Alastor

APPROVATA|| PNG || Banditore

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    SCUOLE FREQUENTATE
    Formazione artistica | 1613/1624
    RAZZE/ABILITA/CARATTERISTICHE
    Banditore degli Incroci | NO | 1628
    PROFESSIONE
    Artista | Europa - 1628/1800 ca.
    Collezionista e mercante d'arte | Europa/America - 1850 ca./ora

    CORPORAZIONE
    // | //- //
    FEDINA PENALE
    // | //- //
    IMMIGRAZIONE
    Francese | 1600 | Legale
    Inglese | 1812 | Legale


    Il suo nome è Alastor, o almeno è così che si fa chiamare ormai da diversi secoli. Ma ad essere onesti (e soprattutto precisi) non è veramente questo il nome tracciato nel suo glifo. Alastor era, infatti, il banditore che, prima di lui, scelse la sua anima per strapparla ai giusti, e la vinse per il Calvario. Quando i Mastini lo portarono in quell'inferno fu Alastor stesso a chiamarlo Alastoreth. È questo il suo vero nome, che forse non è e non suona così differente - se non per un banale accento - ma oh, porta in sé una macchia difficile da ignorare per creature come lui. Motivo per cui, il giorno in cui il suo padrone è finito nel Vuoto, inesorabilmente destinato a non far ritorno, il suo servo ha deciso di prenderne il nome e restituirsi, almeno in apparenza, una dignità in quanto creatura libera, oltre che particolarmente insofferente.
    La sua anima umana si è incarnata ed ha visto la luce, da atti, il 17 di novembre dell'anno 1600, anche se la data in sé conserva qualche incertezza legata a documenti consumati, mal compilati, e ad una memoria che nei secoli ha subito e continua a subire una, direi, naturale corrosione. Ha smesso di contare i suoi anni, considerato quelli trascorsi, in maniera più o meno continuativa, nel Calvario come torturato e poi come torturatore. Agli oltre quattrocento terrestri, ne può aggiungere forse altre due centinaia in più nel Calvario, ma superati i cento, indicativamente, ha smesso di tenere conto pure di quelli.
    È diventato Banditore morendo a soli vent'otto anni, dopo aver venduto la sua anima a Samenar stringendo un patto con quello che sarebbe diventato poi il suo schiavista e torturatore. Tuttavia (e qui sta il fascino della sorte oppure il talento della fazione), prima di vendere la sua anima è stato un tramite candidato per accogliere la Scintilla di un Emissario. In quanto Banditore degli Incroci, non ha mai smesso di stipulare patti con gli umani. Per suggellare ogni accordo, come pegno ha personalmente scelto quello del sangue e della carne: ad ogni umano che lo evoca, oltre a sottrargli più o meno anni di vita terrestre, infligge una profonda ferita longitudinale sull'avambraccio che non si cicatrizza ma rimane recrudescente, sebbene non causi infezioni e né sia mortale di per sé.
    Si è impossessato del suo tramite nel 2014: Victor Callaway, rampollo che, dall'Inghilterra, è arrivato in America sperperando la propria parte di eredità, e da cui Alastor ha a sua volta ereditato, oltre al corpo e all'identità, anche un lussuoso loft a Midtown Manhattan. Per mantenere la sua copertura, rimpolpare le finanze, e continuare così a intrattenersi tra gli umani acquista, vende e contrabbanda oggetti d'arte, spesso falsi, sfruttando il suo secolare occhio da artista, che, nonostante il tempo e gli eventi non ha mai perso.



    Timotheus Hervé Le Gros nacque nel 1600, anno giubilare, a Meissen, in Sassonia. Sassone solo per nascita, il suo sangue era da generazioni francese, originario di Chartres, dove suo padre, Timotheus seniore, fu un pittore affermato, e prima di lui suo padre, e il di lui padre ancora, con più o meno fortuna, riscuotendo più o meno successi, oppure rimanendo soltanto un nome tra le tante maestranze di architetture e disegni più complessi. Quasi per ovvia scelta, anche Timotheus, all'età di tredici anni, fu messo presso la bottega del padre; prima, nella sua adolescenza, come semplice garzone, e poi negli anni, dimostrando la propensione e l'occhio, come vero e proprio pittore, sempre operando sotto il nome del genitore. La formazione pittorica gli giovò molto quando divenne scalpellino e poi infine, a ventiquattro anni, scultore autonomo nei grandi cantieri della capitale francese. Già in giovane età venne considerato un valente artista, e fu allora che nacquero, naturalmente, insieme alle fresche fortune e alle prime amicizie intellettuali, anche le prime discordie e pericolose gelosie da parte dei - come vorrebbe il buon senso - meno talentuosi.
    Thimotheus Hervé Le Gros morì assassinato a Parigi il 4 febbraio del 1628, nella sua casa, tradito e trucidato dai suoi stessi amici. Buona parte dei suoi resti non furono ritrovati, chi afferma di aver visto ciò che rimaneva del suo corpo non seppe mai che fine avessero fatto quelle restanti ossa.
    Il padre gli realizzò un cenotafio nella sua città natale, e poi morì a sua volta.

    Nel Calvario scelse presto di trasformarsi, da vittima, in carnefice. Così come, altrettanto presto, scelse di diventare un servo di Samenar presso gli Incroci, strappando patti agli umani che lo evocavano. Nonostante le torture e la corruzione della sua anime, l'umanità continuò a rimanergli addosso grazie alla rabbia. Una forma di viscerale di rancore e di ira che scoprì di avere gli strumenti per trasformarsi prima in desiderio di vendetta e poi semplicemente in crudeltà. Scoprì che torturare era meglio che uccidere. Causò gravi sfortune a chi si era preso per primo la sua vita. Alcuni morirono per pazzia, o semplicemente per paura di essa. Alcuni di spada, alcuni torturati e stritolati dall'annodarsi delle loro stesse viscere, alcuni durante il sonno, ma morirono tutti. Quando terminò l'epurazione si acquietò, lentamente, anche la fiamma del suo rancore e cominciò, sempre lentamente, a comprendere le potenzialità della sua vita ora pressoché immortale e imperturbabile, se non nella necessaria e costante condizione di doversi considerare servitore fedele di Samenar e dei suoi Luogotenenti.
    Scelse sempre tramiti in grado di dipingere, scolpire, creare: niente mani piccole, dita tozze, schiena debole. Non smise di rincorrere quella fama che aveva appena cominciato a sfiorare in vita, ma stavolta come beffa più che come forma di effettiva realizzazione e di riconoscimento. Nel 1667 l'Académie de France lo portò a Roma (non che avesse più il reale bisogno di lei), dove vi rimase fino all'avvento del nuovo secolo.

    Sapeva di averlo già incontrato. L'Emissario. Pratile 1794, di nuovo in patria, a Parigi, l'evento giusto, sangue abbastanza per riuscire a strappare ancora qualche patto a qualche altro disperato che, in fin dei conti, riducendo tutto all'osso, sotto a tutti i fronzoli, non rimaneva altro che una povera anima spaventata e tremolante, piccola, insulsa, misera come tanti i miseri lasciati morire in tutti i mesi, gli anni (siamo onesti), i secoli precedenti. Nelle spoglie di una donna era stato ancora più facile. Serviva solo scendere in fondo, dove sta l'istinto e soprattutto l'irrazionalità, dove l'uomo si riduce a pura carne.
    Marguerite Blakeney non era la prima volta che incontrava un Emissario. Beh, Marguerite, sì, per Alastor affatto. Marguerite era una donna interessante ed estremamente affascinante, e suo marito, Percy, lo era ancora di più. Che lo fosse sempre stata o che lo fosse diventata da quando il banditore aveva scelto di abitare le sue spoglie, questo non spetta a noi stabilirlo.
    Era stato semplice, quel "", lo sapeva, non vincolava veramente a niente. Bastava solo offrire un'alternativa, un'altra ancora, apparentemente meno peggiore delle altre. Si era preso allora la sua anima per il Calvario.
    Il suo emissario si era rivelato inadatto, ritardatario, sorprendentemente e inaspettatamente mal fatto. Era bastato un soffio d'alito per raggirarlo, una promessa fatta scivolare dalle labbra strette ad un orecchio che, in fondo, voleva soltanto sentire la promessa di un qualche conforto. Ma Alastor lo sapeva bene già da sé che non esistevano vie di fuga reali. Forse a quell'uomo sarebbe decisamente convenuto di più morire sotto la lama.

    Riconoscere Azrael, l'Emissario bandito era diventato semplice, ora decisamente di più.
    Lasciò la madre patria subito dopo le rivoluzioni, quando non c'era più niente da rivoluzionare. Ad Alastor piaceva vivere in mezzo agli uomini, sempre con quel distacco superbo di chi vive e cammina su questa Terra, e su altre lande, decisamente da troppo tempo. Quando comprese il rischio della parola "antiquario" (per essere gentili), scelse di non produrre più niente da sè, ma di collezionare e rivendere ciò che all'occhio intellettuale dei gentiluomini inglesi alla metà del XIX secolo più piaceva, tenendo per sè i pezzi più belli.
    La forma di fastidiosa tortura perpetrata nei confronti di Azrael divenne, col tempo, pura curiosità. Mirabilia di fronte alla fallimentarietà persino di un dio come Aaos, padre di "creature perfette", nate non da anime corrotte, masticate e deformate, ma da una volontà imperscrutabile. Ineffabile il modo con cui aveva deciso di costringerlo tra gli uomini, bandito dalla sua stessa casa, culla primordiale, per essere troppo... per essere troppo cosa? Per essere qualcos'altro rispetto a quanto deciso dalla volontà che aveva acceso la sua Scintilla? Spingerlo a tradire, di nuovo, la sua imperfezione, fu un'attenta forma di intrattenimento, e poi di scientifica, chirurgica curiosità, che portò avanti nei decenni a seguire.

    Poi arrivò quel momento, dopo il primo ventennio del nuovo secolo (momento forse banale e decisamente scontato), dove sentì di aver visto abbastanza, ma al tempo stesso di non voler spendere l'eternità nel Calvario. Non gli piaceva la parola "eternità". Nemmeno troppo quella di "Calvario". Ma fu una pulce passeggera tra i pensieri. Durò poco.

    L'America non gli piaceva, non gli è mai piaciuta, ma era lì che dopo la metà del secolo succedevano le cose più interessanti. Odiava ogni forma di avanguardia, e ora che avevano iniziato ad odiarla anche gli altri producendone, di contro, una nuova ancora, mise un punto ad una consapevolezza che aveva maturato dubbioso per tutti quei decenni e secoli: nell'uomo non c'era più niente di bello. Una constatazione drastica, forse anche fin troppo parziale e infantile per certi versi (escludeva la maggior parte degli aspetti importanti del concetto "uomo") ma bastò comunque per fargli scegliere uno stile di vita in mezzo agli umani molto più isolato, basato principalmente sull'intolleranza verso di essi. Profondamente disgustato, fu in quegli anni, tra i '60 e '70, che addivenne finalmente al moneta perfetta per suggellare i suoi patti con i poveri contradditori umani. Odiando, in definitiva gli uomini (forse per pura ripicca o addirittura per noia), e mal sopportando le alte gerarchie del Calvario, quella di Azrael divenne una figura costante nel corso dei decenni. Dopo aver impiegato anni a cercare di fargli rinnegare Aaos e l'ormai irraggiungibile Isola, di farlo bestemmiare contro il suo stesso dio, quella costante forma di tortura, o di infantile bullismo, si è trasformata, per cause naturali, in una sorta di quotidianità e di compagnia che Alastor è finito a difendere con trucchi e stratagemmi agli occhi infuocati del Calvario e dei suoi "emissari".
    L'America non gli è mai piaciuta. Sono, in definitiva sessant'anni che cammina sul suo suolo lamentandosi.


    Alastor non ha mai amato veramente il Calvario. In quanto anima appena masticata dai Mastini ha ceduto subito ai suoi torturatori, passando dalla parte della vittima a quella del carnefice e segnando così la sua inevitabile corruzione.
    Ma non ha mai amato veramente il Calvario. Ha sempre, piuttosto, conservato una memoria viva, decisa e satura della sua umanità. A dirla tutta, ha sempre preferito questa all'inferno voluto da Samenar, per quanto la sua essenza via sia intrinsecamente (e innegabilmente) legata. I lunghi anni che ha avuto da vivere sono diventati, in sostanza, il pretesto e soprattutto il "dono" per poter assistere ai meravigliosi mutamenti del mondo terrestre, prendendovi parte di tanto in tanto, vivendoli il più possibile in prima persona. È un Banditore a cui sono sempre stati stretti gli obblighi della sua razza.
    La, da sempre, consapevolezza di sé e delle proprie doti, anche quando era in vita, insieme con questa longevità, lo hanno reso profondamente superbo. È tendenzialmente narcisista, trova vanto nella sua stessa vanità. È un opportunista, non si è mai dichiarato veramente fedele a nessuno, neanche a Samenar stesso e alle sue gerarchie, motivo per cui, dalla sua nuova reclusione insieme ad Aaos, non ha preso parte a nessuna delle fazioni che continuano a portare avanti le lotte intestine all'interno del Calvario. Ha piuttosto sfruttato l'anarchia che vi regna, cercando di tenersi alla larga dai più fedeli al dio, per non finire vittima delle loro purghe. Non è mai stato uno scellerato, tuttavia. Deciso, risoluto nelle proprie scelte, irremovibili da decisioni già prese anche quando queste solchino la via più difficile da percorrere. Intendiamoci, resta pur sempre un efficiente scaltro, ma difficilmente si lamenta, così come difficilmente si tira indietro davanti alla cosiddetta "unica via possibile". Affronta sempre le conseguenze delle proprie scelte, e la Libertà di Scegliere rimarrà sempre il privilegio, faticosamente guadagnato con le proprie unghie e denti, per il quale mostrerà più vanto e, di conseguenza, più furore nel difendere.
    Ama le cose futili, i piaceri intensi o anche solo temporanei, come del resto è intensa e temporanea la vita stessa dell'uomo.
    Mentre nei suoi primi decenni, forse secoli, di vita come banditore, si dilettava a cambiare frequentemente i suoi abiti, e a possedere senza troppo impegno vari umani dalle fattezze o stati sociali interessanti, ha imparato lentamente a godere maggiormente dell'idea di coltivare al più lungo possibile una vita apparentemente e anche fisicamente umana. È diventato molto attento a curare il suo aspetto, esattamente come si tiene con cura un vestito buono. Al limite della paranoia. Non sceglie mai i propri tramiti in maniera casuale. La scelta del candidato perfetto richiede sempre un'analisi attenta, estetica e soprattutto funzionale: ha un concetto di bello che travalica le mode brevi e temporanee, lo si potrebbe (seppur incorrettamente) "anticonformista".
    Sono ormai una decina d'anni che abita lo stesso tramite: alto, magro, non bello, almeno secondo i canoni che vigono in questo decennio, o addirittura secolo. I tratti affilati, gli occhi scavati che nascondono il loro, acquisito, colore innaturale e sospetto. Quando ne ha preso possesso aveva circa quarant'anni, o poco di più, quando ancora il suo aspetto non era così spigoloso, come lo è adesso, che comincia a dimostrare tutti i suoi cinquant'anni, nelle rughe attorno agli occhi, nei tratti fattisi ancora più spigolosi e accentuati, negli inevitabili segni di una pelle tutto sommato dura e ammirabile per essere ancora degna veste per l'essenza di un Banditore.
    Nel corso degli anni ha posseduto sia uomini che donne. Ha smesso di sentirsi "umanamente definito" nel proprio genere in questo senso, sebbene sia nato uomo e sia ancora perfettamente consapevole della cosa. Se nei primissimi anni è stato spinto al sesso opposto dalla pura curiosità e dal divertimento, con il tempo ha imparato e ha apprezzato il valore di un tramite femminile. Sebbene quindi si identifichi principalmente ancora nella sua natura umana e primitiva maschile, è difficile iscriverlo in un genere veramente binario.
    Nonostante le migliori intenzioni, tuttavia, resta un Banditore. Possiede un'imprevedibile crudeltà: è capace di spietate efferatezze, mosse forse, prima ancora che dall'essere una delle violente creature di Samenar, da una profonda rabbia nera che a volte risale come bile, fatta di cose non dette, di ingiustizie subite in un tempo indeterminato, di tradimenti del passato che sono diventati il suo cancro, la sua moneta di scambio quando ha accettato di diventare lui stesso il carnefice. La cosa alimenta l'altra.







    Edited by .happysong. - 29/8/2023, 00:59
     
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