Judging eyes

Josh & Chrys | Orfanotrofio di Las Palmas, Messico - 20 Giugno

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    Questi posti mi mettono i brividi, Chrys. Fottuti e stronzi, che si arrampicano dietro il collo, stringono in punti che alimentano solo la mia rabbia, i miei ringhi. Che lo schifo me lo leggi negli occhi quando - fuori dall'auto - restiamo un secondo fermi. Uno. Uno che mi serve per guardarti bene, per sorvolare su occhiaie che restano una mia colpa, almeno una piacevole. Si che vogliamo un altro figlio, ma questo non ci rende fottutamente immuni a quello che ci provoca nello stomaco, almeno a me. Io che faccio un passo avanti, in mezzo al cazzo di nulla in cui siamo, che sembra essere un punto diverso del tempo, un frammento del cazzo da odiare. Qui dentro, amore mio, c'è un bambino che ha bisogno di noi, di te, di me. Di essere salvato. Non so chi sia, non importa se sia maschio o femmina o qualunque altra cosa, Chrys, lo sai.
    Lo sai anche nella mano che lascio scivolare al tuo fianco, ti percorro le dita fino a stringerle alle tue. Solo una presa bassa, solo un modo ancora per dire che lo stiamo facendo assieme, che possiamo tenere alti i nostri musi di merda ed entrare a sfondare ogni porta serva, si.
    O forse sono io che ne ho bisogno per non dar fuoco a tutto, contenere la corruzione tramite una presa che non c'è vergogna di mostrare ora. Che lo guardino il nostro incastro, che lo temano e lo ammirino, che lo odino, non mi frega un cazzo di questo.
    "E' questo il posto... siamo arrivati." non c'è un cazzo di tremolio nella mia voce, nessuno, mi esce come quei ringhi determinati che conosci, perché questo sono oggi. Un padre. Uno di merda, uno che non ha finito di esserlo, né di volerlo. Chrys tu.. tu hai i miei stessi bisogni, l'ho capito e basta. Vogliamo tutto, e avremo tutto. E siamo arrivati fin qui.
    Qui dove so che tengono quegli orfani senza più nulla da perdere. Ed è una catapecchia del cazzo, una che mi fa vibrare l'odio nelle vene non appena mi avvicino al portone. Non che il Bronx sia un posto piacevole, cristo è una merda in ogni luogo, ma.. ma oggi qualcuno uscirà da qui senza più tornare. Abbiamo avuto una vita di merda, Chrys, in molti momenti, questo so dirti guardandoti. Ma non per questo nostro figlio dovrà averla se.. se possiamo evitarlo.
    "Non ho cambiato idea, Chrys." una stretta più sicura, prima di portarti più vicino a me, più a portata di respiro. Lo sai come sono, non ti devo dire quanto cazzo mi ribolla il sangue nelle vene. Tu sai sentirlo ad occhi chiusi, ed a stanze di distanza. Lo so che sarà un'esperienza del cazzo, ok? Lo so. Per questo non la facciamo da soli. Stringiti a me se ti gira la testa. "Tu?"
     
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    Non c'è bisogno che io ti dica com'è che sto. Com'è che non sono riuscito a dormire questa notte: Ci sono troppe cose, come al solito, che in questo momento non fanno altro che concorrere nella mia testa. Penso a così tante cose che subito che il mal di testa sia dato solo ed esclusivamente dalla stanchezza. Da una notte passata a confermarci cos'è che siamo insieme. Che siamo perfetti, sì, ma da svenimento. Che la mano te la tengo stretta contro una gamba per tutta la durata del viaggio. Non mi muovo nemmeno, non quando ci aspettano ore di macchina perché l'idea di far passare il bambino attraverso la Dimensione Ombra non può nemmeno esser presa in considerazione. Non respiro nemmeno. O almeno, sento che i polmoni si alzano ed abbassano così piano da rendere il tutto molto impercettibile. Mi sento in bilico, Josh. E non perché io non sappia come interpretare questa situazione, quanto perché forse ho paura. Ma credo si tratti di quelle paure belle di cui molti parlano. Quelle paure che ti spronano ad andare avanti, a tentare il tutto per tutto e cavolo, sì, se io voglio ogni cosa con te. Qualsiasi cosa, dal litigio ad un altro figlio. E non sono nella pelle ora che la meta sembra farsi più vicina. Ora che mi sembra di percepire persino te, un po' come fossi il riflesso delle mie emozioni. Ormai viviamo all'unisono, non è vero, tesoro?
    Ormai mi sembra chiaro, giusto, che come soffri tu allora soffra anche io. Che come sei in apprensione tu, allora anche io tremo. E non me ne vergogno, non è qualcosa che so elaborare in questo modo. Non so dargli una vera e propria collocazione razionale.
    Ma ti guardo, Josh. Lo faccio per tutta la durata del viaggio chiedendoti di mettere i Placebo in sottofondo ma ad un volume ragionevole. Che questa volta non vorrei proprio che la musica possa sovrastare i miei pensieri. Voglio sia per me colonna sonora della nostra vita. Quella che viviamo giorno per giorno, quella che ora ci sta portando ad adottare un bambino. Un bambino, noi due, che forse non abbiamo nemmeno mai immaginato di poter finire qui. Di poter finire esattamente in questo modo.
    Ti guardo, Josh. Ti guardo con la coda dell'occhio e stringendo più forte le dita lungo il tuo ginocchio, mi dico che non c'è cosa più bella di questa. Di te, di me, della nostra auto. Delle miglia che stiamo macinando per completare qualcosa che è già bello così. Qualsiasi cosa con te sarebbe bella, in effetti.
    ''No, Josh.''
    Perché è difficile che io sappia cambiare idea. Non così, poi. Non in modo tanto repentino. E se mi è stato facile accettare l'idea di andar ad adottare un bambino, questo non significa che sarebbe altrettanto facile ripensarci. Fare un passo indietro, rinnegare tutto ciò che ci siamo detti questa notte. No, Josh, non saprei proprio da dove cominciare, a dirla tutta.
    ''Mi chiedo solo se non fosse stato il caso di far venire con noi anche Robert.''
    Avere la tua casa discografica a darci forza, a non far sembrare tutto ciò il semplice capriccio di un artista scopertosi omosessuale e poi con un istinto così prepotente di paternità da risultare ''egoista''. Anche laddove io non so vedere alcun egoismo. Noi non siamo qui per esaltare la nostra coppia, lo so bene. Non è una scelta politica la nostra. Non è per la pubblicità e tutto il resto. Anzi.
    ''Ho paura di far brutta figura.''
    Te lo dico quando, parcheggiando, scendiamo dall'auto. Siamo nel nulla, nel fottuto nulla cocente e fatto di sabbia e roccia. Mi tremano le gambe.
    ''Che si fa adesso?''
    Perché immagino che non possiamo restare immobili dinanzi all'entrata. Non c'è scritto da nessuna parte che questo potrebbe essere una sottospecie di servizio a domicilio.
     
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    Le ho sentite le tue dita, lungo la gamba. Le hai tenute lì per tutto il tempo, e non c'è stata una cazzo di pausa che ci siamo presi. No perché il mio solo scopo era arrivare qui, prenderci le ore che sono servite e non fare niente altro che non fosse questo. Io e te davanti all'Orfanotrofio decadente con le peggiori recensioni possibili. Cazzo se è egoismo, ci smuove da quando siamo dei ragazzini. In fondo non siamo qui per proteggere qualcuno? Perché ci serve un'altra anima da aggiungere alla nostra collezione, e Cristo se voglio farlo con te. Lo so da quella notte, e lo rivedo ogni giorno, quando mi sveglio ed in qualche modo anche solo allungandomi ti trovo.
    Non mi stanco mai delle tue cazzo di espressioni, Chrys, come sai che ti tocca il mio cazzo di sguardo ogni volta che ti giri, o che provi a negarmelo. Non c'è punto in cui puoi nasconderti che io non conosca. E magari non ti sto dando un cazzo di spazio in questi giorni, ma nostro figlio è una cazzo di incognita che voglio sciogliere.
    E no, non me ne frega un cazzo di portare Robert e chiunque altro, loro.. loro lo sapranno dopo, quando capiremo noi che cosa fare, come e chi riporteremo a casa. A chi apriremo le porte della Villa, di un rifugio che è il nostro fottuto santuario, invulnerabile, intoccabile. Noi, e solo noi, possiamo conoscerne ogni angolo. E lo sai che se ringhio in risposta, ora, è perché sono un fottuto geloso del cazzo, uno a cui non puoi dire che le cose da soli non si fanno. Io ho sempre fatto così, e tu.. tu ora sei con me. Quindi no, non serve nessuno della mia etichetta, che vadano un po' tutto a fanculo: questo è nostro e basta.
    E non farai brutta figura, Chrys, è qualcosa che non cambia niente ora, lasciale perdere queste stronzate, fallo quando nel guardarti voglio solo dirtelo a bocca chiusa. Fissarmi nei tuoi occhi quanto basta affinché i miei siano un cazzo di appiglio: tieniti qui, e andrà tutto bene.
    Anche se per un attimo il respiro manca anche a me, che non so come spostare il diaframma, come far spazio al fiato.. dio! "Ora... si entra" nessun rimorso.
    Tanto che a farti strada sono io, sempre tenendoti con me, a ringhiare contro l'odio che già provo per chi gestisce questa merda. Dio lo sai che cazzo di fatica ho fatto a chiamarli, per prendere un appuntamento, come se ci fosse anche l'alternativa di non portar via nessuno da qui, certo. Certo un cazzo.

    Basta un secondo, che la stronza qui è dietro la porta, la sento, sono un cane no? "Signor Çevik" mi guarda, ha gli occhi di un corvo del cazzo, fissi su di me, e poi su di te. E già lo sento il ringhio che trattengo a fatica. "Signor Sinister.. vi prego, entrate, siete i benvenuti all'istituto di Las Palmas, vi ringraziamo per averci scelto e-.." e cristo vorrei che smettesse di parlare, lo sai perché nell'entrare non le do retta, non mi interessa, voglio solo.. solo capire.
    "Dicevate che cercavate qualcuno con più di.. sei a-?" "Otto" "Otto, ma certo.. prego, di qua.." Ho già la gola stretta in una morsa, Chrys, non vola una mosca in questo posto, non una sillaba, quasi non li sento respirare, anche se stiamo salendo. Io voglio vederli, non importa se vuole portarci nel suo cazzo di studio, prendo la strada che lei non prende, tanto che si, vorrebbe fermarmi, ma.. beh non può. Anche se faccio piano, se sono lento, se la testa mi sta esplodendo, se davanti alla stanza comune, aperta, non entro senza di te. Il resto? Rumore bianco. **Chrys...
     
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    Lo avrei aperto io il colloquium se non fossi stato tu il primo dei due a ricercarne il contatto. Mi sarei aggrappato io ai tuoi pensieri se tu non mi avessi preceduto. Se incontrando quella che deve essere la direttrice del posto non avessi storto il naso tu, prima di me. Ma sei un cane, Josh. Tu sei un segugio e se non sai scattare in momenti come questi io mi chiedo, davvero, cosa c'è che non va. Mi sentirei smarrito, sì, se non ti sentissi ringhiare. Se non fossi più capace di scrutare i tuoi muscoli tesi, quel modo che hai di mantenere sotto controllo ogni fottuta situazione. Anche quelle che non ci competono davvero. Perché ti capisco, tesoro, quando ti ritrovi ad avere uno sguardo per questo posto poco carino, incline all'accettazione. Lo capisco quando tutti ciò che non vediamo inizia a farti schifo. Ma non possiamo e tu lo sai bene, adottare tutti i ragazzini che giorno e notte trascorrono il loro tempo qui. Potrei concedertene altri due, ma anche io so fermarmi lì. Io voglio solo essere un padre, Josh. Suppongo di voler solo questo, già, che essere un salvatore no, non è mai entrato nelle mie corde. Non è ciò che fa per me: Ci ho provato e questo tu lo sai, sì, così come sei a conoscenza di ogni mio fottuto fallimento.
    **Tesoro mio.
    Ed io rispondo solo a te, lo sai. Come se la tua voce fosse più simile ad un richiamo. Un fischio che stimola ogni cazzo di recettore dell'attenzione e non un conglomerato di note, di onde pronte a propagarsi nello spazio. Sei solo l'input di ogni mio cazzo di stimolo. Di ogni mia reazione. Ed io reagisco così, sì. Che sento l'accento marcato della Signorina che ci ha accolti. Ne noto le screziature della pelle scura, le onde di capelli duri, forti, ma oltre a studiarla per ciò che vedo, Josh, io non credo di voler aggiungere altro. Di far ulteriori passi in avanti che potrebbero benissimo farmi rischiare di inciampare. Ed io non posso inciampare adesso, Josh. Non possiamo farlo, nessuno dei due. Per questo forse mi limito a sorridere. A farle un cenno del capo, sì, in segno di saluto quando lei si rivolge prima a te che a me. E questo non mi da fastidio, oggi. Questo mi fa sentire al sicuro. Perché tu sai cos'è che voglio. So che sapresti spiegarlo per entrambi se ce ne fosse l'occasione.
    ** Andrà tutto bene.
    Anche se il silenzio non mi rassicura. Il silenzio mi spaventa: Queste mura bianche che svettano tra la sabbia scura mi spaventano. Mi sembra di essere in un posto surreale. Uno di quelli dove dovresti decisamente evitare di mettere piede. Già rivoglio casa mia. Casa nostra. Mia, tua, di Alice e del bambino che tornerà con noi. Perché firmeremo subito le carte per l'adozione: Che non ho intenzione di rimetter piede qui. Non una volta di più.
    ''Deve essere speciale la vostra educazione.''
    Ma dell'ironia me la lascio sfuggire. Forse perché sono complice del chiasso che fa Alice. Forse perché credo fermamente che nostra figlia, sì, lei, che è nostra, sta venendo su proprio bene. E tu lo sai, sì, a cosa mi riferisco. Lo sai perché te lo dico. Perché mi sfugge di bocca in un balbettio che fortunatamente so circoscrivere alla tua testa.
    ** Non vola una cazzo di mosca, Josh.
    Dove cazzo mi hai portato, amore mio?
    ''Svolgete attività ludiche di qualche genere qui? Mio marito è quello più informato, perdonatemi. A me piace molto più la sorpresa.''
    Che è una bugia, ovvio, altrimenti non farei queste domande. Ma mi chiedo perché non ci siano bambini a giocare in giro per l'istituto. Mi chiedo se sanno vivere bene qui, se il silenzio è dettato da una forma di pace e non da una coercizione indiretta.
     
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    Lui è qui, Chrys.
    Nel battito che mi manca, questo cuore del cazzo che non sa reggere i fottuti imprevisti. E' per questo che mi preparo, che abbiamo i nostri rituali, che mi sfianco come posso prima di uscire, che tengo tutto sempre sotto controllo. Perché la corruzione ora torni in mano mia come redini di una bestia che so gestire, perché i miei pensieri non volino oltre ringhi di fottuto avvertimento. Perché tu, tra le nostre mura, sai come reggere. Sai cosa succede quando passo il limite e per quanto sia bravo, lo sei più di me.
    Che quando mi chiami, quando mi parli, lo senti che respiro, che i piedi si calmano nei pressi dell'arco. Che verso la donna mi volto anche io, e no, non le sto per fare i complimenti per come tiene quest'altra struttura. O come siano ben educati i suoi ragazzini, che non solo non fanno volare una mosca, ma sono innaturalmente fermi. Le voci erano vere.
    **Questa luce non ha un cazzo di senso, è l'altro dei miei ringhi, che si propaga nella testa solo tra me e te. C'è talmente tanta luce riflessa dai muri pallidi che è impossibile nessuno di loro voglia giocare, parlare, dio, almeno muoversi. Rivoglio il buio della penombra, i riflessi delle fiamme che si allungano oltre le candele, i quadri con gli intarsi esagerati che piacevano ai Sinister. Casa mia.
    Vi sento parlare ma è qualcosa di distante, lo è quando la donna ti risponde, io neanche mi curo di ricordami come si chiama e lo sai, no? E' meglio così, perché io non abbia la fottuta idea di mandare Faust a fare qualcosa che manderebbe a puttane la nostra vita in tre secondi, amore mio.
    "Oh l'ha notato? " ti sorride, la stronza. "E' la politica di Las Palmas, ci sono gli orari del silenzio" E magari anche tu, Chrys, hai la fottuta impressione che questi orari siano.. tutto il cazzo di giorno? "Ludiche?" ti chiede "Ah.. capisco, certo la mattina, ma lasciamo che siano loro a scegliere a cosa dedicarsi, sa per seguire le inclinazioni personali e... ma venite, di qua, credo di avere quello che fa per voi" Come una cazzo di vendita.
    Ti guardo appena ci dà le spalle, non so che cazzo di espressione ho, ma resto solo in fottuta guardia, sempre alta in posti di merda come questo, che neanche lo meritano un sorriso di circostanza. In fondo non ho basato nemmeno la mia immagine su questo. Non sono affabile, non sono gentile, e lei lo sa, perché preferisce te a me, e neanche sa quanto cazzo la piegheresti se potessi. Ma non possiamo. Neanche quando ci mette davanti due, tre, quattro bambini che sembrano soldati istruiti per presentarsi.
    Balbettano, cazzo Chrys, balbettano! Tranne una.
    **Perché credo mi stia vendendo dei pezzi di-...
    Perché si, tra i vari divanetti pieni di statue, e quelle povere anime davanti a noi, il mio sguardo vaga. Lo fa fino a che non incontro una testolina riccia, più in fondo. Forse il più lontano possibile da noi. Tanto che lo guardo. Gli guardo la schiena, che è poggiato lento contro un camino spento, credo abbia un libro in mano, non vedo. Guarda oltre la finestra, sposta la tenda con due dita, cazzo per un attimo pensavo fossi tu. Tu all'età in cui neanche ti conoscevo.
     
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    Inizio a stare male, Josh. Non so bene in che modo o perché, a dirla tutta, ma inizio a non sentirmi bene. E puoi notarlo, scusa, amore mio. Puoi notarlo dai silenzi che accompagnano le parole. Che sono lunghi, lunghissimi. Perché se posso concedermelo, allora ci provo a tirar su le orecchie. A concentrarmi sul silenzio che ci circonda. Lo faccio anche se mi fa tremare, anche se l'unica cosa che sento è il rumore che fanno le nostre scarpe contro il pavimento. Pulito, pulitissimo. Cazzo Josh, quale ragazzino fino ai dieci anni non sporca un pavimento giocando? E non ti rispondo, no, quando mi fai notare della luce. Quando le tue supposizioni divengono le mie, quando per tornare a rispondere alla Signorina Tab devo prestare forse più attenzione del dovuto. Tirarmi su con la schiena quasi ad accompagnare il corpo ad una ricezione migliore del suono.
    ''Oh, quello che fa per noi, certo.''
    Ho un groppo in gola, ma non cedo, ci provo, almeno, a non sembrare troppo sfrontato o troppo debole. Il ragazzino che a quindici, sedici anni è stato messo dinanzi a diversi insegnanti.

    ''Nostro figlio è un ottimo mago, ha solo difficoltà ad applicarsi.''
    Ed io ero lì, immobile, come se non ci fossi davvero, come se fossi incapace di ascoltare e comprendere i loro discorsi.
    ''Farebbe al caso vostro. Non preoccupatevi se fa così quando gli parlate, è il modo che ha di concentrarsi.''
    Ed io ero sempre lì, a tirar su mani lungo le orecchie. Ad aspettar di tornare a casa, di vedere con precisione come i sorrisi sarebbero divenuti dritti sui volti di mia madre e di mio padre, due fessure velenose a spaccare in due il volto.
    ''Qual è il tuo problema, Chrysanthemum!? Vuoi farci sfigurare di nuovo? Ti diverti così?''
    Ed io lo sapevo cos'è che voleva fare Erika. Perché mi stringeva i polsi fino a farmeli arrossare. Io lo sapevo qual era il mio problema, ma non l'ho mai saputo raccontare. Non sono mai riuscito a parlarne con mia madre e mio padre. Tanto che loro hanno continuato, ci hanno provato a svendermi a chiunque fosse un alchimista od un necromante migliore di mio padre. Almeno Oleander era umano. Almeno lui i suoi limiti è riuscito a riconoscerli, anche se faticava a far caso ai miei.


    E no, Josh, non posso mentirti quando gli occhi lucidi li vedi. Quando nel guardare una sala che sembra solo un buco nero disperazione, ritrovo qualcuno che assomiglia a me. O forse sono più io quello che assomiglia a loro, quello che, nonostante i ventisette anni, non è ancora riuscito a crescere, a diventare un figlio migliore ed un padre, ora, forse, decisamente diverso dal proprio.
    ** Cos'hai...
    Visto...sì. Perché mi giro verso di lui nel medesimo momento in cui lo fai tu. Istintivamente, quasi come se fossimo coordinati anche in questo. Quasi come se fosse inevitabile, dolorosamente inevitabile portare lo sguardo verso gli stessi ricci che, ora, ricoprono il mio capo.
    ''Ci lascia soli coi ragazzi?''
    Magari suona come una domanda, ma in realtà sono decisamente imperativo adesso. Lo sono che già allungo un passo verso il bambino che non si è presentato. Quello che pur di evitare una scenata tanto patetica è rimasto a leggere per conto proprio. Ed io i nomi degli altri bambini nemmeno li ricordo più. Mi è bastato voltar lo sguardo verso di lui per dimenticare del resto.
    ''Questo libro l'ho consumato. Non so quante volte l'ho letto.''
    Lo dico senza chinarmi sulle ginocchia. Quasi come se stessi parlando ad un adulto.
     
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    Hai messo una mano a terra, quando nessuno ti ha visto. Perché nel silenzio le parole rimbombano ma tu di loro non ti fidi, Ramon. No, tu preferisci chinarti sulle ginocchia, svuotare il petto e far entrare sotto pelle le vibrazioni dei nuovi visitatori.
    Ti fanno paura.
    Sei tornato qui da poco, sei solo, i tuoi amici sono stati adottati e mentre tutti escono e non tornano più, tu finisci qui. È così perché hai qualcosa di sbagliato dentro. Lo sai no? Te l'ha detto Miss Tab. "Se non impari a muovere quelle labbra, finirai a lavare i pavimenti"
    Ma tu fai tutto. Lavi. Pulisci. Quello che sporchi o rompi poi lo sistemi, perché hai imparato che piace alle persone da cui vai, che se almeno resti pulito allora ti possono amare di più. Qualche altro giorno; o settimana.
    Ma di loro hai paura. Perché non sono qui per te, perché non ti devi girare a guardarli, te l'hanno detto mille volte. Non verrai più adottato, anche se hai un bel visino, purtroppo non sei "idoneo". Insomma non sai bene cosa voglia dire ma credo sia una cosa brutta. Però forse non sarà così male crescere li: ormai è casa tua più di tutte quelle che hai visitato.
    Assurdo che a soli 10 anni tu non abbia più speranze a cui aggrapparti che non siano le avventure che leggi nei libri. Ci perdi la vista sulle tue letture e, il libro che hai stropicciato tra le dita, è uno dei tuoi preferiti:
    "Moby Dick".
    Tuttavia non ti prende al punto da isolarti, non se le dita tremano lungo la copertina, infili l'indice dove tieni il segno e dal tuo angolino, aspetti.
    Sai che Miss Tab non lascia nessuno da solo con voi, neanche qualcuno che la guarda così male come l'uomo dagli occhi di ghiaccio. Non ti spaventa, quando di sfuggita lo spii. Ti sembra forte. È forte no?
    E torni sui libri quando la governante protesta "Oh, lasci pure.. Ramon non è .-" cosa non sei? Non lo sai, perché qualcuno ha stretto le mani intorno ai polsi di Miss Tab, e lei tace da allora. Non senti i modi in cui priva a convincere quella persona.

    "Non parla da quando è qui"
    "Dev'essere un bambino con problemi "
    "Stiamo facendo accertamenti"
    "Guardi non credo giovi alla sua immagine, al-"

    "Non è neanche un mago!"

    E si continuerebbe se non fosse più conveniente per lei tacere ma, Ramon, tu che detesti anche il tuo nome, stai tremando.
    Hai avuto un sussulto quando l'altro estraneo ti ha parlato. Tanto che per un attimo ti sei stretto una mano al cuore e poi subito l'hai abbassata. Non arretri, ma lo guardi. Gli occhi grandi fissi nei suoi. Sai di doverli guardare li, perché così magari hai più possibilità, ma con questo signore è diverso. Tu lo guardi perché vuoi farlo, non perché devi.

    "Davvero, non datevi pena per quel-"
    "Non un'altra parola" un ringhio

    Ti batti il medio al centro dello sterno, dopo averlo passato sulla copertina del libro. Per dirgli che anche tu lo leggi da tanto che hai paura di consumarlo. E glielo fai vedere, anche se hai il terrore che Miss Tab ti raggiunga per prenderti per un braccio e portarti via. Come ha fatto ieri. Usi il coraggio rassegnato che hai, gli mostri come è rovinato il lato con le pagine, ora ingiallite. Ti dispiacerebbe non poterlo più leggere
     
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    Non vi ascolto più, Josh. Non lo faccio perché so cos'è che sai fare e come saprai ottenere ciò che sto desiderando ardentemente adesso: Che Miss Tab stia zitta, che i ragazzini la smettano di mostrarsi dinanzi a noi come carne da macello. Come pezzi prelibati messi però in svendita. Magari perché la macelleria sta chiudendo e questo forse è un bene, magari perché anche se si mostrano prelibati, poi, questi pezzi di carne non sono davvero chissà cosa.
    Ma continua, ti prego, a ringhiare quando mi avvicino al ragazzino che legge Moby Dick. Che da piccolo, io, pur di non sentire mio padre e mia madre prendersela tra di loro per me, ho consumato l'intera libreria che abbiamo a casa. Libro per libro, anche se se con la difficoltà di capirne bene le parole, di memorizzarne. Saprei dirti dov'è che c'è una certa frase, in quale pagina specifica, ma no, non credo saprei spiegarti bene cos'è che dice. A me la narrativa piace, ma sono molto più bravo quando si tratta di testi matematici. Sono più bravo quando si parla di pozioni, delle loro dosi. Sono bravo solo con gli elenchi puntati.
    Ma Moby Dick lo ricordo bello. Mi piace, sì, come credo mi piaccia questo ragazzino. Che osservo, perché non sono bravissimo a lasciare il giusto spazio alle persone. Lo osservo perché lui si muove. Lo fa più di te, più di me, che, istintivamente, mi chino sulle ginocchia e vado a sedermi accanto a lui. Non lo so com'è che mi viene, credo sia istintivo. Così come faceva Gregory con me: Era lui che mi faceva da baby sitter quando i miei erano fuori per qualche cena importante e Marigold era ancora troppo piccola per fare la donna di casa. Mi siedo e credo di guardarlo ancora. Non lo so perché mi fa paura, Josh: Non so...è così piccolo, com'è possibile?
    Eppure mi sembra un gigante, mi sembra decisamente molto più grande di me.
    ** Legge Moby Dick...
    Lo penso, dolcemente, come fosse una poesia breve. Un enjambement pronto a crear suspance.
    ''Scusa se ti abbiamo disturbato.''
    Mi esce così, non so come. Quasi fossi seduto accanto ad un amico: Qualcuno con cui poter davvero parlare di ciò che mi passa per la testa. E c'è un casino qui, Josh. Tu solo sai che casino sto affrontando adesso. Che immagini bellissime e terribili si stanno formando proprio qui.
    ''Ma a mio marito piace un sacco ringhiare.''
    E qui puoi ancora sentirmi, perché non mi sto piegando verso di lui. Non sto andando a sibilare la nostra prima verità di questa giornata. Mi sento di doverla condividere però. Perché io ho scelto, Josh. Non lo so come, non lo so perché: Sta tutto nella pancia. Sta tutto nel cuore che mi batte a mille.
    ''E Miss Tab è un'idiota, lasciamelo dire.''
    Puntello il dito dove lo ha puntellato lui. Lo faccio per veder meglio a che pagina è arrivato: Questa è una lettura troppo impegnativa per un bambino così piccolo.
     
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    Non puoi vedere "suo marito" con gli occhi lucidi, perché non lo sai cosa si sono detti nella testa. Come le fusa di Joshua siano suonate dolci nella testa di Chrysanthemum, che ha risposto con una risata gentile, solo per loro due. In fondo che tu legga così tanto è normale; i bambini con te non parlano, non si impegnano a provare a capire i tuoi segni. Allora più un libro è difficile e più tu lo affronti, lo scali perché ti dia modo di perderci sopra più tempo possibile. Non avete neanche una libreria fornita, per questo ti va bene tutto. Ogni cosa che sappia portarti via da lì e rendere meno solitario il tuo deambulare con gli altri. Però sei un bambino così gentile, che non ti lamenti mai. A volte ti arrabbi, si, ma resta qualcosa che si placa in fretta, che torni a chiedere scusa subito, che cerchi un modo veloce per farti perdonare e non perdere quei minimi contatti che ti restano.
    Nè quelli nuovi a chi ti avvicini per empatia, ne quelli che già ti conoscono ma non sanno perdere tempo con te.
    Quindi si, non sai perché ora il mondo si cheti, perché Miss Tab abbia scelto il mutismo, restando a guardare le vostre schiene e come, Joshua, abbia già messo un punto fermo sul traffico di bimbi tutti preparati e puliti per l'occasione. Non tu che trai ricci hai ancora un po' di polvere caduta dal caminetto dell'altra stanza, quella che nessuno vede. Lì nessun visitatore è ammesso.
    Questo tipo, a cui fai spazio accanto a te, cos'ha di speciale? E' diverso dalle famiglie tutte imbellettate che ti hanno portato a casa negli anni. Non è spocchioso come gli Stone, né ti sembra anonimo come i Farrel. Non lo sai, ma ti si avvicina e non ti sposti, non arretri, Ramon. Anzi, tu sorridi.
    Ti si allarga proprio un sorriso carino, scoordinato perché hai ancora un dente da latte che si muove e ti rende storta l'espressione. Gli occhi sono talmente aperti che socchiuderli non li schioda da lui.
    Non è buon conto annuire al fatto che Miss Tab sia un'idiota, ma lo fai perché se lo fa un altro adulto allora si può, no?
    Tuttavia tremi ancora un po' quando si avvicina al tuo dito, vuole.. vuole toccare il libro? Può farlo, Ramon?
    N-no?
    Il cuore in gola ti batte fortissimo, ma lui ti piace, lui non vuole strapparti il libro di mano, vuole solo vedere, giusto? Allora magari puoi.. magari puoi guardarlo con gli occhietti spaventati, ma tenere il libro saldo tra le dita pallide e aprirlo dove lo tocca, ma dalle tue mani, non sia mai che se lo porti via. E' il tuo tesoro, mica cosa da poco! Non ti accorgi che stai ansimando.
     
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    Ritiro il dito. Lo faccio sempre istintivamente, senza pensarci troppo su. Non sto pensando adesso, Josh e spero che questo ragazzino possa imparare a perdonarmi per questo. Imparare, sì, perché è con noi che tornerà oggi. Verrà via con noi, a casa nostra, da Alice, nella libreria che mio padre ha curato per tanti, tantissimi anni. Ed io ci credo Josh, ci credo così tanto che nello scansare il dito mi lascio sfuggire un altro ''Scusa.'' Sibilato tra i denti. Che non voglio, Josh, non voglio per nessuna ragione al mondo sentirlo respirare così. Affannarsi per qualcosa che non capisco. Avere, non so...magari paura di me? Io voglio essere il meglio per lui. E non lo so, non lo so com'è che si forma questo pensiero, ma succede e basta.
    ''Non sono molto bravo in queste cose...''
    Con le adozioni e non solo. Insomma, non sono un granché nemmeno con le persone, ma questo spero che lui non possa notarlo mai. Magari per lui sarò perfetto. Magari...beh, buon dio, lo spero davvero.
    ''Dico, insomma...''
    Ed è tutto un sibilare, Josh. Un sibilare tra me ed il ragazzo. Quindi scusa se non contribuisco a mantenere aperto il colloquium, che sì, resta così, immutabile, ma non ci parlo attraverso. Tu recepisci ciò che puoi, però, perché io sento di potermi sciogliere qui. Di non avere la benché minima forza di tirarmi su.
    ''Joshua ed io ci siamo sposati nemmeno un anno fa. E ti giuro, non voglio ammorbarti con la storia della nostra vita, ma a me lui è piaciuto da sempre. ''
    Sospiro e lo faccio buttando le gambe in avanti. Non mi rendo nemmeno conto di star iniziando a raccontargli una storia. La nostra. Non lo so da dov'è che mi esce, ma credo che lui debba sapere chi siamo, conoscerci un pochino, ecco, prima di venire con noi. Perché viene con noi, deve, non accetto, credo, no.
    ''Forse ero poco più grande di te quando mi sono innamorato.''
    Picchietto i talloni semi scoperti contro il pavimento. Sto persino comodo: Quindi, ecco, lasciami pure qui se inizio a diventare uno stupido pesantone.
    ''Però insomma, ecco...io non mi aspettavo che lui volesse un altro figlio da me. A casa con noi vive una bambina, una peste intelligentissima e super sveglia...ma ecco, il motivo per cui siamo qui oggi è diverso.''
    Appoggio la schiena contro il muro, lo faccio per stirarla un po', per lasciar scivolare lo sguardo lungo il soffitto sulle nostre teste.
    ''E...e a casa, Josh ed io abbiamo una libreria così grande che magari se cerchiamo bene la troviamo una versione di Moby Dick meno rovinata di questa...''
    Lo guardo, lo guardo e mi rendo conto di non sapere come dirglielo. Di non sapere cosa dire. Non gli ho nemmeno detto com'è che mi chiamo.
    ''Ah ehm...ovviamente Josh è lui, quell'incrocio tra un chihuahua ed un dobermann. ''
    Sorrido piano. Mi piaci così tanto Josh, spero tu possa piacere anche a lui e lui a te.
    ''Io sono Chrysanthemum invece, come il fiore, già, ma tutti mi chiamano Chrys.''
    Sospiro, mi passo una mano sul viso.
    ''Tu non sai quanta paura ho di fare brutta figura con te, adesso.''
    Come se il bambino, ora, fossi io.
     
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    Non conosci tante persone che si siano mai prese la briga di capirti. Di chiedersi perché tu non usi i vocaboli che conosci, le frasi che impari dai tuoi preziosi libri. Nessuno, trai pochi, si è mai scusato per non averti compreso, per aver commesso un errore con te. O - ancora meno - per aver violato i tuoi spazi. Che tu un po' ci hai provato a tenerli per te, a ricavarti angolini di pace, e fortunatamente sei talmente magrolino ed ossuto che passi nei punti più stretti. Così ti sei fatto furbo per sfuggire a Oscar e Theo. Che quando si mettono in due sono brutali. Ovviamente poi, nessuno sa mai niente e non si può certo frignare davanti a Miss Tab.
    Lei, è un'idiota.
    Chryanthemum invece ti parla. Continua anche quando tu non rispondi, anche quando ti infili il libro sotto la maglia, che fai così per proteggere i tuoi beni dagli strattoni degli altri bambini.
    Ti parla se tu neghi, gentile, non vuoi che si preoccupi, non vuoi che si agiti, perché insomma.. forse è una speranza quella che senti?
    Allora lo stai a guardare, cavolo se ti concentri. Ma non devi neanche forzarti, perché la sua storia la vuoi sentire, tanto che ti spingi tu verso di lui, ti accoccoli con un gomito piantato sul ginocchio, perché sei assorto. Sei un po' nella fase che, meh, non ti avvicini alle ragazzine, ma di quello che descrive hai letto nei libri. Non sei così chiuso, tu vuoi provare tutto, ma ora il cuoricino batte per altro. Per.. una vicinanza. Che lui ti parla, ed è alto, altissimo. E' lungo come un palo, ha il viso preciso e lo punta in alto mentre parla. Ti piace come lo fa, ti piace che ti dica cosa anche se non puoi rispondere. E'.. accogliente, non trovi? Tanto che ti fai più vicino, che un piedino gli sfiora il ginocchio. Tu che per l'istituto giri scalzo, così corri più veloce dei tuoi bulli.
    E poi torna a guardarti, allora ti blocchi. Sei intelligente, Ramon, tanto da esserti scelto un nome da solo, uno con cui non ti chiama nessuno. Sei intelligente e sai che i tuoi giri di parole portano a sentire il cuoricino esplodere. Hai paura di piangere, e non si piange davanti ad un futuro genitore, non se non lo dice Miss Tab.
    Suo marito si chiama Josh.
    Mimi il suo nome.
    Lui si chiama Chrys - l'altro è troppo lungo.
    Mimi il suo nome.
    Tu.. tu ti chiami Remì.
    Mimi il tuo nome, indicandoti prima il petto, come precedentemente hai fatto indicando Josh e, poi, sfiorando Chrys.
    Sorridi voltandoti verso Joshua, perché speri faccia altrettanto. Lui che vi guarda tanto da farti diventare rosso. Non sai, non sai come dire le cose che vuoi dire. Non puoi, sei bloccato, e a volte questo ti manda su di giri, in crisi. A volte finisce che urli dentro e piangi fuori, perché non riesci a farti capire.
    Ma non adesso. Adesso hai paura che succeda, allora stringi forte gli occhi e li riapri solo se respiri. Come ti ha insegnato Emma. Solo se respiri.
    Hai un'idea. Eccome. Apri veloce il libro, di nuovo. Glielo appoggi sulle gambe perché veda, ma sempre sempre in mano tua. Con una lo tieni stretto, e con l'indice dell'altra gli indichi alcune parole, casuali. Servono a ordinare una frase.
    "A-n-che io ho paura" e, ancora, volti pagina veloce, frenetico. "Posso leggere i tuoi l-i-b-r-i?"
     
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    Josh, sei ancora qui? Va tutto bene, vero? Perché con Alice le cose non sono andate così? Perché...io non vi vedo più. Non ci sei più tu, ora, non tu, non Miss Tab. C'è solo lui, adesso. C'è solo il modo che ha di ripetere il tuo nome senza emettere alcun suono. Ed io gli guardo le labbra. Io annuisco con un cenno del capo quando lo fa. Senza chiedermi il perché, senza chiedergli perché non parla. Non è importante, no? Se quando mima il mio nome arrossisco come fossi un bambino innamorato. Suona così bene il mio nome in questo silenzio bianco. Si posa bene sulle su labbra. Tanto che schiudo le mie, lo faccio mimando le sue quando, aprendole, indica se stesso.
    R - E - M - I.
    ''Remì?''
    Lo pronuncio piano, pianissimo, proprio come fosse un segreto solo nostro. Perché lo è, no? I nomi sono importanti, Josh. Me lo ha detto Erika non so quante volte. Tanto che è proprio per questo che io porto questo: Perché dovevo ricordare la famiglia, in primis. La famiglia ed il loro amato lavoro.
    ''Che bello...''
    Lo è davvero: Suona così bene messo vicino ad Alice. Alice e Remì, Remì ed Alice. E continuo a seguirlo, Josh. Non avrei mai creduto potesse esser tanto rilassante concentrare l'attenzione su una singola cosa. Su lui, lui soltanto, che nel modo che ha di muoversi mi rilassa, scioglie ogni fottuto muscolo. Remì è ipnotico. Vieni a vedere, è meraviglioso. Ed allungo una mano verso di te, sì, prima di sentir puntellare il suo gomito contro la mia gamba. Mi si ferma il cuore. Mi fa così male quando batte. Che dolore meraviglioso.
    ''Remì...''
    Lo chiamo, pianissimo, affinché il suo nome si fissi sulla mia lingua. Affinché ci sia una fotografia di questo momento.
    ''Non avere paura...Ci sono io, se vuoi. E poi Joshua, sì, lui è bravissimo a combattere le paura. C'è anche Alice. Lei è a casa ti...ti.''
    Balbetto, che sciocco.
    ''Ti aspetta lì, se vuoi. Per leggere tutti i libri che vuoi insieme...Cioè, sì, magari riesci a stimolarle la lettura, che è una capra svogliata lei.''
    E me la porto una mano sul viso, scusa. Che la caccio via questa lacrima prima che lui possa vederla. Lo faccio che lo sguardo ora lo rivolgo a te. Avvicinati, ti prego, vieni un attimo con noi. Portaci a casa, Amore mio.
     
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    Lo vedi? Ha messo l'accento sul tuo nome. Oh eccome se lo vedi, perché il tuo cuoricino continua a battere fortissimo, i tuoi occhi si infossano appena, lucidini. Non gli vuoi far vedere che sei un po' un piagnone, ti chiama così Theo. Però ci riesci davvero a respirare come ti ha insegnato Emma, a contare fino a tre con l'aria dentro e poi espirare per due lunghissimi secondi. Quasi eterni, che quella è una parola che conosci. Forse per la tua età ne conosci anche troppe.
    E lo guardi, questo Chrys. Ti piace come "risuona" la sua voce, un po' alta, un po' bassa, un po' che ti entra dentro e ti mette al sicuro. Ha senso, Remì? Non succedeva con gli altri genitori e.. e loro non erano qui per te, o si? Ti riporteranno qui quando saranno stanchi di te? I Nerville ti parlavano dolcemente, lo ricordi. Ti chiedevano se stavi bene ogni cinque minuti, che il tuo silenzio li inquietava, non sapevano mai se eri felice o triste e sembrava proprio gli importasse molto. Certo non potevi saperlo, all'inizio, che era solo una facciata, solo per potersi vantare con le altre famiglie di aver adottato un bambino problematico, ed essere dunque migliori di loro.
    Già, lo stesso bambino che poi era "troppo malato" per restare in una casa come quella. Ti hanno spinto oltre i confini di sei stati, e poi rispedito qui via passaporta, neanche un saluto, solo il tuo zainetto con le cose che non ti stavano più bene - perché cresci velocissimo in questi mesi.
    Guardando Chrys, preghi non sia così stavolta. Ti dispiacerebbe troppo, perché questo qui ti sta simpatico, non è solo alto, è proprio bello.
    Tanto che quando ti chiama ancora, tu ripeti - più lentamente - il gesto che richiama il tuo nome, perché lo confermi così che è come ti chiami. Come vuoi essere chiamato, come quel topino del cartone animato che ti piace tanto. E' così stupido?
    E lo capisci dove vuole arrivare. Perché non sei stupido, Remì, sei il più sveglio di tutti lì dentro, e sarà perché ti dicono le cose quando sanno che non potresti ripeterle, o perché leggi libri con troppe metafore per avere solo dieci anni, ma tu lo sai e basta.
    Sai che vuole portarti a casa con Josh. Quello che si è sposato da poco ma che gli è sempre piaciuto. Ha detto così, e tu nella memoria di ferro l'hai già scolpito. Al punto che ti si allarga un sorriso più grande dei precedenti. Che annuisci, che del libro un secondo, per uno slancio ti dimentichi, che ti infossi piano con lui, in un abbraccio scomposto e contorto, stringi tantissimo. Così magari la paura va via.
     
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    L'ho capito da Moby Dick, e dal modo in cui hai modulato il tono nella mia testa, che ormai sai fare tutto, Chrys. Ma forse, forse l'ho solo trovato prima di te, per te. Come il cazzo di cane che sono, quello che scova le anime in pena e poi le ama alla follia. Tanto che lo sapevo che la stronza doveva stare zitta, e molto in fretta. Che sì, le ha dette le sue stronzate, ma io guardavo voi. Il suo essere tanto magro e schivo, ma totalmente rapito da te. Gliel'ho letto nelle ossa prima che potessi acciambellarsi come un gatto. Uno che se tocchi troppo a lungo poi scappa e soffia in un angolino, cristo.. sai che forse è anche come me?
    Non so come cazzo sia possibile, ma abbiamo deciso, lo abbiamo fatto dal primo passo che hai mosso verso Ramon. Ho sentito quello che hanno detto. E' muto, e questo non è un deterrente. Non per noi, forse è un cazzo di incentivo. Non parla, dicono. Non vuole parlare, non ha motivo per farlo, allora apprende diversamente, si spiega diversamente, ed io voglio portarlo via da qui. Voglio dargli un posto in cui nessuno gli metta fretta, che non viva sotto pressione, che abbia i suoi spazi. I suoi tempi, come ne ho bisogno io.
    Magari empatizzo troppo, ma cazzo.. cazzo Chrys lo so che cosa vogliamo, lo so già ora. Lo so che ho mandato la direttrice a compilare quelle fottute carte. Lui torna con noi. Ed è deciso.
    Che sto già annuendo quando mi allunghi la mano e mi guardi, e Cristo se mi pugnali al cuore anche così. Dio, Chrys.. che cosa sei? Perché questi istinti li muovi solo tu? Tu che mi fai sorridere piano, che se i tuoi occhi sono lucidi, allora quasi lo sono anche i miei. O almeno lo è l'unico che funziona, l'altro è una pallida imitazione statica.
    "Ehi, ciao..." che forse mi rivolgo ancora a te, prima che a lui, a voi. Al bambino che ti abita nello sterno, ed a quello che ti stringe da fuori, che neanche lo sa come possa farti morire dentro ora. La mia mano si allunga oltre la tua spalla, e poi, piano anche alla sua. Miei. Siete miei adesso. **Si, non dirlo nemmeno, è lui., stavolta ti rispondo, te lo confermo **Viene con noi, subito. Subito, senza il tempo di giorni di burocrazia di merda, le conviene assecondarmi e basta. Ti sento il cuore esplodere. Dio, amore mio.
     
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    ''Chrysanthemum.''
    Erika non si sporge mai oltre la porta che da sulla cameretta. Erika resta sempre un po' fuori, ferma sull'uscio, quasi trovasse impossibile andare oltre. Mettere piede oltre l'oscurità sfaldata dalle luci calde delle stelle che, dalla lampada, ridisegnano firmamenti fittizi contro il soffitto. Gliel'ha comprata con riluttanza quella lampada: Perché lei ama le candele, perché sa con certezza che presto imparerà ad amarle anche Chrysanthemum.
    Suo figlio la guarda, lo fa alzando gli occhi dall'ennesimo libro di erboristica di suo padre. Con la matita, timidamente e sapendo di non poterlo fare, ha già tracciato frecce leggere sulle pagine che più gli interessano. Non lo fa perché ciò gli serve, no, la sua è solo un'abitudine che non sa togliersi. Così come non saprebbe come smetterla di memorizzare ogni pagina a memoria. Il suo numero, i suoi paragrafi. Ed è l'unica cosa, quella, che sa distoglierlo davvero dalla situazione in cui si è involontariamente ritrovato: Che con i suoi non ha voglia di parlarci, non quando ha solo dieci anni ma gli adulti cercano sempre di trattarlo come se ne avesse decisamente di più.

    ''Erika...''
    Un sospiro adulto il suo, che sua madre non sa chiamarla madre. Non lo ha mai imparato forse, seppur sappia con precisione che quella sì, purtroppo è proprio sua madre.
    La signora Sinister non si scompone. Tira su un sorriso leggero, ma non per questo meno forzato e sempre restando sulla porta, lascia andare un sospiro prima di tornare a parlare sopra suo figlio.

    ''Hai letto La Storia dei Tre Fratelli di Beda il Bardo?''
    Ad Erika deve piacere, ma suo figlio non capisce perché lei ci tieni così tanto a fargliela leggere ogni fottuta sera. Tanto che ora la guarda, lo fa incastrando l'indice a pagina cinquantadue. Lo fa alzando i suoi grandi occhi verdi per incastrarli in quelli altrettanto chiari dei suoi. Sono identici, l'uno l'immagine dell'altra se non fosse per i capelli di lei rossi come la passione.

    ''No.''
    Risponde lui cercando di sembrare quanto più impassibile possibile. Che sua madre solo guardandolo sa farlo tremare. Trema sempre quando ha a che fare con lei.

    ''La solita delusione.''
    Dice lei, amorevolmente, soppesando il peso del corpo su di una gamba sola. La mano che prima incassava il gomito rigido nell'infisso della porta, ora scivola stanca come il pendolo di un orologio lungo i suoi fianchi. Questo è il tempo che Chrysanthemum da alla sua pazienza. Glielo conta restando ad osservare le dita della sua mano.

    ''Non mi piace...''
    Cerca di giustificarsi lui, incassando le proprie parole nelle spalle. Stringendosi forte contro la spalliera del letto.

    ''Ho bisogno che tu impari a comprendere determinati significati.''
    La sua voce, ora, sembra quasi dolce, ma non per questo arrendevole alla tenerezza che sa fare suo figlio.

    ''Perché? A me non piace, davvero davvero.''
    E non capisce, Chrys, cos'è che desidera sua madre. Cos'è che la fa incaponire così tanto.

    ''Perché non si è potenti solo imparando a memoria dei numeri.''
    E lei odia, odia terribilmente che Oleander non abbia mai polso con lui. Che lo educhi, sì, ma lasciandolo, di tanto in tanto, cedere alle proprie abitudini. A quegli atteggiamenti strani che lo rendono emarginato, difficile da gestire quando sa lasciarsi prendere dalla collera.

    ''Ma Cadmus Peverell si toglie la vita a causa del suo dono.''
    Chrys la guarda alzando un sopracciglio, assumendo quel fastidioso tono da so tutto io che Erika odia. Tanto che digrigna i denti lei quando suo figlio fa così. Quando parla come un adulto e risponde, sì, lasciando intendere di saperla lunga su ciò che pronuncia.

    ''Allora?''
    ''Allora è brutto.''
    ''Moriamo tutti, Chrysanthemum.''
    ''No, io non muoio.''
    E lei ridacchia. Se ne sta ancora sulla porta solo per ridere di lui. Delle sue stupide idee da supereroe.

    ''Morirai anche tu. L'unica cosa che ti resta da fare è decidere come farlo.''
    ''Cadmus Peverell si uccide perché la sua ragazza era triste.''
    ''Tu non farlo mai. Non amare mai qualcuno al punto da ucciderti.''
    ''No...''
    ''Guardami, Chrysanthemum, quando prometti.''
    ''Morirò...morirò solo quando sarò diventato inutile.''
    ''Bene, non essere inutile.''
    ''No.''
    ''Non farci vergognare di te.''
    ''No.''
    ''Che cosa dice la storia scritta da Beda il Bardo?''
    ''Che io non sono inutile come Peverell.''
    ''Oh...''
    Lei sorride.
    ''E che della morte?''
    Lui alza lo sguardo, non capisce ancora cos'è che vuole insegnargli.

    ''Della morte non dobbiamo spaventarci, se siamo noi a governarla.''
    Cala il silenzio.

    ''Puoi fare di meglio, impegnati.''


    Ma il meglio che io sono riuscito a fare, forse, è proprio questo. Siamo noi tre, adesso. Sono queste lacrime di cui mi vergogno. Perché mi rendono inutile, perché mi rendono come Erika non avrebbe mai voluto vedermi: Un piagnone. Ma io sono così. Ci ripenso quando guardando il bordo del suo libro, quello che tiene stretto al petto, ci rivedo me e le fiabe di Beda il Bardo. Ed io, a conti fatti, Moby Dick lo odio nel medesimo modo: Perché non lo capisco, perché non so leggere bene tra le righe e se lo faccio, se stringo gli occhi per concentrarmi meglio, le lettere poi iniziano a girare così vorticosamente da farmi male alla testa. Per questo porto gli occhiali quando leggo. Per questo ora vorrei tanto portare gli occhiali quando parlo con loro: Perché non la voglio la testa che gira, no. Io vorrei sentirmi sicuro, stabile e non per questo lasciarmi andare all'emozione. Ma non so resistere, non quando Remì mi stringe e lì sento di mancare qualche battito. Che quando ti avvicini tu, forse, è anche peggio. Perché sei bello, Josh. Non so smettere di dirlo: Sei bello quando lo saluti, quando palesemente ti ritrovi a non sapere come approcciarci. Come io con Alice all'inizio, come i nostri genitori con noi. Ed io non son risponderti nella testa adesso. So solo alzare il viso verso il tuo. Gli occhi verso i tuoi e batter le ciglia. Magari per scacciar via una lacrima. Magari per recuperare respiri laddove non sapevo di poter respirare.
    ''Può...può fare le valige ora?''
    Ti chiedo come per aver conferma di poter urlare al mondo di essere felice. Di aver ottenuto senza troppi problemi ciò che vogliamo entrambi: Nostri figlio, il fratello di Alice, nostra figlia anche lei.
    ''Puoi...''
    E mi rivolgo a Remì adesso.
    ''Remì, puoi venire a vivere con noi?''
    E non mi importa, no, che le adozioni non funzionino propriamente così. Che c'è bisogno di tempo, di rispettare una burocrazia schiacciante, fastidiosa sino al limite.
    ''Credo che Alice si sia già messa a preparare una festa per il tuo arrivo.''
    E lo spero, ecco, perché in realtà non ne sono propriamente sicuro. Ci abbiamo parlato con lei, certo, ma forse avremmo dovuto parlarci di più. Forse avremmo dovuto darle più tempo.
     
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