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    niente raghi sta qui che girella con la sua borraccia e aspetta Jesse

    dionne ochoa
    Forse non sei nel tuo posto. No, forse questo è troppo anche per te.
    Definisci troppo: troppo caotico, troppe persone, troppa gente che a un progetto ci crede veramente, forse troppo, forse è più di quanto l'immaginario di Jesse potesse concepire, o forse no, forse lo sapeva sin dall'inizio, ma tu non lo avevi capito bene o lui non era stato in grado di dipingerla con tratti più nitidi quella visione. Forse non sei giusta qui, perché ti aspetti che sia tutta questa gente a ricordartelo. Forse addirittura perché sei una creatura, sì, ma troppo fluida anche per loro, anche per gente che ha i piedi ce li ha ben piantati a terra, mentre te sei acqua. Forse non sei nel tuo posto, forse non ci credi abbastanza a questo progetto, forse non lo condividi a pieno, non ti piacciono certe direzioni, quelle poi alla fine, quelle che non si possono ignorare. Ma non importa, non è per quello che sei venuta. Sei venuta perchè è tornato Jesse, e sei pure grata che qualcuno ti abbia avvertito di questa festa.
    Girelli ondeggiando le anche magre tra i tavoli, ti soffermi su ogni dettaglio, ogni colore brillante, ogni rilesso di vetro e piccole geometrie che fanno da motore e carburante alla festa. Ci hai provato una volta, sì, sempre con Jesse, ma probabilmente non lo rifaresti, no, non ce ne è bisogno. Certe cose il tuo organismo le digerisce a modo suo, in quel modo che solo le creature mitologiche rarissime in via d'estinzione patiscono. Nonostante gli anni in questa città continui a non incontrarne di creature come te. Tutto sommato siete davvero in via d'estinzione, o forse questo non è semplicemente il vostro habitat naturale. Sì, sì molto più probabile questo. Che la città ad una certa stanca. Non è il momento giusto per dirlo a Jesse, proprio adesso che se ne è uscito, ma se poi a sparire dovrei essere tu allora questo discorso meriterà affrontarlo anche con lui. Ma non stasera, no, stasera questo rimane, come tanti altri, un pensiero solamente passeggero.
    Ti stringi la tua borraccia. Vedrai che Jesse lo troverà il modo di fartela riabboccare d'acqua pulita e non di qualche altra roba strana. Sei una creatura in via d'estinzione che probabilmente guarderanno con un certo occhio quando vedranno l'acqua, semplicemente acqua, ma non importa.
    Continui a girare tra i tavoli e la gente, allungando il collo, cercando tra i gruppetti più serrati un volto familiare, perché nel caos Jesse non ti è ancora riuscito vederlo.
    mermaid
    29 y.o.
    antigua
    caribbean
    journalist
    activist
    If we don't know what we're speaking and we are not who we've been there's a chance we're only waking from a dream. How will we be in that waking? How will we be in the womb?
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    metamorphomagus – 25 y.o. – supporter – brooklyn




    Lo che è morto, cazzo. Lo so che Lucian è morto. È morto.
    Ma un conto è se me lo dico io, che la verità posso girarla, accomodarla come voglio, come preferisco, come più riesco a tollerarla per alzarmi anche ogni singolo cazzo di giorno dal letto e vivere una giornata che non ho voglia di fondamentalmente di trascorrere. E un conto è sentirlo dire da te, e allora non ci credo, non riesco ad accettarlo, perché fa troppo male. È straziante sentirlo dire. Sento un buco in mezzo al petto, mi si gonfiano di nuovo gli occhi di lacrime e mi trema ancora la bocca.
    Lo so cosa hai sempre pensato di Lucian. So che sei stato anche paziente, troppo paziente, ma so cosa hai sempre pensato di lui. E non è vero, non è vero niente, non è giusto niente, non era un uomo da odiare, non lo era affatto, non è giusto. Combatto tutti i giorni per cercare di restituirgli una dignità, dopo una morte poi così infame e miserabile. Miserabile, lo hanno ammazzato come un cane. Voleva essere migliore, tu non sai nemmeno quanto, voleva togliersi di dosso tutti gli scarafaggi e le pulci di Detroit, di quella vita del cazzo, miserabile, ed è morto alla stessa maniera, secondo la stessa natura. Come un cazzo di scarafaggio. Se c'è una cosa che mi fa male, che mi uccide veramente, oltre al fatto in sé che sia morto, è proprio che abbia sofferto così tanto, che non sia riuscito a salvarsi e a liberarsi da niente. Io non ci posso pensare. Se ci penso è questo che mi ammazza per davvero, non la Corruzione, non l'idea di aver rischiato di nuovo.
    È questo che mi fa stare veramente male, che mentre lo dici so che lo hai sempre profondamente odiato.
    Mi apre un singulto improvviso nel diaframma, ma mi faccio violenza per cercare di ricacciare tutto quanto indietro, e cazzo se fa male, ma così male da mordersi la lingua e le labbra come se fossero il freno per impedirmi di prendere la rincorsa giù verso un pianto disperato.
    Io non voglio morire, non ho corso questo rischio per vedere quanto vicino posso andare a toccargli una mano, io non so neanche dove cazzo stia adesso Lucian. Io non voglio morire, perché ho troppa voglia di sapere la verità, e perché non ce l'ho davvero il coraggio di farlo, di morire.
    Il nome? È questo il problema? Il nome. Cinque minuti prima e neanche si sarebbe saputo che ero lì, neanche tu saresti stato in grado di ritrovarmi in mezzo a quel dedalo di volti mescolati e rimescolati poi. Quale nome? Il tuo, alla fine è il tuo, quello che ti sei fatto tu, con tutte le tue scelte, anche quelle per le quali di fronte ai miei "ti prego" hai sempre risposto "no".
    «Ho… ho capito che era Corruzione soltanto una volta dentro, poi è scattata la quarantena.»
    Lo so cosa poteva succedere. Lo so ma non ci ho pensato abbastanza, non ci potevo pensare, non ci volevo pensare. Forse proprio perché non era tra le opzioni, non era una possibilità contemplabile. Non è abbastanza, non è una giustificazione, perché ad un certo punto le cose succedono e basta, senza averle potute prevedere, contro tutta la propria forza, la propria capacità, attenzione, prudenza. Le cose succedono e basta, con una ingenuità disarmante. No, io non ho pensato in quel momento a cosa poteva succedere, a quello che avrei potuto lasciarmi dietro. Ma mi preme adesso in testa, come un ago frustrato che punge e continua a farlo, il pensiero che questa tua stessa domanda avrei potuta rivolgertela io tante e tante volte in passato, neanche troppo tempo fa, tutte le volte in cui tu hai deciso di rischiare sapendo che stavolta ad aspettare e sperare che non succedesse niente di male c'ero io.
    È giusto così?
    «Se non fossi stata lì ne sarebbero morti altri.»
    E non te lo dico cos'è che ho visto, perché ormai è andata, rientrerebbero tra tutte quelle cose che non avresti mai voluto che vedessi, eppure è successo. È successo e basta, quindi non ha senso tirarlo in ballo. Ce l'ho dentro, ormai non si toglie.

    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

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    metamorphomagus – 25 y.o. – supporter – brooklyn




    Questo è il fondo. Perché se fino a qualche ora fa desideravo tornarmene a casa e avevo solo quello in testa, solo quella meta, solo quel desiderio di andarmene - che poi l'andare ha sempre una destinazione - io adesso non posso andare più da nessuna parte. Perché sono arrivata. E non è meglio, è forse più doloroso di qualsiasi altra cosa abbia affrontato oggi. Doloroso sapere di dover mettere le mani nella ferita e di doverlo fare proprio qui, proprio a casa. Non esiste altro posto dove potrei andare per stare meglio, per scampare al male dei tagli e dei graffi. Tanto è tutto quanto dentro: stare qui mi costringe solamente ad affrontare il fatto che non posso scappare da qualcosa che in realtà ho dentro, mi perseguita qui, proprio qui, tra lo sterno e la gola.
    Mi passo il dorso della mano sotto il naso muovendomi per sedermi sulla poltrona di fronte a te.
    Non ho imparato niente. Non ho imparato come è che si fa a non mascherare l'egoismo con una veste ben cucita di buonismo, quello con cui mi convinco di far del bene alla gente, di aiutare qualcuno, di essere utile ad una causa, giusta, corretta, e invece dall'altra parte qualcuno lo ferisco, gli spacco l'anima. Non ho imparato niente di come è che si fa a non farsi prendere in giro dagli altri, dalla storia, dal passato che torna, dalle cose ingiuste che succedono e allora provo a vendicarmi ma loro si sono già dimenticate la mia faccia e il mio nome. Non ho imparato niente sul fatto di non aspettarsi mai davvero qualcosa in cambio dalle persone. Uno deve dare quello che può, quello che vuole ma soprattutto quello che è disposto. Ed io mi aspettavo qualcosa forse anche stasera, ma la verità è che ognuno vive per sè e ruba sempre dagli altri, da quelli più ingenui che si dannano l'anima e corrono da una parte all'altra della città, e compromettono sè stessi buttando tutto all'aria. Ho buttato tutto all'aria.
    Ma sarebbero morti.
    Sì, ma ho buttato tutto all'aria, guarda come stiamo adesso.
    Non ho imparato nemmeno cosa voglia dire proteggerne alcuni prima di altri, stare dalla parte di chi è veramente importante, di quelli per cui dovrei correre più velocemente. Ho sbagliato le mie priorità e questo ci ha ferito. Ed io penso che pure questa cosa avrà un prezzo, uno da pagare sul lungo periodo, qualcosa che lascerà l'ennesima cicatrice. Ci provo, ma non mi riesce risanare niente, nemmen tra di noi.
    «Tra la roba di Lucian c'era quell'indirizzo e il nome di una persona.»
    Già, ma tanto non fregava a un cazzo di nessuno, nemmeno ad Horace, che aveva ben altro per la testa, tutto focalizzato sulla sua di problematica; risolta, cazzo, gliel'avevo appena risolta. Quel nome potrebbe essere stato l'ultimo pronunciato da Lucian, quello potrebbe essere stato l'ultimo posto visitato prima di morire. Solo a me importa del dettaglio, del dato apparentemente secondario ma al quale mi ostino ad aggrapparmi sì, perché l'evidenza ancora, invece, non è stata capace di spiegarmi come e perché sia morto veramente.
    «Dovevo vedere cos'era prima che sparisse tutto.»
    Dovevo. Non "avevo la possibilità, il modo, l'occasione, la voglia", no io dovevo. Anche la parole da sè mi vincolano a questa cosa. Non si trattava neanche più della semplice voglia di farlo, papà, lo sentivo come un dovere morale, una responsabilità nei confronti di Lucian o almeno di quello che sta diventando. Una sorta di immagine intoccabile, congelato così per come mi ha lasciato, epurato da tutte le brutture e gli sbagli che lo contaminano, che lo farebbero invecchiare, che lo rovinerebbero. Si trasmette così il ricordo solido di una persona: immacolato, il giusto per eccellenza. Mi sembra quasi adesso, papà, che ogni scelta e decisione che prendo passi dal giudizio di Lucian, come una cazzo di sfinge bloccata nel tempo che mi scruta dall'alto e che reputi tutto un errore, che mi giudichi sbagliata, cattiva, detestabile, e che quindi non mi meriti più neanche di ricordarmelo felice, quantomeno un minimo innamorato di me.

    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

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    metamorphomagus – 25 y.o. – supporter – brooklyn




    Questa è l'ultima prova suppongo. Forse quella più difficile, perché lo so che qui sono costretta ad essere sincera, e mostruosamente in torto. Non posso farli i miei giochetti qui, quelli con cui magari frego Horace, o addirittura Lucian, per cui non mi conoscono e non mi conoscevano abbastanza per sapere quando e se stavo tirando su una maschera. Giocare a tirare la corda, vestire dei panni, giocare a interpretare un ruolo e farlo bene, cazzo se l'ho fatto bene stasera. Sono brava a mettere alle corde, a non fare storie, specialmente in situazioni del cazzo come questa. Forse nemmeno sono stata io, forse è stata semplicemente la fortuna e l'urgenza, cha ha offuscato la vista di Horace di fronte alla mia natura, gli ha impedito di riconoscere le crepe della maschera. Il mio deve essere sembrato un volto veramente reale.
    Ma mi sono fatta di gesso, e ho preso l'acqua, e adesso l'intonaco è caduto tutto, lascia a vista le cose che forse sì, meritano di stare solo in questa casa, dove è che sei venuto sempre a nascondere le cose peggiori, papà, e probabilmente sto iniziando a farlo anche io.
    È l'ultima prova, quella dove devo cominciare a fare un po' di mea culpa.
    Non ce le ho giustificazioni, papà. So anche che avrei dovuto probabilmente prendere scelte diverse, specialmente dopo che Lucian è morto. Ma certe cose me le sono ritrovate, non me le sono andate a cercare. Se proprio vuoi imputarmi qualcosa allora sì, incolpami di Lucian, perché tutto il resto è venuto di conseguenza. Sarebbe stato tutto più semplice, lo so, ci credo davvero. Ma mi viene difficile pensare di poter prendere delle scelte diverse. Non ci riesco, non sarei io, proprio non sarei io.
    Sono stanca, veramente ma veramente stanca, mi fa male qualsiasi cosa. Ma me ne resto ritta quando ti trovo lì, subito, appena metto piede in questa casa. Casa, casa mia, casa nostra finché ce l'ha fatta, finché ha potuto, e adesso ho paura sia diventato solo una sorta di magazzino impolverato delle cose che non vogliamo tenere in vista. Dovrei sentirmi finalmente a casa, sollevata, e invece non lo sono affatto, e invece mi sembra di stare al banco adesso, di dover affrontare la parte peggiore, quella, sì, dove sono costretta ad essere sincera con te e soprattutto con me stessa.
    Mi smuovo solo per lasciarmi scivolare la giacca dalle spalle e lasciarla poi lì, sull'ingresso, dove è che resto, dove è che pian piano, movimento dopo movimento risollevo la testa e prendo un respiro per guardarti e lasciarmi guardare.
    Gli occhi ancora gonfi, pochi istanti di immobilità e subito la bocca si contrae in diverse smorfie perché i denti la mordono per non farla schiudere in nessun verso sofferente, in nessun sospiro, in nessuna lacrima.
    Non piangere, Vivianne. Resta ritta, come un cazzo di soldato, come una stupida matricola.
    Lo so che non avrei dovuto esserci lì dentro, lo so. So anche che se non ci fossi stata probabilmente Benjamin e Horace sarebbero morti, come altre persone, anche se penso pure che Edie sarebbe stata in grado di gestirsele persino da sola. Non è da escludere che io sia una palla al piede di natura. Però il fatto di aver aiutato qualcuno, di averne salvati, non mi fa sentire meglio, né mi inorgoglisce. Perché lo so che cosa vuol dire, a cosa ci riporta. E nonostante tutto io comunque non merito di fartelo questo torto. Non lo meriti davvero.

    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

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    Non la rimetto in bocca la sigaretta. Quella sigaretta rimarrà per sempre spenta probabilmente, non l'accenderò mai. Perché adesso mi sto masticando in bocca un certo sangue aspro, di denti tenuti troppo stretti, di una gola che fa male, di un corpo che comincia a cedere seriamente. Non sta più in piedi con niente.
    E allora questo è il segno che me ne devo proprio andare adesso, Horace, perché non posso rompermi proprio qui. Perché se subisco il crollo qui dopo a casa non ci arrivo, e, te l'ho detto, la mia notte non è finita qui. Devo recuperare la moto, quella che ho lasciato ore fa in giro, mi serve la forza quantomeno per non finire fuori strada o schiantata contro un palo del semaforo. Mi serve una forza fisica, non posso fermarmi adesso, chi si ferma è perduto, no? Devo sfruttare l'inerzia, il moto che mi ha dato il via quando sono arrivata qui, l'ultima spinta quando ti ho buttato a terra per vomitare tutta la rabbia, l'ultimo carburante. Adesso devo farmelo bastare per arrivare fino a domattina.
    Mi fa male ogni muscolo, sento che davvero potrei perdere un braccio o una gamba da qualche parte adesso, che se piego male il collo la testa mi si stacca per davvero, perché è diventato tutto pesantissimo. C'è una gravità diversa che mi schiaccia su questo pianeta adesso. E poi mi serve una forza psicologica, perché ne sono successe troppe davvero troppe, perché cerco di non pensare a quella bambina sbranata, perché cerco di non pensare alla morte che mi si è parata di nuovo davanti, cerco di non sovrapporci l'immagine di Lucian a quella di quella povera creatura, anche se Lucian non è morto sbranato, Lucian è morto affogato. Ma poteva essere chiunque quella bambina. Sicuramente era una figlia, e le è stato strappato il futuro. È stato strappato il futuro. Vorrei premere le mani sugli occhi e piangere, cazzo, perché sono esausta, sono davvero esausta. E non posso portarlo con nessuno questo peso, Horace, anche oggi ne è stata la dimostrazione. A pochi metri di cemento di distanza, ed io comunque non posso portarlo con nessuno questo peso, neanche con te. Perché tanto il mio giorno finisce in solitudine. Ormai è così. Nella vita tutto è possibile, ho capito, davvero ogni cosa può succedere, ma la morte è l'unica cosa certa. Quella non la cambi.
    Non sono contenta di avervi salvato, stasera, ho solo la paura addosso di cosa sarebbe successo se non ne fossi stata in grado. Non mi riesce pensare veramente ad altro. Non mi riesce pensare ad altro se non al fatto che se non fossi stata veloce abbastanza, brava abbastanza, convincente abbastanza, voi sareste tutti e due condannati, morti. Di già. Non mi riesce vedere altro al momento, neanche il fatto che ci sia riuscita alla fine. Ho solo una paura allucinante di esserci andata tanto vicina, di aver avuto una simile responsabilità.
    Non tremare, non cominciare a tremare proprio adesso.
    Che cazzo è successo stasera. Oddio.
    Ti guardo e già sento sul viso di star trattenendo un'espressione che comincia a contrarsi; sono come spilli sotto la pelle.
    Avrei voluto salvare anche Lucian così. Per questo nonostante tutto mi sento fallimentare stasera, tremendamente fallimentare. Ho capito. Perché sono riuscita a salvare voi ma non sono riuscita a salvare Lucian. Ho fallito. Ho sbagliato tutto. Vorrei averlo vivo, qui davanti, tenerlo, tenerlo come tengo te tra le mani e sapere di avercela fatta, di non averlo perso per sempre.
    Mi sporgo di nuovo, stavolta un bacio te lo lascio davvero, sull'angolo della bocca. Forte, ma dura poco.
    «Fa come ti ho detto.» ritirati di nuovo, e poi prendi la porta, scappa, vattene adesso che hanno fatto saltare le cariche e il palazzo sta crollando, viene giù tutto insieme. Buttati fuori, salta.
    L'aria è fredda, prende a schiaffi.
    Ha cominciato davvero a piovere.
    Basta poco, basta metter piede fuori così e cominciare a camminare, un passo alla volta, uno dopo l'altro, cercando di essere più spedita possibile. E più provo a spingermi avanti, più mi ritrovo finalmente a piangere, a cercare inutilmente di trattenere le vistose smorfie di dolore che finalmente si libera, e prende campo, tutto insieme, rompendo l'argine che lo ha tenuto fermo fino ad ora. Perché non vorrei neanche questo, ma da un certo punto in poi neanche il corpo regge più. Non smettere di camminare, Vivianne, non smettere proprio adesso, anche se devi cedere a questa stanchezza, lo devi fare purtroppo. Continua a marciare, non dicevi così ad Aalia? Dove sono adesso i tuoi fratelli, dove sono le tue sorelle? Continua, anche se il pianto diventa singhiozzi.
    Oddio. Comincio a tremare sul serio, a scuotermi violentemente. Vai avanti.
    Ti scongiuro torna, Lucian. Ti scongiuro.
    Torna e portami via di qui. Ti prego.
    Che io non riesco a darmi pace.


    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

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    metamorphomagus – 25 y.o. – supporter – brooklyn




    «Ma sei scemo forte, sempre te le devi mettere!»
    Mi viene da ridere, forse pure troppo. Sì, è la stanchezza, quando cominci a ridere per una stronzata abissale, una parola, un tono di voce, e ti fissi su quella e non ce la fai, continui a ridere fino a che una lacrima non ti solca davvero la guancia, e allora diventa imbarazzante perchè fa quasi pensare che ci sia altro, che sotto la stupidaggine, l'euforia ci sia in realtà la tristezza. Ma io non sono triste, affatto. Sono stanca sì, non sono serena, spensierata, come non lo sono mai stata, non è mai esistita questa cosa nella mia vita, ormai lo sai bene. Ma adesso non sono triste. Ci è andata molto peggio, ma forse sai per una voltà ho avuto ragione, quel giorno, al Sacred, dopo la mia pallottola nella milza. Quella è stata la cosa migliore che ci potesse capitare, per assurdo. E adesso qui sto bene, mi sembra di stare bene, Lucian, io e te. Potrebbe migliorare, come ogni cosa. Ci sono ancora un sacco di cose che vorrei cambiare, rendere diverse, ancora così tante. Tutte quelle di cui non possiamo parlare, tutte quelle schiavitù che non posso neanche nominare per il tuo bene. Sono sempre quelle. Mi piacerebbe saperci liberi, Lucian. Mi piacerebbe fare il cazzo che ci pare, quando ci pare, senza sottostare ai tempi, ai modi, alle regole degli altri. Mi piacerebbe ci fosse un modo. Mentirei se ti dicessi che non ci penso ogni giorno, che continuo a lavorare notte e giorno con il cervello per cercare un cavillo, uno snodo, una furbizia per tirarti via da lì. Di nuovo, contro il tuo parere. Mea culpa.
    Colpa mia, sì, che mi illudo di sapere sempre cos'è che è meglio per gli altri. Che mi dispiace, ma in fondo non abbastanza, e continuo a non capire il perché dei tuoi silenzi, perché non mi dici che desideri fuggire anche tu, che vorresti qualcosa di diverso da questo. Che se mi dici sì ci mettiamo giù, lo facciamo adesso, proprio ora: scopiamo e dopo dietro la carta da pacchi dei regali buttiamo giù un piano per scappare insieme e per liberarti per sempre. Dimmi di sì adesso, tra di noi, come se non avessi sempre una cimice nella testa che filtra ogni tua parola, ogni tuo pensiero. Vorrei cambiare anche questo, Lucian. Vorrei tu fossi libero anche da questo. Non si tratta neanche più di essere wendigo, quello ormai sappiamo come fare, siamo perfettamente in grado di gestirlo. Siamo allenati, no? Sono quattro anni che ci alleniamo; andiamocela a prendere questa medaglia d'oro a questa staffetta.
    Faccio per spingerti via, per togliermi le tue mani di dosso quando cominciano ad aggrapparsi ai vestiti.
    «No vai via, non voglio farci più niente io con te, coglione!» così, sempre per gioco.
    Che sono abbastanza stanca e quando sono stanca così allora mi vien da fare la cogliona anche a me. Come se fosse l'ultimo rimasuglio di energia che spinge e mi lascia così, disinibita, casinista, quasi ubriacata di stanchezza. E alla fine collassare, tutta insieme, tutta di botto, spero non al momento sbagliato adesso.
    «Se è brutto devi darmelo subito così poi ti fai perdonare immediatamente.»
    Ecco, se ci manca qualcosa in questo momento perfetto è proprio questo, saperci liberi, ma fino in fondo, Lucian. Liberi da qualsiasi cosa. Te lo immagini? Eh, riesci a immaginartelo come sarebbe? Sarebbe fantastico, da paura.
    Ti pianto le mani tra le clavicole e il collo, per impedirti di tornare ancora giù, guardandoti con gli occhi fuori dalle orbite.
    «Oh mio Dio. Sei di fronte ad una scelta determinante, Lucian Coppola. Devi scegliere cosa è meglio. Se sei più bravo a fare i regali o a scopare. Ohhh»
    Sarebbe incredibile, fantastico. Facciamo tutte le copie del mondo delle chiavi di questa casa, pranzo, cena, ci vediamo quando ci pare a noi, dove ci pare a noi, cellulari nel cesso, scopiamo a pranzo e a cena, se ci gira prendiamo la moto e ce ne andiamo dove abbiamo voglia quel giorno. Voglio andare in Oregon, e ce ne andiamo, e vaffanculo ai progetti lasciati a metà. Apettiamo la fine dell'anno su un divano a guardare un canale tv sconosciuto, un bacio veloce e poi a letto. Una colazione noiosa, una vita noiosa, un noioso anche starci sul cazzo ad una certa. Sì, fino ad annoiarci a morte, a non sopportarci più dalla noia fino a che qualcuno (presumibilmente io) non si mette a correre e allora a te tocca venirmi dietro e rincorrermi, e ricominciamo così tutto da capo e ci innamoriamo di nuovo.


    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

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    «Non- non si tratta di soldi.»
    Resto quasi confusa lì per lì, ma, di nuovo, sono stanca, la mia testa arriva fino ad un certo punto, codificata ormai su pensieri che si sono fatti di gesso, duri e fragili insieme, hanno perso qualsiasi tipo di elasticità. E con la pioggia sì sarà un casino, suppongo: scioglierà metaforicamente tutto. Forse resta l'unico modo che ho adesso di non concedermi altri pensieri dolorosi, di non deviare dove la mente vorrebbe rifugiarsi spogliandosi delle sue protezioni e delle sue armature solo per cercare, in maniera masochista, quelle pozze scure, dove è che fa più male. Che tanto è lì che vado a parare ogni volta, è lì che mi rifugio, dove è che mi fa più male. E Lucian torna sempre, Lucian in quelle pozze scure ci si riflette sempre. Ci sono sempre io lì dentro che assisto a scene già vissute e mi pento di ogni cosa. Mi pento di non essere stata abbastanza paziente, di non aver amato abbastanza, di non aver tollerato abbastanza. Mi pento di averlo voluto cambiare, di averlo desiderato anche diverso. Mi pento di essere uscita di casa di fretta per andare a lavorare o ad allenarmi, mi pento per non aver chiamato quella volta in più, mi pento, quando uscivi di casa, di non essermi girata per guardarti mentre ti salutavo. Mi pento di aver dato per scontato troppe cose, tutte quelle cose più semplici, minuscole, quotidiane, banali. Perché adesso darei il sangue per riaverti indietro, anche solo cinque minuti e stringerti, tenerti con me ancora, soltanto un altro po', il tempo che basta per odiarti per essertene andato e poi per rinnamorarmi di nuovo di te.
    Per questo mi sento uno schifo, mi sento veramente male adesso che non sono riuscita a trovare un cazzo dentro quel palazzo. Adesso che questo pezzo di carta con la tua calligrafia da quinta elementare è soltanto una reliquia, un segno che però non parla. Puro significante senza alcun significato. Perchè l'ho perso, me lo sono perso per strada oggi.
    «Mio padre è nella task force che manda avanti le indagini sulla Corruzione qui a New York. Ovviamente mi ha trovato lì quando sono arrivati.»
    Non si tratta di soldi, non si tratta nemmeno di favori o di qualcosa di materiale che tu possa restituirmi, Horace. La cosa migliore che tu possa fare adesso è rimanere fermo, tornare al tuo rifugio insieme a Benjamin e non farti vedere a giro.
    Non c'è un modo con cui tu possa ripagarmi, e già lo sapevo quando ho scelto di aiutarvi, lo avevo già messo in conto che sarebbe stata una responsabilità interamente mia.
    «Senza di lui non avrei potuto recuperare nessuna cura. Adesso è a lui che devo rendere conto, di tutto quanto.»
    E mi aspetta. L'ho detto, questa notte non finisce se prima non affronto anche questa cosa, se prima non mi prendo la sua rabbia, la sua delusione per avermi trovata di nuovo qui, stavolta volontariamente.
    «Mi dispiace.» perché ti avevo anche promesso che non avrei parlato di voi con lui, ma adesso non posso più assicurartelo. Questo è l'unico prezzo che vi impongo di pagare, anche se spetterà sempre a me di fare in modo che mio padre porti di nuovo, ancora, pazienza.
    Mi tolgo la sigaretta dalla bocca, un gesto veloce, nervoso, forse troppo repentino. Perché c'è che all'improvviso mi rendo conto di essere vicina, e forse è stata proprio la sigaretta spenta a dirmelo, notare come quasi riusciva a sfiorarti. Mi passo una mano sul volto, perché è come se da così vicino, sì, potessi leggerci sopra tutti i segni, lo schifo che mi ci è rimasto attaccato, e tutte le emozioni.
    Il punto è che adesso non so cosa succederà, Horace. Non lo so se troverai il tempo di spiegarmelo cos'è che fate. Ma non te lo dico, è inutile adesso dirti che con grande probabilità dopo questa non ci vedremo per un po'.
    «Portalo via appena possibile. Non fatevi trovare qui nel Bronx.»
    Non mi riesce che rispondere così, continuando a dire cosa dovresti fare, nascondendomi - forse per davvero sì - dietro al dovere, dietro alla furia delle responsabilità, dietro all'idea che ci sia poco tempo, sempre poco tempo, anche quando in realtà ce l'ho fatta, ci sono riuscita a risolvere la situazione e dovrei esserne fiera, contenta quantomeno. Comunque mi nascondo dietro al fatto che non c'è tempo.
    Io non ci respiro veramente qui dentro.
    Però mi sporgo quel poco per tenerti appena il braccio e appoggiare una guancia contro la tua.
    «Riposati.» non mi viene altro davvero.
    Lascio l'accenno di un bacio, che in realtà non tocca nemmeno la pelle, e torno di nuovo con i talloni per terra, rivolta verso la porta. Devo andare.

    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

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    metamorphomagus – 25 y.o. – supporter – brooklyn




    No, non mi bloccare, Horace. Non mi bloccare qui.
    «Fammi uscire. Qui dentro non respiro.» ti rispondo ancora con quel tono aggressivo che mi è rimasto aggrappato alla gola negli ultimi rantoli, prima che scivoli giù e faccia risalire dallo stomaco qualcos'altro, qualcosa di peggiore, qualcosa che non voglio affrontare, non qui, non così. Perché già non lo sopporto, lo odio con tutta me stessa, non voglio affrontarla qui, di fronte ad altri, di fronte a te, non voglio rende conto a nessuno del mio odio per l'umanità adesso. Non voglio mostrarmi vessata dall'ingiustizia, non voglio mostrarti dove è che stanno i cardini della mia armatura, adesso che sta cedendo lentamente perché è troppo pesante e mi trascina per terra.
    Non voglio e basta. Non voglio sentire più niente. So già da me che dovrò delle spiegazioni a papà questa stessa notte, che domani non arriverà mai e continuerà a non arrivare se rimango qui, se non finisco questa corsa con le ultime forze che mi sono rimaste. Non posso esaurirle tutte qui, non posso perdere la vita qui o io a Brooklyn non ci arrivo, mi ammazzo prima per strada con la moto perché non riesco a stare nemmeno con gli occhi sulla strada.
    Ma immagino non sia più un mistero, ah? Il fatto che ci fossi anche io laggiù, in quell'inferno, nel girone più basso. Non so voi, sono ormai convinta da tutto quello che hai detto che non sapevate nemmeno in cosa vi eravate cacciati, e continui a non saperlo. Ma io lo so, io sì, ero nel girone più basso. Le ho prese tutte le mazzate, le ho subiti tutti quei colpi mentre voi continuavate a vivere in un giardino "felice", ignari di cosa ci stesse sotto. Non so nemmeno se sia colpa vostra, a questo punto, non lo so, non so nemmeno se incolparti perché una volta eri un mago, una volta avresti dovuto saperlo che cosa era la Corruzione. Quella cosa da cui è bene riguardarsi, perché è contagiosa, perché ti muta nel sangue. Non lo so, non mi importa nemmeno.
    Non ho nemmeno la forza di guardarti negli occhi mentre parli. Non ho nemmeno la forza di buttare giù quel cazzo di braccio con cui mi impedisci di andarmene. Vaffanculo, Horace.
    Da rabbia, diventa sdegno, fastidio, ma più che per te scivola direttamente su me stessa, su questa situazione del cazzo.
    «Lo hai detto. Perché ero lì, a cercare di fermare quel cazzo di delirio. E adesso mi aspetta una montagna di merda perché devo pagare tutto il prezzo di sta' roba.» Cura e storia. Ma non vi avrei lasciato morire, è questo il "problema". Forse sì, Horace, forse è davvero colpa tua. Se non mi avessi chiamato io non sarei venuta, perché io non potevo dirtelo di no, mi hai messo di fronte ad una scelta obbligata, quindi sì, cazzo, è anche colpa tua se sto così.
    «Perché quel posto è stato una delle ultime preoccupazioni di Lucian. Ma non c'è più niente.»
    E questo non so nemmeno perché esce, nemmeno volevo dirtelo, nemmeno volevo tirarlo in ballo Lucian, doveva restare una cosa solamente mia. Solo ed unicamente mia, come dovrebbe rimanere Lucian, solo ed unicamente mio. Per cui io devo trovare chi lo ha ammazzato, io devo cercare in tutti i modi di rendergli quella dignità che gli è stata tolta quando è stato annegato a Staten Island, come si annega un cane, un gatto, uno stupidissimo animale che, cazzo, spero solo abbia tirato fuori le unghie e i denti, che si sia scorticato, si sia spaccato le falangi pur di non morire.
    Ma non c'è più niente, non rimane più niente. Io stasera resto con niente, Horace, cazzo, lo capisci? La tua storia è finita bene oggi, la mia non c'è verso che possa avere un finale differente adesso. Io torno a casa e non c'è più un cazzo di nessuno. Non ha senso neanche più che io faccia niente, perché non ho più alcun obiettivo, nemmeno un cazzo di miraggio.
    E io non ce la faccio a stare ancora male, non ce la faccio a soffrire così, non ce la faccio a portare questo peso, e non so come fare perché questo peso non si toglie, non si cancella niente.
    «Per questo mi dovresti lasciare andare via ora.»
    Perché se non me ne vado finirò per trovarmi sotto la pioggia più violenta. Fammi andare via fin tanto che posso sopportare questa ancora non così incattivita. Cazzo, mi viene da piangere.

    Vivianne
    Comstock
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    Pretendere la verità non fa di me un mostro, Horace. Non sarei corsa fino a qui, non avrei rischiato così tanto, se davvero pensassi di voler diventare una minaccia per te o per quelli che proteggi. Ma non le voglio le cose taciute. Non le voglio le mezze verità, le cose dette fino ad un certo punto perché poi fanno male, perché poi le cose le comprometterebbero davvero se venissero dette ad alta voce, non pubblicamente, ma soltanto così, tra due persone o tre. Siete piombati nella mia vita immediatamente dopo che Lucian è morto, io non so niente in fondo di voi, ed io oggi ho perso l'ennesima occasione, mi è sfumata di fronte agli occhi l'ennesima possibilità di scoprire qualcosa, di sapere ancora qualcosa su come è morto Lucian, su chi me lo ha ammazzato. Ma soprattutto ho perso qualcosa di lui oggi. Cazzo, lo dovresti capire cosa significa, dovresti sapere cosa cazzo significa non essere disposti a lasciar andare niente di una persona.
    E c'è che io sono stanca. C'è che sono stanca di correre, stanca di darmi da fare, di resistere, di lottare, di prendere calci e pugni e rimanere comunque qui, resiliente, ad aspettare che passi qualcosa che apparentemente non vuole passare.
    «Non c'è più niente là dentro.»
    Macero il silenzio adesso.
    C'è che questa è la dimostrazione di come sareste morti oggi. Tutti e due, non solamente Benjamin. Sarebbe andata che lui ti avrebbe morso e ti avrebbe corrotto, perché non sai come è che funziona questa roba, e per leggerezza, per ignoranza saresti morto. A un piano, due, forse ad una semplice porta da me. Ed io non sarei stata disposta a subire anche questo.
    Sollevo il piede.
    Basta.
    «Non avevate alcuna possibilità.»
    L'ho visto. Tu forse non ti sei nemmeno reso conto di cosa stesse accadendo laggiù, ma io sì, io ho visto ogni cosa.
    Lascio che la runa si disattivi mentre prendo le distanze e mi allontano di alcuni passi.
    Basta così, non me ne frega più niente. Sento solo che sta roba non dovrebbe succedere, che non vorrei essere qui, che non vorrei sentirmi così.
    Vaffanculo, veramente vaffanculo tutto. Io non voglio più giocare.
    Non voglio stare così. non voglio stare più male, eppure è un loop, un costante sprofondare da qualche parte, non c'è una cazzo di direzione che sia giusta, mi sembra di essere circondata da sabbie mobili, ovunque, tutte intorno a me, non riesco neanche a vedere dove è che finiscano, se posso farlo uno sforzo ancora per cercare di saltarle e tornare con i piedi per terra. Forse papà aveva ragione, pur sbagliando, pur continuando ad essere una delle tante spine che ho addosso sin da… da sempre cazzo.
    Come faccio sbaglio, e anche se faccio la cosa giusta continuo a farmi del male, continuo a complicare le cose, ad aprire ferite. Io non ne posso più. Io non ce la faccio più a stare così, non voglio più sentire così male. Voglio solamente che finisca. Io voglio smettere di stare così male, voglio smettere di prendermi tutte queste pugnalate. Prima Lucian, poi papà, oggi questa.
    Voglio solo tornare a Brooklyn, o ad Ogden. Voglio solamente tornare ad essere Vivi. Che voi non sapete un cazzo di cosa voglia dire. Voglio tornare a casa, anche se non so nemmeno quale.
    Voglio solo andarmene.
    Non voglio rimanere qui. Non voglio continuare a sentire questo male.
    Ributto un'altra sigaretta tra i denti. Stavolta non la accendo nemmeno, la stringo forte, si incunea negli incisivi tutta la frustrazione e la rabbia da far piangere. Perché non sono a nulla, non ho nulla di quello che volevo, di quello che speravo. Ho solo addosso questo profondo senso di insoddisfazione e di ingiustizia, il mio cuore è vuoto come uno specchio.
    «La soluzione doveva isolare e abbattere il parassita. Finisce lì.» indico di nuovo Benjamin.
    «Non deve sforzarsi.»
    E poi prendo la porta. Perché non me ne frega più un cazzo, non ci voglio rimanere qui dentro, in questo magazzino soffocante. Non voglio più starci qui.

    Vivianne
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    «Sì, adesso.» proprio adesso, Horace. Proprio adesso che siamo qui e che, Dio, sì, è l'occasione perfetta per mettervi finalmente con le spalle al muro, perché è ho tutto il diritto di pretendere qualcosa adesso che vi ho questo grosso favore. Sì, forse le cose uno dovrebbe farle in maniera disinteressata, ed è stato così all'inizio, ho recuperato questa cura, mi sono fatta fregare da mio padre perché non volevo che Benjamin morisse, perché volevo aiutarvi e basta, perché non lo avrei permesso, senza nemmeno pensarci. Niente calcoli, niente strategia, niente dare e avere, l'ho fatto perché lo dovevo fare e basta, senza sperare di avere qualcosa in cambio. Ma adesso qui è diverso, e non ti sto chiedendo decisamente qualcosa di meno impegnativo, te lo assicuro. Non mi stai ripagando di niente, mettiamola così, e questo mi dà forza per pretendere almeno questo, Horace, la stracazzo di verità. E poi sì, c'è anche questo, ci sono dei motivi personali. Perché voi siete wendigo, no? Il vostro amico era una creatura. Lucian era un wendigo. Non ci ho cavato un ragno da quel cazzo di buco, neanche un fottuto ragno, quindi se ho la possibilità di sapere qualcosa adesso io, ti assicuro, che ve la caverò fuori, e continuerò a cercare fino a che non sarò soddisfatta, fino a che non avrò la certezza di aver scandagliato e scavato fino al fondo. Non correrò il rischio di lasciarmi scappare qualcosa, di lasciare correre. Perché in quel posto non ho trovato niente, eppure quel posto stava segnato tra la roba di Lucian, quindi in quel posto qualcosa ci doveva essere. Qualsiasi cosa, anche una stronzata, ma ci doveva essere, ed io devo sapere cosa. Quindi sì, devo assicurarmi che voi non foste lì per il mio stesso motivo, e se sì, voglio sapere cos'è che avete trovato, se lo avete trovato, cosa sapete che io non so.
    Sono già nella merda, che cos'ho da perdere?
    «Da quando ho portato fuori dalla zona protetta un cazzo di parassita che ha contagiato e ammazzato un fottio di gente, senza che si sappia ancora da dove cazzo venga.»
    Sarai anche in buona fede, Horace, a questo ci credo, ma forse non ti rendi conto, no, non ti rendi conto e basta di che portata ha e avrà questo evento. Non sai cosa sia la Corruzione, lo vedi Benjamin? Questa è soltanto una delle cose che può fare alla gente, e questa città comincia ad essere piena di Corruzione, piena, serpeggia ovunque. Lo sai che può prendere anche il volto dei tuoi morti? Lo sai? E questa è la cosa più innocua che possa fare. Tu non ti rendi conto di cosa significa essere me, come medico del Sacred Heart, come soggetto coinvolto in manifestazioni di Corruzione, come soggetto schedato dal Macusa, come figlia di Abel Dixon, non solo come generale ma anche come membro di quella task force che per pura fortuna non avete beccato lì dentro. Perché io sì, sono stata la prima che ha trovato, e l'ho visto il suo sguardo, l'ho visto e ho letto subito tutte quelle cose che voleva dire, ogni singola sfumatura della sua delusione.
    «Che ragazzino? Voglio nomi.»
    Adesso voglio sapere ogni cosa, Horace.
    «In pericolo per cosa? Per cosa vi ha chiesto aiuto? Non c'era copertura dentro il palazzo, voglio sapere quando e come ha fatto ad avvertirvi.»
    Che questa cosa non torna, sotto tanti aspetti.
    Punto un dito contro Benjamin nell'angolo, ma non smetto di guardarti e di interrompere il contatto visivo.
    «Lui aveva meno di un'ora. Cinque giorni sono ancora abbastanza. Puoi resistere.»
    Se vuoi trasformarla in una prova di forza fa pure.
    «E poi voglio sapere che cazzo c'è in questo rifugio. Chi ci sta, cosa fate e dove si trova.»
    Io da qui non mi sposto.

    Vivianne
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    «Sì.» ti rispondo stringendo la sigaretta con i denti, continuando a premere con i palmi sulle orbite e sulla fronte.
    Come mi sento? Sento che potrei vomitare, sento che sto male, ma male sul serio, che potrei collassare qui. Ma qui non ci voglio stare. Sento che potrei essere sul punto di svenire, ma non svengo. Sento che sono troppo stanca persino per addormentarmi. Quella soglia dove c'è solo la paranoia ad un certo punto, oh, quella l'abbiamo superata alla grande.
    «Aspetta ancora.» ad avvicinarti, a toccarlo, a fare qualsiasi cosa possa comportare un qualche tipo di scambio, di liquidi, d'aria, di veramente qualsiasi cosa.
    Mi rendo conto anche di come le parole facciano veramente fatica ad uscire. Si formulano, si addensano sulla lingua, ma è uno sforzo assurdo dargli voce. Semplicemente perché non vorrei farlo. Non vorrei essere qui adesso, non vorrei dover affrontare questa cosa. Non voglio, cazzo, mi sono rotta il cazzo, mi sono rotta veramente il cazzo.
    «L'ho riempito di antidolorifici. La soluzione aveva una componente di energia sintropica per abbattere il parassita. È la reazione, va bene così. Senza quelli sarebbe probabilmente già morto di cuore. Quindi va bene così.»
    È una fatica assurda, ma o parlo e metto insieme due parole, o mi attivo e almeno vi guardo, mi muovo, invece di rimanere seduta, immobile a guardare un punto indefinito nel vuoto.
    Va bene che urli, va bene che senta male, perché poteva sentirne molto di più, davvero molto di più, Horace. Quindi questo lo deve sopportare e dovete farvelo andare bene, devi fartelo andare bene anche tu. Se permetti, questo è il suo di prezzo da pagare, e sì, sarò anche una cinica del cazzo adesso, ma non mi sembra un prezzo così alto. Rimarrà vivo dopotutto, si è salvato dal farsi fottere anima e cervello dalla Corruzione. Sì, ha avuto veramente una cazzo di fortuna, quindi ora che urli, che butti tutto fuori, perché è la cosa più naturale che possa fare. Stringete i denti e sopportatelo. E non lamentatevi, cazzo. Portate 'sto peso, perché poteva andarvi peggio, ve lo assicuro, poteva andarvi davvero molto peggio. Anzi, cominciate a fare festa perché stasera tornate a casa vivi entrambi, vaffanculo, non come quella cazzo di gente, non come quella cazzo di bambina sbranata viva, non come me che continuo a fare sforzi, a sbattermi, a battere la testa e non ottengo niente, e continuano a togliermi e togliermi, a portarmi via. Più mi sforzo e più mi portano via. Quindi andatevene affanculo, non lamentatevi.
    Mi sciolgo dall'immobilità, solo perché sento qualcosa che mi si carica dentro. Ed è rabbia, frustrazione, è il fatto che sento di volermene andare e allo stesso tempo so che invece ci devo andare in fondo a questa cosa, non la posso lasciare correre così, non con tutti quello che mi è costato: farei torto a me stessa. E allora mi conviene aggrapparmi a quella rabbia.
    Tiro fuori dalla tasca della giacca lo stilo, tiro giù la manica e tatuo una runa sotto il polso.
    Mi alzo, spengo la sigaretta sotto la scarpa.
    «Adesso.»
    Mi avvicino, ti prendo per il colletto della maglia e ti scaravento per terra.
    Hainekern, La Forza.
    Sì, mi si sono tappate le vene, più di una. Quando qualcosa non ti piace ringhi vero, Horace? Quando sei infastidito, quando qualcuno ti dice cosa dovresti fare e quello che devi fare ti sta decisamente sul cazzo, come io che ti dico di uscire da questo magazzino di merda, tu ringhi no? Come è che fai? Come cazzo è che fai? Te lo faccio vedere io come è che si ringhia, te lo faccio vedere che cazzo di animale divento io invece.
    Ti premo un piede sul petto. Ribellati, fai anche solo un cazzo di verso, e io ti schiaccio ancora di più forte di questa runa. Scorretto? Scorretto un cazzo, te l'ho detto, le regole qui le faccio io.
    «Dimmi perché eravate laggiù.»
    Perché sono abbastanza stanca anche da farmi infilare una certa pulce nell'orecchio, e perché non vi conosco abbastanza. E perché te non hai la più pallida idea di che cazzo significa aver portato un infetto fuori così, tu non hai la più pallida idea del favore che vi ho fatto. Perché tu non hai la più pallida idea di cosa significhi la Corruzione, di cosa cazzo sia. Benjamin sta già meglio, carino, no? Stasera andate a letto tranquilli. Forse avremmo dovuto aspettare un altro po', ancora un altro po', per fartelo venire davvero il terrore, quello vero, così magari lo avresti capito meglio. Tu non hai la più pallida idea neanche di cosa sia e di cosa rappresenti io. Questo è il minimo che possiate fare e che io possa pretendere adesso è tutta la verità. Perché è questa la cosa frustrante: sapere che da un lato vorrei andarmene, e dall'altro la responsabilità di cercare la verità, perché sono fatta così, perché Vivianne è fatta per essere questo, per la verità, non per le stronzate. E me ne hanno già raccontate tante, Horace, così tante che adesso mi manda in bestia pensare di doverne sentire altre.
    Che adesso la voglia la verità, tutta, anche se eravate lì per una boiata allucinante come - che cazzo ne so - quella festa di merda. Perché io lì c'ero per un motivo e se posso strapparvi anche solo una informazione utile allora lo faccio. Per Lucian? Sì, mettiamola così, mettiamola che lo faccio per Lucian, perché adesso è l'unica persona che riesco a tollerare nella mia mente.
    «Ti ho fatto una cazzo di domanda!»
    Non ve ne andate finché non dite tutto, fino a che non sono sicura di avervi rigirato come dei cazzo di calzini. Vi ho rimesso al mondo adesso voglio sapere il motivo del prezzo che mi aspetta da pagare. La realtà dei fatti, fino in fondo, e non queste mezze verità del cazzo che fino ad ora non hai fatto altro che spararmi così, Horace, senza dire mai dire niente alla fine.

    Vivianne
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    Non sono disposta a sbattermi per proteggere anche te qualora dovesse andare tutto storto. C'è anche questo. Non è il massimo, detta così, ma riassume una verità, e cioè quella che io non ce la faccio. Sono al limite delle mie forze, non puoi immaginarlo. Perché sì, non te ne rendi conto, ma avresti bisogno della mia protezione, la tua forza da wendigo non potrebbe farci niente in questo caso. Questa roba non la contrasti con la forza bruta. Quindi questa cosa non comincia fino a che non porti il tuo culo fuori da questo magazzino, Horace. Potrei farlo io, potrei costringerti e ti assicuro che farebbe male, molto male. Non ho nemmeno il tempo per farti tutte le rassicurazioni del caso, c'è che sono abbastanza fiduciosa che andrà bene. Non è speranza, non è nemmeno convinzione, perché ormai sono troppo stanca e ho visto troppe cose non funzionare come avrebbero dovuto. È solo che io non ce la faccio neanche a contemplare l'idea di dovermi preparare al peggio, non ho la forza per vivere nemmeno nel futuro più immediato, Horace. Ho solo quel briciolo di determinazione che mi fa compiere i gesti presenti, uno dopo l'altro, lasciando indietro quelli che ho già compiuto, buttandoli via, levandomeli dalla vista per non dover rassettare tutto quando, si spera, avrò finito. Non sono un mostro, pensi che se Benjamin fosse in punto di morte celebrale te li negherei davvero i suoi ultimi attimi? Pensi che se lo sapessi farei davvero una cosa del genere? Dopo che sono stati negati a me quelli con Lucian. Io non voglio veder morire più nessuno, Horace, anche con oggi ho fatto il pieno. Io ho bisogno soltanto di compiere quei gesti, di seguire quella lista alla perfezione che ho già stilato nel mio cervello stanco, troppo stanco persino per reggermela mentre la ripercorro e traccio delle spunte. Dammi retta, ti prego, non farmi altrettanta violenza.
    E aspetto allora che la porta si chiuda, che questa battaglia finisca alla svelta e mi lasci vincitrice. Vincitrice di nulla poi.
    Mi tolgo la giacca, infilo la pistola alla cinta, e dispongo le siringhe sulla giacca stesa, mentre cerco l'unico laccio emostatico che sono stata in grado di recuperare al volo tra il caos e la mia roba.
    Rinforzo i legami della Polvere, soprattutto perché non so che reazione immediata potrebbe suscitargli l'iniezione. È pur sempre un wendigo, e qui dentro ci sono componenti dolorose per una persona infetta, per un wendigo a maggior ragione. Mi muovo cauta mentre gli passo il laccio sotto il braccio e poi stringo tutto assieme, in una botta sola, controllando che non reagisca o che quantomeno non lo faccia abbastanza violentemente da farmi scattare sui piedi.
    E poi succede e basta. Questo andava fatto. Prima la Panacea, per il dolore, poi la cura in sé. Qualche spasmo, quello glielo posso concedere, ma prendo un po' le distanze dopo avergliela iniettata e tolto il laccio al volo.
    Passano così i minuti successivi, non so nemmeno quanti onestamente, parecchi, abbastanza, voglio esserne più che certa. Io, piegata sulle gambe, che se prima erano indolenzite ora fanno un male animalesco, con il flash del cellulare a terra che illumina il soffitto basso, e sempre io a controllare i suoi parametri vitali e a cercare con occhi spalancati i flussi dentro il suo corpo che scivolano, corrono, poi si bloccano, qualcosa hanno trovato, e allora riprendono gli spasmi, i versi, ma i lacci di Polvere sono stretti. Fa male, inibisco anche i suoi recettori, perché non voglio sospendere questo stato di veglia proprio sotto la superficie molle e trasparente dell'incoscienza.
    Passano i minuti. Qualcosa sta lavorando dentro, qualcosa gli farebbe male se solo io non gli impedissi di sentire dolore, anche se i suoi muscoli si contraggono lo stesso. Sei un fortunato bastardo, Benjamin.
    Già.
    Sento che la cosa si sta acquietando quando comincio a sentirmi io male, perché la tensione a poco a poco si sta sciogliendo.
    Lo aiuterà, starà meglio, il grosso lo ha già fatto.
    Mi tiro finalmente su, in piedi. Mi fa malissimo tutto.
    Mi avvicino alla porta, la spingo appena per dirti che a questo punto puoi entrare.
    Cazzo, mi fa malissimo tutto, Horace.
    Non ti aspetto nemmeno. Ormai non c'è più niente se non questa sensazione orribile.
    Ritorno alla giacca, prendo dalla tasca l'ultima sigaretta e l'accendino. Mi siedo a terra, l'accendo e resto piegata in avanti, gomiti sulle ginocchia, con la sigaretta tra i denti, a tenermi il capo e a premere con le mani sugli occhi.
    Puoi anche vederlo da te che sta già meglio.

    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

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    «Fuori tempo massimo.»
    Tre ore sono troppe, speravo ne fossero trascorse meno, decisamente meno. Ho corso, ho fatto tutto il più velocemente possibile, di più non potevo fare, non c'era modo fisico, temporale, gravitazionale o che cazzo ne so di poter fare più velocemente. È già un miracolo che se ne stia rimanendo buono senza sensi, forse perché l'ha stordito prima che la situazione peggiorasse, altrimenti non sarebbe durato certo tutto questo tempo. Ma sta lavorando, sì, sotto la mutazione sta continuando e lo sta facendo a ritmi veloci. Prendo il telefono e accendo il flash per guardarlo meglio, senza puntaglielo sul volto, potrebbe svegliarlo. Ma sì, la mutazione è iniziata, sta cominciando a cambiare i tratti, le escoriazioni sono decisamente visibili, più di quanto non lo fossero su Evan o sull'altro, Damien. Queste catene non lo terranno però quando si sveglierà e avrà perso l'ultimo briciolo di umanità a cui forse il sonno ancora lo tiene aggrappato con i denti e con le unghie. O forse l'ha già perso, oppure è sopito, non si è fatto ancora trovare dal parassita, e questo sonno è l'occasione per colpirlo senza che tutto il resto si ribelli. Intreccio la Polvere per creare dei lacci che lo tengano stretto, veramente stretto e che continuino a farlo per tutto il tempo che serve.
    La volevo trovare, la fonte, la volevo trovare e non ho pensato che la fonte di quel continuo spandersi di Corruzione era all'interno di ciascuno di loro. Era logico, forse, ho il vizio di pensare in grande, in maniera troppo complessa. E così è comunque decisamente peggio, decisamente più grave, perché rimarrà la questione da dove sia venuto questo parassita.
    Sono da condannare di fronte al Macusa, cazzo se sono da condannare. Sto lasciando a piede libero un infetto. Per scamparla dovrò pagare, Horace, oh, cazzo tu non hai idea di quanto me la faranno pagare.
    Per questo non voglio sentire ragioni, Horace. Adesso qui comando io.
    «No. Tu fai il cazzo che dico io adesso esce imperativo, aggressivo ma fermo. Perché non c'è tempo di discutere e non ho intenzione di muovermi dalle mie posizioni dal momento che io sono arrivata fin qui, che io sono stanca ma non vi lascio morire. Non vi abbandono, non lo faccio, non lo faccio mai con nessuno, ma adesso pretendo che tu dia retta a me, anche se non ti piace, anche se devi farti violenza per accettarlo, anche se non c'è un modo dolce o comprensivo per dirlo. Non c'è tempo e basta, neanche per le buone maniere.
    «Non centra niente l'essere wendigo qui. Se contagia me è un conto, se contagia te sei morto. Posso aiutarne soltanto uno.»
    Non ho tempo per spiegarti che so già che precauzioni prendere, che so già cosa fare qualora dovessi trovarmi da sola ad affrontarlo nel pieno della sua rabbia animalesca. Io ho gli strumenti opposti ai suoi, sono fatti per respingerlo, per respingere anche creature come te. I tuoi invece sono pari ai suoi: devi avvicinarti troppo per poterlo fermare, e avvicinarsi adesso significa solo farsi contagiare, perché lo so, lo so cazzo che non saresti in grado di fargli del male neanche si rivelasse necessario.
    «Non fai tu le regole qui.» e lo dico tirando fuori dalla tasca celata della giacca le siringhe con l'ultima Panacea che mi ha lasciato Edie e la cura. Le faccio io le regole, che ho la cura, che posso salvarlo da una trasformazione che a breve sarà irreversibile.
    «Sono stata abbastanza chiara?»
    Non costringermi alle maniere forti, perché fino a che non sarai uscito di qui io non farò niente, io questo rischio non sono disposta a correrlo, non sono disposta a far morire anche te per una stupidaggine.

    Vivianne
    Comstock
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    Sei una testa di cazzo. Sei un grandissimo figlio di puttana, Horace. Sono così tante le offese che ti rivolgerei adesso che arrivo qui. Perché sono stanca, cazzo, non ce la faccio più, sono veramente stanca, ho toccato il mio limite, il mio fondo per oggi. Non lo capisci? Non te ne rendi conto, cazzo? Mi sono ritrovata di nuovo in questa merda per cercare quello che Lucian mi ha lasciato e che non ho trovato, non ho fatto in tempo. È stato tutto inutile. Tutto inutile, tutto vano, perché sarà un miracolo se quel posto non lo raderanno al suolo. Hanno già cominciato a ripulire le teste di tutti quei civili che domani riprenderanno la loro vita lenta e quieta, e se c'era qualcuno come Lucian, qualcuno che poteva sapere qualcosa su di lui, che poteva centrare qualcosa con l'eredità che ha lasciato e addirittura con la sua morte adesso, stai sicuro, che è andato, che è svanito nel nulla, sempre che non sia morto. Ho perso tempo, capisci? Ho perso tempo e speranze. Soprattutto ho perso qualcosa di Lucian. Ho perso un tassello quando mi sono promessa di non perdermene per strada neanche uno, perché non riesco a sopportarlo di lasciarlo andare. Lo capisci, cazzo? Lo capisci come mi senta di merda? Tutto vano, vaffanculo. Non è servito a un cazzo, ha soltanto peggiorato la mia situazione con papà, perché ovviamente papà era lì in prima fila.
    E voi eravate lì. Ma non lo capisci? Non capisci quanto sia stato stupido? Forse pure la mia ragione in fondo lo era, e di questo dovrò renderne conto a mio padre per primo, ma almeno io avevo i mezzi, io avevo modo di gestirla. Ho lasciato Edie in quelle condizioni pietose. Ma voi? Voi che cazzo di strumenti avete? E guarda come è andata! Nell'unico modo con cui poteva andare! Tu nemmeno ti rendi conto cosa succederà a Benjamin se non riceverà quella cura, o se addirittura non dovesse funzionare. Dovrebbe, ma farà male, come minimo, farà un cazzo di male. Perché siete wendigo, c'è anche questo. C'è che nessuno vi aiuterà, e questo Lucian lo sapeva. Ne avrà fatte di scelte discutibili anche lui, ma almeno aveva le spalle coperte. Io non posso fare più di questo.
    Non posso lasciarlo morire, Horace. Non lo farei in nessun caso, ma cazzo se mi fa incazzare, e più mi incazzo più penso che lo sto facendo per Lucian, per lui prima di tutto, perché lasciarvi morire sarebbe come ucciderlo di nuovo io con le mie stesse mani. Anche se questo peggiora di molto la mia situazione. E anche la vostra, sì. Io non posso assicurarti più niente di fronte ad Abel Dixon. Te lo avevo promesso? Non me lo ricordo adesso, ma non posso farci niente. Questa roba, questa cura, ha un prezzo, Horace, ha un prezzo molto caro, e lo dovrò pagare io, tutto io. Quindi spero che tu abbia una giustificazione che almeno provi a reggere, che almeno ci provi.
    È buio in questo magazzino, ma lo è anche fuori, gli occhi ci mettono poco ad abituarsi e a individuare prima di tutto le sagome.
    «A che punto siamo?»
    Non c'è tempo. Vederlo in quelle condizioni mi riporta a una Detroit immaginaria fatta di Pietà e di Ecce Homo come queste, dove è così facile ricalcarci sopra anche l'immagine di Lucian, una iconografia impietosa e difficile da digerire.
    Ma non c'è tempo, e io non ho la testa per fare altri convenevoli.
    «Ok, adesso esci mentre io faccio questa cosa.»
    Mi appello al tuo buon senso Horace, e al fatto che tu continui a darmi retta perché sono l'unica qui che può farci ancora qualcosa. Da questo momento è mia la responsabilità, e non voglio che accadano sciocchezze facilmente evitabili.

    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

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    Welcome! Io sono la Gine! Benvenutissima <3
1075 replies since 29/7/2012
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