Paradox of Praxis (Sometimes making something leads to nothing)

Egon/Ravius | 8 aprile | Raines Law Room

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  1. .happysong.
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    Non si sentiva perfettamente a suo agio in locali troppo eleganti o in vista. Non era mai stato il suo mondo, semplicemente questo: la paga era sempre la solita e non gli aveva mai permesso di montarsi la testa. Neanche quando era stato in grado di mettere da parte il suo gruzzolo gli era riuscito, neanche adesso, che la necessità lo aveva fatto partire assicurandosi qualche garanzia in più. No, non era mai stato tentato da nulla, Egon, era semplicemente cresciuto così. O forse era stato fabbricato già in questo modo, con questo senso di disillusione, con un schermo, una patina opaca davanti agli occhi che attenuava sempre tutto, rendeva le cose sempre sfumate, i luccichii più interessanti affievoliti, i bordi mai così netti, le convinzioni mai così ferree, neanche la morale mai così perfettamente definita. Le scelte difficilmente erano immuni alla contraddizione: non esistono veri assolutismi, c'è sempre qualcosa con cui contrattare, c'è sempre una mediazione, un medium che traduce l'idea - o l'ideologia - in realtà applicabile, e nel farlo adatta le cose, cede inevitabilmente ad un compromesso, visibile o invisibile che sia. Non esistono assolutismi. Tanto che alla fine non si tratta più nemmeno di quello, di contraddizione. Si tratta solamente dei fatti. E non si tratta di una mera giustificazione che Egon dà a sé stesso ogni giorno per motivare la Corruzione, per non aver saputo rifiutare le condizioni poste dai piani alti. Forse, ma è più convinto che nelle cose sia stato lui, volontariamente, a scegliere di farsi trascinare. Perché non c'era molto da perdere, come se fosse stato sin dall'inizio progettato e poi fabbricato per essere così, per essere più strumento, anche di sé stesso, che mente pensante, progettista. Le cose perse, come Amarna, facevano parte di quelle cose che di per sé erano nate ed erano state scelte per essere sacrificabili. Senza alcuna forma di pietismo o di vittimismo. Supponiamo che esistano davvero delle persone al mondo pensate per questo, per essere semplicemente sacrificabili per fini altri, più o meno alti, non per forza eroici, come se il mondo funzionasse come una bilancia. E a questi soggetti viene concesso il tratto di non saper sognare il futuro. Per questi soggetti è come vivere in un loop, in un anello che scivola, rotola in avanti sulla linea del tempo, come per qualsiasi cosa, ma il cui interno è un costante ripercorrere forme di passato vecchio e nuovo che si depositano l'una sull'altro costituendo una spirale.
    Non esiste la contraddizione, esiste solo il compromesso e la traduzione. Quando poi si trascende il proprio spazio e il proprio tempo finisce per diventare una sorta di regola quantica, un'equazione etica insolvibile. Questa New York è simile alla sua ma tra le due non vige nessuna identità, nessuna variabile x che possa metterle in relazione di uguaglianza. Esiste solamente una disuguaglianza, un bilancio, e la parte della stringa da cui proviene Egon sta nel verso di "inferiore".
    Ci è tornato più e più volte a Brooklyn, anche se un'irrazionale inquietudine non gli permette di sostarci troppo. Non si tratta neanche di Amarna o di tutta quella gente spazzata via. È come se il terreno, dopo un po', cominciasse a mancargli sotto i piedi, e allora ci sta una frontiera precisa, qui ancora visibile, oltre la quale sente di poter distendere i nervi. Come una sorta di sogno premonitore, come se lui fosse venuto direttamente dal futuro.
    Stringe il collo della bottiglia e prende un sorso di birra. Non vuole spenderci più del dovuto in questo posto. Gli basta tenere l'occhio su uno dei capo dipartimento della Piramide seduto quasi in fondo alla sala.
    Il compromesso e la traduzione.
    Difficile spiegare che una volta lavorava per quelle stesse istituzioni. Tutto sprofondato insieme con Brooklyn.
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3 replies since 8/4/2024, 15:15   139 views
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