Neon Grave

Horace - Grace | Nido - 6 Marzo

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    il nido
    Io non sono bravo in questo, non ho assorbito niente da Princip e volendo avrei preferito che fosse qualcun altro a farlo al posto mio. Ma adesso, anche non volendola, questa tana è la mia casa e qui dentro vivono persone che guardando in alto vedono me. Siamo alla cazzo di cima della catena alimentare, io e Ben, e per questo forse anche di quella umana.
    Inspiro, passo accanto a Ben, gli lascio solo scivolare una presa lungo il gomito e stringo lì. Solo perché sappia che non lo costringerei a tenere un segreto a lungo. E poi immagino già sappia che ci andrò piano ma non è una cosa da dire, io ci vado sempre piano. Posso ringhiare quanto voglio, o innervosirmi, ma poi lo so da me che per metà delle volte non vale la pena. Non vale una tensione che non so scaricare. Una che mi prende allo stomaco anche adesso. Dio, non ho mai chiesto di essere a capo di niente.
    Calcio quella lattina che rimbomba lenta lungo le scale, e le scendo senza farci troppo caso o cura. Questo posto non è un letamaio, abbiamo i nostri turni e tu lo sai perché ci vivi da un po' ormai.
    Ma noi avevamo basato gli accordi su un punto di fiducia che non trovo, che non ho visto ieri notte quando il tuo "Caleb" si è presentato qui in tutta la sua corruzione.

    "Grace" solo il tuo nome, solo perché ti scosti dal gruppo della colazione - agli altri sorrido come riesco - perché tu possa capire con un cenno di capo di dovermi seguire. Come faceva Morrison con me. E cazzo se mi cagavo sotto allora, e non vorrei succedesse lo stesso per te ma non so ammorbidire lo sguardo. E' che devo guidarti appena un attimo qui fuori, tanto è un giorno del cazzo e la bestia sta andando a dormire per noi. Per questo mi agito, lo capisci? Perché un mago così fuori da qui senza due wendigo non va bene per niente. Tanto che aspetto di essere soli e mi guardo intorno perché nessuno ci possa sentire. Non ti tocco, lo so che l'ha già fatto Ben, e vorrei davvero guardarti e non pensarci minimamente. Di solito non ci facciamo i cazzi altrui, è una piccola regola che ho io perché non ci sia un riciclo continuo di drammi.

    Ti guardo adesso, con le stesse parole che mi vorticano in mente da ore. Non ho dormito ma non è colpa tua questa, è solo mia.
    "Ci eravamo detti una cosa, quando abbiamo deciso che saresti rimasto..." e non è una domanda, non ti sto chiedendo di ricordare, sto tenendo a freno i denti che striderebbero tra loro altrimenti. ".. quindi adesso vorrei capire perché un mago corrotto di neanche vent'anni era ai cancelli qui fuori stanotte, pronto a tirare giù il Nido." La esagero un po', ma perché capisca il concetto. Avevi detto che nessuno sarebbe venuto a cercarti. Fisso, serio in questo momento, con un ringhio in gola che io non le voglio le tue scuse, voglio capire cosa non so.
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    Edited by nocturnæ - 25/4/2023, 16:53
     
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    il nido
    Grace non è mai stato il tuo deadname, non al pari di Gray, almeno. Sei stato tu a chiedere a Caleb di chiamarti in quel modo, piuttosto. Anche se lui, a differenza di altri, ti ha conosciuto alla fine di tutto. Alla fine del percorso di transizione che in realtà non finisce mai davvero. Alla fine di ogni speranza.
    E tu, stupidamente, alla sua speranza tanto giovanile ti sei ben stretto. Lo hai fatto a cuore aperto, con occhi che si son fatti liquidi, morbidi col solo fine di accogliere meglio le sue visioni. Eppure, nonostante la malleabilità, in questo - così come in tante altre cose - hai fallito.
    Tanto che non ti ritroveresti qui se, effettivamente, le cose fossero andate diversamente. Eppure lo sai bene, Grace: le cose non migliorano. Non lo fanno per te, né per chi ti sta così vicino da ammalarsi dei suoi dolori. Purtroppo è così sin dal principio.
    Per questo hai sempre richiesto agli altri di chiamarti con il nome che tuo padre ti ha dato alla nascita. Perché per un certo verso vuoi ancora sentire la sua voce richiamarti per tutta casa. Vuoi che sia lei a consolarti. Lui che, con le sue mani grandi, si riveli pronto a sollevarti per i fianchi, per guardarti meglio negli occhi e così dirti che il mostro... il mostro, Grace, lo batterete insieme.
    Ma adesso Declan non c'è e tu non sai come contattarlo dopo tanti anni di silenzio. Non sai come dirgli che il mostro, che la tigre, presto arriverà per portarti via per sempre. Per questo ti aggrappi tanto saldamente ad un nome, quindi: per sentire Declan ancora con te. Per rivederlo correre per casa quando i momenti erano più buoni. Quando non beveva così tanto gin da non capirci niente e allora era scattante, era divertente. E ti rincorreva, stava al tuo passo. Ti dava giusto un po' di tempo per farti voltare l'angolo e, così, riprenderti al volo, alla sprovvista.
    "Gree Gree"
    Ti chiamava, piano, a voce bassa, roca, con occhi a guardare oltre le tue piccole spalle mentre tu, piccola, leggera, tenevi ben salde le tue dita contro le sue.
    "Ranocchietta...non aver mai paura."
    E tu non hai mai capito, in effetti, che Declan non volesse vederti diventare come lui. Tu che adesso gli somigli. Che te ne stai chino ad aiutare gli altri ma, con la mente, sempre troppo rivolto al gin.

    "Horace..."
    Esclami allora soprappensiero, perso nel brivido che ti percorre la schiena quando, sentir pronunciare il tuo nome, ormai capisci l'intenzione che si nasconde semplicemente dietro un'intonazione.
    Ma alzi lo sguardo, lo fai spingendo il corpo in sua direzione quasi capendo. In allerta, diciamo, sicuro di dover espiare la colpa di esser finito a letto con il suo amico.

    "Dio, non poteva sapere che fossi qui."
    Dici solo questo, in un sibilo. Perché guardando Horace capisci che forse la situazione è più grave di quanto potessi immaginare. E tremi, un istante, consapevole di quanto tu sia più debole adesso di altri giorni. Caleb è venuto a cercarti e magari tu avresti dovuto prevederlo, no? Anche se Matìas non ti tradirebbe mai, non potrebbe farlo, non ne sarebbe capace.

    "Mi dispiace."
    Sei sincero, ma per nulla di aiuto d'altro canto, non sapresti proprio come aiutarlo.

    "N - non ho parlato a nessuno di questo posto e non credevo che lui si sarebbe preso la briga di cercarmi..."
    Lo hai creduto, invece, quasi sperato.

    "Credevo di aver lasciato la mia vecchia vita alle spalle ma...capisco se è un problema, insomma, io posso andar via...mi oblivierete e non accadrà più nulla del genere."
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    A questo posto non dovrei tenere così tanto, ma ne ho fatto un nido. Non è venuto come un'esigenza, Grace, è solo capitato. Ci sono arrivato con Ben e con lui pensavo solo ad un posto in cui vivere per un po', uno in cui nessuno arrivasse a romperci il cazzo. Una vita fuori dal circolo di Princip e vicino a nostro fratello, Lucian.
    Poi il no human ha preso piede, poi abbiamo visto la stupida speranza di trovare una causa che ci prendesse con sé, e questi ragazzini sono arrivati, hanno popolato casa nostra trasformandola in quello che è adesso. Un raduno di accattoni che però sono sotto la mia tutela. Lo dico adesso, forse a te nei modi di fare che ho, forse perché Ben non lo vorrebbe. Ma Ben sono tante le cose che non vuole.
    Non mi perdo mezzo respiro dei tuoi, ho bisogno di leggere sincerità quando mi dici che non sapevi che Caleb sarebbe arrivato fin qui, di fronte a Ben, con un cazzo di lupo nell'ombra.
    Perché l'ho visto crearlo, l'ho visto stringere i pugni in un momento in cui la luna ci stava abbandonando. Una sola notte da umani ed avrebbe distrutto tutto.

    Però mi resta un sospiro in gola, annuisco lentamente alle tue parole, le assorbo come una cazzo di spugna.
    "Non ti sto mandando via, ti ho fatto una promessa..." che non intendo spezzare, ti porterò dal tuo specialista, in Maryland perché non posso pensare che non ci sia una speranza anche in questo, una speranza per te.

    Tutto resta comunque sospeso in un "ma" che pompa il sangue più velocemente, tanto da spingermi a fare mezzo passo avanti. Ti guardo, però piano, con calma, prendendo fiato prima di emettere ogni altra sillaba.
    Abbasso il tono, saluto con un cenno Marcus, e aspetto di nuovo che si allontani. Non voglio che i tuoi panni siano in piazza, ma Caleb l'hanno sentito tutti, e gridava il tuo nome.

    "Ma lui ti ha trovato" e questa è la cosa più ovvia, il respiro più difficile da prendere e mandare in fondo alla gola. "E sembrava disperato, Grace, quella disperazione che ti fa fare qualunque cosa" stringo le mani una con l'altra.

    "Ho solo bisogno di sapere se qualcun altro che pensavi di aver tenuto nel passato, potrebbe cercarti, e quanti sono" voglio solo che questa storia non si ripeta, che qualunque cosa tu abbia lasciato indietro non sia davvero così concorde nel restare dove l'hai messa, come Caleb. Lui temo che ritornerà, perché Ben gli ha confermato che sei qui.
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    Non è qualcosa che sai bene, in effetti: ma è un dato di fatto questo tuo ripercorrere il passato seppur senza volerlo mai davvero. Lo ripercorri da che tuo padre ha deciso di chiamarti con il nome di tua madre. Un po' per ricordare da dove sei uscito fuori. Un po' per ricordarti com'è che finirai. Alla fine è stato Declan, seppur involontariamente, a tracciare la linea del tuo destino. A premonire il maledictus e poi a combatterlo seppur senza riuscirci mai davvero. D'altro canto, non era riuscito a farlo nemmeno con tua madre. Non a salvarla né tantomeno ad ucciderla quando la bestia sarebbe arrivata così violentemente da portargliela via per sempre.
    Non lo sai, perché non ne avete mai parlato, di come il tuo nome sia servito a lui per ricordare cos'è che ha lasciato semplicemente indietro. Una tigre a far avanti e dietro in una gabbia, in uno zoo qualunque, insieme a tante altre tigri che della sua storia non conoscono nulla. Non potrebbero comprenderla, comunque.
    Poi una figlia venduta al miglior offerente affinché la tigre, per lei, fosse meno crudele. La maledizione meno pesante, meno mal gestita.
    No, Grace, queste non sono cose che sai, né qualcosa a cui potresti semplicemente pensare. Non funzioni così, non ti soffermi mai, volontariamente, sul passato. Non quando alle tue spalle c'è un padre, una nonna, una fede cieca, disperata, punitiva e poi l'amore di una vita, una nuova famiglia e tutti quei clienti che la sera hai cercato di dimenticare quando coricarsi non ti veniva così semplice.
    Tutte queste immagini non possono che tornarti alla mente: la prima volta con Froy per essere pronta per gli altri, i venti dollari di Caleb, Parker e la sua morte, con i Don Broco che suonano ancora nelle tue orecchie, che ti caricano nei momenti peggiori finché della carica, purtroppo, finisci per farne a meno.

    "Tanti."
    Dici semplicemente. Prima cercando di non dover entrare nel dettaglio, poi sempre più consapevole di doverlo fare un passo verso Horace. Alla fine, comunque, lui si è fidato ciecamente di te. Lui ti ha accolto e ti sta offrendo del supporto. Lui si sta prendendo cura della tigre senza sapere quanto male faccia. Probabilmente se lo immagina, ci si immedesima e basta.

    "Così come sono gli errori che ho fatto nella mia vita, Horace."
    Ammetti, stringendo i denti.

    "E se non mi hanno cercato quando ero da mio fratello...allora magari devono aver capito come comportarsi con i casi persi."
    Cerchi il suo sguardo, adesso, ma non per impietosirlo. Vuoi solo che la realtà dei fatti sia per lui quanto più chiara possibile.

    "Lo sapranno tutti, ormai, quand'è che smetterò di essere così, per sempre."
    Ti chiudi nelle spalle. Sospiri. Magari stai persino ragionando.

    "Puoi mandare Ben a controllare, se vuoi."
    E per un momento pensi che questa possa essere davvero una buona alternativa. Perché ti permetterebbe di sapere com'è che stanno. Com'è che sta ognuno di loro senza doverti mettere tanto allo scoperto. Sapere che sorridono, che si stringono a vicenda anche se non è un sms striminzito a confermartelo.

    "Siamo circensi del Place de Grève. Saremmo dovuti ripartire già da tempo, ma il nostro capo deve aver cambiato idea. Siamo nell'Undercity, ma non facciamo del male a nessuno. Siamo solo artisti giramondo. Il loro fuoco, il loro amore, in nessun caso metterà in pericolo la tua famiglia. Ci tengo a promettertelo."
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    Tanti. E' ben diverso da nessuno. Tanto che finisco per annuire, per stringere i denti ed annuire. Non intendo mandarti via e te l'ho già detto, e non intendevo ramificarmi in una storia che adesso spinge radici nel cuore, ed un po' anche nell'anima. Sei un condannato, e continuo a saperne anche troppo di tutto questo.

    Ed io abbasso lo sguardo quando tu cerchi il mio, non perché non voglia. Non perché non ti sappia affrontare. Grace, se volessi saresti già a pezzi più di quanto tu non sia. Anche se so che non manderò io Ben di vedetta, mai, non è un mio sottoposto, ne parleremo e basta. Perché lo sai che questo dovrò dirglielo, voi tutti qui sapete come funziona, non sto a capo da solo. A volte è più un capo lui di me, più una guida lui che sa scendere tra voi e scoparvi. Scendere tra voi e bersi qualcosa insieme. Cosa che a volte a me non riesce, che io vi lascio una pizza sulle scale e mi ritiro nel mio piccolo antro, che - in fondo - troppe persone mi fanno ancora male.
    Ma quello che mi esce è un sussurro, un ringhio, qualcosa di profondamente serio.
    "Ok" come se stesse a me concordare una cosa, o confermarne un'altra. E non è così, lo sappiamo, no?

    "Grazie per avermelo detto" non importa se l'hai detto ora e non prima, almeno adesso non c'è una barriera. Siete artisti, e questo io non so capirlo. Io non l'ho studiata l'arte, sono un'ignorante figlio di ignoranti. Vivo a ringhi e morsi, e non so cosa ci sia di bello in quello che fate.
    Ma sento ancora questo cazzo di nodo risalire, ed in qualche modo, nel caso disperato, capisco perché tu piaccia a Ben. Perché scelga di farsi toccare da te e non da me. Perché tu hai il suo odore in un modo in cui non l'avrò io.

    Ad intristirmi è questo, ma diciamo pure che invece è la tua storia, troviamolo un compromesso stasera.
    "Sei sicuro che non vuoi rivederli un'ultima volta?" Non so come mi esca questo, forse male, forse strozzato, e non perché io non vorrei che nessuno morisse, non sono un cazzo di bambino, ma perché lo so com'è non avere il tempo di dire addio.
    "Facciamo che non mi rispondi adesso, a questo, dio forse non dovresti rispondermi a niente, insomma non sono davvero il capo di nessuno." Ma io gli occhi di Caleb li ho riconosciuti nei miei. Hanno fatto un male da morire.

    "Non lo so che idea ti sei fatto di noi, ma puoi comunque uscire da qui quando vuoi.. non c'è nessun obliviatore, Grace. Sono solo paranoico io a volervi tutti al sicuro, almeno finché state qui dentro. " Per Joseph, credo, no? Ma neanche in questo caso so guardarti negli occhi.
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    Tu non vorresti doverli lasciare e basta, che è più semplice e pretenzioso del volerli vedere un'ultima volta. C'è già stata un'ultima volta e tu hai sperato di aver messo le cose in chiaro proprio in questo modo. Che darsi un ultimatum, di continuo, non fa bene a nessuno. Ma non glielo dici, nemmeno annuisci, in realtà quando lui continua a parlare, l'unica cosa che fai è quella di restar ben concentrato sul suono della sua voce. Come a mantenerti disperatamente ancorato ad una realtà che ora è ben diversa da quella in cui sei cresciuto. Non ha nulla a che vedere con ciò che hai imparato fino ad ora. E magari va bene così. Magari ha senso che faccia male così.

    "Scusami."
    Ci tieni a dirglielo, a ripeterlo, forse, a meno che fino ad ora tu non te lo sia ripetuto semplicemente nella tua testa. Di continuo, in una nenia che non sa darti pace e che comunque, nell'essere pronunciata, poi non è detto che porti a qualcosa.

    "Sono abituato ad una realtà diversa da questa."
    E fai un passo all'indietro, alla ricerca del muro anche se in questo modo sai bene come finiresti per sentirti terribilmente braccato. Ma ci sono così tante cose, adesso, a vorticare nella tua testa al punto da soffocarne altre. Non sai più cosa pensare né cosa dire, in effetti. Sai solo che non vedi l'ora di arrivare nel Maryland e che, allo stesso tempo, non hai la forza di aprir bocca e ritrovarti a chiedere aiuto anche lì. Non sai cosa chiedere, ma perché non ti hanno mai educato a farlo. Sono gli altri che, solitamente, vengono da te. Tu non richiedi amore, tu non richiedi una famiglia, né protezione o conforto. Chiedi solamente di essere lasciato in pace col terrore di scoprirti assassino di tutte queste belle cose. Non meriti un cazzo da loro, Grace.

    "Non mi viene difficile capire per quale motivo Ben ci tiene così tanto a te."
    Sibili, in una riflessione che non dovrebbe appartenerti. Perché non sono cose che ti riguardano, nemmeno quando sono dettagli che alla fin fine, riesci a scoprire anche da solo. Abbassi lo sguardo per osservarti la punta delle scarpe. Stanno iniziando a rovinarsi: hai lasciato le buone nella roulotte.

    "Posso fare qualcosa per distrarm - per voi?"
    Da che avevi voce, adesso quasi non ti si sente più.

    "Non riesco a muovere le gambe..."
    Sussurri ancor più impercettibilmente, in un respiro che si affanna per qualche secondo.

    "Scusa...scusami davvero."
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    Conosco come è fatto il panico, di cosa si nutre e di quanto orrore possiamo lasciarci alle spalle, così come quanto amore. Lo so e basta, anche se per tutti è diverso. E non te ne faccio una colpo Grace, non potrei. Non è colpa tua se hai scelto di non farli soffrire, di morire lontano da loro come è giusto che tu possa decidere.
    Per me hai il coraggio di cento uomini in un cuore che smetterà di battere. E non fa nulla quando mi dici questa cosa su Ben. Non credo tu sappia davvero tutto di lui.

    Forse non so più niente neanche io.

    "Abbassati, scivola contro il muro" e fallo piano, Grace, un respiro dopo l'altro, nel mio fare un passo indietro. Lo so che cazzo scatta quando siamo così, divento quel soldato. Quel pilota che ha dovuto imbracciare un fucile perché il reggimento era saltato in aria in un campo di mine non segnalato. Non lo avevano neanche individuato, e c'eravamo solo noi. Solo noi. Dio quanto ho avuto paura per Joe quella volta, lui che tremava come una foglia accanto a me. Che non respirava, e metà di loro faceva lo stesso, ginocchia bloccate, braccia doloranti, gola secca.
    Mi allungo a prendere una bottiglia di acqua fresca, qualcosa da tenere in mano e far girare ancora un po' a largo gli altri. Non so essere disonesto, né crudele. Mio padre mi ha fatto gentile, quando non ha mai saputo esserlo lui ed alla fine io, io mi affezioni. E vi vorrei distanti per non doverlo fare, e vicini per restare solo.

    "E' lei? Se è la tigre ti porto nel bunker, ma prendi fiato." sicuro, ti cerco con lo sguardo perché questo va fatto adesso e ti alzo con me. Non ho timore anche nell'essere umano, della tua tigre. Ho sentito cosa ha detto Caleb. In verità il mio cuore si è spezzato con il suo. Che forse quel braccio a Ben non l'ho stretto per aiutare lui, ma per reggere me. Perché non sono senz'anima, non sono una bestia, Grace, non sono un capo, non sono niente di cui avreste bisogno, ma faccio tutto quello che posso per trovare un posto: così come ne cercate uno voi. Ci provo a mantenere una casa, questo palazzo in tracollo per noi. Il nido.
    Quel ragazzino sembra così giovane che anche io l'avrei fatto entrare, avrei tentato di curare ferite che non si rimarginano, ma non la voglio una guerra interna del dolore, qui non siamo un centro di recupero, per quanto Ben a volte la pensi diversamente. So che ti ha tirato dentro qui con la stessa compassione che l'avrebbe smosso a portarci anche un sangue marcio, pure di non lasciarlo soffrire così. Siamo bestie dal cuore buono, siamo in questa causa perché meritiamo di vivere, e tu meriti altrettanto.

    "Dimmi solo una parola, e metto in moto per il Maryland"
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    Tu non lo vuoi il panico, Grace. Tu non vuoi avere paura. Non ti è concesso averla. Te lo ha sempre detto Declan di doverla mandare via. Che non bisogna averne. Che il mostro come arriva poi se ne va. E il dolore che senti, quello, beh, un giorno smetterà di fare tanto male. Che il mostro arriva solo per lasciare cicatrici e le cicatrici, quando arrivano, passano prima per il sangue, per una pelle che pulsa frenetica così come pulsa il tuo cuore adesso. Che il respiro si affanna un istante, ma tu, seppur fai quello che Horace ti dice, continui a combattere, ad andargli contro. E ti sforzi di essere bravo, proprio come ti ha pregato di esserlo più volte tuo padre. Stringi per questo lo sguardo, per ritrovarti al buio un istante e fingere di stare sotto coperta. L'unico problema è che, fino a poco tempo fa, sotto coperta con te c'è sempre stato Caleb. Ti sembra di sentire un suo braccio cingerti così pesantemente da mozzarti il fiato. Ma in quel momento tu ridi. In quei momenti hai sempre riso.
    Adesso però non muovi le labbra.
    Adesso, di aprir bocca, proprio non ti viene istintivo.
    Digrigni un attimo i denti e con la schiena poggiata al muro, chini il capo come per nascondergli un viso che si fa paonazzo e lucido sotto i boccoli che col passar del tempo stanno crescendo. Non te li taglia più nessuno i capelli: non Froy, né Oswald.

    "N-no, non è lei."
    La tigre arriva con la fame, arriva con i tremori e la febbre. La tigre fa un male diverso: lei spacca le ossa, non le comprime. Lei ti apre in due, non ti schiaccia. A te sembra semplicemente di non riuscire a respirare adesso e, a tratti, di non meritarlo affatto.

    "I - io non sono così. S-scusa, scusa."
    E non ti abbassi, no. Fai quello che dice solo in parte, perché poi ti stringono le dita nei pugni, tanto che le nocche sbiancano, accompagnando un altro ringhio a denti stretti.

    "Io sono...sono anche simpatico. Non sono una cattiva persona...scusa. Scusa, scusa, scusa."
    Spingi i pugni contro il muro. Ce li premi contro come per fermarti dal prenderlo a colpi. Come per impedirti di spaccarti la pelle, di incassar le nocche solo per sfogare la rabbia. Che anche volendo, insomma, le gambe non collaborano. Loro stanno dritte, immobili e tu sembri semplicemente uno struzzo. Un ciocco di legno.

    "Dopo il Maryland...dopo il Maryland le cose andranno meglio."
    Ti viene da piangere, ma non capisci perché.

    "C-ci possiamo andare davvero?"
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    E se non è la tigre è il panico, e forse è peggio così. Peggio quando anche la mia gola si serra in una morsa, quando chiudo gli occhi se lo fai tu, per prendere un respiro che non suoni come l'ennesimo ringhio. Cazzo, siete tutti così profondamente spezzati. O forse "siamo". Noi siamo così, anime infrante, cuori distrutti e macellati dopo giorni a marcire sull'asfalto bollente.
    E lo immagino, Caleb, immagino quello che potevate essere da tutta la notte. Non perché io sia così, mi sono sempre fatto i cazzi miei, ma è stato veramente difficile ignorare la sua disperazione. Non so quasi se sia meglio veder morire il proprio amore o saperlo morto chissà dove. Anzi, dio, lo so. Forse la prima cosa è la peggiore, quando te lo strappano via dalle mani e tu non ci puoi fare niente, né avere un corpo da recuperare. Ma la seconda non è da preferire, vivere nell'incertezza finché il tempo passa e la cura, la mitiga. Magari speri in questo, Grace?
    Ma io non penso che succederà. Non credo proprio ad un cazzo adesso e da un po' vivo solo un giorno dopo l'altro.

    Il dolore che rimando è solo qualcosa che ricordo, che resta a fior di pelle a spaccare le ossa, a prendermi a martellate ogni qualvolta oso dimenticare. Ben ha ragione, lui non è Joseph, ma nessuno lo sarà mai. Né io vorrei che lo fosse. Cristo.

    "Smettila di scusarti" mi esce quasi gentile, vorrei che fosse una carezza, anche se nel guardarti poi spingo il muso altrove, poi non so davvero incontrare i tuoi occhi per sostenere tutto assieme. Pensa anche a me, non sai quanto. Non puoi saperlo, questo è il dato di fatto.

    "Abbiamo tutti i nostri giorni di merda" come quelli in cui ti tu sei scopato Ben, ma non ci voglio pensare, non so neanche portare rancore. Non è colpa sua se cerca di fare quello che sente, non sta a me dirgli cosa sia giusto e cosa no. E se fa male solo a me, allora magari è giusto così, è giusto che io impari i miei confini e limiti.

    "Ci andiamo quando vuoi. Se senti che è il momento, fammi un cenno e rimettiamo in moto le tue gambe" perché nessuna causa è persa, e se questo ti farà stare in pace, almeno per te posso farlo. Posso farla una cosa buona che per una volta mi riesca fino in fondo, che la mi redenzione è un mattone che si lega ai piedi gettandosi nell'East River.
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    "Adesso."
    Affinché tu possa sperare di rivelarti migliore di come credi di essere adesso. Affinché la paura svanisca e le cose riprendano ad essere esattamente come prima se non meglio. Affinché qualcosa, almeno una, cambi. Ma che il cambiamento inizi da oggi, inizi da adesso. Che non vuoi sapere com'è che sarà peggiorare. Quando lo scorrere del tempo accelererà ogni cosa lasciando indietro i dettagli più importanti. I racconti migliori.

    "Se puoi..."
    Ovviamente. Perché non sai chiedere, Grace, ma se Horace si mostra così, se lui non accetta storie, allora tu puoi quantomeno ringraziarlo e rispettare i suoi tempi. Puoi quantomeno essergli grato per star facendo ciò che un estraneo, magari, non farebbe mai. Ma lui e Ben sono belle persone e questo tu lo hai capito sin dall'inizio, sì, anche se speri di poter approfondire tutto questo quando tornerai. Quando starai meglio. Quando sarai piacevole. Quando la smetterai di essere solo e soltanto un peso.

    "Io...tu puoi lasciarmi lì o ad una passaporta illegale che possa portarmici. "
    Tiri su col naso. Alla fine stai piangendo, vedi? Stringere tanto i denti non serve a nulla. Forzare i muscoli alla stabilità non fa altro che far male. Ma tanto il dolore non sembri sentirlo, non più, almeno.

    "Non voglio essere un peso."
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