Desolation row

Horace & Lucian | Nido, 12 dicembre 2022

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    Non credo di aver mai compreso la differenza che intercorre tra le cose semplici e quelle facili. So che non è facile venir qui oggi: accettare un invito in un territorio che so bene come non potrà mai essere mio. Prostrarmi, così, ad una causa che non può appartenermi. In un rifugio in cui non posso trovar pace, ma nel quale so bene che non verrebbero a cercarmi. Perché nessuno si interessa a questi luoghi, non per ora almeno. Ma so che sarà semplice, sì, sedermi dinanzi a Ben e Horace, scrutarli con lo sguardo di un fratello maggiore e sorridere. Sì, ecco, credo sarà semplice sorridere, ascoltarli, lasciarmi andare a quei brividi che tornano prepotenti nonostante Detroit sia distante. Lontana quasi anni luce da qui. Come se fosse su un altro pianeta, in una galassia che non è la nostra. Niente di visibile ad occhio umano. Ma quando li chiudi gli occhi, beh, forse il problema sussiste proprio lì.
    Ma non credo sarà impossibile. D'altro canto non lo è stato spegnere la moto qualche isolato prima. Parcheggiarla in sicurezza nella speranza che nessuno me la rubi, né intrufolarmi tra le vie strette e desolate di questo posto. Siamo in un bel quartiere, eppure casa loro gode di una protezione quasi naturale. Solo i ragazzini si intrufolerebbero qui e un wendigo stanco. Una bestia che ha capito qual'è il suo posto e qual'è il giusto modo per occuparlo. O almeno, così deve aver detto Riley.
    Il giusto posto, i giusti mezzi.
    Una scelta che purtroppo spetta davvero solo e soltanto a me. Ma io non so scegliere. Ben lo sa bene e immagino lo abbia compreso anche Horace. D'altro canto è sempre stato lui quello più sveglio. Quello più portato a smascherare le menzogne.
    E forse una parte di me spera davvero che, accettando questo invito, ci sia la possibilità di smascherare ogni cosa. Di tirar giù la maschera che indosso. Di decidere una rotta che non si confaccia semplicemente a ciò che "devo fare".
    Vorrei poter scegliere nella libertà di una scelta vera. E magari sono solo un ragazzino, suppongo. Magari ciò che desidero, in effetti, è scegliere il meglio senza dover cedere qualcosa in cambio.
    Per questo forse oggi sono qui piuttosto che da Vivi: perché ho bisogno di esser visto diversamente. Di essere compreso, forse, in un modo che funziona bene solo con la mia famiglia. D'origine.
    Allora rallento. Lo faccio guardandomi intorno alla ricerca di Horace. Lo faccio stringendo la cassa di birra tra le braccia, conscio che non è educato entrare se non si è scortati da qualcuno.
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    Ho trovato un posto, Lucian! Ho trovato una casa, un luogo che nascondo e proteggo. E so che magari non è tanto, all'apparenza è poco più che vivibile: ma è una tana. Ed io e Ben ci stiamo benissimo dentro, anche se non siamo sempre soli. C'è gente che va e viene con un certo criterio ma noi, noi siamo riusciti ad avvicinarci e questo sa ancora farmi valere ogni giornata.
    Che se scendo con un mezzo ghigno è perché ci sei mancato queste settimane. Perché hai le birre e qui non se ne priva mai nessuno. Perché nonostante tu sia il più grande di noi - scappati da Detroit - poi sai rispettare ogni luogo che ci appartenga. C'è un senso di personale protezione che mi manda ai matti, nel senso più buono che esista. Non posso non sorriderti nel farmi avanti oltre il cancello. Nell' accoglierti a braccia aperte come in quegli stupidì film sulla Mafia siciliana. Mi manca giusto lo stecchino in bocca ed una pistola.
    Ma non sono mai stato bravo a sparare, io volavo e tu questo gia lo sai. Volavo trai migliori. Poi siamo diventati combattenti con quelle bestie clandestine che abbiamo stretti al petto.

    Ogni tanto quel magazzino in cui eravamo stipati mi manca: ma non il luogo, no, la famiglia. Noi tre. Tanto che nel vederti mi illumino più di prima. "Luc!" Ti saluterei come si deve, ma aspetto che appoggi le birre, sia prima o dopo, con quel mezzo abbraccio che vaga due colpi sulla schiena. "Ben non è ancora rientrato, ti tocca sopportare me per un po', ma siamo in buona compagnia" alludo alle birre: io non so neanche essere spiritoso, mi viene su così e basta. Ma loro ci faranno davvero compagnia, ed io potrei lasciare andare un attimo i miei nervi.

    "Abbiamo allargato il cortile, ci si accampano adesso" sento ancora il bisogno di aggiornarti sulle cose, sui nostri progressi, come se dovessi renderti fiero o avere la tua approvazione. Come se volessi condividere un posto che di nuovo ci contenga tutti e tre. "

    Ti faccio vedere da dove entrare se ti servisse, hai accesso libero al Nido, lo sai. Sei già uno di noi." e lo sarai sempre. Anche quando ti introduco oltre la sala disordinata, e ci porto in quel cortile. Ma per prendere una scalinata a chiocciola in ferro battuto che ci porti sui tetti.
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    Quando Horace è approdato da Princip, nessuno di noi lo ha accolto nello stesso modo in cui lo sta facendo ora lui con me. Nessuno lo voleva lì, non io, che avevo già capito quanto male facesse, né Ben, che è sempre stato tanto guardingo con certe cose. All'inizio non è riuscito ad aprirsi nemmeno con me, anche se a conti fatti è stato lui a spiegarci alcune dinamiche: dettagli di per sé semplici, ma che non ci veniva facile interiorizzate nell'immediato.
    Per questo forse non sorrido come si dovrebbe fare in determinati casi: perché so bene di non poter ricambiare un favore e che forse non ci sarà mai un futuro, un'opportunità per farlo. Come posso io, dopo tutto quello che ho accettato, godere della sua ospitalità? Non chiedo nulla e per questo, forse, preferisco restarmene un po' sulle mia. D'altro canto è parte del mio accordo. Credo sia ciò che sono. Nemmeno Vivi sa, nessuno, effettivamente deve sapere cos'è che sono ora.
    Mi sento falso, immeritevole. Ma a lui mi avvicino. Lo faccio stirando il viso in un'espressione dolce. Perché ho solo dolcezza: ho imparato con loro com'è che si fa a voler bene a qualcuno. E io a loro ci tengo, ci tengo così tanto da non essere affatto pronto nel dirgli addio. Fortuna, se così vogliamo chiamarla, che non dovrò farlo direttamente.
    Ma mi dispiace che questa sarà la nostra ultima notte insieme. Mi dispiace non essere arrivato in tempo da fermare Ben dall'uscire. Mi dispiace pensare che mi resta solo un natale, un regalo da far scartare a Vivianne prima che io finisca di esistere. Per Yael dobbiamo solo attendere. Per lei e suo marito, ci saranno sicuramente momenti migliori. Momenti più semplici di questo.
    Ma io non riesco a crederci. Magari non del tutto, anche se me lo ripeto mentre lo abbraccio. Mentre ricambio le pacche al centro della schiena con altrettanti colpi. Horace odora di Ben, odora di quello scantinato a Detroit che non abbiamo mai davvero lasciato alle nostre spalle.

    "O-Oh n-no. O-ora non p-posso neanche f-fingere d-di tornare p-più tardi. B-ben ancora continua a r-rincasare tardi c-come ogni bravo a-d-dolescente?"
    Ma scherziamo, d'altro canto forse ho proprio bisogno di lui, anche se star da soli, senza di Ben, mi sembra terribilmente pericoloso. Perché se prima volevo tutta la sua attenzione su di me, affinché ogni bugia venisse scoperta, adesso non sono più sicuro di volerlo. Mi sento terribilmente combattuto.

    "V-vedo che vi siete s-sis-st-stemati alla grande. "
    E sono davvero felice di come vi stiano andando le cose. Almeno a voi, che avete trovato qualcosa per la quale combattere. Una motivazione tanto forte da darvi vita. Da tenervi perfettamente in piedi in una città marcia come questa. Io mi sento sprofondare, Horace e anche se adesso so di avere una via d'uscita, beh, comunque finisco sempre per non sentirmi totalmente soddisfatto. Forse ho paura. Forse, nonostante le botte, nonostante le nottate passate a rigirarsi su di una brandina scomoda in preda ai dolori, è proprio adesso che ho paura. Adesso che la vita mi ha dato tanto. Adesso che so di dover perdere ogni cosa.

    "T-ti vedo molto entus-s-siasta."
    Confermo ciò che magari già sa, ma con il piacere di notarlo a mia volta. Ad alta voce, come se volessi convincermene in un qualche modo.

    "B-ben che d-dice? A lui piace questo s-s-sens-s-o di comunità?"
    Una volta era chiuso, chiusissimo, ma sono convito che tu gli abbia fatto del bene. Che tu abbia cambiato qualcosa in lui. Risvegliato, ecco, qualcosa.

    "Piacerebbe anche a V-v-vi-vi questo p-posto."
    Vivi. Resta sempre lì, cavolo. Sempre pronta a scivolare dalla punta della lingua.

    "T-te l'ho detto c-che ora s-si sta avvicinando alla c-c-carriera di m-medico? Le piace lot-t-tare per le c-cose giuste. "
    Già, la mia Vivi è una davvero tosta. Una forza della natura che non merito affatto.
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    Me lo ricordo il primo giorno. Nulla di più dell'avere un gruppo nuovo di soldati in cui inserirsi. E non avevo neanche fretta, te lo ricordi? Avevo solo i dolori della mutazione, gridavo come un cane scuoiato vivo solo a guardarlo.
    Ma voi avete visto i miei "momenti", Lucian. Quei flashbacks che mi portano in un luogo così diverso e malsano da spezzarmi in due. Da voi sono arrivato senza pretendere niente e con una strana forma di rivalità animale ad alimentare il tutto. Mai avrei immaginato che saremmo finiti così. Sopratutto io e te, a squadrarci in ringhi prima di apprezzare qualcosa. Ma io sono comunque un militare e questo non me lo ha strappato via neanche il wendigo. Casomai mi ha dato qualcosa in più. Una ragione in più per sfruttare ciò che sapevo. Per fottervi un po' alle prime lotte e fare squadra a quelle dopo.

    "Lo so che ci abbiamo messo una vita..." che ci siamo liberati di Princip solo quando è morto, accettando con odio il tuo abbandono. Quando te ne sei andato, Lucian, ti abbiamo odiato. Io, io forse più di Ben. Io non capivo e forse è qualcosa che tuttora non capisco, ma non significa niente. Ti voglio bene comunque, soprattutto ora che sei qui da noi, in un territorio che piegherebbe la testa davanti a te. Ti farò sempre entrare qui dentro, anche se resta casa mia. Perché anche tu lo sei. "... ma si, è una catapecchia che ci si addice"

    E mi da ridere che di Ben pensiamo la stessa cosa, che sia ancora un adolescente che esce fino a tardi ed io che lo aspetto. Ma ogni tanto esco anche io sai? Me le faccio le serate fuori, è solo che troppe cose mi danno fastidio. Le luci intense, i botti, le bottiglie spaccate contro i muri. A volte tornare indietro, alla guerra, è fisiologico, fin troppo facile.

    "Seh, ma si diverte ed un po' scappa da qui, a volte gli piace, a volte no. A volte non capisco cosa pensa. Qualche ragazzino l'ha portato qui lui. Tutto nella norma" alzo le spalle e quasi rido. Mi siedo trai coppi spioventi ed una birra la apro senza alcuna cerimonia, buttando giù un sorso che si unisce al freddo della sera.
    Noi non lo sentiamo, per noi potrebbe nevicare e rimarremmo caldi. Siamo l'evoluzione di una specie mostruosa. Eppure ci innamoriamo, odiamo, lottiamo come lupi.

    "È proprio una tosta, ha le idee chiare Vivi" me ne parli da quando sono arrivato, della tua Vivianne. Di quella che ti fa sciogliere e mostra quel lato di te che a volte a noi impedivi di vedere. Non so perché questo resti un pugno allo stomaco per me. Non so perché ma non ti chiederò di portarcela qui.

    "Quindi sta girando meglio un po' a tutti?" te lo chiedo solo perché in qualche modo non mi hai convinto. Che sia il tono o altro. E ti guardo adesso, piano, come forse non piace granché a te. Non te ne lasciavo passare una, non sono così bravo a sorvolare sulle cose importanti.
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    Vorrei essere propositivo quanto basta per rispondergli di sì. Che adesso sembra girare davvero bene a tutti. E per un certo verso è anche così, lo è davvero. Insomma, loro hanno una casa diversa da quella che condividevamo a Detroit. Io ne ho una altrettanto mia in più ho Vivi. Ho qualcuno che davvero sa amarmi per ciò che sono. Qualcuno che non ha nulla a che spartire con il wendigo ma che comunque se lo prende a cuore. Quindi sì, ecco, forse non me la sento di affermare il contrario. Che ci vada male o qualcosa del genere.
    Il fatto, adesso, è che mi sembra davvero di star qui solo per trovare il momento giusto di dirgli addio. Che sì, sì, sono davvero contento di saperli felici. Di sapere che sia lui che Ben stiano bene, che abbiano trovato una loro dimensione, o qualcosa che gli si avvicina terribilmente. Dico davvero. Ma New York è brutta. New York è terribile, forse peggiore di Detroit ed è proprio per questo che devo andarmene. Che devo lavorare per un futuro decisamente diverso da quello che sto vivendo. Un futuro che, in un modo forse accettabile da Abel, potrei persino offrire a Vivianne. Perché noi qui non possiamo stare. Nemmeno quando questa città è casa nostra e allora ci ha visti venire al mondo, crescere, combattere e far l'amore. Nemmeno quando qui abbiamo qualcuno da dover lasciare indietro, come io ho loro due...loro tre.
    Quindi...no, non lo so. Vorrei tante cose, in realtà, ma tra tutte le idee che finisco per farmi in testa, nessuna di queste poi mi sembra pronta per venire a galla. Niente deve uscire. Non deve farlo mai.

    "V-vi meritate d-d-di meglio. Lo sai."
    E non vorrei guardarlo con l'apprensione di un padre che soffre nel sapere i propri figli in una determinata situazione ostile. Loro non stanno male ed io dovrei davvero gioire. Gioire fintanto che nessuno dei due verrà da me a chiedermi aiuto. Ed io sarei pronto, lo sanno. Sarei sempre pronto a sollevarli dalla loro merda. Così come sto lasciando che Riley mi risollevi dalla mia. E mi sembra un paradosso. Uno stupido no sense questo.

    "P-però è bello...ac-c-c-ogliente."
    Lo è davvero. Come fosse la fase intermedia tra Detroit e la vera New York. Come fosse un ibrido, una via di mezzo. Uno step che avrei dovuto passare anche io, se non fosse stato che dal Felix poi mi hanno schiaffato tra i Jackals. E sempre per colpa di Riley. Sempre colpa di quel cazzo di Colroy.

    "Già...Ben è s-sem-sempre st-stato un t-tipetto dif-f-ficile."
    Ma non è tanto diverso da Vivi, in un certo senso. Mai troppo distante dal combattere per ciò in cui crede. A muso durissimo. A capo chino.

    "Come V-vivi, già."
    Sospiro un istante, ma mi premuro di nasconder tutto dietro una lattina di birra qualunque.

    "Un giorno la p-p-porterò a vivere in C-c-anada."
    Resta l'unica immagine che sa rincuorarmi sempre.

    "A f-fare tanti c-cuccioli da lasciarvi educare u-u-un giorno."
    Come fossimo una famiglia allargata e terribilmente unita. Noi, Vivi, Yael.

    "B-en ha ripreso c-con la sua f-fissa del p-p-padre? Quello ti p-porterà a c-casa un nipotino q-quanto prima. L-lo sento."
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    Più avanti queste cose mi mancheranno, Luc. Le birre sul tetto, a sfidare l'inverno di città. Lo so già, lo sento come siano agrodolci anche adesso, solo che ora io non so perché. Posso solo attribuire il vuoto allo stomaco alle mie paranoie, niente di più. Solo quelle stupide compagne di una vita.
    Che quando ti alzi la lattina, io alzo la lattina. Siamo bravi a raccontarci tutto senza toccare Detroit neanche con un dito, neanche con il pensiero. Nulla. Solo noi sappiamo che esiste, che è esistito un tempo in cui ogni vicinanza alla luna diventavano scommesse sulle nostre schiene. E quanti cazzo di soldi gli abbiamo dato fare. Ne ho rubati quanti ho potuto venendo via, perché la pensione da soldato me l'hanno staccata ormai, viviamo con contagocce. Ma sta bene, prima o poi magari lo troviamo anche noi un lavoro di cui non si può parlare.

    "Nah, per ora sta bene. Magari faremo un po' di soldi e se ne riparla" E ci ragiono con te, sempre. Non lascio mai cadere un discorso a vuoto, perché qualcosa me la puoi dire ogni volta. E si, io non accetto molte cose, ma le ascolto tutte. Le porto tutte con me appena chiudo gli occhi.

    "Difficile..." rido, ma solo perché è vero. Ben è difficile, è snervante, mi dai sui nervi quasi tutto il tempo. Ma non ci so stare senza di lui, senza i suoi denti a mordere le caviglie, senza i suoi modi a prendermi a schiaffi. A volte mi spinge così a fondo che una carezza resta quasi inutile. Ma sta bene così, io credo solo di sapere perché lo fa, oppure finisco a non chiedermelo troppo a lungo. Magari è che qui in mezzo ci manchi tu, anche se ti sentiamo sempre.

    "Non ti chiedo quello di cui non posso chiederti, ma-" il tuo lavoro, Lucian, di cui non si parla, quello che mi fa cercare il tuo sguardo di nuovo, un po' per capire se sei stanco, un po' per vedere qualche livido se ne hai. Un po' perché secondo me sei un fottuto bastardo che ha trovato il modo di sfogarsi lo stesso, mentre noi ci releghiamo qui per sopravvivere. In qualche modo, di questo per te sono fiero. "- ti rompono il cazzo se torniamo al Felix ogni tanto?"

    Ho bisogno di sfogarmi, non mi basta reprimere il wendigo, devi tirarlo fuori, farlo azzannare, sudare fino allo stremo. Sopratutto quando Benjamin mi sfianca e non ho mezza valvola di sfogo. Magari lo vedi da te, che mi guardò i piedi e le gambe piegate sembrano tese. E mi parli del Canada e drizzo le antenne. Ci ho pensato anche io, sai? Un posto al fresco ed oltre i confini. Con più ampi spazi per cacciare senza essere tracciati.

    "Cuccioli?" sorrido, ma quasi ci penso sul serio. Non è proprio quello per cui ti seguirei in Canada. " Mi sa che la tipa tosta dovrai convincerla bene a metter su famiglia e ritirarsi così in fondo al mondo, però tu puoi tutto, Luc " resti il più capace di tutti noi. Senza invidia, senza un briciolo di dolore, solo questa cieca riconoscenza per quanto a lungo sei stato qui, a ringhiare con me. E con Ben.

    "Dio, non farmici pensare. Con dei mini-Ben andrei in pensione prima ancora di essere Zio Horace." però resto più serio, piano piano, lentamente torno a schiacciare una lattina per passare alla seconda, quasi senza fare una piega, sono temprato. Ben. Lucian. Siete la sola famiglia di cui avrei bisogno adesso, al futuro di penso piano, come se non fosse davvero così libero, così a due passi da me. Forse da quel seminterrato non ci sono ancora uscito del tutto. Ma ora - almeno - respiro. E tu conosci i miei momenti. Li hai vissuti quando mi fermavo nel nulla e dal niente tremavo.

    "Tu lo sai perché io e Ben siamo qui" e lo devo dire guardandoti e spingendo la latta contro la tua. "Una famiglia che ti scegli..." continuala tu la frase.
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    Me lo ripeto fin troppo spesso qual'è il motivo per il quale non ci vediamo sempre qui. Il motivo per il quale a volte preferisco i messaggi a queste serate sul tetto. E non è per colpa del lavoro che faccio, per colpa di Vivianne o per tutte quelle cose che in un modo o nell'altro sanno farmi sentire stretto, soffocato. No, credo che semplicemente la colpa sia la mia. Mia che non so accettare ciò che finiamo per dirci. E siamo sempre stati così noi due. Sempre troppo tristi nonostante i sorrisi. Sempre troppo rigidi, troppo filosofici. E non lo so, sai, com'è che si impari ad accettare certe cose. So solo che io vado avanti. Che mordo le labbra. Che non me ne vado nemmeno quando sento il bisogno di farlo. Non ti abbandonerei mai, Horace, mettiamola su questo piano. Anche se a volte sei stronzo, terribilmente realista, terribilmente adulto. Sapresti essere più padre tu di noi due. E magari è stata la guerra a formarti, magari a noi manca la morte di chi amiamo per comprendere davvero com'è che funzioni tu, ma ecco, non so niente. Non ne so niente, Horace.
    So solo che mi rende un po' triste parlare di questo. Di speranze, di quel futuro che non potrò avere. Perché io non credo ciecamente a ciò che mi è stato detto, anche se c'è sempre una parte di me che ama illudersi. E lo so, lo so come non ci sarà mai davvero un nuovo inizio in Canada. Ma per voi sarà diverso. Io voglio sperare che lo sia. Perché avete tutto il potenziale per diventare delle brave persone, per rifarvi una vita lontana dallo stigma. Non siete come me, lo so. Non lo siete mai stati e non troverete un posto tra chi vi accetterebbe solo in cambio della vostra cieca fedeltà. Di quella vita che per loro non avrà mai davvero il giusto valore. No, voi troverete di meglio. Perché siete intelligenti, perché sapete com'è che ci si adatta al mondo. Anche se a tentoni, a volte. Anche se...cavolo, io non posso dirvelo. Non posso raccontarti nulla, Horace. Ma spero che tu capisca. Che una parte del tuo cervello si soffermi su questa discussione. Che la memorizzi perfettamente.

    "N-non lo so."
    Se ci fanno il culo se ci riavviciniamo al Felix. Non credo: l'importante è portare i soldi, è sempre stato solo e soltanto quello.

    "Mi stai ch-chiedendo di f-farti il c-c-culo adesso?"
    E sorrido. Lo faccio nascondendo il viso dietro la lattina di birra, in silenzio, quasi come se il suo rumore non dovesse in alcun modo permettersi di fendere il tuo respiro.

    "Una famiglia c-che ti scegli...t-te la scegli."
    Sorrido ancora, colpendoti con un braccio come per dissuaderti dal tuo romanticismo.

    "Dai, a-alzati! F-fammi vedere c-come sei diventato b-bravo."
    E mi tiro su prima dite, lo faccio colpendoti leggerissimo il piede con il mio. Digrigno i denti, te li mostro.
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    Si, è quello che ti chiedo. Non perché non sia soddisfacente battermi con Ben, ma tu sei tu, Lucian. C'è qualcosa di diverso in ognuno di noi quando la bestia prende il sopravvento, o quando vuole giocare. E' una delle poche cose che - dopo Joseph - mi fa ancora sentire vivo. Questo mi basta per Natale, non voglio regali del cazzo, facciamoci un po' sanguinare le gengive e sarò a posto per qualche altra settimana. Tanto che rido, ma perché ti alzi e già sai che significa. Dio, grazie. Continua ad esistere, per favore!

    "Hai la memoria corta, amico" mi si apre un ghigno che ti lascio vedere, con la lingua a passare contro i canini affilati. Una smorfia che riconosci come la sfida che scaccia ogni pensiero di merda. Ma questo è perché tu mi hai capito. Tu e Ben lo sapete da quel giorno cos'è che mi serve, sapete di cosa ho bisogno, quanto a fondo i miei muscoli scattino se non li alleno abbastanza. Sono ancora un militare, non mi si stacca di dosso neanche a forza, neanche con il congedo. Io lotto, lo faccio perché è la sola cosa che conosco. A parole, a spinte, ogni cosa serve ad arrivarci. Ma quando picchietti con quel piede del cazzo poi rido, ed in un colpo di reni mi tengo in piedi in equilibro sul tetto spiovente. "Ah" di scherno, con l'affetto che non si sposta mai da qui, da me. Dal centro esatto del mio cuore.

    "Io ti ho sempre fatto il culo" puntualizzo, anche se non è vero. Se sei sempre il più forte di noi tre, ma questo al mio ego non lo lascio sentire. Crederò sempre di poterti fare il culo dopo quelle due volte in cui mi è riuscito decentemente. Come se non sapessi che eri deconcentrato, che non stavi più da noi con la stessa, annusavi la libertà e quanto la volevi!

    Ma da qui, da in piedi dritto come un fuso, ti guardo ancora. Stringo la seconda lattina e la lancio giù nel cortile deserto. Barcollo un secondo, giusto perché il mondo non sta sempre fermo come vogliamo noi. Ma cazzo se mi piace il pericolo così, l'essere sconsiderato, anche se non la faccio la prima mossa.

    "Ti fotto anche con una birra in corpo più di te, ma se hai coraggio di esser pari" con la punta del piedi ti faccio rotolare vicino una seconda birra. Voglio proprio vedere se te la scoli d'un fiato e mi dimostri tu che cosa hai imparato. Alzo i pugni in difesa, i denti li mostro a mia volta come quel ringhio che mi vede aspettarti, fai la prima mossa e vediamo se ti ricordi come funziona con me.
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    Mi sento salvo. Alla fine bastava poco. Ci è sempre bastato poco, in effetti: un po' di sangue a scivolarci lungo le clavicole. Un po' di sudore a mischiarsi alla polvere. Muscoli contratti, respiro corto e nient'altro. Non abbiamo mai avuto bisogno di più di questo. Non così tanto da spingerci oltre i confini che ci erano stati imposti e siamo stati felici. Felici nella nostra bolla. Nel modo che aveva Ben di riprendere fiato quando in due lo mettevamo giù. Che servivamo entrambi con lui. Lui che è sempre stato tanto veloce. Una cazzo di cavalletta piuttosto che un wendigo. E con te, Horace, con te ho sempre cacciato fuori il meglio di me. E magari spero emerga anche adesso. Più a cazzotti che a parole. Perché in quelle non sono mai stato bravo: non ho mai smesso di balbettare e i miei non mi hanno mai spedito a calci in culo da un logopedista. Non ci hanno mai capito un cazzo di come si tirasse su un figlio. Ma questa è un'idea che sento appartenerci. A modo nostro siamo padri, Horace. Padri di un pensiero, di un ideale, di una scelta che non è mai tanto semplice.
    E se abbiamo questo come modo per parlarne allora a me sta bene. A me sta bene solo e soltanto in questo modo, in effetti.
    Tanto che rido quando mi sfidi a partire di pari passo, tanto che la seconda birra me la scolo davvero in un unico sorso. Senza staccarmi mai, piegando il collo quanto basta per lasciarti un punto sensibile da colpire. Ma so che non mi colpiresti mai alle spalle: siamo amici, siamo fratelli e questo prevale su ogni cazzo di cosa. Vigila su tutto il resto.

    "Allora v-vai!"
    Urlo, ma solo per incitarti. Lo faccio gettando per gioco la lattina ai tuoi piedi, in uno scatto che faccio all'indietro come per darti spazio, preoccupandomi di non cadere e allo stesso tempo, di studiare il pavimento sul quale ci adagiamo per non far cadere anche te di rimando.

    "B-buttami giù r-r-ragazzino."
    Ringhio, ma solo per mostrarti i denti. Non sono mai stato tanto più forte di te. Ho sempre fumato troppo per reggere davvero il tuo fiato. Ho solo dalla mia parte la fortuna di essere una bestia e di sfruttare questa cosa per lavoro.
    Già...quasi mi fa male pensare che questa sarà l'ultima.
    L'ultima battaglia, l'ultima lotta tra fratello.
    L'ultimo momento che mi resta per stringerti un istante, per ricordarmi quale odore hanno le bestie come noi. Per sentirvi vicini tanto da piangervi. Siete la mia cazzo di famiglia e Ben non è ancora rientrato. Glielo dirai tu che gli voglio bene?
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    Ho bisogno di constatare la struttura di questo tetto con la pianta del piede, mi sfilo le scarpe al volo, anche solo per capire se e quanto reggerebbe il nostro peso: fortuna che cadendo da qui non ci spezzeremmo l'osso del collo, sarebbe una morte stupida e insulsa, e noi l'abbiamo sempre schivata. Non so perché sia così amaro adesso pensare a noi tre, al modo in cui ci siamo tenuti su nello schifo, trasformando la merda in dollari. Non tutti per noi, ma abbastanza per darcela a gambe con Princip morto.

    E noi siamo animali, Luc, nel vero senso della parola. Io lo sento il fastidio che mi formicola nelle ossa già da ora, quella sensazione di intromissione. Sei pur sempre entrato nel mio territorio, ed anche se tu puoi tutto, il wendigo è in eterno conflitto. E cazzo quanto ci siamo battuti sull'onda di questo, sull'istinto che porta gli esemplari maschi a scontrarsi anche solo per intolleranza di natura bestiale. Perché noi tre non potevano sopportarlo così a lungo, ed invece siamo diventati qualcosa. Forse fratelli? Già, che seppur me la rido, il respiro mi sta mancando un po'. Da quanto non lottiamo ormai? Noi due da quella che sembra una vita. E sono sempre pronto ad affrontarti, con i muscoli che entrano a malapena in tensione, sanno già cosa devono fare. Su quale punto far leva.
    Le mie tecniche sono le tue tecniche e viceversa. Abbiamo imparato nelle arene, e adesso - anche se nell'abito di due cazzoni con due birre in corpo - siamo pronti a darci dentro.

    "Ci si ritira solo invocando pietà" così perché tu lo sappia, perché questo ti faccia ridere tanto quanto rido io nel vederti scolare la seconda birra come fosse acqua. Per noi magari lo è. O forse faccio questo perché mi hai chiamato ragazzino, e qualcosa nei miei occhi si è fatta strana, nel modo giusto credo.

    E carico. Come un toro, chiudo i pugni e molleggio sulle ginocchia, ti giro attorno per vedere se lo farai anche tu, guardandoci come squali. Che il ringhio è potente, riverbera contro le corde vocali. Che ti mostro i denti in un ghigno pallido ad uno spicchio di luna. È con quello stesso ringhio che mi accendo. Che scatto abbassandomi per cingerti in vita e buttarti giù, con una gamba che si aggancia contro il retro del tuo ginocchio. Perché tu non riesca subito a far leva e resistermi.
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    Edited by nocturnæ - 11/5/2023, 07:54
     
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    Non sai quante volte ho dovuto fare la stessa cosa con Benjamin: sfidarlo, prima tra i ringhi, poi tra i sorrisi, a dare il suo meglio. Perché lui, a differenza mia e tua, non ha mai imparato né compreso come funzionassero le cose la giù con Princip. Non è mai significato nulla il fatto che fosse arrivato prima di entrambi. Alla fine credo che la sua sia stata semplicemente una sfortuna: non ho mai chiesto, però, a Benjamin com'è che si sentisse. E lui, di rimando, forse convinto di non poter parlare senza essere interpellato, non si è mai sbottonato tanto. Era un ragazzino solo, ma soli lo eravamo tutti, per un motivo o per un altro. Solo che noi dalla merda un po' siamo riusciti ad uscirne, chi meglio, chi peggio, lui invece credo sia rimasto sempre lì. Sempre a portata di mano di Princip, sempre troppo disordinato e impunito da meritare una punizione.
    E lo hanno sempre trattato come fosse un bambino, forse è perché è da bambino che lo hanno preso e tirato su. Forse in Ben hanno sempre visto un figlio da educare. Una sfida, ecco, quella che lui a differenza di altri non sapeva cogliere.
    E non so se mi sento in colpa per aver capito certe dinamiche troppo tardi e per non essere stato, magari quando ce ne era il bisogno, tanto accorto da salvarlo un ragazzino così.
    Ma ora ci sei tu e suppongo che venendo con te lui non abbia fatto altro che trovare il suo posto nel mondo.
    Credo abbia sempre avuto bisogno di una casa. Di un padre e di una madre.
    Tu invece non hai mai avuto bisogno di un cazzo, Horace. E magari sei stato persino più fortunato di me, che comunque da una famiglia sono arrivato. Tu il mondo te lo sei sempre preso a mani nude e se non ti apparteneva di diritto, beh, facevi in modo che fosse così. Ne strappavi pezzi con le dita. Ne strappavi pezzi a morsi. Per questo mi sento tranquillo se nel guardarti, se nel percepirti, mi convinco di aver lasciato Ben in buone mani. Perché le tue mani sono buone e questo Princip lo ha sempre ribadito. Sei sempre stato terribilmente bravo a combattere.
    Anche se so prevedere le tue mosse e forse per un momento finiamo persino per muoverci all'unisono: stessi movimenti, stessi respiri cadenzati. Alla fine le battaglie si affrontano anche in questo modo: non per forza gettandosi a capofitto sul campo di battaglia, quanto restando dietro agli altri. All'interno di trincee ben fortificate.

    "F-forse mettendo qua-qualcosa in palio c-ci meniamo m-meglio."
    Azzardo, un po' per abitudine, perché siamo sempre stati costretti a muoverci entro determinati termini. A determinate condizioni. E le nostre valevano numeri a più cifre. Valevamo solo in quel senso, in effetti.

    "S-se v-vinco io, un g-giorno p-porterai V-vivi qui."
    Sorrido, ma perché per me è una bella scommessa: dovrà pur conoscervi meglio. Dovrà pur sapere chi è che siamo, come lo siamo. Il problema è che non sono io quello che può raccontarle nel dettaglio determinate dinamiche: questo peso spetta a voi. Tutta la sua protezione spetterà a voi.

    "D-dopo il C-canada."
    E mi lascio spingere giù, ma solo per approfittare della presa che osi per ribaltare la situazione. E tirarti sotto di me, in un voltar di equilibri che dovrebbe incastrarti tra le mie gambe. Rilasso i muscoli prima di doverli tendere di nuovo.
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    Non vale usare le parole per distrarmi, e infatti provo a non darti alcuno scampo neanche con quelle. Perché lo so come sei, come combattiamo quando vogliamo solo fare i cretini su un tetto. Siamo come quei cani che nei cartoni animati poi rotolano uno sull'altro finché non si fermano, si scrollano la polvere di dosso, e continuano a correre per la loro strada.
    Solo che noi prima di andare via ci guardiamo indietro. Noi ci aspettiamo perché così ci assicuriamo che ci sia sempre qualcuno a rincorrerci. Tu, io, Ben. Finche siamo solo noi gli unici a darci la caccia, penso che staremo bene.
    E si, si parlarmi di lei come scommessa, mi fa digrignare i denti in un ringhio di sfida. Vuoi davvero giocartela dandomela vinta tanto facile? Perché io rincaro.
    Che a chiedermi di cosa ho bisogno, cosa vorrei se vincessi, non so rispondere con onestà. Di cosa ho bisogno? Me lo chiedo lasciandoti spazio per spingermi spalle al tetto. Sento i cocci dietro le scapole premere a togliere il fiato.
    Spezzamelo, resisto, e lo faccio con la faccia da culo che mi ritrovo, con il modo che ho di ringhiare incastrandoti una gamba troppo vicino all'inguine.

    "Scherzi? Se vinco io la porto a cena fuori, mica in questa bettola" Ti spingo così, anche se resto sotto la tua presa, se nel guardarti ho un ghigno del cazzo, uno che ti sfida a prendermi a pugni: anche se non è la nostra specialità. Noi viviamo di prese a sangue, di muscoli che si attivano e stringono finché uno dei due non smette di respirare.
    Per questo ne approfitto per assestarti un colpo alle costole. Basta che ti perda il fiato appena un paio di secondi, perché io possa bloccarti un ginocchio allo sterno e spingerti giù, sotto di me. E' solo dominanza, come quei cani che si scopano per dirsi chi è più forte, e niente altro.

    Dimmi che lei è tua, asseconda la mia voglia di farmi spaccare la faccia, di vedere quella scintilla che scrocchia le ossa del collo, e poi le azzanna.
    Ma tu la forza me la spezzi con una parola sola. Tanto vicina a casa mia. Tanto vicina a Tamara.
    E non capisco, spengo le forze facendo la cosa più sbagliata in ogni combattimento.

    "C-Canada?" non capisco, anche se non sono cazzi miei dove vai tu, ma ho un vuoto che prende piano in gola.
    Siamo venuti qui da Detroit per... per non restare soli. Ma forse in te leggo un tono più tragico di quanto non sia, vero? Vero Lucian? E' per lavoro che te ne vai? Ma mica starai via per sempre, sei solo un tragico del cazzo, dai. Sicuro che è così.

    "Non stai vincendo, impegnati" quasi ringhio, quasi è un ordine, uno che dovresti impartire tu, che siam due Alpha, ma tu sei sempre stato quel gradino di dominanza sopra di me. Spingo l'avambraccio lungo la tua gola.
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    Boh, sì, suppongo che così vada bene. Va bene se mi rispondi da bravo bastardo quale sei. Va bene se sai dove toccare, quali punti deboli premere, quali nervi tendere tanto da farli accavallare. Che sento il collo irrigidirsi, come se ogni cosa potesse in un qualche modo aggrovigliarsi come cuffie gettate con noncuranza nella tasca dei jeans. Va bene se mi rispondi come non vorrei, che poi alla fine è anche ciò che voglio. Insomma, il contentino non mi piace, ecco, così come in realtà non mi piace nemmeno che si finisca per toccare qualcosa di mio. E Vivianne mi appartiene anche se a volte mi sembra di averla solo in affitto. Come se ci fosse una scadenza e presto potesse giungere il tempo di darla indietro. Di riconsegnarla ad Abel, di far finta di non averci mai condiviso un cazzo. Ma ringhio, figurati. Ringhio anche quando penso che faresti bene a portarla a cena fuori. Che faresti bene a prenderla sotto la tua ala e che avrebbe senso se ti innamorassi di lei, perché è bella davvero e saprebbe tenerti testa nel medesimo modo in cui ci proviamo io e Ben, anche se non è un wendigo, anche se a volte sembra solo una ragazzina alle prime armi con il mondo. Mi starebbe bene se un giorno fosse tua. Se te la baciassi tu, se l'accarezzassi tu. Anche se dovresti scoprirla da capo, perché non ti racconterei un cazzo. Non ti cederei i miei ricordi: quelli sono miei soltanto, sono preziosi da morire.
    Ma ringhio e nel ringhio ti sferro un pugno in faccia. Che sei tanto bello, Horace e io questa bellezza voglio strappartela via dal viso. Così quando Vivianne ti vedrà non andrà subito a pensare a cos'ha perso. A quali differenze intercorrono tra me e te. No.
    Io so cosa penserà.
    E sono gli stessi pensieri che adesso prendono me alla gola.
    Sono gli stessi con i quali afferro te. Che sì, ti picchio, ma mi faccio comunque picchiare a mia volta. Per una sorta di condivisione amicale. Perché non ha senso menarsi con te se poi sono il primo a non prendere nulla. A non incassare un cazzo. Quindi sì, beccato queste nocche sullo zigomo, ma poi girami, piegami, fai quello che cazzo ti pare. Basta che ti mostri creativo, basta che non me la fai passare così liscia. Perché tu non devi passarla liscia, no, tu adesso devi pagare per la cazzata che hai detto, anche se poi è una bella cazzata ed io so come ti vorrei bene anche per questo. Ti prenderesti davvero cura di lei. E lo faresti così bene che insomma, per un certo verso dovrei persino rivelarmi sicuro, rilassato, tranquillo.

    "Dai!"
    A volte non balbetto, ma sono solo momento. Frangenti che durano pochi istanti. Ho capito che è la rabbia a calmarmi i muscoli. Non so, però, se questo ha un suo senso.

    "E dopo la c-cena che ca-cazzo fate!?"
    Naso a naso. Ti premo la fronte contro per sfidarti meglio, per spingerti a fare più pressione, a far più male. Ma non ti rispondo del Canada, no. Perché non c'è un cazzo da dire: alla fine è solo il posto dove vorrei portare anche lei. Solo questo. Un posto che non profumi della stessa merda di cui profuma New York.

    "S-sai come c-cazzo devi rispond-"
    Ma mi lascio togliere il fiato. Accolgo il tuo colpo come se non aspettassi altro. E mi piego, certo. Assecondo il pugno per sentire meno male. Perché se assecondi il dolore un po' lo mitighi. Gliel'ho sempre detto a Ben.
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    E poi, probabilmente, mi faccio ammazzare. Ecco che faccio, Luc. Da te, perché so come ti monta dentro parlare di Vivianne. So quanto sei smielato per lei, innamorato, perso. E' la tua compagna, lo rispetto come bestia che trova il suo pari, ma non sei immuni agli scherzi stronzi tra amici.
    Noi siamo amici, Lucian.
    Quindi parlami. Dimmi le cose che non mi dici. Che io non ti posso riservare lo stesso favore, nel prendere questo rivolo di sangue e pulirlo con il dorso della mano. Come se io approvassi la tua violenza, l'innesco giusto che riesco ancora a trovare. Quello a cui puntavo anche da Princip: capire come accendervi perché ogni ringhio ed ogni colpo esulassero dalla nostra amicizia, dall'affetto, da questa merda che mi spinge calore oltre l'inguine.
    Noi siamo bestie, ci eccitiamo per il sangue, ed io non so farne a meno neanche adesso, che lecco via il mio e ti pianto un colpo tra le costole. Voglio che me lo sputi in muso, voglio che questo sadico gioco alla fine sia tu a vincerlo.
    Perché mi piace quando ti incazzi, quando la violenza diventa un linguaggio, si fa strada nelle ossa e brucia i muscoli.

    "Oh, sapessi..." lo sibilo con i denti macchiati di sangue, con la presa a farsi ferrea su di te. Lungo la tua gola, anche se perdo il fiato ad averti tanto vicino da togliermi spazio. Non vedo le stelle se ti punti così con me. Non vedo un cazzo se irrigidisco le dita e te le spingo vicino alla carotide. Mi sposto per sussurrarti all'orecchio che cosa le farei. E non succederà mai, perché quello che piace a me, tu non lo sai. Non ve lo dico che cazzo cerco quando esco di casa, e sei andato via troppo presto per vedermi cercare tra quelli del mio stesso sesso. Forse si, forse l'hai capito da che parte sto, o forse non è certo neanche per me.
    Ma la violenza è il mio carburante, accende pensieri ed azioni, accende gesti e questa stupida erezione che devo fermare sul nascere, perdendo secondi buoni, mascherandoli in ansimi di fatica. Cristo che viso hai, Lucian.

    "Ci scopo, Luc. Tutta. La. Notte." Ma non è lei che immagino nel prendere consapevolezza che mi farai a pezzi. Voglio che tu faccia peggio di così, che tu finga di non sapere che per lei avrei rispetto assoluto, perché la ami tu, e lei è tua. Come io amavo Joe, e Joe era mio. "Le faccio gridare il mio nome" Greve, solo per te.
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    Ti lascio afferrare il collo, che non è mai stato uno dei punti più facili da prendere. Nemmeno quando si finisce per credere il contrario. Ben, infatti, non ce l'ha mai fatta, nonostante fosse più leggero e scattante di te. Nonostante fosse più leggero e per questo facile da buttar giù. Quante costole gli ho rotto. Quante caviglie gli ho frantumato, ma tu sei diverso. Tu sei indistruttibile, Horace. Perché io lo so, sì, che potrei colpirti all'infinito eppure di te resterebbe comunque questo bel sorrisino del cazzo. Quei denti perfetti, l'aria dell'ex militare che fa pensare subito in positivo e boh, Vivi sarebbe ai tuoi piedi. Cioè, non è così che funziona, Vivianne non è una stupida, non si lascia trascinare, eppure mi piace immaginare questi futuri impossibili. Questi futuri che un po' anelo. Perché la vita militare fa parte di lei, è la sua famiglia. E se tu fossi pronto a prenderti cura di lei, insomma, io ti lascerei andare. Te la farei scopare tutta la notte, proprio come dici. Perché ci crederei. Insomma, crederei alla tua resistenza, mentre la sua la conosco bene. Non l'abbatteresti nemmeno con una notte, insomma, sarebbe lei ad abbattere te. Quindi sì, afferrami per la gola, toglimi il respiro, che io le mani le spingo altrove, le indirizzo verso le tue cosce, le tue gambe. Che se tocco nei punti giusti allora riesco a farti piegare a carponi. Con le ginocchia a toccar terra. Giusto per farmi pregare, per farmi chiedere scusa così. Dimmi che ti dispiace per quello che mi stai dicendo. Dimmelo e io godrò più che con questi pugni.

    "Dio. Horace."
    E mi esce in un sibilo, uno di quelli controllati, perché so che lo sto facendo di proposito. Sto facendo quello lascivo, quello che con una mano ti stringe forte l'incavo del ginocchio. E ti guardo, fisso il tuo sangue tra i denti, respiro il tuo cazzo di alito che sa di birra e sorrido. Io sorrido, perché sono divertito. Perché mi crogiolo nell'idea che Vivianne potrebbe trovare davvero una famiglia in voi.
    Ma se vuoi lo chiamo io il tuo nome, tutta la cazzo di notte, finché ti resteranno i denti in bocca, finché ce la farai a dire un'altra cazzata in più.

    "Così Horace!"
    E con l'altra mano ti tiro un gancio nelle costole.

    "Dio, p- più veloce."
    E miro di nuovo al viso, che forse è più il mio punto debole che il tuo. Perché insomma, mi piace il fatto che tu sia bello, che tu sia il militare, quello posato, quello serio, quello bravo e che potrebbe piacere ad Abel. Mi piace l'idea che tu possa essere perfetto per lei. Ed io ho bisogno che al mondo esista qualcuno di giusto, di davvero giusto per lei. Qualcuno che le si incastri alla perfezione, che me la tiri su e la faccia crescere come una piantina.

    "D-dio come t'ammazzo."
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