Don't die far from home

Vivianne/Lucian | 24 dicembre 2022 | Sunset Park

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    «Non mi va.»
    Mi taglio i capelli. Sì, mi potrei fare qualcosa di interessante. E pensa che culo, non devo neanche spendere quelle cifre allucinanti per qualcosa che posso fare da sola provando, facendo crescere, tagliando. Così, perché mi va.
    «di fare più.»
    E prendo un respiro profondo con tutto il diaframma e la pancia che si solleva.
    «assolutamente niente.»
    Sì, sì, che non si parli di prendere, mettersi in macchina ed uscire perché non ne ho nessuna intenzione. Non importa se è il mio compleanno, se venticinque anni vengono una volta sola e, finalmente Vivianne, sei diventata vecchia anche te, sembrava impossibile, rana. Non importa se da ieri è cominciata ufficialmente la parte decadente dei vent'anni, quella che scivola nei trenta e manco te ne accorgi e automaticamente, senza rendertene conto, diventi una persona noiosa che va a letto presto. Cioè a me va bene anche infilarmi direttamente sotto le coperte e tipo addormentarmi così, senza nemmeno spogliarmi, perché cavolo se mi fa fatica.
    Che ora c'è anche quella barba di Natale e del Capodanno. Che palle, ma chi c'ha voglia di festeggiare ancora?
    Rantolo su un fianco. Che sono due giorni che faccio la sponda tra Brooklyn, Manhattan da mamma, e ora di nuovo qui dove finalmente posso prendermi la libertà, rimanendo stesa sul letto, di alzare una gamba e cercare di arrivare con le braccia e le mani tese ai lacci della scarpe per scioglierli e poi toglierla. Prima una e poi l'altra. Dove vanno a finire quando le tiro via non lo so, c'è già un caos allucinante in questa camera e in questo appartamento in generale.
    «Mi sento un uovo.» è un altro rantolo prima che mi giri di nuovo sull'altro fianco, e poi torni ad inarcare la schiena per sfilarmi via il maglione e la maglia e lanciarli appallottolati nella stessa direzione delle scarpe.
    «Non farmi vedere nessuno, please
    No, no tirare fuori la cosa che dobbiamo uscire, che ci aspettano da qualche parte perché hai organizzato, boh, qualche cosa di particolare visto che ieri c'era la luna nuova, perché non c'ho voglia Lou. Facciamo tutto domani, che è Natale e quindi è un giorno di per sé pessimo, ma meglio così, almeno tutti si dimenticano perché sono troppo presi dai festeggiamenti, dai regali, e mi lasciano in pace. Che poi è illusoria anche per me questa speranza, visto che se oggi sono riuscita a scamparla domani comunque dovrò ricominciare il giro.
    Con i tardi venti arriva anche l'essere scorbutici? Ma son sempre stata un'orso in fondo, su. Voglio stare a casa stasera. Lo vedi come ho lanciato i vestiti e le scarpe? È un evidente segno di protesta per ogni tua possibile idea che preveda il mio rimettermi in moto. Ho già visto troppe persone, altrettante ne ho ringraziate, troppe ne dovrò vedere da qui ai prossimi due giorni.
    Lo so, il giorno non è dei migliori, ma quest'anno purtroppo è andata così, con una luna che si è oscurata in maniera tremendamente precisa, tanto che pure oggi non sarebbe stato ideale vedersi, anche se non hai insistito molto per evitarlo. Calendario, occhio sempre al calendario. Quindi sì, è meglio rimanere tranquilli e infilarsi a dormire senza agitarsi troppo.
    Rimaniamo qui stasera da soli. Che poi, come minimo, quelli, sempre quelli ti chiamano, e allora sei costretto a volare via sapendo di non poter spiegare.

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    Mi consolo pensando che prima o poi ritornerò da te. Che la vita funziona unicamente in questo modo e che se voglio vivere, ecco, se voglio vivere com'è che potrebbe piacere ad entrambi, allora forse devo cedere anche a questo. Mi consolo pensando che questo non sarà davvero il nostro ultimo natale. Non l'ultimo compleanno che passeremo insieme. E anche se al prossimo non avrai ventisei anni, ma già trenta o trentadue, io sarò comunque felice. Mi consolo con questo, con l'unico mezzo che ho per sopravvivere: il ricordo di questi momenti tanto nostri, tanto lontani da Detroit e ciò che sono stato costretto ad essere sino ad oggi. Ma non sono ancora del tutto libero. Non sto ancora bene Vivi. Perché se non posso mantenere nessuna delle promesse che vorrei farti allora sono un uomo perso. Allora sono in torto. E mi sta bene sapere che tuo padre non mi voglia. Al tuo fianco, persino io, preferirei vedere altro. Anche se poi sono mie le mani che ti stringono. Anche se poi l'odore che ti permane, quando torno a casa, finisce per avvolgere anche me. Ti porto con me da anni ormai. E non importa se sono pochi o se a modo loro sembrano tanti. Tu mi appartieni. Ed è proprio per questo che ti dico addio. Che ascolto le tue parole, che mi volto per guardarti meglio: mi mancherà da morire il tuo sguardo. Continuerò a sentire il suono della tua voce finché non tornerò a casa o fino a che non ti porterò con me. Andrei ovunque con te, se questo fosse possibile.
    Eppure posso consolarmi solo con questo, adesso. Con questi suoni e questi odori che probabilmente porterò con me con estrema gelosia e va bene così. Così come so che andrà bene qualsiasi cosa farai da oggi in poi. Andrà bene in qualsiasi modo reagirai e quello che spero, anche se egoisticamente spero sempre di tornare e di saperti qui, è che tu riesca finalmente a soddisfare i desideri di tuo padre: sposati con uno bravo. Innamorati di un uomo normale e magari facci anche dei figli. Trova una stabilità che io non so darti e che, per ricercare disperatamente, sono costretto ad andare altrove. New York è come Detroit, Vivi: dovremmo scappare, ma come faccio a portarti via se non so e non posso spiegarti cos'è che succede qui?

    "N-non v-vuoi vedere nem-m-meno il t-tuo regalo?"
    Lo so che ci regaliamo sempre qualcosa di troppo piccolo. Solo qualcosa che possiamo comprendere ed apprezzare noi. Come un viaggio in moto fino l'altra parte della città. Come un bacio più intenso, più nascosto sotto il porticato della casa di tuo padre. So che nessun regalo eguaglierà questo addio, ma andiamo in camera tua, Vivi. O stringimi più forte, proprio su questo divano. Che te lo prometto, almeno per oggi, Vivi, io non ti farò vedere nessun altro.
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    Sono abbastanza stanca, però mi sento contenta. Sai, no? Quella stanchezza che ti pervade a fine giornata, ti si aggrappa alle ginocchia e comincia a tirare a stirare le game. E fa male, cavolo se fa male, a volte in una maniera che persino ti stupisce, e dici a te stesso: "Cavolo, ma sul serio?". Quasi preoccupante. Ma alla fine è un male quasi piacevole. È il sintomo di essere stati troppo attivi, di esserselo mangiato il mondo durante questa singola giornata. Ed è così che dovremmo fare, sempre: prendercelo a morsi, farlo fino in fondo senza tralasciare niente, senza avere paura di sentire, ad un certo punto, sotto ai denti una parte più dura o una più cruda. Ci siamo passati. Eppure siamo sempre qui.
    Forse per testardaggine, forse perché, dai, vuoi vedere che alla fine siamo davvero bravi in qualche cosa io e te? Qualcosa ci riesce farla quadrare alla fine. Non che non vorrei che le cose a volte fossero differenti, che fossero più semplici. Questo mi piacerebbe, Lucian, mi è sempre piaciuto e mi piacerebbe sempre tanto, ma se siamo qui è probabilmente anche proprio per tutte le complicazioni. Per le vie traverse, per gli ostacoli, gli imprevisti, per i dirottamenti. Non lo so dove è che saremo domani, dobbiamo imparare a farci un po' più elastici eh, ma non mi va di pensare nemmeno a questo stasera. Stasera voglio solamente restare qui con te e non pensare a niente. Solo per un po', pretendendo di non contare le ore come abbiamo sempre fatto. Che di passi avanti ne abbiamo fatti, sì, ma mi piacerebbe sempre che questo tempo, queste ore ritagliate con un po' di calma, riuscissimo ad afferrarlo e a tenderlo, tenderlo come una pasta, come una stoffa, e allargarlo, e farlo diventare qualcosa di esteso, di stabile. Un tempo sempre così, dove non abbiamo bisogno di correre. Sarebbe bello. Ecco la banalità: sarebbe bella un po' di normalità. No? Forse saremmo solamente più noiosi, probabilmente, ma resta bello sognarlo così.
    È bello adesso, che faccio finta di assaggiare, assaporare questo futuro che non so tra quanto arriverà, ma spero lo faccia presto. Se ci riusciamo ti prometto che non divento noiosa. Resto una rompicoglioni a cui non va bene niente. Resto sempre un'orso, una rana, quello che vuoi.
    Non sto pensando al futuro, non in quel senso, non da farmi piani perché all'improvviso, toccati i venticinque anni, ho bisogno di dare una sistemata alla mia vita. Sono solo una nostalgica a cui piace godersi le piccole cose come questa. E mi piacerebbe che durasse per sempre.
    «Qui?» apro un occhio cercando nella tua direzione.
    «Per me puoi pure cominciare a spogliarti qui, basta che poi mi porti di là.»
    Rispondo con un ghigno sottile che piega le labbra e sbuca tra le dita che mi si sono arrampicate sul viso per cancellare un po' di stanchezza e di trucco rimasto lì, per tutta la giornata, negli angoli degli occhi.

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    Non so mai dire cos'è che mi è piaciuto di te. Non all'inizio, almeno. So cosa mi piace adesso. Cosa mi piacerà in futuro, ma non cos'è che mi ha colpito la prima volta. E non vorrei nemmeno dire che l'occhio, solitamente, vuole la sua parte: non eri così. Tu sei cambiata, Vivi, anche se solo nell'aspetto, in effetti. Perché nell'odore, negli ansimi, nel modo divertente che hai di prendere le cose troppo sul serio, tu non sei cambiata affatto. E magari sì, adesso sto solo divagando. Magari non è nemmeno questo il fulcro dei miei pensieri, questa sera, ma oggi va così. Adesso, almeno, va così. Scivola un po' sul malinconico, su quella tenerezza che abbiamo sempre nascosto tra un insulto o l'altro. Un po' come se le carezze fossero virgole o semplicemente il modo che abbiamo sempre avuto di porre l'accento sulle parole.
    Diciamo che so bene com'è che funzioniamo e cavolo, cavolo se non vorrei che le cose andassero così. Vorrei un finale diverso, Vivi, vorrei un lieto fine, anche stupido, anche noioso. Vorrei, ecco, forse qualcosa di mio, di davvero mio. E non qualcosa che mi viene dato con la presunzione di esser spacciato per tale. Non cose come Horace o Ben dei quali occuparmi come fossero figli miei, ma qualcosa che può davvero venir fuori da me o da te. Magari qualcosa che possa venir fuori da entrambi. Ma non ho modo di sognare, Vivianne. Non posso permettermi di credere che da questo possa nascere qualcosa di diverso da un bacio, una presa, una stretta tanto forte da farmi mancare il fiato. E poco importa che io sia un wendigo: tu sai come abbattermi. Sai come mettermi giù, come tenermi buono, alle strette. E forse è proprio questo ciò che amo di te: che sei forte, indistruttibile, dura il giusto. Mi piace sapere che lo sarai anche domani, anche tra un anno...e poi due.
    E mi fai ridere, di quelle risate sincere anche se un po' grattate. Sarà che fumo troppo, sarà che non so più com'è che si ride: non sono più un ragazzino e anche quando lo ero, insomma, le cose non è che fossero tanto facili. Non lo sono mai state per me, per noi ed è per questo che credo di averci fatto il callo.

    "Oh, a s-s-saperlo avr-avrei messo le mu-mu-mutande b-buone."
    Non ho mai avuto accortezza per queste cose, perché alla fine so che non ti interessa di cos'è che ti passa sotto agli occhi. O almeno, non hai mai avuto da ridire su di me. Non hai mai trovato nulla da correggermi e forse questo è uno dei tanti motivi per i quali mi mancherai. Con te mi sono sempre sentito a casa. Meglio che con i miei, meglio che a Detroit. Tu sei stata una casa diversa da quei palazzi. Tu sei stata una villa nella foresta. Sei stata il mio paradiso terrestre.

    "C'è d-d-davvero qualcosa s-sotto l'alb-albero per te."
    Ma la smetto di parlare. La smetto quando i baci che voglio darti io sono forti quanto morsi. Lo faccio quando per tirarti su la maglia e far lo stesso con la mia un po' mi deconcentro: sono sempre stato così, purtroppo. Princip mi ha educato a fare una sola cosa e a farla bene. Perché altrimenti tutto resta inutile. E se tu non inizi ad aver i brividi solo perché ti sfilo la maglia, allora anche questo diventa inutile. Salvale tu le mie buone intenzioni.
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    «Ma sei scemo forte, sempre te le devi mettere!»
    Mi viene da ridere, forse pure troppo. Sì, è la stanchezza, quando cominci a ridere per una stronzata abissale, una parola, un tono di voce, e ti fissi su quella e non ce la fai, continui a ridere fino a che una lacrima non ti solca davvero la guancia, e allora diventa imbarazzante perchè fa quasi pensare che ci sia altro, che sotto la stupidaggine, l'euforia ci sia in realtà la tristezza. Ma io non sono triste, affatto. Sono stanca sì, non sono serena, spensierata, come non lo sono mai stata, non è mai esistita questa cosa nella mia vita, ormai lo sai bene. Ma adesso non sono triste. Ci è andata molto peggio, ma forse sai per una voltà ho avuto ragione, quel giorno, al Sacred, dopo la mia pallottola nella milza. Quella è stata la cosa migliore che ci potesse capitare, per assurdo. E adesso qui sto bene, mi sembra di stare bene, Lucian, io e te. Potrebbe migliorare, come ogni cosa. Ci sono ancora un sacco di cose che vorrei cambiare, rendere diverse, ancora così tante. Tutte quelle di cui non possiamo parlare, tutte quelle schiavitù che non posso neanche nominare per il tuo bene. Sono sempre quelle. Mi piacerebbe saperci liberi, Lucian. Mi piacerebbe fare il cazzo che ci pare, quando ci pare, senza sottostare ai tempi, ai modi, alle regole degli altri. Mi piacerebbe ci fosse un modo. Mentirei se ti dicessi che non ci penso ogni giorno, che continuo a lavorare notte e giorno con il cervello per cercare un cavillo, uno snodo, una furbizia per tirarti via da lì. Di nuovo, contro il tuo parere. Mea culpa.
    Colpa mia, sì, che mi illudo di sapere sempre cos'è che è meglio per gli altri. Che mi dispiace, ma in fondo non abbastanza, e continuo a non capire il perché dei tuoi silenzi, perché non mi dici che desideri fuggire anche tu, che vorresti qualcosa di diverso da questo. Che se mi dici sì ci mettiamo giù, lo facciamo adesso, proprio ora: scopiamo e dopo dietro la carta da pacchi dei regali buttiamo giù un piano per scappare insieme e per liberarti per sempre. Dimmi di sì adesso, tra di noi, come se non avessi sempre una cimice nella testa che filtra ogni tua parola, ogni tuo pensiero. Vorrei cambiare anche questo, Lucian. Vorrei tu fossi libero anche da questo. Non si tratta neanche più di essere wendigo, quello ormai sappiamo come fare, siamo perfettamente in grado di gestirlo. Siamo allenati, no? Sono quattro anni che ci alleniamo; andiamocela a prendere questa medaglia d'oro a questa staffetta.
    Faccio per spingerti via, per togliermi le tue mani di dosso quando cominciano ad aggrapparsi ai vestiti.
    «No vai via, non voglio farci più niente io con te, coglione!» così, sempre per gioco.
    Che sono abbastanza stanca e quando sono stanca così allora mi vien da fare la cogliona anche a me. Come se fosse l'ultimo rimasuglio di energia che spinge e mi lascia così, disinibita, casinista, quasi ubriacata di stanchezza. E alla fine collassare, tutta insieme, tutta di botto, spero non al momento sbagliato adesso.
    «Se è brutto devi darmelo subito così poi ti fai perdonare immediatamente.»
    Ecco, se ci manca qualcosa in questo momento perfetto è proprio questo, saperci liberi, ma fino in fondo, Lucian. Liberi da qualsiasi cosa. Te lo immagini? Eh, riesci a immaginartelo come sarebbe? Sarebbe fantastico, da paura.
    Ti pianto le mani tra le clavicole e il collo, per impedirti di tornare ancora giù, guardandoti con gli occhi fuori dalle orbite.
    «Oh mio Dio. Sei di fronte ad una scelta determinante, Lucian Coppola. Devi scegliere cosa è meglio. Se sei più bravo a fare i regali o a scopare. Ohhh»
    Sarebbe incredibile, fantastico. Facciamo tutte le copie del mondo delle chiavi di questa casa, pranzo, cena, ci vediamo quando ci pare a noi, dove ci pare a noi, cellulari nel cesso, scopiamo a pranzo e a cena, se ci gira prendiamo la moto e ce ne andiamo dove abbiamo voglia quel giorno. Voglio andare in Oregon, e ce ne andiamo, e vaffanculo ai progetti lasciati a metà. Apettiamo la fine dell'anno su un divano a guardare un canale tv sconosciuto, un bacio veloce e poi a letto. Una colazione noiosa, una vita noiosa, un noioso anche starci sul cazzo ad una certa. Sì, fino ad annoiarci a morte, a non sopportarci più dalla noia fino a che qualcuno (presumibilmente io) non si mette a correre e allora a te tocca venirmi dietro e rincorrermi, e ricominciamo così tutto da capo e ci innamoriamo di nuovo.


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