Gods of none

Josh & Chrys | 31 Agosto - Villa Sinister

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    27.
    Ho la gola bloccata da aghi, e la testa naviga in un mare di pensieri senza senso. Lungo le braccia sento il tremolio della febbre che si arrampica tra le giunture. Merda. Non lo so quanto ho dormito, forse il resto della notte, forse invece è passata un'ora da quando siamo rientrati e ci siamo spogliati di quanto ci era rimasto addosso. Poi l'abbiamo fatto ancora, che di lui non mi basta mai niente ed è come se fosse tutto nuovo ogni volta, che posso scartarlo quanto voglio ma la sua pelle mi resterà nuova, pura nel non esserlo mai stata. Cazzo ho i brividi. A ripensarci ho ancora i brividi. Non lo so quanto siamo andati avanti là fuori ma forse è stata veramente un'idea di merda farlo sotto la pioggia, soprattutto quando ha cominciato ad essere ben più di quattro gocce arrivate per sbaglio. Ma il suo profumo, ce l'ho ancora addosso, mi rincorre fin sotto le lenzuola scure. Forse anche perché Chrys è qui accanto. Non ho saputo evitarlo, non ho voluto lasciarlo andare quando in fondo sapevamo entrambi che era tutto un lungo preliminare. Dio, non ha capito che sono io la sua cazzo di falena. E lo so che in parte è colpa mia, se adesso sto di merda, che l'ho chiamata io la tempesta perché a volte sono il primo che non si vuole controllare. L'ultima volta, quando non ho più retto, ho sentito un tuono seguirmi e poi un altro cazzo di fulmine e poi, incurvandomi su Chrys, gli ho detto che dovevamo almeno dormire qualche ora, che l'oscurità fuori non era più colpa delle nuvole sopra le nostre fottute teste.
    «Hm..» credo sia un mugugno impastato che mi esce dalle labbra quando anche solo per dire qualcosa provo a tirare su il busto e la testa esplode. Sento il corpo bruciare, devo lasciarlo respirare scostando il lenzuolo, ma ancora non basta. Allora mi piego un po' finché non raggiungo Chrys, la sua spalla scoperta, su cui lascio un bacio lento che non è affetto, non è amore, è il modo che aveva mia madre di misurarmi la temperatura quando ero un bambino.
    Lo sento subito e cazzo rido perfino con le poche forze che ho: anche la sua pelle brucia, scotta forse un po' meno della mia, ma sì, è la conferma delle nostre ripetute stronzate. Spinti dall'idea di essere ancora dei ragazzi e cazzo se mi ci fa sentire ogni volta che mi istiga, che mi trascina a fondo nelle sue idee ed accetta tutte le mie. Dio, se non stessi male lascerei di nuovo scendere una mano verso l'inguine, ma non ne ho le forze. Potremmo fare tante cose per evitarlo, ma non stavo male da una vita e c'è una parte di me che quasi vuole godersi un fottuto attimo di normalità, anche se è come questo. «Ce l'hai anche tu» la febbre. Rido.
    Lo faccio lasciando che questo fiato si allunghi tra le scapole anche se provo a tirarmi su di nuovo.
     
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    26.
    Il mattino ha sempre il suo odore. Ha la forma sul suo cuscino. Il suo bacio sulla pelle. A sorpresa, in punti che prima non ha mai toccato. Il mattino sa di notti passati a cercarsi, a finire in stanza sfiniti dalla giornata ma non per questo al limite ed impossibilitati nel darsi ancora un bacio. Uno solo. L'ultimo, per poi ricominciare dal mattino successivo. Che ora odora di coperte tirate su sino agli occhi e fa fatica ad accompagnare un sole che è già sorto da tempo. Perché ho le gambe che non vanno e sento di far fatica persino a voltarmi in sua direzione. Forse ci abbiamo dato troppo dentro ieri. Forse, forse il tetto è stata davvero una pessima idea. Forse non sono più giovane come un tempo. Josh non è come Adam e forse nemmeno come Ray. Josh è una carezza che solo nello scendere lungo il petto affatica, affanna. Che nelle sue dita so solo lasciar mancare dei battiti, dei respiri fondamentali, tanto che mi sembra di essere in apnea da giorni. Di essere sempre al limite: Stanco, ma non per questo con meno voglia di andare fino in fondo. Voglio sentire ogni dettaglio di queste due ultime settimane. Voglio viverne ogni giorno come se potesse essere l'ultimo. Come se per noi non ci fosse un domani oltre a questo respirarsi addosso a fatica. Inermi, immobili, in un risalire solo suo, che io non so scompormi, né riesco ad aprire gli occhi.
    Mi limito solo ad ascoltare la sua voce, che non è più pioggia che batte contro i vetri di casa, né lacrime a bagnarmi il viso. Ascolto un buongiorno che si sperde nello schiocco del suo solito bacio. Oggi sulla spalla, magari domani sui ricci. Ed è tutto così forte e così ovattato nel medesimo istante.
    ''La spalla?'' Mugugno così impercettibilmente che non so se sia riuscito a sentirmi. Ma ho lo sterno che fa male ed è così affaticato da non riuscire a dare forza alle corde vocali. Prendo respiri a labbra schiuse. Gli occhi ancora non li ho aperti. ''Se proprio vuoi saperlo...'' Prendo una pausa che è lì solo per assecondare un brivido di freddo. ''Ne ho persino due.'' Sono così stupido che un sorriso me lo lascio scappare. Ma è flebile, è delicato. Che se muovo troppo i connotati poi me li sento come strappar via. Come se la pelle fosse incollata al volto solo per piccoli brandelli. Mi do la forza giusto per voltarmi verso di lui. Che l'ho sentita com'è calda la sua mano e quelle stesse labbra, che sanno sempre più di casa, di camino acceso e di letture sibilate nel silenzio quasi tombale di un soggiorno pieno solo di noi due. Non lo guardo, d'altronde non ne ho bisogno: Ho tutto qui, nella mia testa. Ho l'espressione che assume quando mi scopa. Lo sguardo che mi riserva quando si accorge di amarmi e di essere amato a sua volta. Sono cose che non so mai come spiegare. ''Ho freddo...'' Mi lagno allungando un braccio attorno al suo busto solo per potermelo stringere contro e sfruttarlo, egoisticamente, come fosse un calorifero umano. Gli premo la fronte contro: Magari se ci vado giù pesante riesco a non sentirne più il male. ''Dovevamo allenarci oggi.'' Lo ammonisco ancor prima che possa aggiungere altro. Che mancare a questi impegni è per me fonte di disagio: Mi costringe a rivedere ogni mio piano. Ma è stato bello ieri sera. Cazzo se lo è stato, se sento ancora le sue mani far pressione sulla mia pelle, se un po' ce l'ho ancora duro alla sola idea.
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    27.
    Due spalle. «Impressionante...» Sorrido e lo sbuffo che fa male tutto: ossa, muscoli, pelle, labbra e perfino il respiro gratta così in fondo da essere doloroso. Tenere gli occhi aperti è un'impresa ardua, ma credo di non poter fare a meno di farglieli scorrere addosso, che ogni mugugno stretto è qualcosa che voglio tenere per me. Chrys deve restare con me. Il modo in cui si rigira, lento, dolce, è quasi straziante. Siamo abituati alla fretta, alla voglia che ci porta ad essere bestie, feroci uno con l'altro, pronti a divorare e non lasciare che ci sia altro che stanchezza quando finiamo. E cazzo se mi è sempre piaciuto, se lo farò in ogni caso fino alla fine dei miei fottuti giorni, ma ora.. ora mi sta bene così, che se stessi bene non rimarrei tra le lenzuola a lungo, ed invece non voglio fare altro. Ore, giorni, perfino le settimane che mancano alla mia partenza.
    Oggi non esiste un tour, non esiste un allenamento o una promessa che non sia scritta nella temperatura che sale.
    Dio se vorrei prendergli quel sorriso e stamparlo in un ricordo che resti impresso sempre, che mi riporti qui, perché già lo so che quando penserò a lui lo immaginerò come è adesso, incapace di farmi del male, disarmato come lo sono io.Io che a fatica sollevo l'avambraccio per sfiorargli una guancia. E' più calda della spalla, per forza.
    Dai, apri gli occhi. Lo imploro nel mio silenzio, che lo so come sorrido anche se le palpebre sono pesanti, tremano. Voglio rivederci dentro la pioggia, il cazzo di amore che prova per me, il modo in cui si sta lasciando andare pericolosamente e la fottuta fiducia che mi riversa addosso quando mi implora di non ucciderlo, di non promettere quello che non posso dare, di non illuderlo che le sue ossessioni siano giuste, volute, mie.
    Ha freddo e mi ci vuole anche troppo per lasciarlo scivolare su di me, ogni movimento è un tremolio che pesa una vita, neanche fossi rimasto nella Dimensione Ombra due mesi. Non ho più forze, nessuno ne ha e per questo siamo liquidi, sciolti uno contro l'altro. E cazzo se nel male è così bello. Ci provo ad issarmi appena di più, perché in me trovi il posto che vuole, perché lui ha freddo anche se la sua pelle scotta ed io invece sto morendo di caldo ma non posso fare a meno di tenermelo contro. Qui dove vorrei rimanesse.
    Gli cingo una spalla, fregandomene di come presto perderò la sensibilità del braccio con cui lo avvolgo.
    Non lo so come si abbassano gli angoli delle labbra quando riesco solo a pensare che siamo due bambini adesso, che ognuno ha bisogno dell'altro anche per fare una cosa semplice come respirare, sfiorarsi, o l'altra mia mano che gli accarezza distrattamente il braccio che mi ha spinto contro.
    Non deve negarmi il suo profumo, anche se bagnato di sudore freddo.
    D'istinto mi muovo perché trai capelli finisca un secondo bacio, che è l'aspirare lento di una notte ancora incastrata trai ricci corti. Ogni mossa è un cigolio che preme lievi aspirazioni tra le labbra. Perché è tutto faticosissimo.
    «Mh, oggi no. Non intendo muovermi...» Morbido, mi scivola via con appena più nitidezza ma solo perché devo chiarirgli le cose come stanno, che non accetto repliche: stiamo male, va così oggi.
    «Ricordami: perché abbiamo deciso di scopare sotto la pioggia?» non è davvero una domanda, solo il moto che trovo per darci dei coglioni in pubblica piazza senza dovermi sforzare granché. Adesso mi convinco che gli occhi non li aprirà e torno a chiudere i miei provando un cazzo di sollievo per almeno cinque secondi.
    E' così debole, e lo sono anche io, al punto che so che vorrei scopare anche adesso, ma lentamente, dolorosamente piano come se dovessi provare qualcosa a qualcuno. Però no, cazzo, non voglio neanche che si sposti da qui, perché se davvero trova posto in me, allora qualcosa la valgo in fondo.
     
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    26.
    ''Già, hai detto di amarmi proprio per questo.'' Perché ho due spalle fatte di carne e fasci muscolari. Perché ho la pelle morbida, liscia come quella di un bambino e perché sono glabro fatta eccezione del viso. Sì, deve amarmi per questo almeno: Solo per l'involucro che gli concedo e per quei dettagli che oggi son suoi. Che se li prenda, che li scomponga. Che gli dia una forma quanto più consona alle sue necessità, ai suoi gusti più intimi affinché io sia sempre ciò di cui ha bisogno. Perché le cose non cambino mai e restino così per sempre: Con un braccio a cingergli il fianco ed il cuore a battere così forte da potergli esplodere in faccia. In un orgasmo sempre potente, vivo. Così come sa farmi sentire lui ogni fottuto momento della mia vita, anche se oggi sono stanco e sento di non poter sorreggere alcuna fatica, nemmeno quella che mi porta a schiudere le palpebre per un solo istante e ritrovarmi così a fissare lembi della sua pelle. Che siamo ancora nudi da ieri sera. Gli lascio scivolare un bacio sul petto che non sa di niente, se non di un'abitudine che ormai mi si è cucita addosso. Un po' come la dipendenza dal tabacco o dall'alcol. Josh è la mia droga più potente, quella che stimola le endorfine e che crea crisi di astinenza fisiche quando va via. Che mi vien da vomitare alla sola idea del tour. Che mi sento male solo a pensarmi fuori da questo letto. Potrei vivere incollato alla sua pelle per sempre. Questo braccio sarebbe la mia nuova casa. Respiro a fatica, ma questo non mi ferma dal risalirgli sopra, da ancorarmi saldamente al suo busto come fossi un serpente che lo percorre minaccioso e solo per tornare ad incastrare il viso nell'incavo del suo collo. Gli lascio un altro bacio a labbra doloranti, tremanti. ''Perché è fottutamente romantico.'' Mormoro roco, schiarendomi la gola. ''Lo farei altre cento volte.'' Mi sento di doverlo rassicurare come se ce ne fosse davvero il bisogno. Come se non bastasse questo momento a confermare quanto sia perfetto tutto ciò. Noi due tra queste quattro mura, Alice in camera sua o a far le sue cose con Judas. Il silenzio, che poi si spezza ad ogni respiro e diviene uno scivolare lento di percezioni tattili ed uditive. Che se non ci guardiamo allora possiamo sempre percepirci, sentirci in uno sfrigolare continuo di corruzione. Che insieme siamo invincibili. Insieme siamo tutto, anche se oggi ci sentiamo uno schifo. ''Siamo due pippe.'' Glielo dico sorridendogli sul collo. ''Dovrò farti una scorta di panacea per quando sarai via.'' Per quando sarai fottutamente lontano da me ed io non potrò essere lì a prendermi cura di te. Ad assicurarmi che vada tutto bene. Che posso far qualcosa. Posso ancora far qualcosa per te, Josh?
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    27.
    «Non è da tutti.. » avere due spalle. Che discorso del cazzo, eppure rido, anche se fa tutto male e non capisco da dove parta, se dallo sterno su cui gioca con le dita o dalle tempie dove pulsano anche i respiri. Lo amo per cose che non ho capito neanche io, per parole che sa non mi usciranno mia. A volte saranno note di introduzione tra un motivo e l'altro, ed altre saranno solo fottute imprecazioni che sentirà nelle ossa perché io vivo lì. Cazzo se vivo lì. Tra una costola e l'altra, mi ci sono piantato da quando ho capito che con me ci ha sempre provato, a volte con insistenza, ed altre anche solo distraendosi con nomi che ora ho sulla punta della lingua ma neanche voglio elencare. Non che siano tanti. Non che siano più dei miei. Perché ho sbagliato più di tutti, cazzo se l'ho fatto, ma nonostante tutto mi vuole qui: nel suo letto, con la febbre come un fottuto adolescente che non sa regolarsi. Sono io nel mio riflesso allo specchio.
    Romantico, che ragazzino romantico sei Chrys? Ma in fondo neanche io sono così diverso, ho solo modi che possono non amalgamarsi, che non sono poetici come i suoi per dirmi ciò che vuole. Come se io non potessi leggerglielo negli occhi. Come se lui non sapesse decifrare anche i miei silenzi. «Cazzo si» mi esce roco, anche io lo rifarei.
    Forse rifarei ogni cosa, anche a costo di rivivere questa cazzo di distruzione che mi ha portato lontano, ad affogare in quello che sono diventato, ma che in fondo so non potrei mai più lasciarlo solo. Chrys è mio. Ed è per questo che resto, che scelgo di restare ogni fottuto giorno, per vaneggiare in momenti febbricitanti mentre lo invito a starmi più vicino che può. Anche se ho caldo, se soffoco, non me ne frega un cazzo, che poco vale più del sentirmelo contro, che mi cerca e non sono solo io il mostro avido d'affetto e di quello che può darmi se scende più in basso. Dio, le sue mani...
    «Parla per te» glielo spingo fermando per un attimo i movimenti con cui ho disegnato piccoli cerchio sul suo braccio fino ad adesso. Ogni parola è stanca, tanto che poi qualcuna mi si impasta in gola. «.. io sono solo empatico» borbotto, anche se resta un gioco innocente.
    E' che a me l'innocenza alla lunga sta sul cazzo, quindi mi sforzo di tenermi un sorriso che si faccia più affilato, meno gentile, mentre scivolo in basso per avere il suo naso contro il mio, il suo respiro febbrile che si mescoli al fiato che non so prendere. «Molto, molto empatico...»
     
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    26.
    Lui è solo empatico mentre io, beh, io sono completamente l'opposto. Sono egoista, forse, a tratti persino menefreghista. Goliardico, poco diretto, sincero, stabile. Cristo se non so essere minimamente alla sua altezza. Né come amico, né come compagno di studi, né come amante. Ed è un peso che so portare sulle spalle solo a metà, perché se un giorno lo ricordo poi fingo che non esista niente di tutto questo: Che accanto a lui so assomigliargli, so diventare bisogno e realizzazione. Come fosse fatto di un materiale plastico, malleabile, tanto che a stargli addosso non so più dov'è che sono io. Che suppongo il dolore sia generale e resta, pressante, come il martello pneumatico che ci trapana la testa e lo fa costringendoci a chiudere gli occhi di tanto in tanto. Un po' come se il suo peso fosse insostenibile, così come lo è diventato baciarlo ancora, tanto che mi fermo e lascio che il suo naso incontri il mio. Ad un centimetro, a pochi millimetri e li vi resti, punta a punta, come a volerci percepire con ogni nostra fottuta appendice. Non sorrido, ma credo sappia comprendere da sé quanto in realtà io sia felice ora. Anche se fa male ogni cosa, anche se ciò mi impedisce di portare avanti i miei piani. Le mie merdosissime schedule mentali. Potrei impazzire, se parte della mia attenzione non la stesse catturando lui. ''Quindi mi vorresti dire che qui la pippa da empatizzare son io.'' Ma ora mi fingo offeso, profondamente offeso nell'orgoglio, nell'animo, nel buco più profondo della mia mente. ''Sei gentile Josh, davvero.'' Tiro su col naso: Ovviamente non sto piangendo, ma nemmeno mentendo. Sto solo cercando di respirare meglio. ''Vedrai cosa troverai al tuo ritorno dall'Europa. Vedrai, caro mio.'' Mi scosto da lui ma solo per trovare una posizione comoda per la schiena che sì, non fa così male, ma mi fa sentire quel giusto fastidio che deve essere derivato dalle vertebre schiacciate contro le tegole del tetto. Che cazzoni. ''Avrò braccia così muscolose da sollevarti con una sola.'' Sarei terrificante, decisamente brutto, stonato. ''Userò tua figlia come bilanciere e mi farà così tante foto a petto nudo e cosparso d'olio da farti sognare di correre subito qui.'' Ma non scosto lo sguardo da lui quando glielo dico, tradendo così un alzarsi leggero di labbra ed uno schiudersi diverso di palpebre. Forse ho gli occhi lucidi, forse è la febbre. ''A proposito di Alice...'' Abbasso ancor di più la voce affinché nessun altro possa sentirmi. ''Strano non sia già venuta.''
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    27.
    La verità è che l’empatia non c’entra un cazzo. So solo estendere il mio dominio emotivo perché si abbatta senza riserva su chi mi è accanto, e la tengo sempre a bada finché posso. Serve per scrollarmi di dosso le ossessioni che mi ritrovo in testa. E Chrys può reggere. Me lo dico ogni volta che vado tanto vicino da trascinarlo a fondo con me, che lui quel fondo lo conosce bene. E cazzo se nel mio egoismo mi sento fottutamente sicuro così. Però gli sfioro il naso, riapro gli occhi in quell’impeto di masochismo che sa come sia facile poi agganciarsi tra le sue ciglia. Quando sono malato - e questo penso sia dannatamente evidente - non so tenermi niente per me. La febbre è un cazzo di siero della verità, che mette in standby la vita stessa perché io possa prenderla meno seriamente. O anche solo giocare con Chrys così, come due stupidi alle prime armi. Eppure io so che non siamo questo, siamo fatti di strati che si mettono uno sull’altro e del sorriso con cui accolgo le sue rimostranze. No, ho più febbre di lui e lo so perché il mio corpo ho imparato a gestirlo come il tempio che Slater voleva fosse, e quindi potrei dirgli la mia esatta temperatura e perfino la sua, e sono alte, abbastanza da lasciarci deliranti. Ma cazzo se sono felice. «Dai...» come se dovessi implorarlo di perdonarmi, in una pantomima che ne tira un'altra. Una sequenza di sorrisi stupidi che gli lascio perché mi veda sinceramente contrito. Mi spingo un po’ di più verso di lui, vorrei dirgli di non fare cosi, di provarci ad essere un briciolo più credibile anche solo perché mi lascia l’amaro in bocca quando sfugge a quello che sarebbe stato bacio con tanto di brividi, per tirarsi un po’ su. Lo seguo solo perché voglio restargli più vicino. Ma non sgancio gli occhi dai suoi anche quando ci rivedo una patina che mi dice più cose di quante vorrei saperne ora. Che lo so quanto a fondo sentirà la mia mancanza, come sarà preda dei suoi demoni se non sarò qui abbastanza da ricordargli che non è solo. Sarei corso da lui anche prima, quando eravamo solo amici. Adesso non è più solo la mia famiglia, è quanto di più prezioso io abbia. Ma non so dirlo perché il delirio bussa alla porta, ed allora so solo ridere di me, di lui, di noi così presi male.
    «Però la cosa delle foto mi piace» glisso sul fatto di ritrovarmelo come un marinaio con le braccia di un troll, «Mi aiuterà a non sentirmi solo, anche se dovresti venire con me» e lo penso, anche se forse dirglielo è un cazzo di colpo basso, un altro mugugno che impasto lasciandomelo drenare di dosso, socchiudendo gli occhi perché cazzo se bruciano. Non so neanche con quale forza, ma gli accarezzo il collo e mi muovo fino a lasciargli un bacio sullo zigomo. «Niente olio» come se mi aspettassi che potesse farlo sul serio. Quelle foto potrei sognarmele di notte, cazzo, già adesso anche se l'originale ha sempre la vittoria facile. Dio, quando sono così debole sono anche più ragazzino del solito, fermo a pensare a quante ore ci passerò sopra per colmare la distanza. Gli premo la guancia contro.
    Tremo e così mi faccio più vicino che sulla spalla ci scivolo io. Già, Alice. Cazzo, Alice! Riapro gli occhi ed i miei doveri di padre surrogato sono qui che mi fissano in parole dolci di Chrys, e nei suoi cazzo di occhi.
    «Ci siamo andati giù pesante ieri.. magari pensa che non abbiamo ancora finito» e sì, c'è proprio una punta di orgoglio che so adesso non avere credibilità ma giuro che sotto la febbre esiste e pulsa da morire cazzo. In fondo mi basterebbe aver è un po’ più di forza per stringere davvero Chrys, in prese che non mollano, e tenerlo ancora un po’ sotto di me. «Glielo lascerei credere altri dieci minuti» lo soffio tra le spalle, nel risalirgli il mento con le dita. Ma poi la carezza finisce lì come il respiro che sembra fuoco quando esce dai polmoni. Cazzo vieni più vicino.
     
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    Piacerebbe anche a me scambiarci qualche foto per ricordarci chi c'è dall'altra parte del messaggio. E non perché mi sia possibile dimenticarlo come se nulla fosse, quanto perché ho voglia di zommare su ogni fottuto dettaglio e star lì a romanzarlo come fosse la cosa più irraggiungibile a cui potrei aspirare. Poi di rimando gli manderei qualche foto osé condita con dei selfie con Alice. Non entrambi nudi, ovviamente, ma in tempi diversi giusto per rimarcare cosa ci sarà ad aspettarlo a casa. La sua piccola e la persona che lo ama più di tutte le altre. Persino più di sua sorella Edie. Perché sono convinto di conoscerlo meglio di chiunque altro e di saperlo gestire laddove a volte è lui a gestire me. Che noi ci spalleggiamo a vicenda, sappiamo quali nervi scoperti coprire e su quali punti far pressione per stimolare qualcosa che sappiamo riconoscere indistintamente. Come se fossimo collegati: Lo stesso filo di un nervo molto più grande. Tanto che dove soffre lui soffro anche io. Dove gode lui godo anche io. Anche se non ho nulla a che fare con l'empatia, anche se sono un uomo decisamente limitato, chiuso nei propri cassetti mentali.
    Ma per lui un'eccezione l'ho sempre fatta e credo sia questo uno dei significati dell'amore. Che, senza la sua presenza, dubito che sarei riuscito ad accettare tutti questi cambiamenti: L'assenza della sua Lilian, la sua disponibilità ed una figlia già grande capitata tra capo e collo come se qualcuno avesse ascoltato le nostre preghiere. Io non sarò mai un padre modello, ma dubito persino di voler essere un padre e basta.
    Ma Alice devo crescermela ed è qualcosa dalla quale non so sfuggire. Che nel restare ad osservarla rivedo lui, anche se non è frutto di nessun suo spermatozoo, anche se la Lilian che l'ha partorita ora non esiste più ed il suo ventre non l'ha mai ospitata. Perché lei suo figlio lo ha ucciso molto prima. Perché lei, come me, non ha mai saputo cosa potesse significare essere madre, divenirlo, impararlo.
    ''Preparerò un book da spedirti con la panacea, promesso.'' E lo dico sgusciando di nuovo al suo fianco, ma non quanto basta per tornare come prima: Indivisibili, come strappi del medesimo tessuto. Fisso nuovamente gli occhi nei suoi, tanto che nel ripetere il movimento inizio a riabituare le palpebre. ''Stai uno schifo, non è vero?'' Non ce la faccio a tirar su una mano per posargliela sulla fronte, ma posso dedurre che il suo essere bollente dovrebbe equivalere a qualcosa. Che io sì, ho freddo, ma non credo di essere così caldo. Forse sto sudando ghiaccio. Forse sto già sfebbrando. ''Già...se non fosse che ne sono passati già dieci da quando è qua fuori...'' Non ne sono propriamente certo, eppure ricordo di averle regalato dell'acqua profumata all'odore di arance e...non so, ora la sento. Così come mi sembra di sentire Judas miagolare per attirare la sua attenzione: Gattaccio viziato. Quindi ci provo, anche se è palese il bisogno che ha Josh di stare ancora un po' qui a crogiolarsi nell'idea di essere il supereroe perfetto persino per queste occasioni. Che lui mi salverà dai bollori della febbre, quando in realtà dovrebbe preoccuparsi di tutt'altro fuoco.
    ''Al...'' Mi piace chiamarla con un nome da uomo: Lei non si scompone, né arrabbia. Dice che sarà il suo nome d'arte. Al, come fosse uno stereotipato camionista dal Messico. Al come Alvarez. ''Puoi entrare, se vuoi.'' Non andiamo ancora completamente d'accordo noi due: Ogni tanto vorrei non fosse qui, vorrei fosse altrove. A casa sua, per esempio, insieme a sua madre e a suo padre che no, non sono Lilian ed il mio Josh, ma altri due individui che ci somigliano e basta. Ed avevo ragione. La porta infatti si apre e la bambina entra solo di testa, mantenendo gli occhi chiusi.
    ''Siete nu?'' Non è molto tempo che è qui, eppure ha già iniziato ad imparare qualche parola in inglese. Io mi limito a mugugnare e a farle cenno di no con la testa. Che no, non siamo nudi: L'unica cosa che siamo riusciti a fare ieri è stato infilarci quantomeno le mutande. ''Non, ne vous inquiétez pas, ouvrez les yeux.'' Le dico di aprire gli occhi, che non vorrei ritrovarmela con un bernoccolo solo perché ha inciampato sui suoi stessi piedi ed io non sono stato affatto pronto nell'afferrarla. Credo sia già tanto lasciarle spazio vicino a suo padre. Infatti lei non si fa troppi problemi nell'entrare nella stanza e ad aprirli quei suoi occhietti color acquamarina. Vorrei chiederle di prepararci qualcosa di buono, che inizio persino ad avere i crampi allo stomaco per la fame, eppure non ci riesco. Mi limito solo a sistemarmi bene dalla mia parte e a chiudere i miei per un attimo. Respiro piano.
    ''Vous êtes malade?'' Non lo chiede a tutti e due. Lo fa solo con Josh, iniziando a risalire sul letto come farebbe Judas, per poi affrettarsi nello sdraiarsi tra noi due. ''Sto male anche io, Alice.'' Alterno le due lingue solo per cercare di stimolarne passivamente l'apprendimento. E non è per farglielo pesare, quanto per spingerla a parlare anche se, così, il mal di testa non passerà affatto. Lei si tira su a sedere. Preme la schiena contro la spalliera del letto e poggia una mano sul braccio di suo padre. Marca il territorio, un po' come farei io. ''Josh ha la febbre alta...Fièvre.'' E non lo so se questo è il momento giusto per dirglielo o se sto sbagliando ogni cosa a causa dei bollori. ''E ci ha chiesto di prendre des photos...'' Per quando sarà via...cristo se stava già per sfuggirmi. ''Où nous leur montrerons à quel point nous sommes cool avec le maquillage que je t'ai appris à faire.'' E non voglio farlo per indurlo a nutrire dei sensi di colpa. Mi esce spontaneo perché...perché se voglio esser perfetto per lui, allora devo esserlo anche per sua figlia. Sua figlia che sa di Josh in ogni suo poro
    --------------------------------------------------
    1. Siete nudi?
    2. No tranquilla, puoi aprire gli occhi.
    3. Stai male?
    4. Febbre
    5. Ci ha chiesto di scattarci delle foto
    6. Dove gli facciamo vedere quanto siamo fighi con il trucco che ti ho insegnato a fare
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    «Come cazzo fai..?» devo chiederglielo in un'emissione lenta di fiato e parole che si mescolano alla sensazione di aver già perso le forze. Che forse lui sta migliorando, ma io sto peggiorando. Però devo saperlo, devo sapere perché si sforza tanto di integrare il mio mondo al suo di prendersi a cuore Alice quando i bambini li ha sempre odiati, e forse perché non ha mai davvero saputo essere uno di loro. Non lo siamo mai quando nasciamo in punti remoti dello schifo che fanno ingoiare perché si possa imparare subito a reggersi su due zampe. E va bene, cazzo va bene che mi ama, ma come cazzo fa a farsi andare bene anche questo? Lei che non so neanche io dove inserire nella mia vita, e che comunque non allontanerei per niente al mondo, non adesso, non dopo tutto quello che sto imparando e .. beh, non è che io sia disposto a farle vivere la mia vita, già che un po' le è toccata comunque.
    Quindi si che glielo chiedo, anche se le lettere si impastano male, se tutto sembra un trascinarsi di unghie sul muro, come di quella mano che lascio sia un contatto tra noi, qualcosa che non mi va di sciogliere. Ed annuisco, perché sto uno schifo e non ho neanche voglia di negarlo completamente. O forse è che ho perso l'ultima difesa e voglio mi veda così: stupido, debole, con una febbre da cavallo che mi toglie l'anima. Ok ora non è più così bello stare male, ammettiamolo avanti. Lo sento come emano un calore che è fastidioso anche per me, che solo standomi accanto si potrebbe sciogliere un ghiacciaio.
    «Merda» non mi sono neanche accorto che Alice c'era già, dietro alla porta. Di solito so sentirla, perché anche se ha un passo felpato non può ingannare quel sangue che scorre non troppo diverso nelle stesse vene. Io so sempre dov'è. Ma no, oggi no, oggi mi rendo conto che sono preso proprio male per non aver percepito neanche un accenno di quel respiro lungo la porta. No, no, no dai non chiamarla...Però non so protestare davvero e così è un secondo quello che mi vede stringere gli occhi e forzare un mezzo sorriso che probabilmente non rassicura neanche me. «Al?...» Alice non è già un nome abbastanza corto? Non protesto davvero neanche qui, neanche quando risalendo il letto per poco non mi pianta un ginocchio tra le costole e di poco riesco a sentire il loro scambio.
    Forse non dovremmo essere così espliciti con una bambina di dodici anni, forse siamo dei genitori del cazzo e forse neanche lo siamo. Non è giusto che sia già abituata a chiederci se siamo nudi o entrare in camera ad occhi chiusi, ma davvero non mi si può chiedere di fare di meglio, non adesso.
    «Non... oui, un peu.» glielo sussurro pianissimo, come se fosse un segreto tra me e lei. Fa ancora strano averla qui, che mi stringe un braccio mentre mi rannicchio perché non sono più capace di avere la forza di tirarmi su, ho il sonno della stanchezza, di un corpo stremato e mi sto un po' odiando per questo. Ma cazzo se è bello averli entrambi qui, che so i miei occhi sono già fari annacquati ma ora non sono del tutto sicuro che sia la febbre a renderli tanto umidi. Tanto che li chiudo ancora, per poi cercare quelli di Chrys e - non so neanche come - ringraziarlo. Così perché ha deviato in ultima, perché non voglio dirle ora che starò via tre mesi. Non voglio che si preoccupi o si incupisca o, peggio, che sia tanto come me da scappare e fare internare Chrys in meno di due giorni. Devo prenderla con calma, ed anche lui.
    Potrei chiudere gli occhi e sentirli parlare per ore, invece faccio quello che posso per allungare un braccio che nello stringere lei, allunghi dita fino al fianco di Chrys. Li voglio entrambi, qui con me, perché adesso è insopportabile l'idea che anche solo una parola ci separi. «Je t'aime, tu sais oui...» ad entrambi, indistintamente anche se di due amori fottutamente diversi. Ora però faccio troppa fatica anche a tenere gli occhi aperti, bruciano troppo e non voglio che Alice si spaventi per una cosa tanto stupida che basterebbe la giusta dose di panacea per risolvere.
    «Peux-tu faire quelque chose pour moi?» ancora mi rivolgo a lei, che so Chrys dovrà finire la mia frase, perché fatico a formularla a dovere.
    1. No....si, un pochino.
    2. Io vi amo, lo sapete si...
    3. Puoi fare una cosa per me?
     
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    Sono solo due mesi che scopiamo, ma a me sembra di aver scelto Josh dieci anni fa. Mi sembra di esser suo da sempre ed è una verità che solo a pensarla un po' mi rincuora. Che è ciò di cui ho bisogno per innalzare altre mura, per mettere mattone su mattone affinché ogni cosa intorno a me divenga stabile, duratura, quasi più dello stesso pensiero. Credo possa essere considerato comunque un pensiero fragile, che se sa trasformarsi in arma a doppio taglio quando in solitudine, mi ritrovo a chiedermi se sia giusto esservi così dipendente. Come se non fossi capace di muovermi sui miei stessi piedi, come se non fossi in grado di far niente senza lui nei paraggi. Ed è un po' è vero. Ed un po' fa male, come lo fa lasciare posto ad Alice e cercare di essere comunque positivi nel voltarsi sul fianco e fingere che le ossa non facciano male. Che quello a soffrire di più adesso è lui ed io non posso di certo lagnarmi quando il mio compito è proprio quello di prendermi cura della sua persona. Perché lui ed il suo interesse mi appartengono. Perché Alice stessa un po' è mia: Anche se lei continua a nutrire dei dubbi nei miei confronti e mi è vicina solo perché suo padre la intima di farlo. Di affidarsi a me quando lui è via. Che sì, magari non ho la giusta pazienza, ma comunque più tempo di lui. Adesso infatti nemmeno mi prende in considerazione, non quando ha da puntellarsi contro il suo petto e guardarlo, come fosse strano vederlo così indifeso sotto lenzuola di nuvole. La vedo piegare il capo in direzione del suo petto e misurargli la temperatura premendo il naso contro il petto. Forse vuole solo riconnettersi al suo cuore. Forse è così che il suo Josh deve averle insegnato a lasciar carezze.
    E lei annuisce piano quando lui dice di amarci. Annuirei anche io se non fossi rimasto ancorato a ciò che mi ha detto ieri notte. Mi stringerei ancor di più a loro se non fosse che di tanto in tanto finisco persino per sentirmi di troppo. Ma sentirmi amato sa farmi un effetto strano. Mi spinge gli angoli delle labbra in un sorriso flebile, tremante. Mi fa sentire come tante altre persone appostate fuori da questa casa. Come quelle che ci sono morte e che poi vi hanno trovato la pace. Non sono davvero diverso dagli altri.
    ''Bien sûr que je peux!'' Gli risponde subito lei risalendolo solo per abbracciarlo dal collo. Un po' come ho fatto anche io prima, nascondendo il viso nel suo collo solo per poterne respirare il profumo. ''Papa a besoin de médicaments.'' Non lo so perché lo chiamo papà: Forse perché con me ogni tanto anche lei lo chiama così. Forse perché per lei non può essere semplicemente ''Joshua'', non quando l'ha perso e ritrovato diverso da com'è che la conosciuto. Chiamarlo in quel modo forse può darle l'idea di essere ancora stipata nel posto giusto del mondo. Dell'esistenza stessa. ''Si vous allez dans la salle de bain et ouvrez le meuble sous le lavabo, vous trouverez un flacon transparent.'' Prendo fiato e mi strofino il viso con la mano libera dal peso del corpo. Mi sento stanco. ''Il est écrit dessus `` panacée '''' Le ho promesso che le avrei insegnato a preparare qualche pozione insieme. Che con i fiori non se la cava male, ma a dir la verità non se la cava male con nulla: Si vede che è figlia di Josh. Si vede dal suo modo ''sveglio'' di apprendere le cose. ''Puis-je vous l'apporter aussi ?'' Domanda staccandosi da Josh solo per iniziare a scendere dal letto all'incontrario. Come se stessimo rimandando indietro un vecchio vhs. ''Oui...oui, merci.'' E sparisce come è arrivata: Sgraziata, goffa, come se fosse sempre pronta ad inciampare sul bordo deltappeto. Come se fosse impossibile non imporre fretta ad ogni suo passo. Perché Josh va salvato e se non può riportare in vita quello che l'ha cresciuta, allora non può permettersi di veder soffrire questo.
    ''Mi piace il modo in cui lo dici.'' Biascico poi rivolgendomi nuovamente a lui. Mi piace il modo in cui dice di amarmi.
    --------------------------------------------------
    1. Certo che posso!
    2. Papà ha bisogno di medicine.
    3. Se vai in bagno ed apri l'armadietto sotto al lavandino troverai un flacone trasparente.
    4. Sopra c'è scritto ''Panacea''
    5. Posso portarla anche a te?
    6. Sì, sì, grazie
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    «Piano, Alice» che le mie costole non sono più un posto sicuro in cui rifugiarsi, non se premendole le sento scricchiolare. Fanno male come ferite aperte, come se la lava potesse scorrere dalle cicatrici che per fortuna non può vedere. Glielo dico in un sussurro, nella mia lingua perché la forza di pensare in francese è scivolata via. Fai piano perché la conosco l’indelicatezza di un bambino che vive di apprensione. Lo sono stato. E nel chiudere gli occhi e lasciar scivolare via la mano da Chrys, la stringo appena con le forze che mi restano. Lo so com’è avere paura che ogni volta che vedi tua madre sua anche l’ultima, e sei così piccolo che pur volendo non hai la sua salvezza tra le mani. Non ti resta che aggrapparti come puoi, ad ogni lembo di pelle scoperta, essere sgraziato e possessivo. Diventi per forza ossessionato dai suoi respiri, non ci dormi la notte perché lo fai solo quando si regolarizzano. È quello il momento in cui decidi che puoi cedere al sonno appollaiato sulle spalle. Io lo so quanto cazzo è difficile e non voglio che per lei sia uguale, anche se un po’ già lo è. Ha visto morire quel “me” al di là del confine del tempo e penso sia normale che ora la rattristi vedermi così. Ma la febbre non è un cazzo, mi debilita come farà con lei se resta tra noi tanto da esserne contagiata. E non voglio questo. Alice è già abbastanza come me, ma può ancora salvarsi, è ancora innocente in alcuni angoli appuntiti e questo vorrei mantenerlo. Non so se ne sono capace. Di sicuro non da solo.
    Quando apro gli occhi, Alice sta ancora facendo pressione sul collo, la cascata di capelli non fa che aumentare la temperatura che percepisco e tutto di questo abbraccio è sbagliato. Eppure mi scioglie il cuore. Oggi forse anche lui si concede un briciolo di debolezza, un posto da costruire che nessuno a parte loro due può raggiungere. In favore di quest’attimo, respiro sopra la sua testa e lo so che quello che rivolgo a Chrys il disperato richiamo della richiesta d’aiuto. Anche se conosco casa sua al punto da sapere bene dove si trova ogni cosa, perfino quelle che mi nasconde, non ho fiato da dare alle parole. Lo fa lui. Le indica cosa fare e come farlo ed Alice non si dimostra riluttante, sento che freme sotto le dita; vuole essere utile per me. E non mi conosce davvero, non sa che sono un mago nero, non sa che sono un assassino. Sa che ho l’aspetto di sua padre e questo le basta per essermi già affezionata al punto da spiazzarmi. Sento il peso delle sue speranze farsi ingombrante appena va via, tanto che apro la bocca ma non dico niente, non subito. Devo rinfrescarmi con lo spostamento d’aria. La mia pelle è una fiamma ossidrica. Credo sia il picco massimo della febbre, quello che mi fa delirare e mi costringe e a tenere gli occhi chiusi anche se vigile, anche se non cederò al sonno. Sarà la panacea ad indurlo
    per farmi tornare in me.
    Però, beh, non sono ancora al punto in cui non so cosa dico o non me ne rendo conto. Sono al punto in cui dico quello che domani sarei pronto a negare. La cosa più vera che penso è che sono felice che Chrys ed Alice si parlino, che in qualche modo stiano trovando un loro incastro anche senza le mie mani a spingerli verso l’altro lentamente. Così quando sarò via non sarà un grande dramma. Non per loro. Voglio ancora chiedergli come cazzo fa, lui, a sopportare tutto quello che gli scarico addosso da quando vivo qui. Perché mi sono accorto che non ha risposto, e questo non fa che spingermi a chiedere ancora. Ora però mi dico che va bene così. Che se vuole tenersi il segreto della sopportazione, sono d’accordo… anche perché non vedo come potrei ribellarmi, non ho alcuna forza. L’unica spinta che mi resta la uso per avvicinarmi appena. Striscio come un verme, e mi faccio più vicino. Conviene sfruttare il momento prima che Alice torni a tuffarsi tra di noi.
    «Credevo che il francese non ti piacesse..» mi sforzo di non divorare le parole mentre le dico. Mi sforzo di prendergli una mano con la mia, come a doverle stringere entrambe al lenzuolo. Come quando scopiamo e lo scopro a premere dita più a fondo. Però è solo un cazzo di conforto quello che cerco, un modo come un altro per vedere se è ancora qui. Perché l’ultima volta che ho pensato una cosa come questa, le cose hanno iniziato ad andare di merda. L’ultima volta che ho creduto di aver trovato il posto giusto per me, un rifugio, una fottuta bat-caverna, beh: sono morti tutti. Mi metto più comodo sul cuscino e la testa va di nuovo a fuoco, mille aghi che si muovono in un contenitore vuoto. Sibilano come dei cazzo di serpenti.
    «.. quando vuoi...» ti posso parlare in francese, anche se un parte ho capito che c'entra il contenuto. Io non so mai come cazzo si dicono le cose, ma faccio finta si saperlo. Fingo di capire quando è il momento di non ripeterle allo sfinimento. Ma poi rido, perché dai, cazzo, non sono in fin di vita ho solo la febbre de secolo che ha scelto il momento migliore per prendermi le ossa. Mi allungo di poco ancora.
     
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    Non era propriamente a questo che mi riferivo. Non è il francese che mi piace, è il modo in cui dice di amarmi che mi fa impazzire. Che mi fa tirare su sorrisi anche se poi mi si strappano le labbra, che mi costringe a lasciar scivolare una mano nella sua, come se fosse un gesto a cui ci siamo già abituati da tanto tempo, quando invece è la prima volta che me le prende così per far qualcosa che non sia semplicemente tenermi incollato contro un cuscino per scoparmi meglio. Ed io non posso evitare di guardarle, di soffermarmi su ogni sua cazzo di falange anche se gli occhi bruciano e lo fanno anche quando sono lì a tenerli chiusi. Scivolo con lui sul cuscino quasi come fossimo estensione dell'altro. Come se ogni suo movimento fosse il riflesso del mio, di quelle volontà che mi stringono il petto e lo fanno costringendomi come fossi un burattino tra le sue mani. Che sono bollenti, sono clementi. ''Je n'aime pas le français.'' Non amo il francese, amo te, che è un concetto totalmente a sé. Amo il modo in cui lo pronunciamo ad Alice e come ormai hai rinunciato alle tue barriere solo per lasciar spazio a noi. Affinché ci venga facile entrare senza doversi rannicchiare troppo. Rischiare di sbattere la testa, di graffiarsi via lembi di pelle. Quindi accoglimi anche adesso che non ci sfioriamo più di così: Che fa troppo caldo e troppo freddo allo stesso tempo ed i tuoi respiri si alternano ai miei. Si affannano. Sono pregni di dolore e fatica. ''J'aime t'entendre dire que tu m'aimes.'' Che è qualcosa di totalmente egoistico, ma veritiero. Potrebbe essere davvero la mia parola preferita, anche se poi suona vuota, quasi sopravvalutata. Che io non ti amo soltanto. Io ti ogni cosa: Ti guardo, ti bramo, ti desidero, ti venero al pari di una cazzo di divinità alla quale mi genufletterei per succhiarle il cazzo. Ti vorrei assomigliare in ogni fottuta cosa: Nel modo in cui chiudi gli occhi e poi li apri. Nel modo in cui mi guardi e poi sorridi. Nel modo in cui dormi e lo fai male: Che sai sognare solo mostri, proprio come me. Alzo a fatica una mano libera ma solo per lasciar scivolare i polpastrelli lungo la tua fronte e farli così picchiettare contro la pelle sino alla punta del naso, poi giù lungo le labbra. ''Assurdo come tu sia bello anche adesso...'' Ma è un sibilo che mi resta incastrato tra i denti. ''Prova a dormire...te la somministrerò io la panacea.'' Gli sussurro lasciando un ultimo bacio sulle sue labbra schiuse.
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    Si che l’ho capito, ma mi piace che lo sottolinei adesso, che ti sposti fin qui per dirmi chiaramente cosa vuoi, cosa ti piace, e mi lasci un cazzo di brivido lungo la colonna vertebrale. Dio se mi mancherai. Può essere la febbre che nel salire ha raggiunto un picco sfiancante, o forse semplicemente sei tu. Tu e il modo che ho di lasciarti entrare, di arrendermi ai tuoi modi. In fondo sei sempre stato qui, a bussare alla porta con insistenza. A volte più flebile per non disturbarmi o perché eri fottutamente distratto. Altre volte pesante con la disperazione di chi non sa ancora credere che ci sia un no irremovibile. Cazzo sei rimasto qui tutto il tempo ed io non ti ho avuto, so sentirmi così un coglione ora che vorrei riprendermi il tempo indietro e anche no, non farlo perché non saremmo qui. L’ho detto, ormai mi ripeto. Sono stanco, un po’ stremato ed è vergogna che serpeggia piano nel farmi vedere tanto debole, così spento negli stimoli che mi spingerebbero ad averti anche ora. Anche febbricitante. Solo che la mente viaggia dove il corpo non può, non riesce. Mi piace quando parli in francese, perché ti nasce un accento così ibrido che vorrei non smettessi. Se non fosse che non ti appartiene, vorrei non smettessi. E non so dirti niente di tutto questo, neanche con gli occhi che tengo chiusi, che ingoio saliva come aghi nell’esofago. Mi è facile spingere la spalla più giù, così da respirare il tuo profumo anche se ho il naso chiuso. Mi sembra di vivere in un posto del mondo che non esiste, come tornare da mia madre e non aver perso così tanto. Cristo sono patetico. Un ragazzino nel corpo di un fottuto mago nero. Debole e schifosamente perso di te. Anche se so che sai solo rendermi più forte, beh oggi non mi sento altro che un lenzuolo tra le tue mani. Spero che Alice torni presto, ma non voglio che torni ora. Non quando insisto un po’ di più per avere un costante contatto con te. Mi piace il modo in cui sembri pioggia su di me, anche se ogni tocco spinge onde lungo il corpo e lo trasforma in una pressione insopportabile. Cazzo, cosa mi fai? Mi prendo il bacio che so prevedere e giuro che ci provo ad imprimermi nel respiro che ti rubo anche a costo di contagiarti di più, tanto lo sappiamo cosa sono davvero.
    Sono un cazzo di istrice e lo so, lo vedo adesso che pur con gli occhi chiusi so immaginarmi. Vorrei tenerti dentro di me, incastrato addosso con giusto lo spazio di respirare e poi richiudermi come una corazza, azionare spine che si conficchino in chiunque provi ad avvicinarsi. Che non osino, che nemmeno ci guardino. Perché questa cosa è solo nostra. Solo mia. E sei solo tu che mi fai pensare che esista un posto in cui chiudersi assieme, per sempre. Dimmi che resti per sempre Chrys, cazzo. Anche se è debole il respiro che mi spinge verso di te. Dimmi che una cosa giusta la stiamo facendo e non sono un pazzo se lo credo, se nel lasciare andare un respiro più morbido mi convinco che posso fidarmi solo di te. Che la guardia per un giorno posso abbassarla, tanto domani sarà alta di nuovo, immutabile e sarò scudo e spada per tutto ciò che amo. Come lo sei tu. Mi spingo fino a che non mi incastro perfettamente vicino alla clavicola, che anche la mano te la libero per portarla lungo il fianco. Che io ti scoperei anche adesso se ne avessi la forza. Ti ruberei ogni fottuto centimetro che ti rimane, per poi morirti dentro. Spero che tu lo sappia, e spero che tu lo veda. Il battito rallenta piano, i respiri tornano regolari, lenti.
    «Non andare via» un mugugno che sembra quello di un bambino, come se non lo stesso dicendo a te ma a chiunque mi abbia lasciato un vuoto del cazzo nel cuore. Come se in fondo ci fosse il rischio - perché per me c’è sempre - che tu ti accorga di come sono e ti decida a starmi distante per non morire. «Mai» aggiungo in un soffio lento, perché lo so che in fondo io sono stato lo stronzo e tu adesso sei la cosa più sicura che ho. Che sto bene anche se sto male.


    Edited by nocturnæ - 18/9/2021, 15:20
     
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