Weight of Heir

Beatrice/Cal | Monti Adirondack | Covo degli Assassini | 3 Aprile 2023

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    Non tornò in nell’appartamento a New York per quella notte, dormì lì, si allontanò soltanto per rifornire le cucine del covo che non erano più colme di ciò che era di suo gusto. L’attesa di sua figlia, non vista per due anni, sarebbe durata ancora qualche giorno in più. Già abbastanza grande per poter sperimentare l’odio e sapere di che consistenza fosse quello. Bile di un serpente velenoso. Aveva bisogno di qualche altro momento sul confine tra la veglia e il sonno; tra il mondo delle ombre e quello della luce. Aveva bisogno di ricordare come si facesse finta a essere un uomo, non soltanto più portatore di una lama di morte che in fondo non era nemmeno stata così utile. E doveva capire come gestire le trasformazioni prima di indagare su come spezzarla per sempre, maledizione venuta da una missione in cui forse aveva commesso qualche passo falso ma che era stata necessaria a portare un’altra reliquia tra le mani migliori, non quelle di un Templare. Percorse i corridoi silenzioso come il covo stesso. La nuova recluta lo stava attendendo in uno dei tanti studi che aveva fatto aprire per lei. Era necessaria una presentazione, rispondere alle sue domande, guarire ogni dubbio e presentarla all’Animus, la macchina che le avrebbe raccontato una storia celata e che le avrebbe permesso di ricordare chi sarebbe sempre dovuta essere. Aprì la porta lentamente, un sorriso brillante appena vide la ragazza. Le si avvicinò con gli stessi passi istintivamente silenziosi, «Beatrice, giusto? Perdona la mia pronuncia terribile, ho perso l’allenamento nelle altre lingue europee.» Le porse la mano per una stretta solida ma delicata, rapida, non sfuggente come sin da piccolo gli avevano detto di evitare, mai viscido, invece memorabile. «Chace Callum Yaxley, Maestro Assassino. Ma qui preferisco che mi chiamino Callum, in pubblico se mai ci dovessimo incontrare sono Chace.» Immaginava lo conoscesse, di cognome per lo meno. Il suo nome era stato spesso protagonisti di ignobili articoli scandalistici di gossip sulle Sacre 28 e alla sua sparizione, l’ennesima, si era parlato molto di dove fosse finito. Affari, aveva detto, senza più pronunciarsi per due anni. In troppi si erano fatti domande e a quelle avrebbe dovuto presto rispondere. Anche per questo non usciva ancora dal covo, preferiva fingere di essere solo ombra ancora per un po’. Lasciò la mano, le indicò il divano su cui sedersi prima di spostarsi indietro di qualche passo, vicino al basso tavolino centrale. Estrasse la bacchetta nera e sottile, la sventolò in aria mentre riprendeva a parlare, «Ero in missione, sono tornato giusto ieri. Gradisci un tè? Earl Grey, Prince of Wales, Darjeeling?» Due tazzine da té di ceramica bianca con rifiniture in argento e una teiera dello stesso pregio uscirono fuori da un mobile per posarsi sulla tavolino. La teiera cominciò a fumare come se fosse stata riscaldata da qualche forza invisibile.
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    Ancora una notte di quiete. Una sola, anche se le cose stanno rapidamente peggiorando. Anche se forse dovresti solamente cambiare vocabolario, o meglio, prospettiva. Forse si tratta solo della sua naturale evoluzione ormai, un inevitabile punto di passaggio che deve affrontare, scavallare per poi…
    No, se ti dicessi certa di tutto questo, di quello che avverrà tra due notti e di quello che sarà da oggi in avanti, mentiresti a te stessa e anche a lui. Ma che scelta hai oltre a questa? Oltre al curare i graffi e aspettare che questa benedetta luna arrivi a spaccargli spacchi le ossa?
    La luna pesa molto di più. Ed è quasi ironico: proprio la luna.
    Vuoi incolpare qualcuno? Sì ma chi incolpi? Contro chi dovresti puntare il dito? Forse renderebbe soltanto le cose più difficili, più insopportabili, incattivirebbe tutto, soprattutto voi che adesso avete bisogno di tutto tranne che di questo, di incattivirvi. Che sembra basti solo un alito di vento per buttare giù anche le cose che sembrano più solide. La verità è che vi siete rivelati molto più fragili di quanto tu stessa ti potessi aspettare. Su di te forse non avevi neanche troppi dubbi - sai di essere in fondo una debole - ma sulla vostra famiglia…La fortitudine ha bisogno di essere coltivata, allenata e incoraggiata, non ci si può aspettare che nasca già resistente e mansueta. È come una pianta giovane: cresce entusiasta in tutte le direzioni, ma se non la si avviluppa attorno a qualcosa di stabile finisce per ritrovarsi confusa, inutilmente rigogliosa ma senza struttura: la si abbatte molto più facilmente, fatica a nutrirsi da sé.
    Serve questo adesso, forse, serve che di fronte a questa ennesima prova tu diventi mansueta e paziente.
    Non era questa l'immagine che avevi di te stessa. Non lo era nemmeno quando sono nati i tuoi figli e allora qualcosa è stato costretto a ridimensionarsi, ti hanno costretto a piantarle quelle radici più solide. Eppure Søren aveva ragione quando ti chiedeva di non inseguire i morti. L'uomo girovago, dall'animo più libero forse a questo mondo, aveva ragione a chiederti di non inseguire l'irraggiungibile, che non si trattava semplicemente di rivolgerti ossessivamente a chi non c'era più, quanto di non scappare dalle cose reali e dalle, seppur poche, certezze della vita. Un porto ce lo devi sempre avere. Vai dove vuoi, ma devi sapere che prima o poi da qualche parte dovrai attraccare se non vuoi finire disperso. Devi avercela questa consapevolezza se vuoi uscire in mare e andare.
    Anche questo, gli Assassini, sta diventando uno dei punti fissi, e non più un affannoso rincorrere l'eredità pericolosa che tua madre ti ha lasciato, con l'ansia di veder distrutta ogni cosa da qualcosa di sconosciuto e impossibile da inquadrare all'improvviso tutto insieme.
    Non avresti voluto trovarti qui, questo è un giudizio che non riesce a cambiare, ma non puoi cancellare qualcosa che esisteva prima ancora che tu nascessi, e allo stesso tempo, ad un certo punto, dovrai accettare anche che questa è diventata la tua scelta, non soltanto quella di tua madre e di tuo padre.
    Dovrai ammansirti, a costo di scendere a odiosi compromessi.
    Trasali appena quando senti la porta aprirsi e si sciolgono all'improvviso i tuoi pensieri.
    Ti alzi dalla poltrona passando le mani sul vestito, e rivolgendogli un sorriso allunghi la mano verso la sua.
    «Va benissimo. È un piacere.»
    Conosci ancora così poco di questo posto, di questa gente, del loro scopo, ma ci sei dentro, a tutti gli effetti adesso, anche se ti sembra di essere ancora così sperduta, incerta. Anche se ancora non sei certa del prezzo che ti verrà presentato alla fine. Riesci solo a fare delle stime e a sapere cosa si rende così tanto necessario. Senti solo di trovarti di fronte a qualcuno di importante, una presenza che forse sancisce definitivamente il tuo non poter tornare più indietro.
    Una missione. Esistono davvero allora queste cose.
    «Earl Grey va benissimo. Grazie.» è quest'ultimo esce come una specie di sussurro mentre abbassi gli occhi sulle ginocchia, torturandoti con le unghie le dita.
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    Vide in Beatrice lo stesso volto appesantito che aveva avuto lui, quando il suo Maestro gli disse chi era e chi sarebbe dovuto essere. Figlio di Mangiamorte. Traditore di Voldemort. Aveva pensato di essere questo. Un ragazzo che non aveva voluto scagliare Maledizioni Senza Perdono e che l’aveva dovuto fare comunque. Un ribelle, come i suoi antenati prima di lui, in geni dell’anima che erano stati tramandati senza consapevolezza e che erano arrivati anche a un ragazzino ignaro, quando per la prima volta aveva scelto una Casa diversa e ne aveva pagato le conseguenze l’estate successiva, nel buio umido delle segrete di casa sua. Un ribelle come Robin. Un ribelle come Arthur. Due Re, alla fine del loro percorso, anche se di popoli diversi. Lui lo sentiva come pegno dal passato ma non vedeva vanti nel futuro, comunque non era per questo che aveva detto a Gideon quando gli aveva offerto tutto in cambio di niente. Si andò a sedere sulla poltrona laterale rispetto al tavolino e si piegò sul tavolino per inserire le bustine del té nelle tazzine, prese da un contenitore di ceramica della stessa collezione. Iniziò a versare l'acqua bollente nelle tazzine, una alla volta «Non so che cosa ti è già stato detto, ma se sei qui è perché sei la discendente di un Assassino e hai accettato la sua eredità.» Sapeva a grandi linee che era sua madre l’Assassina di cui era discendente. Un’eredità a breve distanza, la sua, ma potevano essercene altri come per lui erano stati due e così per altri Assassini. Si accomodò quindi meglio sulla poltrona, la schiena premuta all’indietro e le braccia distese sui braccioli. «Il nostro credo dice che nulla è reale, tutto è lecito. Dire che nulla è reale significa accettare che viviamo in un mondo che sorge su pilastri troppo fragili per garantire il libero arbitrio alle persone, e che è nostro compito è guidare la civiltà verso una nuova forma, migliore. Dire che tutto è lecito significa iniziare a convivere con le conseguenze delle nostre azioni, e che siamo noi gli artefici del futuro.» Col pollice faceva girare l’anello con lo stemma degli Yaxley sull’anulare. «Essere Assassini significa plasmare il futuro dell’umanità, nell’ombra, senza gloria né fama. In pratica, questo avviene tramite la morte di individui selezionati poiché minacce al libero arbitrio. Tiranni, dittatori, membri di oligarchie invisibili che tirano le fila in silenzio e così via…» La guardava negli occhi, ma anche in quei piccoli movimenti del corpo intenti a filare via il nervosismo della novità. Lo capiva, il primo approccio poteva essere sconvolgente e per questo il suo tono di voce era morbido, condito da quell’accento che non aveva perso nonostante il tempo di mutismo che gli aveva fatto scordare la vita in virtù della morte. «Quando vorrai, quando sarai pronta, entrerai nell’Animus, ti basterà dirmelo e ti ci porterò, anche ora se preferisci. È una reliquia che ti permetterà di vivere la vita del tuo antenato imparando tutto ciò che conosceva e sapeva fare, per osmosi. Così il tuo addestramento sarà breve e potrai iniziare subito a servire il credo. E, inoltre, quanto ti ho detto oggi ti sarà immediatamente più chiaro, scoprirai che chi diventerai è anche chi sei sempre stata senza saperlo.» Le sorrise, un’ombra calda e quanto più accogliente sulle labbra. Parlava per esperienza e per quanto c’era più verità che bellezza, nelle sue parole. «Hai qualche perplessità?» Immaginava una moltitudine. La maggior parte forse tanto profonde da lasciarla senza parole, ma se ci fosse stato silenzio avrebbe avuto lui delle domande per riempirlo.
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    «qualche…» gli fai eco con un tiepido sorriso quasi colpevole e stranito che ti si disegna come uno spasmo per un attimo sul viso.
    Continui a guardarti le mani, a girarti con il pollice la fede all'anulare, non potendo fare a meno di pensare quanto tu ti senta una estranea, messa sul palco di un teatro troppo surreale perché la tua mente semplice accetti questa scenografia, questo copione e lo riconosca come una storia reale, anche se ce l'hai proprio di fronte agli occhi, si sta svolgendo in questo istante. Continui a chiederti perché sei arrivata fino a qui, se tu non stia perdendo tempo, o se invece è sempre la stessa smania di voler correre dietro ai morti, come Søren ti aveva scongiurato tra le lacrime di non fare, e dalla quale in realtà proprio non ti riesce fuggire. Quello che sai, come convinzione personale, è solo che tutto questo deve valerne la pena, devi trovare il modo, per dare anche un senso al silenzio, alle cose che sei costretta a tacergli.
    Te lo ha detto, Errol, che è pur sempre una scelta, come quella che ti hanno dato tua madre e tuo padre, crescendoti all'oscura di questa faccia nascosta della luna. Ma è una scelta quasi obbligata: saresti davvero in grado di vivere ignorando chi è che viene a cercare te e i tuoi figli dopo aver la vita anche a tua madre?
    Non si tratta di vendetta, non è un sentimento che ti riesce covare, non ancora perlomeno, e neanche vorresti iniziare a farlo, a dirla tutta. Si tratta forse solamente di questo, di non volerti sentire capace di ignorare.
    «Io credo di avere chiare veramente così poche cose.» e lo dici quasi a bassa voce, con attenzione, una sorta di mea culpa dalla quale sei giustificata, ma quasi non ti ci senti abbastanza, proprio perché sì, perché ti senti responsabile della tua scelta.
    «Anche solo l'idea di forze nell'ombra e fili invisibili… beh era decisamente lontana. Mi è stato dato di vivere una vita piuttosto semplice.»
    Ed è questo che ti senti. In questo posto, di fronte a queste persone, di fronte a Callum. Una persona semplice, troppo semplice, forse troppo incredula. Terrorizzata anche che, strappato l'ultimo brandello di questa semplicità, finisca per essere una persona troppo diversa. Irreversibilmente diversa.
    «Ma poi mia madre è morta, e alla fine è venuto fuori che qualcuno mi stava cercando, e ho dovuto allontanarmi dai miei. Errol mi ha parlato dei Templari.»
    Entità, personaggi ancora troppo fumosi, così poco definiti, forse persino troppo irreali: pare quasi una storia allucinata e inventata quella che siano stati loro ad uccidere tua madre. Forse anche per questo è difficile covare vendetta.
    «Mi sento realmente un pesce fuor d'acqua, onestamente non so nemmeno se questo sia il posto giusto, ma il mio scopo rimane sempre prima di tutto quello di proteggere la mia famiglia.»
    Anche se forse proprio per questo non sei la persona giusta e ti trovi davvero nel posto sbagliato. Perché tua madre e tuo padre hanno dovuta metterla da parte la famiglia per continuare ad essere quello che erano. Mesi, passavano mesi prima che tu li rivedessi, prima che tornassero a casa, solo per un poco, sempre troppo poco. Era questo il prezzo che dovevano pagare per tenere te al sicuro, lontano da tutto. Tu saresti davvero in grado di fare tale sacrificio? Esistono altri modi, altre possibili scelte diverse dalle loro? Da quelle che li hanno portati a separarsi, a mettere al margine la propria famiglia? Devi per forza trovarti nella loro stessa situazione? E vorresti dirti che non hai deciso tu questa parte della tua storia, eppure c'è sempre lei, sempre la responsabilità della scelta.
    «L'addestramento.» Si apre poi come una voragine nel silenzio delle incertezze.
    «Dovrò… uccidere?»
    E adesso che lo dici, che lo domandi, quasi perde la sua veste di surrealtà.
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    Callum sorrise a quella prima risposta. Allungò le braccia per prendere la sua tazzina di tè e se la portò vicina tornando indietro sulla poltrona, iniziando a sorseggiare la bevanda bollente. Erano molte le domande che aveva la ragazza, non ne aveva dubito per un secondo. Non sarebbe potuto essere altrimenti. Ma per quanto avrebbe potuto spiegare finché non sarebbe entrata nell’Animus non avrebbe capito davvero, non avrebbe sentito, lo sapeva perché aveva vissuto e rivissuto quei suoi passati innumerevoli volte prima di comprendere davvero che cosa fosse quell’antica eredità che gli scorreva nell’anima più che nel sangue. Proteggere la propria famiglia era nobile. Rispettava l’idea come fosse un’ideologia pregnante di eroismo. Ne riconosceva anche le difficoltà. I suoi tentativi, che fosse contro Templari o mostri invisibili in menti indebolite, non erano serviti a nulla contro la potenza di ciò che sarebbe dovuto accadere. Riappoggiò la tazzina sul tavolino senza che emettesse un solo tintinnio. Rispose dopo un silenzio di pochi istanti, chiaro e granitico, «Sì.» Avrebbe dovuto uccidere. «Ma mai innocenti. Fa parte del nostro credo.» Obblighi antichi che ponevano di fronte all’esilio o all’esecuzione se infranti, e lui portava il peso segreto di uno di essi, infranto nel silenzio di tentativi giovani e che avrebbe commesso nuovamente se avesse potuto trovare le altre mani colpevoli. «Neanche a me sembrò il posto giusto più di vent’anni fa. Vengo da una famiglia di Mangiamorte in Inghilterra, nonostante non fossi schierato dalla loro parte, puoi immaginare quanto mi sentissi un pesce fuor d’acqua. Ma sono qui da allora.» Sorrise ancora, un solo angolo sollevato più leggero degli altri moti che aveva avuto il suo volto. «Se temi per la tua famiglia possiamo aiutarti a proteggerli, non devi necessariamente scegliere questa strada per garantire la loro sicurezza. Questa è una scelta importante e diventerà la tua vita se la farai. Non dovrai necessariamente metterla al primo posto prima della tua famiglia, quella sarà una tua scelta, ma dovrai dedicarti comunque al tuo compito e mai compromettere la Confraternita, nemmeno se costerà qualcosa a loro. Naturalmente tutti noi faremo in modo insieme a te che un’eventualità simile non si avveri mai.» Gradualmente più serio. «Avevo famiglia, capisco i tuoi timori.» Aveva, perché quella che era rimasta non era famiglia. Era un fantasma della morte che gli aveva portato via quel primo timido tentativo di amare. I Templari aveva ucciso il secondo. E del terzo non sapeva cos’era rimasto.
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    Eccola. Era la risposta che temevi di più. Quel "sì". Come se in fondo sperassi persino di non aspettartelo per davvero, come se il loro stesso nome fosse soltanto simbolico, allegorico quasi, ma avesse poco di reale. Da sciocca, lo ammetti, ma ci hai sperato. E forse, prima ancora che per te stessa, è difficile immaginare tua madre e poi tuo padre così. È difficile pensare a loro e reputarli capace di uccidere. Mai innocenti, ma pur sempre uomini e donne, e forse non sempre - forse mai - per sola difesa personale. Come doveva essere? Uccidere o lasciarsi uccidere? È così che ha vissuto tua madre fino al giorno in cui la prima possibilità non è prevalsa? Viveva davvero così? Vive davvero ancora così tuo padre e sei solamente tu quella dentro alla bolla che ancora fatica a scoppiare?
    È difficile. Difficile da accettare, difficile da immaginare, ma più parla, più rifletti e guardi anche solo questi spazi immaginando che i tuoi genitori abbiano camminato in questi luoghi, e più ti rendi conto di essere tu quella estranea, non a questo posto, ma a questa stessa vita, al tuo stesso nome che è nome di assassini. Sei tu quella fuori dalla norma. Non appartieni a nessuna "parte giusta", sei solamente l'eccezione. Difficile, allora, ancora più difficile deve essere stato riuscire a farti vivere una vita normale, il più possibile anonima. È stato pagato un prezzo alto, sono stati fatti sacrifici, primo tra tutti quello di rinunciare alla vostra famiglia. Ed è anche questo quello che ti spaventa, sì, pensare di trovarti adesso nella loro stessa posizione per tenere fuori la tua.
    Ma l'uccidere. Se serve questo…
    È poi giusto? No, c'è una morale elementare che ti dice di no, che non si può uccidere, non si deve, non importa, è sempre da condannare. Ma poi, a pensarci, il problema diventa un altro. Non si tratta più semplicemente della tua morale irreprensibile: basta pensare a Søren, adesso. Non sarebbe forse in grado di uccidere? Basta poco, basta un incidente, se così lo si può definire.
    Ma non è colpa sua, lui da sé non lo farebbe.
    Ma lo avrebbe comunque fatto. E tu cosa faresti, non lo giustificheresti? Con tutta te stessa, con tutta la tua contraddittoria convinzione. Del resto sei stata tu la prima disposta a rompere le regole e a rischiare pur di tenere i tuoi al sicuro, anche a costo di perderli, con questo preciso e lucido rischio. E se uccidesse, e lo volesse fare? E sentisse la necessità di farlo? Saresti ancora paladina della tua morale? Pensi a Søren, e la risposta è "Forse no".
    Il problema resta però se ti senti realmente capace di un gesto del genere, di impugnare poi nei fatti un'arma e togliere la vita a qualcuno.
    «Io non so se ne sono in grado… »
    Forse è questa la tua pietra dello scandalo.
    «Non mi riesce nemmeno covare vendetta per mia madre.»
    Forse perché tua madre è sempre stata troppo lontana, forse perché questo mondo è fin troppo sconosciuto, ancora troppo surreale, distante, forse perché ti senti troppo estranea e così impaurita a cedere. Di fronte a tutti questo? Vale davvero la pena? Puoi rinunciare, lo ha detto anche lui, è una scelta decisiva ma a cui non sei costretta.
    Ma, alla fine, c'è un fatto.
    La verità.
    Sapere la verità.
    Sei arrivata ad un punto tale dove è difficile tornare indietro ignorando la possibilità di conoscere qualcosa di più. Qualcosa che hai dentro, che hai nel sangue ma non lo hai mai saputo.
    Non sono le scelte dei tuoi genitori o dei tuoi avi che ti definiscono, quello no, ma forse mostrano la radice. Quella radice che tu non ti è mai riuscito avere. E questo conta. Conta sapere chi è che ti sta cercando, sapere perché ti vuole al punto da non guardare in faccia a degli innocenti estranei a tutto questo. E questo conta davvero.
    Ti porti la tazza alle labbra prendendo appena un sorso per poi poggiarla di nuovo sulle gambe, continuando a guardarla, mentre un'altra domanda più seria ti si formula sulle labbra.
    «Cosa… cosa pensate delle creature? Ci sono opinioni molto contrastanti e gruppi avversi, anche abbastanza violenti, da che so»,
    La domanda porta in sé risposte a molti altri quesiti che potrebbero sorgere a Callum di fronte a questa richiesta. Ma è naturale, anche questo fa parte della tua scelta adesso che Søren aspetta solo che trascorrano le ultime ore prima di vedere per la prima volta la luna, in quel modo tanto diverso da come ha fatto fino ad ora.
    «Vorrei capire cosa pensate sulla questione.»
    E adesso che lo dici, che lo domandi, quasi perde la sua veste di surrealtà.
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    Edited by .happysong. - 21/6/2023, 22:19
     
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    Uccidere, per lui, era stata educazione d’infanzia. Uccidere era qualcosa che non aveva mai voluto fare. Un vezzo di famiglia da non assecondare. Gli Assassini gli avevano mostrato un modo più giusto di usare ciò che ora pensava fosse un mezzo come un altro. La vendetta però, quella parola sulle labbra della ragazza, lo portò a stringere le dita intorno alla tazzina, un riflesso colpevole. La vendetta era un vizio criminale che non riusciva a staccarsi dalle ossa. Le sorrise, come a dissimulare quella reità nei suoi occhi. «La vendetta non appartiene al nostro credo, non ne avrai bisogno, e non dovrai mai impugnarla come un’arma.» Mai uccidere innocenti. Mai uccidere per vendetta. Due regole inviolabili di cui ne aveva spezzata soltanto una e che fremeva per spezzare di nuovo, ma in segreto. Il credo era interpretabile, dopotutto, si era convinto così di non essere nel torto. Un altro sorso leggero di tè e poi appoggiò sul tavolino la tazza di ceramica senza farla tintinnare. Quella domanda incerta tradiva affetto per una creatura, forse, oppure solo un’ideologia molto ferrea che aveva radici personali. In ogni caso non sarebbe stato un problema. «Sono persone come altre, discriminate, in questo paese.» Le creature in America erano innocenti da proteggere, con cui lottare insieme e mai contro. Era una rivoluzione da appoggiare, sostenere, infiammare. «Gli Assassini si schierano da sempre con gli oppressi, e loro sono oppressi qua in questo periodo storico. È mia intenzione aiutare la loro rivoluzione. Gli Assassini hanno sempre fatto anche questo, insorgere con i rivoltosi per infiammare il mutamento della società.»
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    Ed è proprio per questo che, forse, sarà ancora più difficile. Sarà difficile non aggrapparsi a qualcosa di tanto semplice come la vendetta. Perché quella sì, è più semplice, l'odio da qualche parte lo si può sempre trovare. È come una fiammella nascosta, piccola, ma sempre accesa, e basta poco alimentarla di nuovo. Basta un pensiero, basta soltanto credere che le cose sarebbero potute andare molto meglio se non fosse successo quello, proprio quello: afferralo, ecco, ecco l'origine del tuo odio.
    No, questo è un credo, a tutti gli effetti, questo vuole una purezza di intenzioni che non permette sporcature.
    Insorgere, rivoltosi, ti sa di anarchia, di qualcosa estremamente lontano, lontano dalle regole prestabilite, dalla tua morale borghese, lontano da te.
    Eppure - si incastra sempre lì; "eppure" si incunea sempre, in maniera fastidiosa e pungente, in quelle che sono le congiunture della tua vita, negli snodi dove qualcosa è cambiato e lo ha fatto per sempre, ha aperto una nuova epoca, ha cambiato stile, ha ribaltato le concezioni ormai consolidate. Ha portato rivoluzione.
    E stavolta, quell' "eppure" si allaccia sempre di nuovo Søren, al suo essere cambiato, ad aver affrontato la sua personale congiuntura.
    Schiarisci appena la voce, fissando di nuovo la tazza di fronte a te.
    «Ho tre figli.»
    E già questo è un dato, è una realtà di cui non puoi non tenere conto, che fissi in questa stanza tra te e Callum nel momento in cui pronunci quelle tre parole.
    «E un marito, che è stato trasformato in licantropo poco tempo fa. Decisamente poco tempo fa. Domani notte sarà la prima luna piena.» e va da se il fatto che tu ti senta spaesata anche di fronte a questo fatto, come se ti fossero piombati addosso tutte assieme queste cose sconosciute che, da sempre o da semplicemente poche settimane, faranno però ormai sempre irrimediabilmente parte della tua vita.
    «Ho bisogno di sapere che saranno al sicuro.»
    Che poi forse, adesso, è solo questa la cosa che riuscirebbe a fare davvero la differenza tra lo scegliere questo mondo oppure tornare indietro e fingere che non esista, che non ti riguardi proprio. Come se adesso ti bastasse solamente questo. Forse sì, forse in questo istante è quanto ti serve sapere, l'unica certezza da fissare in mezzo a tutta la confusione. E forse non sarà il faro perfetto, non dovrebbe essere quantomeno l'unico, rischia di lasciare al buio probabilmente troppe cose di cui invece dovresti essere sicura prima di prendere questa scelta. Ma senza quella condizione non ne esistono altre. Forse, proprio perché stanno dalla parte degli oppressi, gli Assassini potranno aiutarvi anche in questo, tu potrai aiutare Søren.
    «Puoi portarmi all'Animus?»
    Sì, alla fine è riuscire a proteggervi a vicenda quello che conta davvero. Proteggersi dal futuro incerto e persino da un passato da dover imparare a maneggiare.
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