Cordibus Vestris

Remì e Chrys | Villa Sinister - 5 Novembre, 2029

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    Ti dispiace, Remi.
    Lo si legge negli occhi, spenti e tristi contro i mobili della cucina. Che stringi i denti in silenzio, soffrendo da solo, ancora con il fiatone. Odi litigare. Detesti doverti imporre ed innalzare ragioni che neanche vengono ascoltate. Perché lui odia quel ragazzo a prescindere e tu avevi il compito di guardare casa. Da quanto fai entrare il "nemico"? Dio, Joshua ti ha guardato con così tanta delusione negli occhi che ti sembra di non saper più come si prende fiato. Sa essere così feroce, l'altro tuo padre, così tagliente se assottiglia lo sguardo e ringhia. Anche se gli tieni testa, se da lui hai imparato anche questo, non basta. Il tuo resta un cuore di panna, morbido, ora un po' sanguinante. Ti dispiace di averlo guardarlo come se non dovesse permettersi di dirti più niente; che sei grande tu e le decisioni sai di prendere con cognizione di causa. Ti sei impuntato, quanto ti ci sei sentito in quelle scarpe strette al collo del piede. A battere i tacchi ci hai messo due secondi, appena hai capito dove stava andando a parare tuo padre, Joshua, lo hai morso.
    A parole sei bravo, Remi, molto più di lui, e quando glielo hai detto, che non hai fatto niente di male, hai teso i denti allo stremo. Hai mosso le mani a rimarcare con i segni ogni respiro che ti costringe a prenderti.
    Siete così belli quando vi fronteggiate, che tu pur essendo più alto di lui, resti piccolo. Hai solo diciassette anni, e neanche sai che Josh alla tua età era molto peggio. Non ci provava nemmeno a discutere con Osmar, lo ignorava e prendeva la sua strada. Giusta o sbagliata che fosse. Più le seconde che le prime.
    E tu senti che non hai sbagliato a permettere ad Efrem di entrare in casa. Era uno stato di emergenza, lui ti ha pensato ed a te è morto il cuore, preceduto da battiti inesistenti sul fondo dello stomaco. Hai ceduto un po', ma cavolo hai aiutato un amico. Solo questo. Anche se ti tormenti le dita, le porti alle labbra che tremano. Ora che resti al buio perché con la luce ti si vedrebbe quella lacrima di rabbia che solca il volto. Non ti piace discutere neanche quando hai ragione, ti innervosisce, non sai prendere le cose in un modo che non intacchi lo stomaco. Ora brucia.
    E resti qui, con le orecchie ancora piene del rumore che ha fatto lo sbattere del portone di casa, quel "Papà scusa io.." che hai avanzato tremante quando non poteva più sentirti. C'è l'avevi in gola e lui l'ha capito. Avevi tra le labbra la frase peggiore dell'universo. Quel "non sei davvero mio padre, non puoi decidere per me" che ti ha spaventato prima che aprissi bocca. Non l'hai fatto, per fortuna, ma Joshua te l'ha letto lo stesso e tu lo sai che gli ha fatto malissimo.
    Perché voi siete pericolosi, Remì, combattete senza esclusione di colpi, testardi. Non è neanche la prima volta che succede, ci hai costellato l'adolescenza di incomprensioni con Josh, anche se non l'hai mai visto così offeso da te.
    Ci ripensi ad occhi sbarrati, quando poi lo chiudi piano e appoggi la nuca al muro. Stupido stupido.
     
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    Sei sempre stato una testa dura, Josh. Ma non hai mai compreso o almeno, forse ti è convenuto far finta che non fosse così, di come tuo figlio Remì sapesse essere altrettanto testardo. Perché sì, somiglierà a me nel viso, nei modi che ha di essere tanto silenzioso, dolce, a tratti, ma il resto è tuo. La sua forza, le sue idee, sono più tue che mie. Dopo Alice, che forse è figlia di un mescolare ben diverso, Remì si è fatto tutto. Ed è così vicino a me e te da non farmi mai dubitare sulla quale sia la sua giusta provenienza. L'ho partorito io. Anche se geneticamente è impossibile, lui è venuto fuori da me e da quell'amore forte che sai ostentare tu.
    Per questo questa mattina non hai trovato un amico in me. Non quando cercando di farti capire le sue, di posizioni, ti ho lasciato sbattere la porta di casa.
    Mi dispiace quando andate via. Quando vi basta metter un piede fuori da qui per lasciar che Villa Sinister sprofondi nella sua oscurità. Ed è tutto così triste oggi. Lo è perché non c'è un sussurro a smuovere i quadri di questa casa. Non una foglia che si affaccia per errore da una finestra aperta, né l'odore del glicine fuori da qui. Ma il suo respiro io lo sento, Josh. Sento come nel farsi forte dinanzi a te nostro figlio, in realtà, ora stia soffrendo. Ma so bene come queste siano sofferenze che non portano ad una rottura. Non così, non da subito almeno. Io so bene come queste sofferenze, seppur fastidiose, siano in realtà parte del crescere. Ma non glielo esplico: Dopo tutto, sono un padre diverso da te io. E questo compito, per quel che penso, spetta solo a te. Tu che sei duro, impenetrabile, ma che dietro la tua scorza, nascondi solo il timore di vederli soffrire.
    ''Amore mio.''
    Mi annuncio così. Lo chiamo così come chiamo te quando so che esistono momenti per i quali modulare la voce serve a qualcosa. Lo chiamo com'è che sento di doverlo chiamare. Perché io lo amo, Josh, così come amo Alice. Sono figli miei in ogni loro centimetro. In ogni loro viscera.
    Allora infilo le braccia lungo i suoi fianchi. Scosto il busto esile dal muro, spingo l'indice ed il medio contro la colonna vertebrale ed aspetto. Aspetto. Quasi a ripercorrergli la pelle alla ricerca di un punto dove andar a decomprimere le sue emozioni. Mi dispiace vedervi litigare.
    Il naso, ora che è lui più alto di me, glielo spingo piano contro il mento e poi una guancia. Quasi a costringerlo a guardarmi e ad opporsi, sì. Perché sono un papà forse troppo coccolone.
    ''Non ci pensare troppo...conosci papà.''
    Ma questo non basta, Josh. Posso dirgli ciò che è ovvio: Che ti conosce tanto da sapere cos'è che ti passa per la testa, ma no, non basterà a calmarlo.
    ''Non credo abbia mai superato quelle emozioni che all'inizio lo hanno legato a zio Morgan.''
    Mi scosto per guardarlo: Che bello che è nostro figlio. Mi sembra assurdo, a volte, trovar somiglianza nei connotati quando parte della loro genetica non appartiene a noi. Non è come Alice che è parte di te.
    ''E...credo gli faccia paura, sai. Sentire che Efrem è tanto importante per te.''
    Hai paura di questo, Josh? Che un altro cacciatore ti porti via ciò che più ami?
     
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    Tu e tuo padre siete due lame. E dove lui è una spada a due mani, pronta a fendere l'aria per conficcarsi su una spalla, e poi spingerti in ginocchio, tu sei uno stiletto. Forse più crudele, o almeno è sicuro che ora ti ci senti. Tu colpisci il punto preciso, entri ed esci quasi indisturbato, ma cavolo se fai male. Sono ferite interne, quelle che provochi, che dove lui ringhia tu mordi, e dove lui morde tu ringhi. E vi siete dati battaglia così tanto, che adesso piove, e tu hai i brividi di freddo.
    Perché glielo hai visto in volto, tu lo sai che gli hai fatto male e non volevi, non vuoi mai che i tuoi soffrano. Né per colpa loro, né per colpa tua. Ma davvero vuole impedirti di vedere Efrem?
    Insomma lo sai che cosa gli fanno i cacciatori, lo sai che l'ha detestato quando ha fatto star male Alice, anche se lei sembra più forte di tutti qui dentro, tra queste mura ed anche fuori. Lei l'ha superata, si è messa il cuore in pace e con coraggio è pronta a fottersene di tutto. Certo, ma tu non sei Alice.
    Tu sei riflessivo, a volte troppo pensieroso e quando Chrys entra in cucina, ti senti già male. Tremi.
    \Ciao\ un gesto solo, quello che per te rappresenta quest'uomo, che quando ti chiama già ti cura. In fondo altro non è che una roccia a cui ti aggrappi saldamente, perché sei arrabbiato. Da morire. Non capisci cosa renda Joshua così ottuso. Perché non possa cambiare idea, o anche solo fidarsi del tuo giudizio. Che non senti giusto ti dica che sei troppo piccolo per decidere, per capire, per sapere che farne delle tue idee. Ma a Chrys ti stringi.
    La sua voce ti permette di riaprire piano gli occhi, nell'espressione triste che ti ritrovi, che un sorriso non lo tiri su neanche per sbaglio, non adesso. Non quando ti fa male lo stomaco, quando le sue mani ti tengono piano, tra le dita, come fa con i fiori. Sai, se il suo fiore tu, come lo è Alice. Ti rassicura quando fa così, quando contro di te non si mette mai, non lui che sa esserti uguale alcune volte. Che sembra ti ami davvero tanto, così quanto tu ami entrambi i tuoi padri.
    Ti abbassi piano, ti ripieghi solo per restargli più vicino, che le tue dita sono lo specchio delle sue, non sai proprio come negarti a Chrys, sembra l'unico che sa farti aprire. Quasi gli fai le fusa, anche se non va bene. Non ti va bene niente adesso. Neanche quando gli neghi l'ispezione sul tuo volto, e scosti il muso solo perché devi guardare oltre la sua spalla, ed allora appoggiarti piano a lui. Che ti culli, perché ne hai bisogno. Perché tieni ad Efrem anche troppo, in quel modo che è la base delle tue paure oggi, perché tanto sai come andrà. Male. Malissimo forse.
    "Ma fa paura anche a me!" protesti, tirandoti su per guardarlo adesso. Perché chiedergli aiuto quando non lo sai neanche tu in che termini ti serva. "Io-.." il fiato che ti manca lo lasci cadere così, scuotendo la testa piano, chiudendo gli occhi per riaprirli con dolcezza. ".. non capisco dove sbaglio, papà.." ringhi.
     
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    Lascio che si muova libero nella presa. Che abbia libertà di movimento e possa per questo decidere da sé se stringermi o meno. Se sfilarsi via o se restare al sicuro, nella zona franca costruita tra le mie braccia. Non lo soffocherei, Josh, anche se spesso mi rendo conto di esagerare con le preoccupazioni. Di usare nomignoli che forse non si confanno ad un padre. Che suonano strani. Ma non dovrei preoccuparmene, no? Se a lui non da fastidio sentirsi chiamato com'è che chiamo te, allora dovrei supporre che questo va bene.
    Ma che importanza ha ora? Che quando mi nega il viso arretro io. Lo faccio in un sospiro che non si fa carico di rammarico, ma solo di dispiacere. Non credo di aver mai avuto litigi del genere con Oleander: Con lui non c'era mai da discutere. Le cose andavano in un solo ed unico modo. Forse è per questo che in casi del genere tutto sa far più male. No? Perché se lì una speranza non c'era, qui c'è. Si fa viva, è palese.
    \Ti fa paura?\
    Glielo mimo contro il petto, piano, affinché le dita che gli sfiorano la maglia siano per lui una carezza. Un punto di congiunzione che non gli facciano mai dubitare della mia presa. Io sono qui. Ci sono per entrambi, lo sai.
    E sappiamo, no, di come Remì ci somigli anche in questo. Di come Victor prima di Efrem sia stato tanto importante da tenerlo agitato. Da dargli da pensare. Per questo faccio questa domanda senza pronunciarla davvero. Quasi a non voler che una casa, che le sue mura, ecco, possano sentirne la risposta. Resta un segreto nostro, mio e suo.
    ''In niente, Remì.''
    Ma la consolazione deve avvenire a parole. Non basta una carezza, un massaggiar di capelli, né un abbraccio di quelli stretti, strettissimi.
    ''Non c'è uno sbaglio qui solo...porta pazienza.''
    E questo non dovrei dirglielo, Josh. Perché tu stesso non sei da meno. Tu non hai mai imparato come essere paziente. Come farcela senza ferir gli altri. Senza mettere loro pressione.
    ''Lui capirà e tu...comprenderai anche tu come non sentire male qui.''
    E premo piano l'indice contro il suo petto. Contro quel cuore che è solo metafora delle emozioni che più ci attanagliano.
     
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    Annuisci, colpevole. Esposto come sei, nello spingere avanti paura che si fanno l'abbassare lento del capo. Ora guardi tutto, ma non tuo padre. Piuttosto punti alle sue mani, al modo in cui ti coccolano, ti tengono concentrato su un movimento che non dipenda da te. Lui sa farci con queste cose. Per questo, no, ti è piaciuto fin dal primo giorno.
    Che gli sei rimasto dietro le caviglie per settimane, per mesi. Credi di esserti ambientato davvero a Villa Sinister, solo grazie a lui. Tu che non hai mai tenuto tanto a qualcuno da aver paura che spingerti oltre lo allontanasse. Ora eccome se ci tieni, per questo soffri, per questo litigare con Josh fa così male. Perché lui è drastico, risolutivo, per lui è bianco o nero e per te diventa rosso non appena ti contrasta. Infiammi, scalpiti, ti innalzi con la ferocia di chi deve mantenere la sua posizione, ma l'ultima parola è sempre sua. Perché è papà, e lo rispetti. Perché ti ha detto che lui non permetterà mai più ad Efrem di entrare finché sarai sotto il suo tetto, ed allora tu hai replicato che magari avresti fatto le valigie e gli avresti tolto di dosso il tuo peso.
    Si, l'hai fatto con gli occhi lucidi, per questo speri davvero che non ti abbia creduto, che non vuoi andare via da casa tua. E le dita su Chrys si stringono.
    Si che hai paura. Hai paura di provare un sentimento tanto forte per Efrem da trovarti a terra, perché non è possibile ricambiarlo. Hai paura di aver fatto troppo male a Josh ed esserti reso intollerabile. Anche se poi era lui che ti portava a dormire con loro quando avevi gli incubi. Lui che entrava nei sogni per calmarli, per difenderti quando le parole non le sa usare se non per ferire. Lui che curava te e Chrys quando stavate male in due, perché troppo appiccicati. Lui che ti preservava dall'umore nero in alcuni giorni, lui che vive per difenderti anche quando sai cavartela da solo.
    Non vorresti, ma quella lacrima ti scende lo stesso, bagna piano il dorso della mano di Chrys, scivola già tra i tendini tesi, e tu resti in silenzio. \Non volevo dirlo così...\ così, perché hai paura che le parole non riescano ad uscirti, che lo sai come Josh esasperi ogni cosa, ogni discussione con lui diventa una guerra, ed ogni atto d'amore si espande all'infinito. Ma questo ha sempre mosso punti in te che solo Chrys ha saputo capire, e calmare.
    Infatti ora respiri meglio, anche se più immagazzini aria e più lo stomaco punge. E fa male anche lì, dove ti indica lui, che annuisci ancora. Perché sei intelligente, lo sai che ha perfettamente ragione, che se tu e Josh non vi mandaste in fiamme in cinque secondi, lo capireste entrambi ciò che vede lui.
    "Adesso fa proprio male.." ammetti, con la voce che è un sibilo. Che la pazienza la possiedi, ma sa sfumar via come bruciata se il fuoco è troppo grande ad alimentare il resto. ".. ma passerà, vero?" lo sai.
     
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    A volte dimentico chi di noi due è stato il primo a far capire all'altro che le cose, in qualunque modo queste avvengono, prima o poi passano. Vanno via come son venute. Impetuose, sì, ma lasciando una certa leggerezza. Per questo forse adesso guardo nostro figlio con la convinzione di sapere che tutto, davvero tutto, si sistemerà. Che questa sera tu tornerai in casa. Sbattendo la porta, ovviamente. Cercando di attirare in ogni modo l'attenzione su di te. Ma tornerai da noi. Magari con solo metà coda tra le gambe, ma questo perché sei fottutamente orgoglioso, tanto che forse solo Alice sa come tenerti testa. Nemmeno io.
    ''Lo so, Remì. Lo sa anche Josh.''
    Gliela cancello via io la lacrima dal viso. Perché sia bene come Remì non debba piangere. Ce l'eravamo promessi no? Forse solo nella testa, come un monito a convalidarlo con un accenno dello sguardo. Che sì, sì, i nostri figli non avrebbero pianto mai. Perché sono forti: Migliori di ciò che potremmo mai auspicare di diventare noi.
    ''Sapete entrambi come far male a parole.''
    E glielo dico sorridendo, anche se so bene come tu sia in grado di ferire anche con i pugni ed i denti. Che le tue dita sono lame così come la tua lingua. Sei letale, amore mio, ma se torni a casa per la cena giuro che ti perdonerò ogni cosa.
    ''Ma passerà tutto. Non è una promessa eh, solo qualcosa che so.''
    Mi stacco da lui solo per andare a riscaldare un po' d'acqua. Che adesso del thé caldo è proprio ciò di cui abbiamo bisogno noi. Perché sì, Remì si infurierà come te. Andrà a fuoco nel tuo stesso modo, ma poi sa calmarmi come mi calmo io. E se io gli dimostro tranquillità allora so bene come lui finirà per assecondarmela.
    ''Perché quando ci sia ama così tanto non ci si perde di vista per un litigio.''
    Ci provo a rassicurarlo in un sorriso che si staglia dolce e leggero lungo il viso. Ci provo a rilassarlo con certi movimenti ripetuti delle mani. Con un agitar leggero delle dita che se sfregate velocemente ricordano il battito d'ali di una falena.
    ''E non preoccuparti per Efrem.''
    Sono serio, Josh. Perché questa cosa dobbiamo imparare a superarla e non esiste più un prima o poi, esiste solo un ''ora''.
    ''Non piacerà ai Çevik, ma a noi sì, no?''
    Perché per me ogni ragazzino è un figlio. Forse rimpiango di non averlo capito quella volta nel barber shop, quando ho preferito la violenza alla salvezza. Quando ne ho condannati due convinto di poterli salvare.
     
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    Dice che lo sanno, Remì. Sanno che non lo stavi dicendo per altro che per ferire. Tu lo volevi così quel momento, quando hai tirato fuori il petto e ci sei andato giù più pesante che hai potuto. Quasi l'hai sentita la corruzione farsi largo contro la morale, contro tuo padre. Joshua. Che nei picchi di dolore sai detestare così tanto. Ma si tratta di secondi, piccoli attimi di cui ti penti subito perché tu non sei cattivo. Non sei crudele, non sei un sadico, non sei quel mostro che forse - senz'amore - saresti.
    Sapresti essere più letale di quel padre che, sai, ha dilaniato per molto meno. E' solo che adesso vorresti abbracciare anche lui. Sai che ti si avvicinerebbe tenendoti per una spalla, dovreste poi anche guardarvi negli occhi, scusarvi a vicenda. Poi crolleresti tra le sue braccia, con compostezza. Sia mai che facciate davvero un passo indietro, voi due.
    Siete ceramiche spezzate, intervallate da rivoli dorati, quelli che Chrys dipinge con cura tra le fratture. E' la cosa che sa fare meglio di tutto: prendersi cura di voi. Assistere ai momenti peggiori, e dopo, scendere a patti con entrambi, sorreggervi.
    Chiudi gli occhi spingendo piano quelle piccole fusa che sai fare, come fossi Judas anche tu. Come se potessi prenderne i comportamenti, perché è vero che sai come far male a parole. Dio, Remì, è forse la prima cosa che hai imparato quando hai aperto bocca per emettere finalmente fiato. Le tue sono critiche talmente oneste che a volte restano inattaccabili, portano gli altri a risponder "Perché si, Remì, cazzo!".
    Ma la paura di un abbandono non la perdi mai, ti si è scritta sotto pelle come un tatuaggio, un marchio vivo contro il cuore. Che se papà dice che per un litigio non ci si lascia, tu ancora non sai esserne sicuro. Tu sai, Remì, che esiste anche il contrario, esiste un limite che non ti premuri di superare con Joshua, ma di cui ti penti istantaneamente dopo. Che lo guardi con - negli occhi - il terrore di chi prega di non essere riportato indietro, in quella vita per la quale non senti alcuna radice profonda. Tu sei nato qui, no? A Villa Sinister, nella stanza che ti hanno arredato, che hanno riservato solo a te.
    Ti fai piccolino, anche se sei un gigante questi giorni, spalle ricurve che si aprono con calma, quando affianchi Chrys. Sai cosa fa, ne imiti i gesti, se lui prepara il bollitore, tu tiri fuori le tazze, apri la scatola degli infusi, qualunque cosa possa calmarti. Così anche le mani smetteranno piano di tremare, che vorresti dirne ancora troppe su Josh, ma non ne senti la forza, né il tempo...
    Non ti sei arrabbiato con lui perché ti ha scoperto ad alzare le barriere, e Chrys lo sa già.
    Ti appoggi con la spalla alla sua. Efrem ti piace, Remì, ti piace troppo e devi tenertelo per te, che il segreto resti tra queste mura, al massimo con i tuoi padri, forse neanche con Alice a cui non sapresti come spiegarlo senza sentirti colpevole.. inquietante. Forse un plagio. "A.. noi Sinister piace veramente tanto, papà" te lo dici da solo, che così non si fa. E' che nel dirlo ti fai più cupo, spingi la fronte alla mensola bassa e chiudi gli occhi, li stringi da far male.
     
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