Für Elise

Josh & Chrys | 16 Settembre - Fabbricante di Maschere

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    Gli ho promesso che ci saremmo allenati. Che lo avrei aiutato a riprendere mano con quello che sa fare. Perché Chrys è un fottuto Negromante e, per quanto non si ritenga in grado, è anche uno di quelli bravi. Ce l'ha, ha quella connessione con la morte che in pochi davvero hanno. E non solo perché deve, o vi è legato, lui se la sente addosso. Le sue marionette, le aberrazioni, qualunque cosa richiami dal terreno, sono estensione di vene che lo percorrono dalla testa ai piedi. Ha poco da dire: deve riprenderli in mano. Deve farlo perché sono un paranoico del cazzo. Perché non mi fido ad allontanarmi da casa, da quella che adesso sento come uno punto saldo della mia vita, senza avere la certezza che se qualcosa - qualunque fottuta cosa con cui mi sono scontrato fino ad oggi - arriverà, saprà affrontarla. Non voglio che sia impreparato, che prenda la minaccia sotto gamba anche se questa non ha mai una forma netta, distinguibile. Io, non lo so. E' solo che voglio poter stare tranquillo, da bravo egoista del cazzo.
    Però so anche perché non lo fa, perché non la usa. Perché si è fatto corrompere il sangue senza mai, davvero sfruttare il suo potenziale e lo so che parlo come un fottuto maestro - cazzo non lo sono - ma è così. E' che io lo so, ma oggi non mi interessa più. Mi faccio avanti comunque con calma. Abbiamo i passi che si fanno più pesanti ogni giorno, quando ogni fottuto fiato che abbiamo lo usiamo per scopare. Funziono così, ora e finché che continuerò a pensare di avere qualcosa che mi morde le caviglie. Forse il tempo che ho perso.
    Seguo le note spaiate di Für Elise che mi arrivano dalla biblioteca. Avrei saputo trovarlo anche senza, ma muovermi in questa casa è così naturale che a volte mi trovo a camminare anche solo per rilassarmi, per deviare la tensione e ricomporre le arterie che si spezzano ogni volta che oso troppo.
    Basta solo vedergli la schiena, ricurva sui i tasti come se quel cazzo di pianoforte dovesse divorarselo, per sorridere un po'. Ed è subito qui anche la fitta allo stomaco, che mi ricorda il tempo che passa, scorre, ci scivola dalle fottute dita. «Posso?» Lo chiedo.
    Quando per una volta non sono qui a fargli vedere che posso suonare meglio di lui, vorrei solo che mi dicesse di sì, che lasciasse che lo accompagnassi ma che non smettesse di suonare per questo, di premere i tasti come più gli sembra logico, con il ritmo che sceglie.
    So anche piegarmi appena nel prendergli posto accanto e condire la richiesta con un respiro che gli lascio tra le scapole. «Tu però continua...»
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    26.
    Le dita scivolarono silenziose lungo i tasti d'avorio. Ne alzarono via la polvere ridisegnandone il loro passaggio. Rispolverarono il passato per poi inglobarlo. In una sorta di assimilazione, che vide Chrys rivedere Ophelia sdraiata sulla coda del pianoforte e poi Ray seduto proprio in quel posto da lui occupato. Fu liberatorio, pensò, mentre secondo i respiri decideva il tempo di una canzone che aveva solo sentito un'infinità di volte, ma che mai si era messo a suonare. I suoi avrebbero voluto saperlo capace in qualcosa che non fossero solo i suoi fiori, ma lui non era mai riuscito a dar loro quel tipo di soddisfazione. Tanto che quel pianoforte non era stato toccato per anni: Non lo aveva mai suonato neppure Josh, che in casa era sempre stato presente. Ne aveva fatto alzare il telo solo a Ray, che lo aveva accordato e suonato ogni volta fosse stato di passaggio in zona. Chrys era rimasto ad osservarlo dall'altro capo della poltrona con le braccia conserte lungo lo schienale. Si era affacciato come un bambino e curvando il capo su uno degli avambracci lo aveva ascoltato a lungo nonostante la musica classica né il jazz facessero propriamente per lui. Poi quando se ne era andato la prima volta, il pianoforte era stato nascosto di nuovo: Il solo vederlo nudo del suo velluto sapeva far piangere Chrys, che quei tasti aveva smesso di toccarli. Non li sfiorava nemmeno con la memoria. Semplicemente non ce la faceva a vederlo vuoto, senza Ray ad accarezzarlo come fosse un suon amante ed i tasti fossero la sua pelle.
    Però quel giorno aveva deciso di scoprirlo di nuovo e di sedersi sullo sgabello con la schiena ricurva verso i tasti. Non sapeva suonar nulla ed era ironico il fatto che le uniche note che sapesse fare gliele avesse insegnate proprio Ray, eppure rimase lì a ripeterle come ad esorcizzare un arrivederci che sentiva sarebbe stato pronunciato di nuovo. Provò persino a cercare un'assonanza di note come a voler rivisitare ''Für Elise'' al punto da farla divenire sua. Quasi tenera, quasi più sofferta, tanto che concentrandosi su quel suono non si rese conto di non essere più solo in stanza e che, con la mano libera, finiva sempre per aiutare la concentrazione passandosi le ciocche ricce dietro l'orecchio.
    Sobbalzò dal puff nel sentire la sua voce. Come fosse stato colto sul fatto. Come se stesse facendo qualcosa per cui Josh non avrebbe dovuto vederlo. Ma si calmò subito. ''Sì...scommetto che sai suonarla.'' Sapeva che Joshua aveva studiato il pianoforte e che parte dell'accompagnamento per le sue canzoni se lo scriveva da solo. Era una mente brillante lui, mentre Chrys a malapena sapeva coordinare la mano destra con la mano sinistra. Gli fece spazio accanto a sé, mentre l'ultima nota premuta continuò a vibrare nell'aria. ''Fortuna che Beethoven è sordo. Gliela sto rovinando.'' Disse ricominciando da capo, cambiando, così come le volte precedenti, tempo alle proprie note.
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    27.
    Sono un fottuto pianista classico. Cazzo dovrei ridere di come l'immagine si discosti tanto da quello che scrivo. Alla fine lo sono da quando mio padre ha creduto in me abbastanza da spingermi avanti. Mi ricordo la sua mano sulla schiena, quando ha sperato che potessi prendermi la sua forza per fare i passi che servivano a varcare la soglia della scuola di musica. Prima in Kansas, dove hanno provato a convertirmi all'Organo. Fanatici religiosi del cazzo. Poi qui nel Bronx, finché non ho capito che potevo giocarla come cazzo volevo io, ed allora è stata tutta un'altra musica. Lui mi chiedeva di suonare, quando mamma stava fuori a lungo, troppo a lungo. «Già..»
    Sì che la so suonare, come so a memoria mezzo repertorio di Chopin, e Bach, e Vivaldi. Alla fine erano un cazzo di sfogo e l'ho tirato fuori anche quella volta, nell'ennesimo bar di merda dove il proprietario ruba un pianoforte in discarica per metterlo al centro della stanza e pregare che qualcuno, suonando, attiri gente. E' nel mio sangue, e non sa morire neanche se glielo chiedo, che le mie canzoni nascondo sempre qui, nello sguardo che poi lascio vaghi per i tasti che Chrys sembra muovere a caso, cercando una melodia. Una che stride e si arrampica costola dopo costola. Mi ricorda Ray ed anche se faccio il bravo e sono fottutamente docile, ho paura di sapere perché Chrys si è messo proprio qui e perché l'ha fatto adesso.
    Glielo dovrei dire che non deve cercarlo se non trova me. Che non sono Ray ormai è appurato, ma cazzo lui non è me. Non voglio nemmeno sfiorare il pensiero che uno valga l'altro alla fine, perché non è così. Però questa nostalgia del cazzo mi si pianta in gola. La sua, neanche la mia, quella che non voglio provi mai.
    Suono, con calma, mi fermo quando incespica sulle mie ottave, poi torno dove è giusto per accompagnare la sua scalata stonata e senza l'adagio giusto. Non la sta solo rovinando, sta proprio cancellando quello che il mio insegnante definiva un capolavoro. Ma a me non frega un cazzo, Chrys non deve saper suonare per forza, non quando adesso sono qui per un motivo ben diverso e la musica è un diversivo. Uno che mi sta facendo pensare un po' troppo al suo passato. Non voglio avere un cazzo di dubbio su quello che stiamo facendo, sposandoci "così presto" quando in fondo siamo sempre stati qui. Sono solo io che non me ne sono accorto. Così per un attimo non so continuare, non so tirare fuori quelle battute perfette che lo farebbero sorridere. Perché il tempo passa, mancano sei giorni, cazzo. Va avanti troppo veloce.
    «Ti porto fuori..» inizio quando i tasti li premo meno forte, anche solo perché la musica non sovrasti la voce. Non voglio che Alice ci senta, lei non lo sa ancora. «.. adesso» lo aggiungo perché sia chiaro che non gli sto dando propriamente una scelta, anche se un po' so ancora sorridere, seppur sento che è tutto fottutamente incastrato in gola. Che pensare che dovrà trovarsi a difendersi da qualcosa in mia assenza è semplicemente atroce. Però io vivo di paranoie e lo ricordo bene il suo tono quando ne ha preso atto, che a casa mia ancora mi tormentavo per Lilian. «Non ci metteremo molto» Ancora, di nuovo, quasi dovessi convincerlo che Alice non sentirà la nostra assenza. Sono un padre di merda, ma voglio più momenti che posso con Chrys, anche se questo significa tornare a tirare fuori Faust dallo sterno per accedere dal Fabbricante. Faccio scivolare le mie mani lungo le ginocchia che già mi sto alzando di nuovo, questa seduta scotta come un cazzo di fiume di lava.
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    Fu stranamente triste ritrovarsi lì, da quella parte del pianoforte insieme a metter su delle note che erano state scritte da qualcun altro e per le quali Chrys faticava a trovare un suono. Un ritmo, come se fosse sempre stato troppo scoordinato nella vita per potersi permettere un lusso come quello. E troppo freddo e distante per poter comprendere di cos'è formata l'arte: Quali sono quelle sfumature a colorarla di significato e a renderla così vicina ai posteri. Fa triste essere nuovamente vicini quando ad un passo da loro si slegava l'ennesimo arrivederci. Che sapeva di lacci a mollare una presa così salda da trascinar via con loro rimasugli di una carne così fresca da sanguinare. E Chrys fu portato ad osservarsi i polsi prima ancora che questi potessero aprirsi di nuovo e divenire per loro fiumi nei quali lasciarsi affogare con i sassi nascosti tra le tasche. Sospirò, il ricciolino, nel sentirselo così vicino da sentire di dovergli lasciare spazio tra le costole. Trattenne un respiro, quando il suo profumo lo pervase ed accavallò la mano libera sulla sua coscia quando lo spazio gli permise di stringerne la carne senza che altri potessero obiettarne. Che erano soli: Quello era il loro soggiorno, il loro pianoforte, il loro unico momento di pace prima dell'arrivo dell'ennesima tempesta. Che non era più come quella che gli aveva fatto salire la febbre da cavallo. Non aveva nulla a che vedere con quella.
    ''Adesso?'' Rispose Chrys ricollegandosi a quella realtà. Come se toccandolo fosse scivolato altrove, laddove l'oscurità porta il profumo dei suoi respiri che gli si incastra velenoso lungo i boccoli e su per la linea del collo.
    ''E dove vorresti andare?'' Ma soprattutto, si chiese quale fosse il motivo per non restare ancora lì a bloccare un tempo che in realtà non può essere mai arrestato. Nemmeno se si è come Alice e quei poteri li si impara a manovrare.
    Si trovò allora a seguire i suoi movimenti prima con lo sguardo, poi con il resto del corpo. Come se non potesse far altrimenti e quella fu l'unica risposta che potesse concedersi tra un plateau di parole da fondere tra di loro.
    Forse dopo dieci anni passati ad osservarlo Chrys aveva imparato a comprendere quale fossero i motori che sapevano spingere Joshua oltre ogni volontà. Forse, però. Perché in quel momento sentì di non poter decifrare alcun suo desiderio. Sì sentì tabula rasa e burattino sotto la sua giurisdizione.
    ''Andiamo allora...'' E si alzò con lui, senza mai ritrovarsi a staccare lo sguardo dal suo. Lo osservò come si osservano le opere d'arte che vanno analizzate in ogni loro dettaglio e lui ne aveva di così belli in quel momento, come la luce che colorava il suo sguardo e la forma delle labbra schiuse, da tener Chrys incollato lì.
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    27.
    Quella mano che è scesa ad ancorarmi avrebbe facilmente potuto distrarmi. Quanto poco mi sarebbe bastato per fare leva sui giusti punti? Pochissimo, perché li conosco, so che a volte devo solo girarmi appena, infilare una mano oltre la camicia, che gli si ancori alle collane e le tiri a me. Che basta un premersi di labbra più intenso lungo la giusta vena sul collo, che potrei incastrargli una mano trai capelli e sarebbe totalmente in mio potere. Seppur poi impazzirei se diventasse falene di nuovo. E so di avergli sorriso appoggiandomi appena con la spalla alla sua, perché cazzo se ho voglia di scopare di nuovo, ormai è un'ossessione, come se dovessi occupare tutti i secondi che ci restano fino alla partenza. Occuparli così, pelle contro pelle finché non ci sfiniamo. Ed io non sono sfinito ancora. Non voglio esserlo mai, cazzo, E' giusto così.
    Ma oggi condivideremo qualcosa di diverso, un punto nuovo che ho un bisogno viscerale di mettere in chiaro. Gesti che ormai Chrys conosce, che con fatica mi spostano dalla sedia ma solo perché so che spero non ne abbia mai necessità, che non la debba davvero indossare questa maschera. Che non debba difendersi per colpa mia. Ma cazzo se invece dovrà farlo, allora voglio sia preparato, che non si perda in qualcosa che per noi dovrebbe essere semplice: è la nostra corruzione a chiamare, e dobbiamo rispondere.
    Mi faccio più serio, in fondo so che in momenti come questo, io rendo tutto più pesante, ripensando mille volte alle stesse ossessioni che mi tormentano le mani, le braccia, i nervi. Lo aspetto al centro dell'ingresso, in silenzio, ma gli tendo un mano perché ho bisogno di essere io il motore per entrambi, di avvolgerlo nelle ombre e portarlo davanti all'impossibile entrare del negozio. «Di qua» lo invito oltre il primo piano del palazzo diroccato, bisogna fare tutto per bene anche se è infinitamente semplice. Mi fermo davanti alla porta, davanti al punto in cui un po' del nostro sangue aprirà l'ingresso. Il legno scricchiola sotto i nostri piedi.
    «Fai come me» Mi sento di guidarlo anche se non serve, anche se lui di rituali ne sa più di me, ci vive da sempre, ma non è mai stato qui. Infilo il dito nella bocca del volto all'ingresso, così abituato a vedere il mio sangue colare per i miei scopi, che a questo sono insensibile. Una puntura che apre l'accesso ma che è necessaria per chiunque voglia accedere. «Voglio che tu abbia una cosa...» glielo anticipo in un mezzo sorriso che finalmente gli rivolgo, anche se sono impaziente: voglio sapere cosa sceglierà cazzo, e voglio che sia felice di questo. «.. e direi che era ora» questo invece è un ammonimento che non riesco a tenere per me, con il sarcasmo che mi tengo anche quando la porta si fa intangibile e lo convinco a superarla con me. Gli do giusto il tempo di guardarsi attorno nello spazio angusto e capire che cosa stiamo per fare. Mi spingo alle sue spalle in un sussurro che si, cazzo, un po' fiero mi rende. «Benvenuto dal Fabbricante di Maschere»
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    Tippete Eccoci a dare un'occhiata ❣
     
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    Sa capirlo forse solo troppo tardi cos'è a muovere Joshua fuori da lì. E non fu un'uscita capace di rivelarsi di semplice piacere, d'altronde Chrys non ne avrebbe voluta una: L'ultima volta che era uscito con Ray era stato così male. Non si era mai sentito più strano di così. Che forse Chrys non sapeva nemmeno com'è che si sta con qualcuno che si ama senza dover per forza assecondare delle costrizioni sociali che poi finiscono per stargli strette. Credo sia per questo che non ha mai portato Josh a cena fuori: Perché non sapeva rivedersi nelle altre coppie che si tenevano sottobraccio quando erano fuori per strada. Lui doveva avvinghiarsi all'altro come se fosse un pezzo del suo stesso corpo. Un'estensione perfetta seppur terrificante nel suo mostrarsi tanto atavica. Tossica.
    E gli stette bene così: Non cercò mai altro che non fosse quel contatto soffocante a rimarcare quanto non potesse esserci nulla di meglio per loro due. Che avevano solo quello e quello si facevano bastare. Se lo tenevano stretti al petto come fosse qualcosa da proteggere e ringhiavano quando qualcuno finiva per avvicinarsi così tanto da dar l'idea che gliel'avrebbe strappato via. La loro era una gelosia basata su motivazioni ben stabili ed era così forte da andare oltre il semplice bisogno di estendere il proprio dominio su zolle più ampie. Era senso di protezione ad attanagliargli lo sterno, la gola. E Chrys capì, forse più di tutte le altre volte passate a respirare con forza la pelle di Josh che quello fu il momento in cui l'altro sancì il bisogno impellente di prendersi cura di lui.
    Quello fu il momento in cui lui sarebbe lasciato andare e lo avrebbe fatto più di tutte quelle altre volte passato a seguire i suoi consigli. Come se Josh fosse saggio e Chrys avesse bisogno di qualcuno che potesse ridisegnar per lui giuste strade da percorrere. Fece tutto ciò che l'altro gli disse. In silenzio, quasi religioso. Come se entrare in quel luogo richiedesse un certo tipo di rispetto. Forse trattenne persino qualche respiro. Fu tentato di avanzare a passo leggero come se nel camminare come al solito avrebbe rischiato di distruggere ogni cosa. ''Una maschera?'' Sibilò mosso dallo stupore. ''Cazzo, è meglio di un anello.'' Lo prese in giro.
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    Sono un po' un saputello del cazzo, a volte, me ne rendo conto perché mi piace conoscere le cose prima degli altri e poi permettere anche a loro di scoprirle. O forse è semplicemente una cazzata, perché a muovermi qui è un pensiero meramente egoistico. Voglio che sia protetto, che riprenda in mano le sue fottute potenzialità e che magari sia proprio una maschera a dargli il "via". E sì, sì perch così almeno una parte delle mie paranoie si placherà. Lo spero cazzo. Lo saprò più al sicuro di prima.
    Pare che per lui sia meglio di un anello «Già lo dico ringraziando di essere alle sue spalle ora, per dargli modo di muoversi in questa cristalleria solo per noi, in tal modo non vede l'espressione che per un battito di ciglia mi si forma in volto. Chrys non sa che c'è anche un anello, è solo che non se lo aspetta e voglio che continui a non aspettarselo finché non glielo darò. La maschera non so davvero vederla come un regalo, quanto piuttosto un modo che ho di dirgli che vorrei rimanesse al mio fianco il più a lungo possibile. Credo sia una sorta di promessa, una richiesta, un fottuto bisogno! Ma me ne sbatto un po' del significato ora: sono più che altro qui perché voglio vederlo usare la corruzione. E' una fottuta guilty pleasure che ho, e che non gli ho mai detto, mi trema contro le vene anche ora. Quando mi dico che ne riparleremo dopo.. da soli. Che qui sono fuori luogo se un po' mi avvicino alle spalle, e gli indico da troppo vicino la parete che ha davanti.
    «Se non ne trovi una che ti sembri giusta.. puoi chiedere al Fabbricante, ho l'impressione che ci stia già osservando.» Vorrei che questo sembrasse un gioco, in qualche modo, come un ragazzino che si infila nei corridoi della scuola e poi rischia di farsi scoprire dall'inserviente. in realtà sono fottutamente serio, perché questo è parte di un rito di passaggio che lui ha mancato tanto quanto l'ho mancato io. E' il motivo per cui faccio qualche passo indietro, per quanto lo spazio sia stretto, per dargli modo di sentire quello che vuole. Che sia un richiamo o quant'altro. Così ho modo di scacciare le memorie di quando ci sono venuto con Slater.
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    Edited by nocturnæ - 1/10/2021, 20:10
     
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    PS: per Chrys, dato che è un percettore ti avverto che ha un fantasma legato a lui <3

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    Scostò gli occhiali con le lenti a ingrandimento che potevano fargli vedere quei flussi anche microscopici, i fili di magia da intessere nelle sue creazioni imprigionandole in un percorso che fosse un perfetto equilibrio di energie. La porta segnalava sempre quando qualcuno entrava nel negozio, a volte, prima dei suoi sistemi di sicurezza, Solomons raschiava su di lui allungando i suoi occhi spettrali al di là della parete. Lo fece anche in quel caso, uno sguardo penetrante in attesa che lui indossasse il suo "costume di scena" per andare dall'altra parte, oltre una tenda nera e scura.
    Al di là della maschera, riconobbe almeno uno dei volti delle persone lì dentro. Ricordava sempre chi chiedeva lavori interessanti, non la solita maschera da listino che presupponeva gesti meccanici, l'artigianato di una catena di montaggio ben calibrata. Quel ragazzo aveva chiesto una maschera molto interessante, l'aveva fatto ragionare sull'uso di un materiale insolito per la sua difficoltà di lavorazione, ancora più interessante l'interazione magica che aveva e che prevedeva dovesse impiegare molte delle sue doti per riuscire a produrre un lavoro ben riuscito. Lui non lo sapeva, ma coloro che erano in grado di creare una simile maschera, di farla funzionare in modo tanto armonioso, potevano contarsi sulle dita delle mani.
    «Un'impressione accurata» rispose a quel ragazzo, sfilando dietro il bancone per fermarsi lì. La voce contraffatta poteva far apparire quelle parole più dure di quanto non fossero, dette anzi come fosse una sorta di scherzo. «È una stanza piena di occhi» per questo lo aggiunse, indicando le maschere affisse alle pareti, sfruttando quella trasparenza per non far sembrare minacciosa la sua figura nel suo stesso negozio. Una precauzione probabilmente inutile, per cui Solomons, invisibile alle sue spalle, rise. In quella parte del negozio difficilmente entravano persone che potessero temere qualcosa, più facilmente chi ormai non aveva più paura di nulla. Lasciò quindi perdere, poggiando le mani sul bancone per arrivare direttamente al nocciolo della questione.
    «In cosa posso aiutarvi?»
    shawn murray
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    i have no special talents. i am only passionately curious
     
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    ''Già.'' Non seppe se la risposta fu per ciò che aveva detto Joshua riguardo all'essere già stati seguiti dallo sguardo del Fabbricante o all'uomo stesso, che nel farsi vicino confermò ciò che il ragazzo aveva detto. Il fatto poi è che non era solo lui ad aver puntato gli occhi su di loro e forse nemmeno le maschere a cui fece riferimento. C'era qualcos'altro, ma niente di troppo distante dalla visione che aveva Chrys delle cose. Sentì come se fosse nelle sue abitudini, come in quelle sensazioni che sapeva dargli Andy quando tornava a manifestarsi al suo fianco. Qualcosa che anche se appartenente a qualcun altro sapesse rendersi familiare. Fece un passo in sua direzione, staccandosi da quel perimetro che aveva inconsciamente ridisegnato attorno a Josh. Come se fossero entrambi stretti dietro a delle barriere saldamente tirate su. A forza, a mani nude, come se ci fosse bisogno di qualcosa di fisico a separarli dal resto del mondo.
    ''Non saprei...'' Disse guardandosi attorno con aria confusa. Avrebbe preferito fosse stato Joshua a scegliere per lui, d'altronde era qualcosa che sapeva fare benissimo: Lo conosceva bene, più di quanto sapeva conoscersi sé stesso e questo fu motivo di credere che potesse far da sé. ''Esiste qualcosa in grado di...di rispondere ad impulsi che non vengono da noi?'' Lo disse abbassando i toni, affinché Joshua potesse non rendersi conto di come le sue volontà lo portassero poi a trovare sempre un escamotage per ritornare lì, proprio al suo fianco. Alla fine quella era l'unica cosa che Chrys voleva: Saper sempre come trovarlo tra la folla, in un mondo così grande e claustrofobico nel medesimo momento. Instabile, incerto. ''Nel senso...'' E si rese conto di non sapersi spiegare, perché seppur fosse chiaro per lui il desiderio di mantener ogni cosa sotto il proprio controllo, difficile era trovare qualcosa che lo convincesse davvero. ''Esiste qualcosa in grado di farmi tornare a lui...da farmelo trovare sempre?'' E indicò Joshua con un cenno dello sguardo, come fosse convinto che, essendo già stato lì, il Fabbricante sapesse di chi stava parlando e quali fossero le sue peculiarità, i suoi punti di forza e debolezza.
    Chrys probabilmente cercava qualcosa che fosse in grado di tracciare il suo sangue, la sua aurea o anche solo Carmen. Sì, qualcosa che fosse in grado di trovar la sua luce in qualsivoglia condizione si trovasse. Come le falene che vengono attratte da essa, così lui sentiva di essere attratto da Joshua. Avrebbe desiderato che la cosa avesse un utilità e non fosse solo uno stupido modo per dire che sì, lo amava.
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    Attese immobile, attese di capire, perché da quella prima frase non aveva capito affatto. Sembrava l'incipit di uno dei suoi discorsi con il professor Hoyle, preziosi e infinitamente utili, quelli che l'avevano formato nella sua crescita, ma anche nebulosi. Come in quei casi, bastarono poche parole a fargli trovare la rotta, per un attimo si chiese se l'espressione di eureka fatta sotto la maschera che lo copriva fosse in qualche modo simile a quelle che era stato abituato a vedere sul volto del suo anziano professore.
    «È possibile trovare un modo, sì» cominciò, iniziando a pensare a qualche soluzione che potesse andar bene, nonostante avesse poche informazioni su cui basarsi. Era una coincidenza, eppure trovava interessante che la seconda volta che arrivava quello stesso ragazzo a commissionare un lavoro fosse un altro di altrettanta difficoltà, stimolante come poche altre cose. «È più facile con una maschera che si compenetri con la tua identità piuttosto che il sangue, per questo servirebbe un ponte, qualcosa che unisca la tua identità alla sua. Ovviamente anche che lui sia molto importante per la costruzione della stessa» una maschera dal funzionamento non solo complesso, ma volubile. Avrebbe dovuto forgiare qualcosa che mantenesse un certo grado di inefficacia, il pericolo che al cambiare della situazione, dell'anima del portatore, la sua creazione sarebbe per forza di cose diventata meno funzionale, persino inutile. Non gli piaceva iniziare progetti che avessero già dei limiti così importanti.
    Restò a pensare per qualche istante, inizialmente cercando di trovare una soluzione basata sulla maschera che aveva creato per l'altro ragazzo, sarebbe stato il legame più ovvio e semplice. Peccato che per sua stessa natura, ed era anche ciò che l'aveva affascinato tanto, la maschera dell'altro fosse di quelle che difficilmente potevano legarsi ad altre senza rigettarne il potere. Eppure, quella strada gli aveva inavvertitamente dato un suggerimento, sciocco non averci pensato visto il legame che lui stesso aveva con Solomons.
    «Se posso dare un suggerimento, sarebbe più efficace una maschera che si leghi a qualcosa che per lui possa avere l'importanza che la maschera ha per te. Si creerebbe un legame simbolico: ciò che è ancorato alla sua identità, e che in un certo senso la rappresenta, un legame simile a quello che la maschera avrebbe con te. Potrebbe funzionare nel caso di spettri legati alla persona con un legame volontario e di lunga data, animali da compagnia particolarmente importanti, spiriti elementali altrettanto legati al mago, oggetti magici particolarmente legati alla sua identità. Non la sua maschera, il materiale di cui è composta renderebbe complesso il creare un simile ponte» spiegò, andando a rivolgersi verso l'altro ragazzo per un solo momento, nonostante si fosse allontanato appena. Avevano discusso della particolarità del materiale che aveva usato per la sua maschera, un materiale di difficile lavorazione e scivoloso. Ottimale per nascondercisi dietro, almeno per chi comprendeva le sottigliezze del detto che recitava come la miglior difesa, fosse l'attacco stesso. «Esiste qualcosa di simile da poter sfruttare come ponte?».
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    26.
    Ma non voleva essere trattato come fosse uno psicopatico. Chrys se lo stava ripetendo forse troppe volte da quando era lì: Che il suo, a conti fatti, era un comportamento giusto. Si stava per sposare con Joshua e questo bastava per giustificare quelle che a conti fatti erano premure. Forse troppo esagerate, Chrys non sapeva negarlo, ma comunque giustificate.
    Così si fece più vicino al fabbricante. Spontaneamente forse, come a voler tenere quanto più distante Joshua da quelle che non erano altro che paranoie riversate nel regalo che l'altro gli aveva promesso. Respirò piano, tanto per non invadere troppo lo spazio altrui e rimase immobile, quasi in attesa di ricevere la risposa ad ogni suo dubbio. Perché sì, sapeva ciò che voleva e probabilmente lo aveva saputo sin da sempre, almeno per ciò che concerneva Joshua, s'intende, eppure guardando il fabbricante comprese come fosse difficile mettere insieme tutti quei bisogni in un'unica manifestazione fisica. Tangibile.
    ''Sì...sì credo di sì.'' Si passò una mano sul viso a risalire sulla fronte. Si trascinò con sé il resto dei boccoli. ''C'è il suo curanderos...'' Il suo spirito del fulmine, la luce che lo protegge da anni. Come se fosse qualcosa di così affine alla sua persona da essere essa stessa la scintilla che illumina il suo sguardo. ''Un elementale del fulmine.'' Ci tenne a spiegarlo, anche se forse non ce ne era il bisogno. ''La sua luce potrebbe...potrebbe essere il mio faro.'' Come con le falene in eccitazione. Come con il loro battito frenetico di ali, che è un po' il battito del suo cuore.
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    narau - mask
    «Uno spirito elementale è ottimale, soprattutto in vista del legame che si instaura con lui» rispose, ascoltando quella proposta che metteva in relazione il potere della maschera e la natura stessa dello spirito. Quando si parlava di poteri di artefazione, una branca di magia antica, era sempre meglio avere la possibilità di utilizzare quelle componenti che fortificavano la magia antica, come il significato, il sacrificio, il sangue. Si illuminò nel pensare a quella strategia, alla luce che fungeva da faro, anche se era tanto celato al di sotto della maschera che poteva dirsi il solo a sapere quanto entusiasmo ci fosse dietro il legno lavorato. «Il legame attraverso la luce è davvero ottimo, una strategia elegante e funzionale, soprattutto viste le caratteristiche che vuole dare alla sua maschera» sarebbe stato letteralmente una falena che tendeva alla luce, immagini intrinsecamente legate a entrambe le personalità, un funzionamento lineare e simbolico.
    «Credo possano bastarmi sei, sette giorni per fare il lavoro» li calcolò in fretta, muovendo le dita come se le operazioni che avrebbe dovuto svolgere fossero effettive immagini invisibili da incasellare una sopra l'altra, in modo ordinato e ordinale. «Al momento del ritiro dovrete però essere presenti entrambi: avrò bisogno di circa altri trenta, quaranta minuti per calibrare in modo accurato il potere stringere il legame specifico con lo spirito». Già stava immaginando quel lavoro, la maschera della falena come un foglio ancora scritto solo a metà, dove aggiungere l'inchiostro per le ultime righe nel momento in cui avesse incontrato l'altro pezzo del puzzle, costituendo un componimento unico a quattro mani.
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