    Affondo con la testa trai cuscini, lo invito a venire più avanti, e prendersi quello che non so più avere. «Chrys» Me lo tiro tra le labbra in un imperativo che esige.
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    Ma lo so cosa vuole. Posso costringere il corpo a seguire una scia diversa da quella che lui ridisegna ad ogni suo passo. Ma so bene cos'è che vuole: Perché nel ricercarlo un po' mi spinge via, mi nega le sue parole e fa sì che il silenzio crolli in risposta di quelle accortezze che non, non vuole proprio che io abbia nei suoi confronti. Come se dovesse pagarmela per qualcosa che non ha fatto o per tutti questi anni di silenzi, di repressioni che poi sono state rappresaglie. Lance conficcate nel costato come a quel povero del Cristo che con le braccia aperte rimane appeso ad una croce. Ed io sono la sua. E lui è la mia. Me ne rendo conto quanto mi chiama a sua volta e l'unica cosa che so rispondergli è solo un ringhio: Perché non mi lascia fare nel modo in cui sento di doverlo fare. Perché mi impone con quello sguardo del cazzo una sfida che mi logora ma che non so rifiutare. Così li fisso gli occhi nei suoi, affinché capisca che è una cazzata la nostra, ma che se proprio la vuole, beh, io non posso tirarmi indietro. Che non so far altro che assecondarlo ed aspettare i suoi tempi. Anche se poi stringo con forza i suoi fianchi e lascio uno strattone che sa far ansimare anche me.
    ''Girati.'' E non è più una richiesta: Non è così che di solito dovrebbero uscire. Credo sia più un comando che gli do, che mi vede arretrare solo per voltarlo con violenza di schiena e tirarmelo così di nuovo contro. Colonna vertebrale contro costole. ''Sei davvero impossibile.'' E mi tuffo di nuovo in lui, in un movimento che mi vede tirare su il bacino e costringere lui a fare altrettanto, affinché con un braccio possa far forza e tenermelo incollato addosso. Così che ogni mio movimento corrisponda al suo e viceversa. Che non ho voglia di fermarmi, non adesso che fa meno male anche a me e l'unica cosa che riesco a sentire è solo quel fottuto senso di soddisfazione che sa prendermi il petto in bolle d'aria che finiscono per farmi mancare il fiato. E più smetto di respirare più spingo, lasciando involontariamente che la mano che lo tiene fermo poi risalga il petto e veda ad arpionarsi proprio sul collo. E stringe, stringe per detenere il potere, per impedirgli di respirare nel medesimo modo in cui non riesco a farlo io ora, che so solo chiamarlo nei gemiti che non trattengo, nei ringhi che li sovrastano e nelle zampe del letto che cigolano sotto le mie ginocchia.
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    La fottuta verità di merda è che non voglio guardarlo negli occhi così quando lo fa. Quando mi costringe a togliermi i respiri che si prende al posto mio. Voglio che si muova, che si prenda tutto da me perché non mi sembra di poter dare più un cazzo di niente. Non stasera, allora mi deve convincere che non è così, che ancora vale qualcosa a smuoverci. Che lo sposo, si, ma a quali condizioni lo costringo? E dio se ci penso adesso che lo sfido a darmi di più. Tutto quello che vuole, perché lo so che lo vuole, glielo leggo negli occhi, tra iridi su cui restare è invalidante. Che più lo guardo e più ho voglia di ribellarmi alle mie stesse scelte, alzarmi, prendergli il viso tra le mani ed affondare in lui senza scrupolo alcuno.
    E invece è Chrys che non deve averne con me ed io le fottute micce le so accendere benissimo. E fa male.
    Fa un male sopportabile, ho resistito a ferite peggiori ma questa non lo è nel fisico, forse un po' nell'orgoglio, ma Cristo se non voglio che si fermi per nessuna ragione, voglio che usi con me la stessa violenza che mi scorre nelle vene. Perché da qualche parte, noi, siamo uguali. Perché non sono il solo stronzo in questa stanza. Cristo.
    Non l'ho mai sentito ringhiare così, non quando non è qui ad implorarmi di stringerlo tanto da farlo sanguinare e cazzo, anche questo sa eccitarmi nel terrore che mi rimangio immediatamente. Perché non è il mio posto questo, non così, ma Dio se ho voluto che lo fosse e adesso lo ordino come se non sapessi chiedere altro e lo so che potrei prenderla molto, molto male se non mi assecondasse.
    Ma lo fa, che per un attimo resto immobile. Lo fa davvero. E cazzo se lo faccio anche io, mi giro, osservo come le sue fottute mani mi ancorano a lui. Non so respingerlo, voglio solo averlo.
    Annaspo in cerca di una salvezza che non esiste, non la voglio, non lo merito quando ancora per un secondo negli occhi ho lo sguardo di Morgan che mi tiene fermo contro il muro. E mi toglie tutto. Allora fallo anche tu Chrys, spogliami con una forza che non mi permetta nessun moto di ribellione. Dio se lo odio, e Dio se me lo merito, Dio se mi eccita.
    Trattengo le lenzuola con entrambe le mani e così i fottuti respiri che arrancano in gemiti che si incastrano ai suoi come mi ci incastro io, uno dopo l'altro, che il piacere ed il dolore sono talmente vicini da non farmi capire cosa sia che provo davvero. Stringo gli occhi, stringo la seta, stringo ogni cazzo di cosa mi capiti a tiro mentre seguo solo la guida che mi lascia. E più lui affonda, e più io perdo qualcosa, un pezzo della corazza, un fottuto modo per difendermi dall'attacco che ho istigato.
    «Cazzo..» soffoco questo contro una mano che stringe in gola e le vene del collo si gonfiano, i muscoli si tirano nel sentirmi braccato come una cazzo di bestia, ma sono questo e lui l'ha capito anche se no, non è la mia posizione, non è il mio io fino in fondo. Adesso si.
    Adesso non sopporto alcuna dolcezza, mi inarco per prendermi lo spazio che non sa lasciarmi ma che mi basta a spingerlo indietro senza staccarmi da lui e cazzo senza che lui si stacchi da me. Mi serve però questo respiro che manca. Tanto che una mano gli risale il polso ed inizia a stringere lì mentre tutto il nostro peso è sull'altra che pianto al materasso. Vieni Chrys, andiamo..
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    Non ho mai saputo moderarmi. Mia madre mi ha detestato proprio per questo mio non saper prendere senza andar oltre. Che le cose o le si facevano nel modo in cui volevo farle io, o non si faceva nulla. Che non sono mai stato bravo a reinventarmi sul momento. Che ho sempre avuto bisogno di un tempo che non è detto avessi subito. Perché senza analizzare le varie angolazioni del caso io non sapevo muovermi: Non mettevo nemmeno piede fuori casa. Poi però qualcosa è cambiata: Forse è stato per Adam in primis, forse perché per assecondare il mio bisogno di compagnia di Josh quel piede fuori dall'uscio ho dovuto mettercelo per forza. Che altrimenti non saremmo andati da nessuna parte ed io non avrei mai avuto l'opportunità di restare a guardarlo fumare di fianco a me. Non gli avrei mai chiesto la mia prima sigaretta, non mi sarei mai preso la peggior cotta della mia vita.
    Eppure non sono così diverso da quel Chrys, non ho ami trovato un punto che potesse considerarsi d'equilibrio nel mio ragionamento. Sono sempre andato avanti come un treno, che sa arrestarsi solo quando arriva in stazione. Che pause durante il viaggio non ne fa a meno che non siano state decise da qualcuno al di sopra del suo macchinista.
    Tanto che ora so di non potermi fermare se lui è arrivato al punto da farmi capire che è di altro che ha bisogno. E quell'altro evidentemente deve riguardare anche il mio piacere, quello che cresce anche se fa male, che tra il dolore sa insinuarsi meglio, lo fa con un'intensità diversa.
    Però poi sono costretto a mollare la presa e lo percepisco nella spinta che lo porta a premere ogni sua vertebra contro il mio sterno. Che vuole continuare, sì, ma senza sentirsi così braccato probabilmente. Ed io non so com'è che si faccia a smettere del tutto: A fissare gli occhi nei suoi solo per trovare la forza di lasciargli una carezza sul viso. Scusa, ma non ho saputo dirti di no. Se questa presa la allento solo per un istante e giusto per spingermi più giù oltre l'ombelico, mentre mantenendo il medesimo ritmo, con quella stessa mano inizio a masturbarlo. Che non voglio venire da solo, né voglio che per lui sia brutto, terribile, da cancellare perché oltre il concetto stesso di violenza io lo amo, lo amo davvero, ma l'amore so che fa male, ma se il male è questo, allora io sono l'uomo più felice del mondo. Più felice ed incerto.
    ''Fermami che non mi fermo...'' Ed è tutto un dire a denti stretti, che sbattono gli uni contro gli altri così come la fronte preme con forza contro le sue spalle. Una, due, cento volte. Che devo trattenere ogni respiro prima di lasciarne libero uno. In spinte che stanno per rallentare, ma perché so già di non reggere più di così. Di essere stanco nonostante l'eccitazione. Di amarlo, ma anche meno. Tanto che il primo orgasmo pregno di egoismo è il mio, che mi vede affondare di più in lui ma solo per trovare stabilità. Per ricercare il mio baricentro nella mano che sfilo dal suo cazzo solo per farla tornare sul fianco e affondarla nella carne. Respiro, ma male. E non è liberatorio, anche se bello. Non è liberatorio nemmeno per un cazzo.
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    Mi toglie la mano dalla gola. Cazzo per un dannato secondo ne sento perfino la mancanza, ma dopo no. Dopo lo sento muoversi in più direzioni ed è mio il fiato che non so coordinare. Ma tanto stasera non so un cazzo, non c'è niente a cui appellarmi che mi dica che cosa sto facendo e che non è giusto quello che voglio. Voglio la forza che ha nascosto nel tempo, convinto che non sarebbe mai servita, voglio che veda che anche questo suo lato dev'essere mio, perché non ho più niente altro.
    Io funziono senza mezzi termini, Dio, dovrebbe saperlo. Non c'è il grigio tra il fottuto bianco ed il fottuto nero. Ci sono io che se trovo qualcosa, anche un giacimento di petrolio, scavo finché non lo esaurisco anche solo per convincermi di avere qualcosa da tenere per me. Un mio tesoro. Un mio centro di potere. Perché con me stesso, da solo, non mi piace stare. Lo so fare, ma non mi piace.
    «No...» No che non ti fermo. E lo dico in un respiro esausto che stride tra denti che grattano fra loro. Una morda che sento spingere contro di me e cazzo sarebbe facile dire che non mi eccita, sarebbe una maledetta scappatoia di merda dalla realtà. E la realtà è che quando la sua mano scende contro di me, io so solo montare più forte questa sensazione in petto.
    Anche se non è il mio. I muscoli, tesi come nervi, si sciolgono solo adesso come se cazzo gli avessi dato in questo momento il permesso di farlo, di venire per me.
    E quando lo fa, Cristo quando lo fa mi prende un fottuto gemito per me, che soffoco lungo il braccio che ci ha retti entrambi. Quasi mordo la mia stessa pelle.
    E' meschino come tolga la mano, io ce l'ho ancora in piedi per lui, per quello che stava facendo e dovrà continuare a fare, che ho una rabbia nello sguardo spento che non so rivolgergli. Perché sono talmente stanco di tutto che fanculo il resto e perfino ciò che penso. Credo che il dolore non saprò sentirlo oggi, forse domani, ma non certo adesso.
    Ora mi limito a scivolare lungo le lenzuola, solo per girarmi e guardarlo dritto nei suoi fottuti occhi. Non lo so come siano i miei, quanto scuri siano diventati, o quanto chiari. So che devo riprendermi qualcosa.
    Ed è nel decidere in frammenti di attimi, che mi passo una mano trai capelli per tirare indietro la fatica, ma poi far scivolare le dita lungo il suo collo e tirarlo su di me.
    Non dovrei volere un bacio adesso, ed infatti non lo voglio, voglio strappargli le labbra con una fottuta dolcezza che mi prega già di smettere.
    Non voglio parlarne, ecco perché ci metto più forza.
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    Ma il bacio non so non ricambiarlo. Non so com'è che ci si stacca da lì, non dopo che quelle labbra le ho sognate ovunque per così tanto tempo. Sono sempre state lì, anche quando ne sfioravo di altre, anche quando cercavo di dimenticarle, di trovare per me una dimensione che fosse quantomeno stabile. Parallela alla sua, lontano da lui, ma stabile, accettabile, vivibile. Ma nessun bisogno è stato così forte come quello che ora mi vede assecondare ogni suo fottuto movimento. Siamo così perfetti seppur scoordinati. Così distanti ma vicini. Pezzi sbagliati, diversi, ma che si incastrano perfettamente. Anche quando non possono, o non dovrebbero. Anche quando a spingerci sono motivazioni che poi mandiamo a puttane. Che poi ci farebbero più male che bene. Scavando ferite, riaprendo squarci su polsi tremanti. Ma sento tremare ogni cosa adesso. Anche le gambe, anche il petto. Non porto una mano al cuore perché insomma, potrebbe anche esplodere, che tanto non saprei cosa farmene. Mi limito solo a staccarmi da lui ma non perché sono stanco. Non perché voglio dargli pace, quanto perché ho intenzione di farlo adagiare di schiena, pronto a prendersi dei respiri che ho intenzione di togliergli di nuovo. Senza alcun pudore, senza alcuna remore. Che voglio sentirlo venire anche se prima è stato strano. Che non voglio che mi dia la schiena insoddisfatto, annoiato o già stufo di me. Per questo arretro buttando indietro le ginocchia. Lasciandole scivolare contro le lenzuola. Perché voglio succhiarglielo di nuovo e tornare a toccare quei punti che so che gli piacciono. Come quella volta che è morto suo padre. Come quel cazzo di giorno in cui la merda ci ha portati l'uno dinanzi all'altro. Ed io ero così e lui era così. Non è stato l'alcol che di solito amplifica ogni cosa. Non è stata la tristezza né la rassegnazione, ma più una verità che preme alle tempi e lo fa costringendoci a dei capogiri da paura. E lui adesso è il mio. Ed io spero di essere il suo, di star lasciando il segno quanto basta affinché egli non se ne vada più via. Non come con Gretchen, non come con Lilian, né come con la ragazzina che ora se ne dorme nella sua stanza. Voglio che abbia bisogno di me e basta. Che abbia bisogno di questo anche se non è stato subito bello, anche se lo è stato solo per me. Voglio che sappia di appartenermi come già devo avergli detto o anche solo pensato. Che non abbia mai il dubbio di defilarsi, di scegliere qualcun altro di diverso. Perché noi ci meritiamo, ci apparteniamo.
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    Piano, Chrys. Non so nemmeno come cazzo si dicano queste cose, ma quando lo sento scendere e mi tengo un respiro al veleno tra le labbra, sto già aspettando che apra le sue. Che mi prenda con se e non mi faccia deviare in pensierI che non ho voglia di provare a controllare. Ma deve andare piano, che voglio sentire tutto, dal primo momento all'ultimo, da quando con la mano scendo per ancorarmi dietro la sua testa, incurvare le dita di poco e guidare il movimento che conosce.
    Lo so come cazzo devo essere sembrato, forse perfino disperato nella velocità con cui mi sono rivolto a lui senza una fottuta esitazione. Però lo sa.
    Chrys sa come farlo, sa come farlo a me. Non ho bisogno di dargli un tempo, un ritmo, o questi gemiti lenti che mi fanno tremare ed infossare quasi di più nelle lenzuola. Lo sa, cazzo. E non voglio chiedermi quante volte si sia allenato, quanto a lungo abbia sperimentato perché sono cose che invece stavolta so io. L'ho visto in tutti questi anni, l'ho sentito lamentarsi di qualcuno, così come innamorarsi di altri. Soffrire, morirne, appassire e poi rinascere, ma cazzo ora non voglio ricordarmi niente di questo, solo il momento che vivo, l'unico che ha il coraggio di esistere.
    Di ragazzine che si sono avventurate lungo le stesse fottute mosse, ne ho viste tante, ma cazzo Chrys è una cosa di versa e non penso sia per quello che provo - cazzo se lo provo anche adesso - ma perché è bravo.
    Tanto che lo so che non reggo, lo so che i miei gemiti vanno avanti, che la voce si fa roca, si abbassa, che i muscoli si tendono, che la mano stringe di più e l'altra scava tra lenzuola già strette poco prima.
    Ora so che non gli devo alcun avviso, alcuna cazzo di premura e allora non lo faccio, non glielo dico quando il limite affiora e Cristo se è fottutamente liberatorio, come se potesse togliere i problemi per quel secondo, sono pochissimi battiti ma Dio se mi sento una persona diversa. Meno di un minuto, ma mi fa respirare.
    Gli regalo questo cazzo di ultimo gemito che il corpo vibra prima che la chimica faccia quello che deve ed un sorriso mi spenga il respiro, quello che provo a regolarizzare. La mano scivola via da lui, abbandonata sul materasso accanto a me. Abbandonata come lo sguardo che ora piego a lato. Sono esausto in ogni modo possibile.
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    Ingoio. Ma non è come ingoiare un rospo. Come scostarsi e dargli le spalle solo perché le cose che vorrei dire poi non so dirgliele. Non è come quando trattenendo ogni cosa poi ho rischiato di esplodere, di perdere tutto il lavoro fatto in precedenza. Ingoio perché mi piace: Perché questo è un silenzio intoccabile, religioso ed io non ho alcuna intenzione di distruggere la sua sacralità. No, nemmeno con un respiro. Voglio solo passare il dorso della mano sulla bocca e scivolare al suo fianco. In silenzio, perché non ho nulla da aggiungere. Perché lui è perfetto ed ogni cosa che poi mi costringe a fare diviene tale. Intoccabile, irraggiungibile. Ed io non so come farò a dormire questa sera evitando di sognare ogni nostro momento. Ogni nostro respiro. Ogni intrecciarsi di dita che ora non mi concedo. Ma la sua mano la guardo, ne guardo le nocche pallide, arrossate solo in alcuni punti. Vedo come una falange si collega all'altra e come le unghie non sono perfettamente simmetriche, ma perfette nonostante questo dettagli messo fuori posto. Vorrei mi accarezzasse un braccio, poi la schiena. Od il petto. Vorrei qualcosa che sia diverso da questo spingersi oltre ogni limite. Spaccando barriere, tuffandosi a capofitto in qualcosa. Ma non glielo chiedo: Non so alzare alcuna pretesa né ricercare una vicinanza che mi ha fatto bruciare e che adesso, solo dopo tanto, sa farmi respirare con più fatica. Mi allungo con una mano verso il comodino ma solo per cercare da fumare o da bere, anche se l'alcol cancellerebbe il suo sapore e no, io non voglio che se ne vada: Che lasci questa stanza, che decisa di tornare a casa sua perché non sono stato all'altezza, bravo come avrebbe voluto. Memorabile. Mi ami un po' anche tu, Josh? A che cazzo penso. Sbuffo, mentre accendendo la sigaretta rimango a fissare un punto a caso della stanza. Forse la gamba di un armadio. Forse la porta che da sul bagno. La penombra figlia di una luna troppo luminosa nonostante la pioggia che ci ha bagnati sino ad ora. I fulmini erano solo nei suoi occhi. Solo nei suoi occhi che non so più com'è che dovrei guardare. Josh, ti vado bene nonostante tutto questo?
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