Lasting lover

Joshua & Bud | Villa Sinister, 1 maggio 2023 | Contenuti sensibili

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    La testa ciondola distratta lungo una spalla. E tu la segui col resto del corpo. Giri i piedi nella direzione verso la quale scivola lei, poi ci spingi anche le spalle. E ti sembra di fare una giravolta su te stesso, anche se alla fine, per pura fortuna, resti fermo, immobile, in piedi proprio dov'eri prima.
    E magari è il mondo a vorticare mentre tu, semplicemente, stai fermo. Ma fatichi per mantener stabile questo equilibrio del cazzo. Te lo ha insegnato Joshua, ma lo ha fatto anche tua madre prima di tutti gli altri. Lei che ti ha sorretto per le manine quando hai iniziato a fare i passi. Lei che ti medicava le ginocchia quando improvvisamente scivolavi. Magari sei scivolato anche adesso, per questo ti fa male tutto. Sei scivolato non appena l'hai vista fuori dal Deuce e allora hai fatto prima uno, poi due passi indietro prima che lo sguardo potesse in un modo del tutto spontaneo spostarsi sul rigonfiamento che le si intravede lungo il ventre. Non hai voluto sapere a quanti mesi fosse, anche se lo sai: sei sempre stato bravo nei calcoli. Non avresti nemmeno dovuto avvicinarti ad un luogo del genere: posti per i cacciatori non sono mai posti accoglienti. Non lo saranno nemmeno quando Salvatore cesserà di esistere. A prescindere da tutto, probabilmente. Ma soprattutto perché le tensioni politiche sono quelle che sono.
    E Joshua te lo ricorderà. Te lo ripeti, cerchi di non cacciarlo mai via dalla memoria. Nemmeno quando salire i gradini di Villa Sinister non ti sembra un'impresa così facile. Sfrutteresti la dimensione ombra per spostarti agilmente fino in camera tua, ma non te la senti di muoverti più di così. Non quando, provandoci dal pub in cui ti sei ubriacato - che non è stato il Deuce, no, hai avuto la decenza di andare altrove - sei finito ad un kilometro dalla fine della barriera. Sulle ginocchia, come in cerca del perdono. Di aiuto. Ma tu non lo richiami mai davvero. Non urli, non emetti fiato. Sei sempre stato un bambino così buono, così tranquillo. E magari lo sei anche adesso. Anche se inciampi puntando la punta del piede contro il gradino. Anche se ti stringi al corrimano e prendi fiato solo quando ti rendi conto di essere perfettamente immobile. Finalmente sulla veranda.
    E la chiave di riserva la giri nella toppa della porta sul retro. Lo fai senza riuscire a centrare davvero il buco. Senza sapere com'è che si possa aprire un posto del genere. E ridi, da solo. Ridi di una risata che si fa gutturale e diviene subito sussurro. Smetti di ridere quando aprendo la porta cadi a terra e allora, finalmente, ti copri il viso per toglier via quel velo che ti imperla lo sguardo. Non vuoi che questo possa impedirti di vedere. Ma non piangi, non del tutto, non per quanto effettivamente ti servirebbe.

    "Mimì!?"
    E cerchi Remì, ma non sai bene per quale motivo. Lo cerchi così come lo cercherebbe Efrem se potesse tornare a casa. Lo cerchi che non ti tiri su da lì. Che la porta cerchi di chiuderla allungando un piede in sua direzione. L'arpioni con le dita, cerchi di far pressione.

    "Ho - ho visto la mia mamma."
    E la voce si fa sempre più flebile, più incerta. Fissi il piede, la gamba dritta. Gli occhi si imperlano un po' di più, ma non è niente di incontenibile: devi imparare a ricacciare le lacrime là da dove vengono così come Joshua ti ha insegnato a fare con il sangue. Sei un bambino forte, te lo ha sempre detto Danielle.

    "Cioè, sì, quella che lo sarà a breve...e poi per sempre."
    Ma parli da solo, adesso.
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    Sei un cane bastonato. Magari è per questa fottuta ragione che mi alzo dal divano appena sento aprirsi la porta. Ma non prima di aver spinto il viso contro Remi ed avergli lasciato un bacio leggero, come a dirgli che va bene se non si alza con me, se non risponde ad un richiamo che gli sembra il suo nome. Ora qualcosa la accetta un po' di più. Ed è per questo che tu non dovresti confonderlo così, anche quando io non so un cazzo. Ma so da dove vieni e cosa cazzo sei per me. Lo so, no? Per me e per Chrys. Per Alice con cui non vogliamo mai che parli. Remì spinge la testa come un gatto, ha preso da Judas. Ma sa già che quando a qualcosa ci devo pensare io, lui non deve muoversi.
    Ed io ci penso Bud. Cazzo se ci penso, che un anno fa ho allagato questo fottuto salone solo perché il mondo stava cercando di fottermi ancora ed io non ne potevo più. Ma che cazzo ne sai tu? Che entri ubriaco farneticando su tua madre, ed io che poi tiro piano la mezza porta che ripara il salone.
    Non ti ho permesso di stare fuori così tanto. Non ti ho permesso di non dirmi dove cazzo intendevi andare, e cosa volevi fare.
    Cammino perché i passi tu possa sentirli, capire che mi sto avvicinando. Che mi piego sulle ginocchia per raggiungerti e lasciare un ringhio che sia il cazzo di benvenuto. Casa è al buio e non mi sono curato neanche di accendere la luce nel venirti a prendere.

    "Che cazzo hai fatto, mh?" Mi esce come un rimprovero che smuove le vene con dolcezza, una impigliata trai denti come nervi da tirar via a morsi. Nel dirlo ti prendo il mento tra le dita e lo tiro su. Cosicché tu finisca per guardarmi Buddy. Anche se poi non so come cazzo ti guardo io. Sei un cane bastonato, lo sei più di me alle volte. Ti sei scelto un destino di merda e lo capisco, Dio se lo capisco. E sei tuoi occhi sono pozzo di dolore che fanno vibrare il petto nel profondo, spingono giù fino alla fine, fino a tutto quello che accendo.
    Chrys lo sa che cazzo sembri. Forse abbiamo capito quello che non ci hai detto quando non ti ho fatto entrare qui dentro.
    Ed anche se la mia mandibola scatta. Io non so avere solo ghiaccio nelle iridi. Non quando la presa non la mollo, il tuo viso lo alzo, come voglio che ti alzi tu.

    "Ti aspettavamo per cena, dov'eri?" È un sussurro vibrato, un malcontento che non ti nascondo mai. Lo sai quando mi deludi, lo sai quando invece ho paura di te. Anche se la risposta l'hai data prima, biascicando, ma io non l'ho sentita. Io cerco di farti alzare, ti aiuto a tenerti in piedi stendendo un braccio contro il tuo, ma devi fare forza sulle gambe, che non ti voglio vedere così in casa mia. Anche se sono il primo a far vedere a mio figlio cose che un ragazzino non dovrebbe conoscere. Ma questo è il mio mondo, e per questo tu adesso ne hai parte. Anche quando la mano dal mento scende verso la gola, la accarezzo piano, non so accorgermi sempre di tutto, cazzo. "Buddy..." guardami, è un ordine.
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    Alzi il muso quando le dita di Joshua ci fanno pressione contro. Lo fai istintivamente, come se il corpo conoscesse solo e soltanto questo tipo di reazione. E ci stai comodo, in effetti. Comodo in questa posizione. Comodo con il viso rivolto verso di lui. Che lo guardi, figuriamoci se non lo fai. Lo guardi con quegli occhi lucidi che si fanno perle nel momento in cui incontrano i suoi. Ghiaccio contro ghiaccio, anche se quelli di Joshua li hai sempre trovati più belli. Anche se quelli di Joshua, alla fine, non saranno mai come quelli di Leroy.
    Ma ti senti in colpa. In effetti, questo modo che hai di reagire non è altro che un'ammissione di colpa bell'è buona. Che ti ammutolisci immediatamente e lo fai come quando Danielle veniva a chiederti come ti fossi ferito il ginocchio o come mai il tuo sopracciglio fosse livido. Che con i bambini non hai mai saputo starci. Non ti piaceva chi aveva una famiglia migliore della tua. Chi aveva una madre presente. Con la quale parlare davvero di qualcosa.
    Tu non hai mai parlato con lei. Hai solo e soltanto reagito. Così come fai ora: che magari non dici nulla, ma poi ti ritrovi a svelare tutto.

    "Ho bevuto un po'."
    E non dici le bugie, non quando devi rispondere a chi vuoi bene. E Joshua fa parte di questi, anche se in un modo che non sa esserti ancora totalmente chiaro. Anche se per lui nutri più stima che altro. Stima per come ti ha tirato su. Per come ti è stato padre quando quello che lo ha fatto per una vita, comunque, è stato solo e soltanto compagno di tua madre.
    E tu a Jean sei grato, ma non così tanto da restare in zona. Non così tanto da essere il cacciatore che hanno tirato su insieme. Tu la odi la caccia. Se devi cacciare, lo fai diversamente. Lo fai come il segugio che Joshua ha tirato su e che Chrys ha perfezionato.

    "Non sto male."
    Cerchi di tirarti su, lo fai aggrappandoti a lui, così saldamente da non renderti conto di portargli una mano lungo il fianco. Te lo tiri contro, ma per star dritto. Solo per farti sentire meglio. Che torni a biascicare. Lo fai distogliendo lo sguardo da lui, ma solo perché gli occhi ti fanno male ed è come forzare un muscolo che non andrebbe sollecitato così tanto.

    "Solo che, solo che lei è così bella. Sorrideva...forse le ho rovinato la vita io."
    Come se ci fosse davvero modo di pensarlo. Come se questo potesse rivelarsi utile.
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    "Mh" Mi basta il tuo fiato per capire che "un po'" è riduttivo. E per questo mi si alza un nuovo ringhio, uno insoddisfatto a gola rigida come se dovessi spiegarti quello che non puoi fare. Poi sono il primo a non seguire mai nessuna fottuta regola, so solo che tu devi dove io non posso. Non so neanche quanto casino puoi fare a muoverti in questo modo sulla linea del tuo tempo, cristo. E non andrà da quel santone del cazzo a farmelo spiegare, me lo dirai tu appena ti passa la voglia di farti così male da solo. Perché lo sento che cazzo hai fatto, lo sento nelle ossa, come se a me non dovesse mancare quella stronza di mia madre.
    Io che ho dato via i suoi ricordi migliori anche solo per vivere. Ma non so se il Joshua che conosci l'ha fatto. Perché tu hai visto Faust, e niente altro. Faust che insegna e tu che, tra le proteste, impari.
    Ora non so che cazzo potrei insegnarti, se non questi brividi che corrono lungo tutte quelle parti che per reggerti finisci a stringere. E dio se lo fai, se ti aggrappi come se fossi davvero un cazzo di scoglio nell'oceano.
    Stai affogando, Bud? Perché lo so come ci si sente, come se potessi bermi il tuo sangue e capire da ogni ferita che cosa ti passa per la testa.

    E mi sei vicino, mi sei fottutamente vicino quando il mio ringhio si apre in due dietro le orecchie, che vorrei penetrasse nei tuoi padiglioni del cazzo che questa cosa non deve succedere mai più. Non finché hai alloggio qui, finché sei legato alla mia famiglia tanto in profondità da rischiare di metterci radici. Che se tu non mi guardi, lo faccio io. Non ti impedisco di toccarmi, ma mi spingo avanti perché la tua schiena non ti dia spazio, perché sia il muro portante a sorreggerla, ancora al buio.
    E forse non ascolto il modo in cui farnetichi, il modo in cui ti aggrappi a ricordi che sono troppo lontani da me, troppo incomprensibili. Non ho questa cazzo di empatia, la mia è un problema inverso, io posso uccidere ogni tuo problema del cazzo, ma non posso capirlo.

    Ma è la ragione per cui mi sento bruciare ora, con i respiri pesanti nel silenzio dell'ingresso. Con Remì di là a sapere bene di non doversi muovere, ed Alice lontana, come Chrys.
    Non so se sia fottuta compassione, ma le tempie te le fermo con le mani, come a mettere a tacere questi pensieri che non ti porteranno da nessuna parte. Ti soffio in muso, tanto vicino da spezzarti il collo con una sola mossa. Ma non puoi non guardarmi. Neanche se chiudo gli occhi per un secondo prima di te. So anche che cazzo hai bevuto, perché non ti sei neanche preoccupato di cambiare marca, e magari l'hai preso da qui. E non me frega un cazzo di quanto alcol sparisca, Buddy, il punto è un altro.

    "Che cazzo ti ho detto sui limiti di questa casa?" anche questo non è che un sussurro stretto trai denti, perché ti dovrei punire, dovrei farti restare fuori, ancora sotto la pioggia che richiamerei con costanza se non fosse che stasera è solo uno spettacolo di tuoni e fulmini.
    Limiti, comunque, che io supero, perché il tuo cazzo di corpo è così simile al mio, eppure così fragile, così morbido tra muscoli e cicatrici spente. E che questa te l'ho procurata io, lo so già, neanche ti dico quanto cazzo mi eccita.

    Ma non hai bisogno che io dica un cazzo, perché il mio ringhio non allontana il mio corpo, non fa che spezzare il fiato in ansimi di fastidio, non sai quanta fatica sto facendo, anche se una mano ti tiene per la schiena ed inizia la sua discesa verso i fianchi. Dio se ti sento. Va via, cazzo.
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    Dovevi andare dall'altro, infatti. Non volevi tornare qui all'inizio: Villa Sinister, per quanto fosse il luogo in cui Alice ti ha detto di tornare qualora ci fosse stato un problema, non è il primo posto che hai pensato quando, attraversando la Dimensione Ombra, ti sei odiato per non essere riuscito a mantenerti perfettamente stabile sui tuoi stessi piedi. No, tu saresti voluto tornare da Leroy, tanto che gli hai scritto anche se, bhe, forse c'è una parte di te che si é ben resa conto di non poter raccontare nulla del genere a Lele. Non sei ancora così intimo da parlargli di tua madre e forse, stupidamente, c'è una parte di te convinta di non potersi far capire da lui. Non nello stesso modo in cui saprebbe capirti adesso Joshua, anche se ti tiene ben saldo contro il muro. Anche se una mano, lungo il tuo collo, la mantiene sempre tanto stabile. E tu non ti scomponi, non obietti, anzi. Tu ti alzi e ti modelli a lui. Lo fai accompagnandolo, seguendolo come se anche questo dovesse essere verità assoluta. O almeno, il modo che ha lui di essere sincero con te. Almeno lo guardi, Bud. Almeno hai la decenza di rivolgergli lo sguardo. Di ricercare i suoi occhi con fame, assimilando tutto ciò che la sua voce enuncia. Perché le sue parole sono leggi, anche quando non sai scusarti per non essere tornato a cena. Non ti scusi ancora per essere così. Per aver violato la tranquillità che Joshua crede di mantenere in questa casa.

    "Stavo per andare altrove."
    Ma questo lo biascichi di nuovo. Quasi come fosse più una riflessione tra te e te che una giustificazione da mostrare a Joshua. Non hai nulla da poter giustificare. Niente e magari a lui nemmeno farebbe così tanto piacere saperti con la mente altrove. Che accarezzi le gambe di Leroy adesso. Lo fai anche quando con le dita ti arpioni ai fianchi di Joshua e chiudi gli occhi, come per saggiare l'equilibrio che si sta creando adesso. Cerchi di concentrarti sul tuo stesso baricentro. Cerchi di non scivolargli via dalle mani.

    "Però le gambe mi portano sempre qui..."
    Pieghi il collo all'indietro, contro il muro. Lo fai come per alzare il muso al soffitto è prendere aria così. Hai bisogno di aria. Di pensare alle gambe di Lele e non al sorriso di tua madre. Non puoi vederla come non è mai stata con te. Non puoi renderti conto di come ciò che per te era raro, adesso è ancora tanto naturale.

    "P-perdonami."
    Ma devi chiederglielo. Non sai stare senza prostrarti a lui. Non puoi ignorare i sensi di colpa che prendono a sovrapporsi l'uno sull'altro. Ne soffocheresti peggio.

    "Non creerò problemi. Vado in camera mia. I tuoi figli non mi vedranno."
    Ti mordi le labbra, quasi a trattenerle di nuovo quelle cazzo di lacrime. Perché in camera tua, quando vivevi con tua madre, non ci sei mai voluto stare. Tornare in camera tua significava perdere. Restare con lei sul divano. Dormire con lei, mangiare con lei, lavarti con lei, ti sembravano le cose più giuste che potessi fare.
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    "Non vai da nessuna parte" che è un cazzo di imperativo, nel bloccarti anche quando non ho bisogno di trattenerti perché sei già qui. E figurati se mi è piaciuto sentirmi dire che saresti andato altrove. Non farai niente di tutto questo, cristo.
    Anche se sarebbe giusto, se questo non è neanche un luogo, è solo un corridoio buio che profuma di spezie, di quegli odori che Chrys tiene stretti a se, che se chiudo gli occhi so solo come cazzo si venera. E adesso tu lo fai con me, tu mi chiedi perdono e non hai idea di quali meccanismi inneschi, e quanto a fondo vadano nelle perversioni. In ansimi che abbassano il tono della voce. In occhi che si fanno più scuri, rigidi anche se quello destro resta spaventoso, non so fare altro, né darti qualcosa di meglio da vedere.
    Che a questo mostro mi aggrappo anche io, con ogni forza, con mani che si fanno artigli.
    Che ti spingono contro il muro in una mossa a stabilire che resti qui. A stabilire la tua attenzione su di me. Sei così imperfetto, come una creazione che non ha preso forma, e cristo se mi ricordo tutto quello a cui mi ha costretto Slater.
    Non lo so se più avanti te le ho già dette queste cose, ma adesso so solo quanto il buio sia casa mia. Io non lo temo, ho imparato ad usarlo per me, a viverci dentro, a muovermi come il fottuto cane che sono, il segugio e protettore di queste mura, che lo ero prima che Chrys mi sposasse, lo ero quando ancora credevo che non ci avrei mai scopato con uno così.

    Ma cazzo quanto lo amavo allora, e quando lo amo adesso. Lo amo nel spingerti il fiato lungo il collo. Lo amo nello spingere la mia mano più a fondo, a ricercare confini che ti rendano meno pericoloso. Perché lo sei, ma sei anche un cazzo di ragazzino, sei impossibile, mi fai impazzire quando ti apri così. Odio che tu sappia come prendermi, odio tutto di te, anche se adesso quello che voglio è diverso, quello che spinge è una pulsione che trattengo in gola a fatica. Che il mio petto spinge indietro il tuo. Io ho bisogno di questo. Contro ogni cazzo di rimorso. Mi devi respirare ogni ansimo addosso, Buddy, non l'hai ancora capito? E dio, Dio, quando chiudi gli occhi stringo i denti, mi ribolle il sangue e non è mai successo dopo Chrys, con nessuno cazzo. Nessuno che puzzasse come me quando bevo troppo, e dio se ci do dentro, molto più di te.

    Eppure ora non mi sposto, non ti do scampo, il volto troppo vicino ad una tua guancia, ti respiro come si fa con le pareti di questa casa, la presa è più solida, le natiche le sento sotto le dita di una mano, che cazzo mi fai? "Zitto" un altro ordine, roco.
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    No che non vai da nessuna parte. D'altro canto casa tua è lontana anni luce da qui. In un posto che adesso ti sembra terribilmente irraggiungibile. Magari, in realtà, una casa tua non l'hai mai davvero avuta. Perché non ti sei mai sentito a casa in Francia, né in questa villa, non quando all'inizio sei stato solo l'ultimo ritrovamento di Alice. Il ragazzino che si è sposata senza farsi mai troppe domande, senza mai provare prima il significato che potesse avere la convivenza. No, al massimo a casa sai sentirtici solo adesso. Solo quando Joshua ti stringe, ti comprime, ti lascia sparire nel muro. Quasi come a volerti appendere lì. Come un quadro. Affinché tu possa fondere le tue molecole, i tuoi atomi con essi. E non essere altro se non parte del suo mausoleo. Casa sua a tua volta. Un luogo da osservare quando si torna distrutti dal lavoro. Un silenzio che sa ghiacciare i muscoli. Che li irrigidisce. Qualcosa di tanto innaturale ma non per questo giusto. Ansimi piano, ma per istinto. Perché fai così quando i polmoni si contraggono. Perché la senti la pressione che esercita Joshua su di te. Lo fa anche quando non ti tocca. Anche quando siede dall'altra parte del tavolo e semplicemente se ne sta a mangiare con il capo chino contro il piatto.
    E se ti dice di star zitto allora tu non parli. Non autorizzi alcuna parola. Alcun respiro. Rimani a soppesare persino quello. Resti ad osservare il modo in cui il suo sguardo si posa severo sul tuo. Ti scansiona la mente. Se volesse, insomma, potrebbe leggerti attraverso. Contare ogni osso, seguire ogni vena del tuo corpo. Ma star zitto non significa che tu non possa muovere le mani. Che non possa farne risalire una per ricercare con i polpastrelli il suo volto. E accarezzarlo, leggero, piano, con il timore reverenziale di chi ha bisogno di toccarlo ma non sa quanto e se effettivamente può. Ti piace il suo viso scavato. Ami il modo in cui le guance rientrano nella bocca. Sembra uno scheletro: la rappresentazione più spaventosa della morte. Solo che Joshua è vita. Come lo è quel battito che accelera in petto. Che batte così forte da riuscirlo a sentire nitidamente nelle orecchie.
    Lo guardi, lo cerchi meglio adesso. Ma incespichi in te stesso. Lo scivolando con la mano dal viso alla sua spalla. La saldi lì. Affondi le dita nella sua pelle.

    "Non berro più."
    Sfuggi ai suoi comandi perché la mente non è lucida. Perché rispondi per istinto anche qui. Lo fai perché credi di doverci giocare adesso. Di poterti permettere un azzardo del genere.

    "Il whisky sa di te."
    Te, ubriacone del cazzo.
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    Mi chiedi di perdonarti, ma quando ti dico quale è la via per il mio cazzo di perdono, tu sfuggi, mi sfidi. Mi sfili davanti come un cazzo di trofeo ed io non posso tenere le mani ferme. Non posso tenermi fermo a prescindere, che più il volume dichiara che Remi sta ancora guardando il film, e più mi smuovi dentro, più le mie corde vibrano, il mio muso si avvicina.
    Non so come cazzo mi guardi, Buddy, non so perché sei così. Ma io sono un fottuto animale, e tutto questo contatto non mi fa bene.
    Questo tuo ammansirmi con una sola mano, una preghiera che ti sento pronunciare anche quando non dici niente, un momento di eccitazione che mi fa tremare. Lo sentir come un moto di muscoli e labbra appena schiuse. Le serro di nuovo appena la tua mano sfila sulla mia guancia, appena mi accarezzi come si fa con le bestie più aggressive.
    Sei sconsiderato, non hai capito che cazzo voglio farti? Non hai capito che ho bisogno che il mio corpo trovi un incastro nel tuo?
    Perché cazzo non sai tenermi distante? Mi guardi come se valessi qualcosa e questo, dio, questo è tutto in momenti tanto incastrati. Tra ansimi e respiri, spezzi anche il mio, i polmoni lavorano male, il cuore li segue a fatica.
    Mi guardi così come se da me non ti aspettassi niente di diverso, come se non volessi altro che me. Come se mi amassi, oltre la venerazione. Con lo sguardo lascivo che ricordo di spingere sempre contro Chrys, che io ho voglia, Buddy, ed ora che ci sei qui tu sai già che cazzo vuol dire. Lo sapete tutti e due, ed io vi odio.
    Non confondere i miei ringhi con fusa, la mia pressione con amore. Mi accendi e dio solo sa quanto cazzo ci sto mettendo per non scopare qui, anche se poi mandi al diavolo tutto. Mi innervosisci, mi fai incazzare, e per questo mi piego.
    Il whisky sa di me.
    Ci sposto nella dimensione ombra fino al corridoio superiore, non ci penso, voglio solo stare lontano da Remì adesso, e più fottutamente vicino a te, in una di queste stanze dimenticate da cristo.
    "Ho detto, zitto" ti permetterò solo di ansimare, di prenderti un gemito quando abbasso di scatto le tue difese, i tessuti che ti proteggono dalla vita in giù. E lo faccio senza smettere di guardarti negli occhi, anche risalendo, anche prendendoti il polso con cui mi sfiori per costringerti a starmi vicino. La mano scesa sulla natica stringe. Ho bisogno della tua pelle sotto le dita, così come ancora non l'ho mai avuta. Era questo che intendeva Chrys? Questo mio essere un'incontenibile bestia a tenerlo sempre eccitato?
    Mi chiedo se funzioni anche per te, se sia questo che ti abbiamo insegnato. Uno dei motivi per cui resti.
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    Il tuo maestro ti sta imponendo qualcosa. Ma i suoi sono sussurri che seppur si amplificano nella testa poi comunque restano lì. Stranamente. Come se non avessero modo di cementificarsi come dovrebbero. Non costruiscono nulla, forse. Non creano immagini, né attivano come dovrebbero i muscoli. Soprattutto non quando finisci per farti trascinare prima nella Dimensione Ombra, poi al piano superiore.
    Sai bene cos'è che sta per fare. Anche da vecchio sarà così: tanto impulsivo da strapparti il fiato. Tanto sincero da farti male al cuore. E tu quella cicatrice che ti ha disegnato lui la senti pulsare ad ogni vicinanza. E più lui si fa vicino, più quella si accende. Va a fuoco o forse sei tu che finisci in autocombustione per lui. Il tuo corpo, spontaneamente, reagisce al suo. Lo vuoi se lui, a sua volta, lo cerca. Lo brama, se lui lo reclama. E lo avvolge, se lui dichiara di voler esser stretto. Sfiorato da te piuttosto che da suo marito. Amato da te, che l'amore devi comprimerlo. Devi nasconderlo adesso. Perché i tuoi sentimenti non sono comparabili a quelli che prova Chrys. Lo è nel futuro e non credi possa essere diverso adesso. Non oggi che sei ancora un estraneo. Un estraneo che però ricerca, che sente ben allineato al suo essere. Un estraneo che sta iniziando a studiare adesso. Che approfondisce adesso.
    E tu non ti opponi. Non puoi farlo al tuo maestro. Non puoi farlo all'amore della tua vita.
    Nemmeno quando immagini che le sue mani siano in realtà quelle di Leroy. Perché lui ti ha sfiorato così bene quella sera. Perché lui è diverso da Josh, forse persino migliore di lui. Anche se non glielo dici, anche se eviti di far questi paragoni diretti. Non metteresti mai in dubbio l'importanza che ha çevik per te. Non lo faresti mai.
    Allora ti lasci afferrare, ti lasci respirare e in tutta risposta saldi le dita lungo la sua schiena. Quella martoriata, quella piena di cicatrici che già conosci a memoria. Gliele hai già sfiorate, una ad una. Sognando di riaprirgliele a mani nude. Per amore, lo stesso con il quale lui ti ha rovinato il costato.
    E ansimi, ansimi quando inizia a spogliarti. Quando abbassi lo sguardo per vedere la pelle nuda che esce dalle gambe. I peli che la ricoprono, il polso e la sua mano che si nasconde sotto il resto dei vestiti. Che ti cerca, ti denuda ancora e ancora, tanto che sembra voglia strapparti via la pelle.
    La felpa, non ti rendi conto, ma te la sfili da solo. Con l'unica mano libera che fa il lavoro per due. Che la getta a terra, lasciando i segni del vostro passaggio anche lì. Joshua ti ha portato qui perché in casa c'è suo figlio. Perché ha senso, magari, che non voglia farsi vedere così da Remì. Ma a te piace questo bisogno che ha di nascondersi, di scappare. Ti fa sentire un fottuto clandestino nelle sue mani.

    "E-ehi."
    Gli premi il naso contro il suo, spingi appena, ma non lo baci. Indugi solo nei respiri. Con gli occhi che ti si chiudono. Magari saprà baciarti lui.
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    Stai capendo anche troppe cose di me, e lo stai facendo in una notte sola. Tornando stupidamente ubriaco oltre i miei confini, e come un cane da guardia io ti riprendo. Ti mordo le caviglie per farti tornare in riga, perché tu capisca che a capo di questa casa ci sono ancora io, ed al mio fianco c'è Chrys. La sento la sua voce nella testa, lo sento che mi chiede fino a che punto tutto questo potrebbe piacermi, lo sento che risale le scale e viene qui a tenerti fermo per me. Come se non sapessi da solo come cazzo si fa.
    E vibra - per questo - ogni parte di me. Ti voglio in questo cazzo di corridoio, e quando è così forte non penso che tu possa andartene, che se non ti incateno è solo perché so che tu vuoi questo. Perché sento come il tuo corpo reagisce, perché nell'essere un animale non ho ancora perso del tutto la mia umanità.
    Questa mano te la faccio risalire ovunque, come se tutti questi centimetri di cicatrice non fossero altro che un mio possedimento. Mio e basta, come chiunque alberghi troppo a lungo in questa casa. Forse ne sono il demonio, forse solo il cane da guardia.
    Ma nel farmi più vicino, i miei sono ansimi di controllo, che ti comandano, che con le labbra sfiorano il collo ancora, ed ancora. Poi il viso, poi i capelli folti tra le tempie. Vorrei avere mille mani per non perdere una sola stretta. E lo so che cazzo vuoi quando sei ad un bacio del cazzo da me. E' un solo momento in cui tutto rallenta, anche se non so starmene ferme in un angolo a guardare, ad aspettare. Che cazzo ho da aspettare io? Niente, oltre il rientro a casa di Chrys.
    Il mio - in risposta ad ogni tuo fiato - è un ringhio, che struscia il muso contro il tuo, che ti respira a fior di labbra, sollevandole per mostrare i denti. Sono un cane anche in futuro?
    "E' questo che faremo?" rauco, quasi. Che nel chiedertelo, io mordo. Mordo aspirando senza darti il tempo di rispondermi che non sia questo. Perché ti scosto dal muro solo per girarti, solo per non dartelo un bacio vero quando voglio tutto, ed insieme è sempre troppo.
    Ho bisogno della tua schiena perché deve aderire adesso al mio petto, perché devo muovermi contro di te come in una guerra senza alcuna conseguenza. Non quando a baciarti il collo sono sempre il primo, quando ad affondare i denti sono solo io. Quando i polsi te li stringo contro il muro e li passo ad una sola mano. Perché l'altra, cristo, l'altra ti cerca, scende lungo queste natiche da ragazzino, mi fa tremare ogni muscolo. Ti cerca per farsi spazio, per capire, per stringere e lasciare il passo ad un primo affondo che ci tolga il fiato. Voglio che tu lo perda prima di me, il senno. Ringhio di più.
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    Funziona esattamente così, da che hai messo piede in questa casa, da che Alice ha chiesto a suo padre di prenderti con sé. Funziona così da che conosci Joshua e poi hai imparato ad amare anche Chrysanthemum. Funziona che sei loro nel modo in cui loro tendono a volerti. Senza mai troppi rimorsi, né paure a morderti le caviglie. Funziona che se Joshua comanda allora tu rispondi. Non ti chiedi mai il perché: pensi semplicemente che sia giusto. Che determinate cose debbano accadere proprio in questo modo. E ti piace, ti sta bene, d'altro canto hai sempre creduto di non poter avere altro. Non un amore così folle da strapparti il cuore dal petto. Non una distrazione a distoglierti lo sguardo da Danielle. Ed è triste adesso, in effetti, pensare al modo in cui tendi a non vederla più adesso. Come se non fosse solamente agli angoli dei tuoi occhi. Come se fosse totalmente sparita dalla tua vita. Ma non dimentichi, Bud, il motivo per cui sei qui. Nemmeno quando incassi i colpi di Joshua e allora curvi il capo all'indietro alla ricerca di un bacio, di un respiro in più. Dio come lo ami questo uomo. Come lo stai venerando adesso.
    Amami, Joshua. Pensi chiudendo gli occhi ed immaginando per uno stupido istante la tua vita con lui. Al posto di Chrysanthemum, senza l'ombra di Leroy a lasciarti battere il cuore ancor più nervosamente. Lo pensi perché sei ancora un ragazzino. Perché i fantasmi che ti tormentano la notte sono ancora tutti lì con te. C'è la mamma, c'è Efrem, poi il sorriso assente di Remì. E tu vorresti che ognuno di loro fosse tanto presente da amarti. Tu vuoi un amore sincero, Bud. Un amore che non soffra i limiti della razionalità. Un amore così grande, così potente da battere ogni cosa. Tu vuoi quell'amore che salva, ma che funziona così solo nei libri, solo nei film che non guardi più. E questo non lo reclami. Non chiedi a Joshua di accoglierti in quel senso: non sei mai stato un ragazzo dalle mille pretese. Non pretendi niente, in effetti, non quando tutto ciò resta insito nei tuoi sogni. Quanto sogni, piccolo, quanto. Quante notti passate a non dormire, o a tenere gli occhi socchiusi giusto un attimo. Un secondo appena, senza però mai dichiarare ogni aspettativa a voce alta. Non parli nemmeno ora e se non fossi consapevole di ciò che piace a Joshua probabilmente nemmeno ansimeresti. Perché con lui, per lui, funzioni esattamente nel modo in cui sai che potrebbe piacergli. E non fai nulla che non ti venga richiesto. Non osi un'opposizione al suo potere. Ti lasci guidare e servi, Bud. Servi affinché il tuo padre sia sempre contento. Sempre pronto ad averti attorno.
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    Posso baciarti solo così. Solo quando butti la testa indietro e dalla guancia passo a morderti le labbra. E la lingua ti cerca solo per darti fastidio. Per toglierti ogni possibilità di rispondere, che in fondo la risposta è nei miei muscoli, nei miei movimenti, in questa fottuta legge d'attrazione.
    Mi piace ansimare la buio di un corridoio, contro una porta che non aprirò per scoparti su un letto. Ora voglio questo, ci voglio in piedi a schiacciare un corpo contro l'altro, il mio contro il tuo, la mano che stringe i polsi che non scivolino via neanche quando inizieranno a sudare. L'altra che piano piano risale avida la cicatrice.
    Anche quella è mia, come tutto ciò che tocco, tutto ciò che voglio. Tu sei mio nel modo che hai di gravitarmi attorno, di cercare qualcosa che sappia di me, che sia in una bottiglia o in un vestito. Che sia lungo i cuscini o da mio figlio. Per questo forse posso punirti, per questo le mie spinte mi spezzano in due.
    Mi fanno arrancare il fiato nel concentrarmi ad abbattere l'ennesimo demone, forse è quello che faccio quando scopo, quando alterno attimi di pura foga, a momenti più dolci, snervanti da quanto so baciare, da quanto so essere delicato nel ricercarti tra le dita, stringerti. Lo faccio come se volessi dare davvero una risposta a Chrys, dirgli per bene cos'è che nascondi tra le mutande. E la mia fronte si spinge contro la nuca, il mio corpo affonda come in un mare in tempesta, ed ogni singola spinta rimanda brividi lungo la colonna. Li assecondo, mordo, bacio e ancora spingo.
    "Cristo.." E non so mai stare zitto. Non so tacere quando l'istinto mi porta a dire come cazzo mi sento, quanto cazzo sto bene anche così, ad un passo da un corpo che non ho mai avuto e chissà quante altre volte avrò in futuro. Io ho bisogno di amare, di accanirmi come l'animale che sono, di qualcuno che non mi dica che così non va bene. Anche se nelle violenze poi ho bisogno anche di sapere che questo è quello che vuoi. Di sentirti ansimare, di toccare con mano per capire quanto tutto questo possa piacerti.
    Ad un'altra spinta corrisponde un morso lungo la spalla, una stretta al petto che ti incastri a me di più, con una costanza che brucia. Parlami adesso, dimmi che cosa ti piace, dimmi che cosa vuoi da me. Dimmelo in respiri che tolgo.
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    Ti senti avvolto dall'abbraccio migliore che tu abbia mai conosciuto. Dalla presa più potente che tu abbia mai ritenuto tale e ne sei grato. Sei grato a lui per averti concesso questo. Per averti accolto nella sua vita come fosse prima un padre e poi l'amore più grande che tu potessi provare. A volte più forte di quello che ti ha sempre spinto a salvare Danielle da se stessa. A volte più potente di qualsiasi altra emozione tu potessi anche solo concepire e credere viva. Joshua è stato un mistero sin dall'inizio. L'unico, in fin dei conti, che tu potessi davvero concepire come tale. Tanto forte da appassionartici immediatamente. Tanto intenso da non desiderare altro. Brami le sue volontà perché è riuscito a farle diventare tue. Perché la sua religione ti appartiene. Lo fa il suo credo, lo fa la venerazione che gli riservi ogni qualvolta finisci per dedicargli il tuo sguardo, la tua attenzione. Ed il tuo corpo, adesso che lo penetra, che ci si insinua attraverso come fosse acqua tra le fessure scavate in pietra, è il suo tempio. Qui lo si venera, si accolgono i suoi gemiti, quegli ansimi che ti spezzano ma non ti scompongono. Quelle vibrazioni che ti accolgono, che ti riscaldano lo sterno, che ti fanno tremare il ventre. Che ti riportano a casa.
    E stai bene. Stai bene fintanto che il benessere è il suo. Fintanto che i due corpi si uniscono e allora entrano in contrasto solo per quella manciata di secondi che serve a distruggere e ricreare un qualcosa. E come brami tu di essere questo qualcosa per lui nessun altro lo sa. Non lo capirà Leroy, non se ne renderà conto nessun altro. E va bene così. Va bene fintanto che lui lo comanda. E tu sei la sua pecora. La pecora del pastore. Sei spinto a pecora da lui. E va bene, lo ami per questo. Forse soprattutto per questo. Tanto che stringi lo sguardo, ricerchi l'equilibrio oltre l'alcol e vivi. Vivi dell'odore che ha il suo corpo quando diviene bollente. Quando suda e allora mixa il suo sudore al tuo. Vivi del suono profondo della sua voce e gemi, forse più forte di lui, proprio per questo: perché la sua voce richiama istinti diversi. Perché lei ti solletica, ti spinge alla verità. Ti implora di essere quanto più sincero possibile. Con lui piuttosto che con te.

    "Dio se ti amo."
    Glielo sussurri anche quando non puoi. Perché ti ha detto di star zitto ed è già la seconda volta che, per colpa dell'alcol, non gli dai retta. Ma ti esce, è spontaneo. Succede che pensi a cosa sarà da grande e mentre veneri le sue rughe, i suoi capelli più chiari e allora ti ecciti di più. Ma il tuo è solo un sussurro, nient'altro. Solo qualcosa che direbbe Chrys, ma che adesso non può confermare perché non è qui. Non è con voi. Lui ti sembra, adesso, lontano anni luce da quell'abbraccio che potrebbe aiutarti a star immobile. Ad essere più buono di così.
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    Io sento questo, Buddy. Sento la forza che mi contrai i muscoli, il tuo corpo che mi risponde, le tue labbra che sono mie. Quando tutto è mio, allora va bene, va fottutamente bene. Per questo insisto, come una macchina, ma lo faccio alternandomi perché tu non sia mai troppo inerte, troppo un servo dei miei voleri, troppo impassibile e distante. Stai con me anche quando non è quello che pianifichi, anche quando mi lasci entrare ed allora io sono un rampicante velenoso, io resto e scavo finché ho spazio, finché posso prendermi tutto.
    Ti stringo di più a me, non contento quando le dita scivolano nelle tue, non sono più strette feroci, quanto un appiglio che ricerco nel farmi avanti in affondi che mi portano al mio limite. E mordo, dio, Buddy se mordo ogni centimetro del tuo corpo. Lo rendo mio, pateticamente solo mio.
    Come se al buio di questo corridoi stessimo nascondendo qualcosa, come se la casa non sapesse che cosa stiamo facendo, come se il suo ultimo padrone non fosse qui alle mie spalle. E Chrys, io ti voglio con me adesso. Voglio sentirti accarezzarmi, prenderti spazio mentre mi scopo il nostro ragazzino.
    Essere quasi fiero del mostro che sono, della bestia che ha modo di vivermi dentro ed essere finalmente accettata qui, in casa mia. Voglio che tu mi prenda adesso, Chrys, che tu mi renda impossibile godere di spinte che invece non siano le tue, che non vengano come punizione, devi legare ogni centimetro della mia pelle e farmi impazzire, perché a questo penso mentre scavo ancora, e ancora, mentre rallento solo per rendermi più dolce, ma non meno profondo.

    "Mi ami" hai detto questo, Bud. L'hai detto ed il mio ripeterlo è un ringhio profondo, un morso che sulle labbra diventa un bacio, una presa che sfilo dal fianco per toccarti meglio, più a fondo. Voglio sentire quanto ti eccita dirmelo così, fartelo sfuggire contro ogni mio comando. Ora che non posso dirti di stare zitto, che non posso impedirti di fare ciò per cui sei qui. "Dimmelo ancora" - gemo il mio ordine - "Dimmi quanto!" Dimmi che cazzo ti porta ad essere così mio, così stretto mentre ti muovo contro un muro, mentre i denti mordono, le labbra graffiano, le prese si fanno d'acciaio. Mi spezzi il fiato, ma devi essere con me anche in questo, con il profumo dell'alcool a rendere te anche un po' me.

    Fallo, avanti, esegui ogni cazzo di comando mentre le spinte mi danno i brividi, mentre farmi largo in te mi uccide, mentre non sei pronto al punto che lo starmi così stretto mi devasta. "Cazzo..." reprimo un ringhio insoddisfatto, perché non può finire così. Non mi basta ancora.
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    Troppo è una risposta giusta, certo, ma troppo semplice. Alla fine, se potessi pensarci su, "troppo" è una risposta terribilmente facile. Semplice. Non spiega niente, non racconta molto, in realtà, di quello che porti dentro da anni. Ma va bene così. Ti dici che va bene se oggi non gli rispondi. Che la colpa potete darla all'alcol, tanto i tuoi peccati li stai già espiando, non è così? Lui ti punisce sempre in spinte, in prese che sanno farti impallidire lo sguardo seppur mai per il terrore di esserne sopraffatto. Tu vuoi, in realtà, che il suo mostro arrivi. Che giunga ad afferrarti per le caviglie. Che ti tiri giù dal letto. Sotto al letto, laddove nessuno può vedervi e per questo giudicarti quando, coi mostri, ti rendi conto di sentirti a casa. Perché questo senti di essere a tua volta. Non ciò che tua madre avrebbe voluto tirar su, non totalmente. E ti mordi la lingua, Bud, per non star davvero lì a rispondergli. Anche se poi gli basterebbe un po' di attenzione in più, un po' di concentrazione, ecco, per ritrovarsi a capire cos'è che ti vortica in testa. Ci sono troppe cose lì dentro. Troppe cose giuste e tante altre sbagliate. Non sai esattamente dove collocare Joshua e suo marito. Né la famiglia che hanno costruito su e che senza volerlo ti hanno quasi cucito addosso. Eppure sai bene come non ci sia nient'altro fatto su misura per te. Nient'altro a parte questo. Allora lo assecondi, lo alimenti. Perché sai com'è che si muove Joshua quando si tratta di te. Tu non sei come Chrys, non lo sarai mai neanche per un dettaglio futile. Tu non puoi permetterti la stessa sfacciataggine che Joshua concede a lui. Né la stessa voglia di ribellarsi, di tenergli testa. No, a te spetta il compito più semplice, forse, ma tedioso quando le giornate sono diverse da queste. Tu sei colui che asseconda. Su di te, loro, sanno di poter contare. Ci si potrebbero fidare con estrema sicurezza. Perché da qui non te ne andrai. Sei come un papavero: un fiore parassita. Cresci dove la natura sembra essere più ostile e fintanto che qualcuno non ti strappa via tu lì resti. Te lo ha detto Chrysanthemum una volta. Lo ha fatto coprendo con il trucco uno dei morsi lasciati da suo marito sul tuo collo.

    "Ce le hai le orecchie."
    Tu puoi solo che sfidarlo così, senza muoverti fisicamente contro di lui. Puoi sfidarlo solo a parole. Dargli dello stupido quando sapete entrambi che nessuno dei due qui lo è. Stando lì a puntualizzare qualcosa di scontato e negandogli, ma solo per qualche istante, quei bisogni che urla in comandi. Perché che lo ami lo capirà. Ne sarà terribilmente certo con il passare del tempo, eppure non gli darai la soddisfazione di ripeterglielo. Basta ciò che già ti è sfuggito. Perché sei oro, Bud e anche se Joshua te lo comanda, tu non ti spoglierai più di così. Che ti faccia a pezzi, che ti appenda al muro come fossi un quadro, proprio accanto a quello di suo marito. Che ti usi come fossi solo carne, ma nient'altro. Non ti chiederà un consenso che puoi dimostrargli solo fisicamente e che, nella testa, a volte gli neghi per regalarlo a Leroy. Ci stai già pensando fin troppo. Ti manca già fin troppo.
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