Refrain

Josh/Edie | 31 Ottobre

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    Posso dire che nonostante tutto, sì sono felice. Per quanto sappia esserlo io che, certo, ha sempre quell’enorme cartello rosso di attenzione pericolo che lampeggia sulla testa, ma è una condizione così normale, questa, da essere ormai la prassi. Per cui sì, considerando i miei canoni, e i miei bassi standard, posso dire che sono felice. Non per chi sa quale motivo smielato, ma semplicemente perché, superato il panico iniziale, posso semplicemente prendere questa cosa enorme, e renderla mia, senza più pensare che esistono cose che non potrò mai avere, perché finirei il tempo troppo in fretta, perché rischierei di trascinarle giù con me; no, ora, ora me la sto semplicemente prendendo, anche se ancora mi chiedo se sarò capace di farla, la madre. Ma anche questo è parte dei dubbi che esistono sempre in me, e mi disegnano sempre assolutamente incapace nelle cose, nella vita, con le persone. Eppure, eppure devo aver deciso che non m’importa, o che sono talmente tanto egoista che in questo istante, non voglio pensarci. Non voglio pensare a Morgan, a tutto quello che è successo o al fatto che mi sono svegliata con un bigliettino, a niente che non sia semplicemente io nel tempo che ritaglio per me stessa, guardandomi allo specchio quasi aspettandomi che già si veda un rigonfiamento, quando ancora ho un ventre piatto, ma che prima o poi lieviterà innegabilmente. E sì, fanculo a tutto, voglio solo guardarmi per qualche istante ed essere felice, e dirmi che questa cosa è mia e la posso avere, senza aver paura di tramandare qualcosa, e senza aver paura di dover sparire una sera o l’altra perché ormai il mio tempo è scaduto e qualunque cosa esistesse, per me, devo lasciarla alle spalle. Ma sono pochi secondi, prima di prepararmi perché so che se ieri c’è stato quel bisogno di chiamare Morgan e farlo catapultare qui, perché ci fosse anche lui in quella pozza in cui mi trovavo all’improvviso, so che egualmente ho bisogno di vedere mio fratello, perché nell’essere mia, beh mia e di Morgan, questa cosa è anche sua. In un certo senso, è quell’ennesima prova, quella dimostrazione finale che lo grida quanto ormai la mia vita io me la sia presa saldamente fra le mani, e non la mollo più. Prendo un respiro, guardo distrattamente quel pacchetto di sigarette che resterà lì per i prossimi mesi, con ancora quelle cinque che gli restano, e che saranno la prima cosa che toccherò appena questa gestazione sarà finita. Insieme a della vodka, o qualsiasi tipo di alcolico possibile, perché sì, non nego che ho pensato al fatto che per praticamente un anno, sarò astemia. E io lavoro in pub, il che sicuramente non rende più facile la cosa. Ma non importa, penso di aver sopportato ben di peggio che un po’ di astinenza, e in fondo me lo ripeto ancora, mentre mi sposto verso la porta per uscire, che io lo voglio. Probabilmente, non ho mai non voluto essere madre, ed era solo che nell’essere stata figlia della mia, sapevo cosa voleva dire vederla sparire, e in più no, non mi sarei mai perdonata se avessi avuto una femmina passandole quel gene maledetto. Me lo sono chiesta in queste ore se mia madre si è sentita in colpa quando le hanno detto che io sarei stata proprio una femmina, e ho ripensato anche al suo sguardo, a quello di papà, prima che i segni si manifestassero e sinceramente, non penso di aver mai visto una speranza più grande riflessa così nitidamente negli occhi di qualcuno, così come non ho visto mai dolore più grande quando invece, alla fine, ho dimostrato di essere esattamente come lei. E no, io non avrei potuto sopravvivere ad una cosa del genere. Adesso, però, è tutto diverso, e lo è in un modo assoluto e che mi permette, al contrario, di pensare a quanto, semplicemente, oltre la paura e l’insicurezza, io sappia essere talmente certa di questa cosa, come forse non lo sono stata mai per niente. Ed è con questo pensiero che vado da Josh, perché per una vita siamo stati sempre colpiti e ora, invece, voglio dirgli che c’è qualcosa di buono, di bello. Mi infilo in macchina, e non sono ancora del tutto abituata al fatto che ora ho una macchina, ma è stato necessario averla quando ho deciso di aprire il Deuce, e non potevo semplicemente continuare a spostarmi a piedi e far prendere aria alla mia patente. Un po’ sono nervosa, come lo sono sempre quando si tratta di andare da mio fratello con qualcosa di nuovo, forse perché, in un certo senso, questi ultimi mesi sono stati complessi. Complessi nel non avere un sentiero ben delineato nei nostri movimenti, nei miei, ma più ampi, rendendomi sempre un po’ agitata ogni qual volta che qualcosa cambia, e da un lato penso che, invece, a Josh servirebbe una pace fatta di un perenne equilibrio che si allunga finché gli sarà necessario. Ma in realtà, so anche come questa sono solo io che spero che, semplicemente, sia solo questo quello di cui ha bisogno, e che non ci sia nulla sul sottofondo a premere per aggrumarsi e fare delle spine nuove, ma egualmente pungenti. Lo spero sapendo già, in realtà, che non basta sperare che tutto vada bene perché lo faccia, e un secondo prima di salire, dopo aver parcheggiato, me lo prendo. Un secondo per respirare, e cercare di pensare a troppe cose che alla fine, semplicemente, lascio stare, perché non ha senso iniziare a farmi film in testa prima ancora di aver parlato con lui. Quindi, scivolo con sicurezza nel palazzo e fino alla sua porta, in un percorso che so a memoria e potrei compiere ad occhi chiusi, senza poter sentire alcun rumore o allungare le mani a cercare confini che possano suggerire qualcosa. Lo so e basta, perché è qui che si forma la strada per arrivare, sempre, a lui. Mi spingo verso di lui come sempre quando entro in casa, lasciandogli un bacio che gli schiocca sulla guancia, e che mi costringe ad alzarmi sulle punte, e un po’ a tirarlo verso il basso con le braccia perché sia ad un altezza a cui posso arrivare, prima di superarlo per entrare del tutto. «Ti ho portato da mangiare» lo cantileno appena, alzando la busta prima di muovermi per poggiarla sul ripiano della cucina. «Mac & Cheese fatto per bene, mica quelle cagate precotte che ti scaldi nel microonde» tiro fuori la scatola poggiandola sempre lì, aprendola per fargliela vedere prima di richiuderla e spostarmi a mettergliela in frigo. «Lo devi comunque scaldare, ma in padella con un po’ di burro, e la cuoca consiglia di aggiungere anche poco poco latte, e vedi di farlo entro breve se no si fa tutto uno schifo acido e poi lo devi solo buttare» torno dritta per guardarlo, stringendo appena le labbra fra di loro quasi cercando di nascondere un sorriso anche se sì, sono sempre preoccupata da come potrebbe prendere le cose e forse, in fondo, ho solo ancora quella cocente volontà che ci renda due persone come tante, senza niente sulle spalle. «Ho una novità, e prima che tu possa impazzire, è una cosa bella» mi sfilo la giacca mentre lo sto già superando, diretta verso il solito divano di sempre, lasciandomi cadere lì in un gesto unico, come se cedessi semplicemente alla gravità. «Almeno per me è una cosa bella. Molto, molto, bella»
     
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    Potrei dire che mi sono anche svegliato bene stamattina, cazzo sì e dopo una vita di tempo in cui mi è solo sembrato di trascinarmi lungo non so quale corridoio nero come la morte. Ora invece posso aprire gli occhi con la voglia di metterlo un piede davanti all'altro, perché adesso ho di nuovo qualcosa tra le mani e sì, sì resto uno stronzo sotto tantissimi aspetti che se ci penso mi vorrei solo far sanguinare fino all'alba dei tempi, ma è proprio di questa che si parla. Dell'alba che si farà tramonto tra pochi mesi e di me, che nel non sapere il punto preciso in cui mi inserirò, so cosa devo fare: portare via Edie, salvarla, tenerla con me sempre più stretta affinché niente sappia più ferirla o intralciare la strada per una vita che, cazzo, ci meritiamo entrambi. Una vita in cui possiamo parlare senza pesi nello stomaco che non si trasformino in immani stronzate su cui sapremo solo ridere di fronte all'ennesima birra. Chiedo tanto? No, oggi so che non chiedo tanto, chiedo il cazzo che ci serve per andare avanti e non solo so a chi chiedere, ma adesso sto imparando come andare a prendere una salvezza che ancora non c'è ma ci sarà e porterà il nome di Faust inciso a sangue nella pelle, la mia pelle. E mi sta bene, mi sta bene perché ogni giorno sono più forte, ogni allenamento mi tempra, mi trascina oltre i miei limiti solo per farmi vedere che posso estenderli ancora ed ancora. E fa male, cazzo fa tanto male in alcuni momento, ma dopo è solo potere, corrotto fino all'osso e per questo più forte di quanto si immagini. E' come immergere le mani in lago di catrame per estrarne un tesoro che ad occhio nudo non si sarebbe mai visto. Non è neanche una cosa che si spiega, la so e basta, e questo va bene a me tanto quanto andrà bene a lei. Ed ho pensato anche a papà, perché dovrei andare a trovarlo ora che di nuovo ho ricominciato ad afferrare a due mani la corda del mio equilibrio, forse anche per dirgli quell'addio che sono capace di dirgli, e perdonarlo per quello che non ha fatto negli anni in cui io ed Edie ci siamo sostenuti da soli, e continuiamo a farlo. Ora che posso alzare lo sguardo da terra ed avere un'immagine ben chiara di quanto sia in mio potere e quanto ci sarà a breve, posso farlo, posso prendermi un angolo della meditazione a cui mi sto sottoponendo e che mi sembrava una cazzata da santoni all'inizio, per dirmi che lui non poteva niente nella limitatezza del suo animo, quando invece io posso tutto. A stonare è sempre e solo il fatto che io, ad Edie, metà di queste cose non le posso dire, ed anche se in cuor nostro un accordo lo abbiamo perché niente la ferisca ancora, perché non senta una lama trafiggerla ogni volta che mi guarda, so anche che staremo tutti meglio dopo Luglio, e che dipenderà da me. Ed io, cazzo io non permetterò mai che lei soffra ancora, va contro ogni fibra nel mio corpo, ogni corda che si tende nella certezza che io e Morgan Crain dovremmo parlare di nuovo perché quel figlio di puttana non ha capito evidentemente che le mie parole non avevano una scelta condizionale nel mezzo, erano un fottuto ordine, un contratto se vogliamo metterla così, per cui io non avrei detto ad Edie quello che spettava a lui dirle e lui si sarebbe tolto dai coglioni. Va bene sì, alla fine sono sempre qui che ci giro intorno come uno squalo, ma adesso lo sto facendo con la consapevolezza che mi basti poco, pochissimo per innescare Faust e Dio solo sa cosa potrebbe vederci Morgan nel mio specchio e quanto a fondo nella sua merda saprebbe scavare fino a distruggerlo. E siccome sembra sia questo ciò che vuole, non posso essere sicuro che non sia anche esattamente ciò che avrà. L'ho detto, è un po' una fissazione, e lo è anche nel mio egoistico sperare che Edie che entri una sera dalla mia porta con l'espressione ferita, con lacrime inarrestabili perché lui l'ha lasciata ed allora saprei cullarla tra le mie braccia con un senso di sollievo che fa di me proprio un fratello di merda, ma anche uno che nonostante sta guardando molti passi più avanti e sa che Edie saprebbe riprendersi anche appellandosi ad una rabbia distruttiva che non permetterei mai la divorasse. Se servisse, però, la lascerei sfogare in ogni sua parte fino ad accoglierla, sfinita, tra braccia che la solleveranno sempre da terra perché io non andò mai da nessuna parte senza di lei. Penso a tutto questo ogni giorno, e non solo a questo ovviamente, ma lo faccio proprio perché niente sfugga più al mio controllo ed io sappia tenere il ritmo di tutto, della Band, della nostra famiglia, di Slater ed i suoi allenamenti, e di questa crepa che mi si è aperta nell'anima ed ora sto riempiendo di corruzione e sangue, e di certezze che mi tengono in piedi. E' così che, con un sorriso tra le labbra, accolgo l'arrivo di Edie che stringo a me quanto basta a permetterle di sfiorarmi ed a me di fare altrettanto, in un gesto che non mi stancherà mai. «Sei la mia salvatrice...!» lo dico con l'ironia che accompagna i momenti leggeri, quelli che spero di godermi il più possibile quando torna da me perché non so mai fino in fondo quanto dureranno. Ed un po' la sto prendendo in giro nel suo volersi prendere cura di me, controllare se mangio decentemente o se non sparisco per altri giorni per tornare fisicamente e mentalmente a pezzi. La seguo in cucina con l'interesse che mi prende nel notare che in effetti nemmeno ha tutti i torti, d'altronde ora quella con i soldi è lei, quindi se proprio vuole spenderli anche così io non so proprio nessuno per impedirlo. E' che nel pensarlo sorrido ancora e mi chiedo quanto cazzo sia strano adesso essere tornati per un attimo a Giugno, quando la nostra vita sembrava ancora così, pur nel costante terrore che ogni momento fosse l'ultimo e beh, non è che quella sensazione per me sia cambiata, perché so molte cose che lei non sa, ma nel suo essere così radiosa oggi mi chiedo se stia facendo la cosa giusta anche io per una volta. «Agli ordini, padella, burro, latte e ti mando anche una foto così sei sicura che sto mangiando anche se chiaramente non ti vedo convinta a sufficienza.» Questo glielo lascio addosso nel mio seguirla con lo sguardo, uno sguardo che un po' vibra nel leggere l'impazienza che anima lei e che pianta con i piedi per terra me. "Prima che io possa impazzire", dovrei ridere anche adesso, ma chissà perché non mi riesce più perché io sto già impazzendo, nel modo in cui una preoccupazione mi scava profondamente dentro anche solo nel vederla così sull'orlo di vomitare qualcosa che sembra starle molto, molto a cuore. E, cazzo, sì mi chiedo se Crain non abbia fatto l'immane cazzata di chiederle di sposarlo e per un attimo vorrei ispezionarle le mani per non vederci un anello di quelli che possono solo essere "l'anello". Cazzo sarei in grado di andare a spaccargli la faccia anche adesso, lasciando Edie un secondo da sola nel mio appartamento. Ma no, Josh, no. Non è ancora il caso di correre ai ripari, ma lo so che non ho un'espressione serena nemmeno per il cazzo. La seguo finché cade sul divano e, dopo, perché so che ne ho bisogno, mi volto un attimo di spalle, il tempo di afferrare due birre. «Spara» non so nemmeno forzarmi di assumere un tono che non sia allarmato almeno in parte, mentre mi costringo a lenti respiri perché sono un fatalista del cazzo ed ho quasi la sensazione che questa novità non mi piacerà così tanto.
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    Non penso di essere capace a prevedere com’è che reagirà, quando ormai ho quel senso che sa rendermi così incerta in ogni mossa. Quello stesso senso che cerco di annegare, perché nel petto, quando sono con Josh, diventa un pulsare pesante che non voglio avere. Voglio distruggerlo, come fosse uno di quegli ostacoli che mi impedisce di tornare a momenti in cui, pieni di consapevolezze solide, ce ne stavamo semplicemente in quei piccoli spazi, capaci di dimenticare tante cose per qualche istante, e di strapparci solo l’abitudine di una normalità che non abbiamo mai avuto. Forse, semplicemente, non è mai stato previsto nel nostro destino averne. Forse invece, al contrario, qualcuno ha proprio scritto le nostre vite perché fossero sempre un po’ ammaccate, in un modo o nell’altro, e se ne stessero appese a fili sottili, con quella perenne minaccia di crollare da un momento all’altro, e solo le nostre mani a tenerci ancora su con forza. Eppure in questo momento, più che in tanti altri, vorrei solo che vedesse come questa cosa, per me, è veramente bella. Come sappia farmi sentire più centrata in me stessa, permettendomi anche di guardare lì, in quel futuro talmente grande e incerto, che so quanto sa farmi paura allo stesso modo di quanta me ne faceva prima la certezza della sua assenza. Adesso è come se, nascosto lì in quei giorni che no, non posso conoscere, ci fosse quella piccola miccia che forse è una speranza, anche se non sono mai stata brava, io, a sperare in qualcosa, e so aspettarmi sempre e solo il peggio di tutto. Perché non c’è mai un risultato diverso, e so anche di come, in fondo, è un po’ come se mi aspettassi che ogni cosa buona che vivo, che mi succede, avesse una precisa scadenza segnata da qualche parte, lì dove non posso vederla, ma posso sentirla come un bisbiglio nella notte. Questo, invece, questo non ha una scadenza. È il mio piccolo spazio di certezza nell’incertezza, e forse non dovrei pensare una cosa simile di una gravidanza, ma per adesso, nell’inizio di tutto, me lo prendo invece lo spazio di mettere me nel centro di tutto, prima che ci sia una vita di cui occuparmi. Vorrei davvero che Josh adesso lo vedesse, che questo sorriso che premo fra le labbra, anche se ha ombre incerte come incerto lo è ogni mio fiato da sempre, si poggia lentamente su tutto, come un balsamo che anche se non può guarire quei segni che, indelebili, sono rimasti come cicatrici sulla pelle, può almeno alleviare quel bruciore che li accompagna, quel dolore pungente che non sono brava a dimenticare, e che ha scavato talmente tanto a fondo da modificare la composizione delle mie stesse ossa. E sì, per un secondo ripenso a quel eri che solo ieri, è scivolato dalla bocca di Morgan, e quanto nel suo eri io sappia solo sentire quelle stesse onde che da lì, da prima, continuano a propagarsi anche qui. Non sono capace di tante cose, e questo è un dato di fatto, e probabilmente non sarò davvero capace neanche a fare questo, a essere una madre, ma almeno questo posso reclamarlo e stringermelo al petto. Eppure, ancora, no, non so come potrebbe reagire quando in fondo, sono successe tante di quelle cose in così poco tempo, che dobbiamo ancora stabilizzarci su frequenze nuove, fra quelle che conosco, e quelle altre che, invece, se ne stanno in fondo e non vogliono farsi ascoltare, ma solo far tremare la terra sotto i piedi cercando di rendere più complesso ogni movimento. Per un attimo, però, vorrei solo sentire quanto siamo qui adesso, nonostante tutto, sospesi in così tanti momenti, istanti, cose, da poterle escludere tutte nel loro ruggire imperioso, per invece guardare solo lui anche nel suo muoversi e spostarsi che so quanto tradisca un nervosismo di fondo, uno che si solidifica nelle sue ossa come acciaio che gli corre nel midollo per impilarsi poco alla volta. E io cerco solo di dargli con tutto quello che ho una calma che so sentire sotto la mia stessa agitazione, quella che nasce da quesiti che cercano di immaginare il suo volto nel sapere che nonostante noi una famiglia non l’abbiamo mai davvero avuta, potremmo farlo adesso. Anche se sì, sarà pur sempre una cosa che non ha nulla a che fare con quelle che si vedono in tv, con case perfette e vite perfette, ma del resto penso anche che né io, né Josh, sapremmo come muoverci in una cornice del genere. Scuoto solo un po’ la testa alla vista di quella seconda birra, e sì so che mi ci vuole molta, molta forza di volontà per non buttarmici cercando quel tipo di supporto che sì, posso dirlo, ho sempre cercato nell’alcol in tutti gli anni della mia vita. Me lo sento premere sulla lingua, così come posso sentire la voce tremare ancor prima che scivoli dalle labbra, in quel modo che, quasi, mi fa girare un po’ la testa, dandomi un pizzicore alla gola. Lo so che queste sono le tracce di un’ansia che non sono mai stata capace di controllare, e che nell’accumularsi qualche volta esplode e mi paralizza, ma adesso gli sorrido ancora prendendo un grande respiro. «Niente alcol per me per i prossimi nove mesi almeno» sì l’ho davvero buttata lì così, come scavandomi il passaggio, aprendolo per qualche istante in un suggerimento che diventa la mia avanguardia prima di prendermi una pausa che dura solo un secondo. «Sono incinta»
     
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    So che ha gli occhi su di me. So che ho stappato entrambe le birre in un gesto automatico che faccio con la semplice pressione dei pollici. So che qualcosa non va dal momento in cui sento un brivido che mi fa trasalire pur mantenendomi fisicamente fermo. Lo so, lo so perché sono immobile e se potessi essere fatto di marmo, beh lo preferirei in questo esatto momento. Perché non mi serve che Edie specifichi che è incinta, la prima frase ha già fatto quello che doveva seccandomi le labbra fino a rintoccare un lugubre fastidio alla bocca dello stomaco. E no, no certo non è questo che può aspettarsi da me, ma invece vedo le mie dita che scivolano dai colli delle bottiglie e si fermano, un tremolio d'ira, lungo il bancone della cucina. Lo stringono come fosse un bastone su cui poggiare un peso che non reggeranno tanto a lungo. Edie è incinta. E, parliamone, andiamo, sarei felice cazzo di essere zio... lo sarei, se questo cazzo di mondo di merda non fosse sul punto di esplodere con tutti dentro. Lo sarei se non sapessi che si tratta di un Crain quello, o quella, che porta in grembo mia sorella. Ed io vorrei pregare qualche divinità che lei abbia commesso un errore, che sia andata a letto con qualcun altro in questo periodo di tempo perché cazzo potrei accettarlo, ma lo sento che non è così o non avrebbe di che sorridere, perché noi abbiamo una morale e dubito lei saprebbe mai sul serio tradire qualcuno. Il problema è che io non sono come lei, anche nel mio imporre un sorriso sulle labbra, sento come queste siano irrimediabilmente chiuse, sigillate, non passa un fiato. Deglutisco aghi direttamente nell'esofago, sempre nella mia costante immobilità che se Edie non mi vedesse penso non saprebbe se sono ancora vivo, se sono ancora in cucina. Quello che può vedere è una figura nera, ferma di spalle, ed è la sola cosa che so darle quando capisco che no, no Morgan Crain adesso ha rotto il cazzo oltre ogni limite sopportabile. E lo so, Cristo lo so che non è colpa di Edie perché lei non sa niente, è solo colpa del Cacciatore che è troppo codardo per salvarla davvero, e non trascinarla in un egoistico moto mortale. Mi chiedo che cazzo abbia pensato, lui, quando ha preso la decisione di.. cosa? Mh? Di lasciarle un ricordo sotto forma di un cazzo di figlio? E' così che funziona? "Oh non preoccuparti Edie, io morirò tra otto mesi e qualcosa ma tu stai tranquilla proprio che tanto avrai un mio bambino che ti ricorderà sempre la faccia di merda che ho". Se è andata così, ed ho l'ossessione di crederlo, giuro che saprò farglielo rimpiangere prima che sia l'Inferno a prenderselo per sempre. Forse Edie si aspetta che io sappia fare quello che devo, no? Magari voltarmi con un sorriso che richiami il suo, magari abbracciarla perché è proprio una cazzo di splendida notizia, ma porca puttana non riesco. Non riesco a girarmi, non riesco neppure a richiamare gli insegnamenti di Slater per farmi scivolare le cose addosso finché non saprò come fottutamente vadano gestite. Ho il cuore così dannatamente pesante, che non so più se odiare me per quello che sto per farle, rendendo chiaro un disappunto che non dovrebbe centrare un cazzo con me, ed invece lo fa, o se odiare quella testa di cazzo che ora vorrei immaginare con che faccia si stia immaginando questo nostro momento con Edie. Sì, proprio tu Morgan, ma che cazzo hai in testa mh? Dovrei girarmi e chiedere: Lo vuoi? E' di Morgan? Che pensate di fare quindi, vivrete assieme ora? Non ha fatto lo stronzo vero, non è sparito in Messico. E giuro che se fosse una situazione normale, lo farei, ma non lo faccio, io queste risposte le ho tutte nella felicità inconsapevole di cui lei si veste e lui le lascia fare. Questa non è una cosa che si perdona, non è una cosa su cui intendo passare oltre, e no, non funziona così. Perché ora la mia posizione è diversa, la sento nelle ossa che vorrebbero solo forare la schiena come punte di lame che trapassano ogni parte di me.
    La mia posizione è un errore che sto per commettere, uno dei tanti che a lungo termine forse avranno un senso per Edie, o forse no, ma che indubbiamente porta il mio nome marchiato a fuoco, tanto come quello di Faust. Morgan Crain non solo l'ha privata della capacità di decidere con tutte le informazioni che le servono, se tenersi un bambino figlio di un padre già morto, ma ha deciso di mandare a fanculo il resto della mia pazienza, proprio allo scadere del tempo che mentalmente gli ho concesso prima di togliersi dal cazzo. Ora qualunque cosa io dica o faccia, ferirà Edie in un modo o nell'altro, perché l'unica cosa che dovrei fare, ovvero essere fottutamente felice per lei, non mi riesce neanche un po'.
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    Lo conosco abbastanza Josh da sapere come ci siano mille cose ferme nel suo silenzio, e in quel suo ostinarsi in quella posizione rigida che il sorriso me lo tiene sulle labbra solo con una grande ostinazione, perché già posso sentirlo mentre trema nel cercare di cedere quando posso sentire tutta la rigidità dell’aria. Lo conosco abbastanza da sapere che no, non c’è niente di buono, e mi chiedo ormai se sappia far uscire dalle labbra una notizia che sì, dovrebbe essere buona, che sappia arrivargli in questo modo, senza invece indurirsi come una lama che lo colpisce e non so come o perché sono stata io a premergliela contro. Non ne ho idea, e più non ne ho idea più mi sembra semplicemente di sbagliare tutto, come se improvvisamente non fossi più capace di avere a che fare con lui. È un pensiero che mi ha sfiorata più volte, e che ho cercato di cacciare via, di renderlo così distante da non poterlo neanche sentire urlare, ma adesso è di nuovo qui, e si ferma per premersi nelle mie orecchie e far smettere di esistere tutto il resto. Vorrei saperlo cos’è che gli affolla la mente adesso, quando per un po’ sì, ho sperato che fosse qualcosa che potesse diventare un sollievo, quella conferma che la tempesta in cui siamo nati e cresciuti, fosse ormai passata e che no, ancora una volta, non c’era nessuna guerra da combattere per me. Invece, adesso, posso quasi sentire il rumore degli spari che si agitano nell’aria, anche se non so, ancora, quale sia questo nemico immenso che ci si avvicina, e che non fa altro che diventare più grande, impastarmi la bocca e impedirmi di essere davvero capace di sapere di cos’è che ha bisogno mio fratello. Vorrei essere migliore, davvero, ma per quanto io ci provi, non faccio che sbagliare tutto, sempre, in ogni caso, anche negli sforzi che, alla fine, si spingono sempre nella direzione sbagliata, e io resto sempre qui, a guardare tutto farsi piccolo nella distanza, sforzandomi solo di avere ancora la forza di avanzare per cercare di afferrarlo e non farlo scivolare via. Non so se sono capace, ed è il ritornello della mia esistenza, ma in fondo so anche che non esiste davvero l’opzione di fermarsi in questo dubbio, ma solo il provare perpetuo che mi continua a spingere contro muri di vicoli ciechi. Adesso, ancora, vorrei poter prendere con queste stesse mani quei pensieri che gli affollano la testa, scioglierli uno ad uno e scacciarli via, liberarlo come da un’infestazione che vedo così rigida nella sua posa, in quel suo restare immobile senza neanche muovere un dito, un sussurro appena che diventi anche un disprezzo che saprebbe colpirmi meno di questo mutismo che no, non riesco a decifrare. Non ci riesco, e penso che sia questo a uccidermi più di tutto il resto, questa barriera che sento e che forse, sono stata io a creare nel non esserci stata davvero quando avrei dovuto, lì dov’era distrutto, per aiutarlo a rialzarsi ancora una volta. La verità è che come la metto la metto, lo so che sono sempre stata, per lui, qualcosa di molto simile ad una responsabilità. Una di cui si è fatto carico quando era ancora così piccolo, perché Josh ha sempre avuto tanta di quella determinazione, quella che a me è sempre mancata, che lo ha portato ad alzare la testa e lottare, con ogni sua forza, anche contro l’impossibile. È una forza che so di avergli invidiato, ma che adesso lo vedo come gli si sta ritorcendo contro colpendolo con la stessa intensità con cui lui ha sempre colpito tutto per proteggerci, proteggermi. Stringo le labbra e lo so che, ormai, il sorriso che tengo sulle labbra si tende, mentre io un po’ mi muovo sul divano, stringendo le dita fra di loro in quel modo quasi nervoso che ho di fare quando sento che qualcosa preme, e lo fa con forza. Cos’è che preme, Josh? Io vorrei saperlo, e vorrei saperlo scacciare via, così come lui ha scacciato via così tante volte i miei incubi semplicemente guardandomi, e facendomelo sapere con poco, ma a fondo, che sarebbe sempre stato lì, di fianco a me, nonostante tutto. «Non metterci troppo entusiasmo» vorrebbe essere una battuta, una che scivola male, tipica di quando sì, so di starmi sentendo afferrare da qualcosa e no, non voglio che mi prenda e mi porti da qualche parte dove saprò solo tapparmi le orecchie e non ascoltare più nulla, neanche me stessa. «Non sono così giovane per essere incinta, e certo non lo programmavo, ma insomma. Il Deuce va bene e, insomma, non è una cosa che penso di non essere in grado di gestire» e vorrei, giuro, Dio vorrei fosse qualcosa del genere quello che lo ferma e lo blocca, ma lo so anche mentre parlo che no, non è così, e che queste sono solo cazzate perché improvvisamente no, non lo sopporto il silenzio, e ho bisogno di riempirlo. «Dimmi qualcosa Josh, qualsiasi cosa, anche “banane”, ma parla»
     
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    Non sono il fratello che meriti, Edie. Ecco questo direi se avessi la cazzo di voglia di aprire bocca e non rimanere fermo a ringhiare contro un lavandino che non vedo perché il mio sguardo trapassa ogni cosa. Invece non dico niente, zero. Sono incazzato, Cristo non lo sono mai stato tanto quanto oggi e mi chiedo quanto sia ancora in grado di alzare la fottuta asticella quel maledetto infame. Ho la sensazione che stavolta il tempo di venire a spiegarmelo non glielo lascerò. Ma certo adesso sono anche in una situazione di merda, perché non poteva andare bene per un mese di fila no? No sarebbe stata una grazia troppo grande, mi sembra ovvio. Eppure a me non frega un cazzo di come mi sento, a me interessa sapere se lei ha avuto la possibilità di prendere una decisione conoscendo ogni più piccolo dettaglio della stronzata che il suo fantastico ragazzo ha fatto. Perché non devo chiederle, oggi, se vuole tenerlo, sarei il primo a dirle di farlo comunque nonostante tutto perché non sarà mai sola finché sarò in piedi per impedirlo, ma Cristo farò di tutto perché si renda conto di chi davvero è Morgan Crain. Non so calmarla la merda che mi agita lo sterno, so solo stringere di più il mobile e so che quando lo faccio ho una scintilla che mi illumina le dita per un secondo solo, uno di troppo. Adesso è il momento che Edie sappia, e lo so che non ne ho parlato prima con Slater, ma le cose credo siano adesso ancora più complicate di quello che immagina lui e nella certezza che mi anima, quella che nonostante tutto io salverò mia sorella da ogni cosa possa abbattersi sul mondo la prossima estate, rialzo la schiena e prendo un respiro più profondo. L'ho sentita parlare, e questo mi conferma solo che non sa nulla, e che la colpa di questo è anche mia che l'ho tradita promettendo alle sue spalle di mantenere un patto che l'avrebbe tenuta all'oscuro di quanto potesse ferirla. Ma adesso c'è un cazzo di problema con la controparte, con quella testa di cazzo che a sua volta doveva mantenere una parte, e se osasse venire a dirmi che Edie non è innamorata di lui, so che non saprei fermarmi, so che avrei Faust tra le dita, e punterei dritto contro di lui e la sua vita. Ha fatto il codardo un minuto di troppo. La verità, in questa merda, è che mi si crepa il cuore all'idea di fare quello che sto per fare, di espormi come parte di un qualcosa che le farà male oltre quanto io sappia immaginare o che, solamente, dopo questo non vorrà più vedermi. E nonostante tutto so che farò sempre ogni cosa in mio possesso, anche contro la sua volontà, per tenerla in vita, sana e salva anche dopo la fine del mondo, ed allora, solo allora, potrò riposare, potrò invocare il suo perdono perché vivere senza di lei sarebbe impossibile, ma prima c'è qualcosa che devo dirle. Lascio andare la cucina con un gesto che muove le nocche perché io mi obblighi ad infilare le mani in tasca e girarmi verso di lei. Io non la so riversare la mia rabbia nello sguardo, non so rivolgergliela quando incrocio il suo e la sola che vorrei è che tutto potesse andarle sempre bene, senza ombre, macchie o nuvole che ne offuschino la luce. Ma siamo sempre noi, ed a noi le cose non vanno mai bene fino in fondo. Ci metto un po' a capire come fare quello che sento di dover fare, con tutte le conseguenze del caso, anche se ammetto che la mia più rosea aspettativa la vede piantare in asso Crain per lo stronzo che è, finalmente rinsavire, e magari lasciarsi un po' cullare dal fatto che non per questo non dovrà avere il bambino, e che nel crescerlo non sarà sola, mai. «Edie» la chiamo, ma non ne ho bisogno perché lo so che ho i suoi occhi appena mi giro, che cercano risposte in un'espressione che credo sia più dolore e fatica. Non vorrei mai che pensasse che non debba tenerlo, mai. «Te l'ha detto, Morgan, quanto gli resta da vivere?» la mia espressione si indurisce ma sappiamo che non è rivolto a lei l'affilarsi delle mie parole come lame. Lo lascio solo sottintendere che io, invece, lo so. Voglio vedere se l'ha fatto, se nella mancanza di coraggio del fare l'uomo ha almeno dato a mia sorella tutta la possibilità di fare una scelta consapevole. Perché solo così saprei accettare, solo così saprei non uscire da questa porta in cerca di un confronto che stavolta di verbale non avrebbe proprio un cazzo di niente. Chiedo questo nell'avvicinarmi appena al divano ma senza sedermi, senza sfiorarlo, fissandola con un'intensità che scava in risposte che ho bisogno di avere. «L' ha fatto, Edie?»
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    Anche un tronco a questo punto capirebbe che qualcosa non va, decisamente, e per quanto io voglia fare battute e provare a scherzare, quasi sperando che si metta a ridere e ribatta per dirmi che no, sono solo io che come sempre mi vaneggio le cose perché la mia testa funziona così, non succede. No che non succede, ovviamente, e non c’è nessuna risposta al mio solito fare da brava cretina, quello pregno di un nervosismo che vorrei non avere, ma che si ferma qui e si sa fare solo più solito mentre ancora, ci sono spalle e un silenzio che non si spezza. Penso a tutte le cose che potrebbero spingere Josh ad una reazione del genere, ma la verità è che qualcosa mi dice che no, non possono essere cose in merito al mero fatto che sarò madre, o che riguardino la mia gravidanza, i soldi, il come fare o non fare, e non lo so, tutti quei normali problemi e preoccupazioni che possono arrivare in momenti del genere. Non so perché ancora io mi ostini a pensare che quello che gravita, tutto intorno, possa essere fatto di cose basilari. Normali. Semplici. Eppure, dovrei aver ormai capito che non esiste niente del genere, non quando non c’è nessun punto semplice a correre nell’esistenza di chi mi sta intorno, rendendo impossibile allora farlo essere una realtà anche per me. Inizio a pensare che no, non sarà mai così, e che semplicemente ad un certo punto tutto quello che adesso si alza a colpire, diventerà un’abitudine, lasciandomi semplicemente adattare a tutto. Possiamo anche dire che uno dei problemi principali della mia palese incapacità a tutto, sia che sì, io mi ero abituata, al contrario, ad avere solo una serie di respiri fino ad una data che nell’essere incerta, aveva comunque una scadenza talmente ravvicinata che ad un certo punto, in qualche modo distorto, era quasi diventata una consolazione. Sapevo, almeno, che per quanto fosse stato orribile quel dopo, fatto di brandelli di coscienza che sarebbero rimasti miei incastrati dentro qualcosa che invece mi aveva conquistata, almeno tutto il resto sarebbe finito. Tutto il resto che invece adesso è questo, una realtà che sta qui, di fronte a me, con la rigidità di Josh che quasi sembra dirmi che c’è una voragine, a qualche centimetro da noi, ed è solo che io non riesco a vederla. Che non mi stupisce per niente, ad essere onesta, perché so essere particolarmente ottusa, e sinceramente neanche così tanto brava con le persone, a meno che non si tratti di quelle due cazzate da bar in cui ormai sono un vero portento. Ma una volta finito il turno, chiuso il Deuce, sono solo, fondamentalmente, un’idiota come tanti che cerca solo di andare avanti nella sua vita, e darle magari un minimo di senso, che non sarebbe male. Quindi no, non mi stupisce il fatto che ci sia qualcosa che non capisco, anche se è nell’essere qualcosa che non capisco di Josh che trovo quella variante che sa ancora allarmarmi, mentre seguo i suoi movimenti e ascolto ancora un silenzio che pesa, e giuro io non sapevo potesse farlo così tanto. Ma quasi quasi, era meglio quello rispetto al modo in cui mi guarda e alla fine dice quello che dice. E sì, l’ho detto, non sono una persona particolarmente sveglia, quindi ci metto quei cinque, sei, dieci secondi a cercare di afferrare le sue parole e premermele nella mente, anche se, ancora, lasciano un vuoto che implica così tante cose, da non volerle neanche ascoltare. Ovviamente non voglio ascoltare, perché sono sempre io, quella che è brava a rintanarsi e scappare quando qualcosa la brucia, e adesso sento solo il calore, neanche l’ustione, ma mi basta a cercare un freno alla mia testa che, altrimenti, inizierebbe a partorire i peggiori scenari possibili, uno più brutto dell’altro. Ed è anche che c’è davvero poco da fraintendere nella sua domanda, e pure che in qualche modo, palesemente Josh sa qualcosa su Morgan che a me manca. Questo, questo mi stupisce sul serio. Non che mi manchino dei pezzi di Morgan, perché quella è una realtà ovvia con cui ho a che fare tutti i giorni, e che è solo lo snodarsi di un rapporto che è fatto anche di me che quei buchi cerco di colmarli un po’ alla volta, sperando di essere capace, ma che sia mio fratello a guardarmi con quel nome premuto in una domanda che mi lascia a guardarlo con un respiro che quasi si blocca, ma poi scivola fuori tremulo. Io spero con tutto il cuore di essere stupida così tanto, da aver fatto una connessione mentale del tutto sbagliata, lo giuro. «Ma di che stai parlando» non è neanche davvero una domanda, non ne ha il suono, ed esce fuori un po’ di fretta, come se dovessi recuperare quei secondi che mi sono presa e dovessi accartocciarli uno sopra l’altro, bruciarli per non sentirli più pesare in quel senso che non so dire cosa sia. Attesa, ansia, non ne ho idea, né ho tutta questa voglia di indagare.
     
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    Perché cazzo l'ho chiesto, lo sa solo l'Inferno. Sapevo che non aveva avuto il coraggio di metterla davanti alla realtà, e adesso ne ha proprio perso ogni diritto. Avrei quasi lasciato correre - no, col cazzo - che non si fosse ancora tolto dai coglioni, ma questa cosa, il parlare con lei, che tanto lo hanno fatto prima che Edie venisse da me, è ovvio, e lasciarla nell'idea che saranno una disfunzionale famiglia felice del cazzo, sapendo che non sarebbe mai successo. Beh va ben oltre la mia concessione, quella che non ha capito fosse una fottuta grazia che gli stavo facendo nel non andare dritto da Edie mesi fa. Così la guardo e mi sento morire dentro. Una crepa in cui infila le mani senza saperlo, senza volerlo, e poi strappa allargandola in un varco che è più potente e pesante di qualsiasi valico. Perché lei non lo sa, ed è colpa mia. Ora so che vorrei fare un passo avanti, ancora, tirarla in piedi con la consapevolezza che se si sentirà crollare la terra sotto i piedi sarò fermo nel sorreggerla come metafora della nostra intera esistenza. E forse esserci per lei significa anche questo, significa guardarla negli occhi ed avere lo sguardo di chi, nel non aver mai voluto questo cazzo di ruolo, deve portare una notizia di quelle peggiori. Ma perché lui? Perché tra tutti i coglioni su questa terra, proprio lui? Cazzo me lo sono chiesto a ripetizione finché non ho capito che mi stava ossessionando perché lei deve avere il meglio di ogni cosa e non riesco a far sì che lo abbia, ed è il fottuto ennesimo fallimento che ricade sempre su di me. Nonostante tutto, però, resto fermo in una posa che esprime solo il mio fottuto diappunto verso quest'uomo di merda che si è scelta. E che no, non è colpa sua, lei no ha colpe che possano attribuirsi al suo voler vivere una cazzo di vita, quella che per quanto io le abbia promesso ancora non riesco a farle stringere tra le dita. Mi ricordo le parole di Chrys, l'idea di entrarle nella testa ed estirpare quel bastardo dalla radice, ma non lo farei mai, non con il rischio immenso di perderla per sempre. Rischio che nelle mia voce vibra ancora adesso, quando un'imprecazione non la tengo per me nello stridere dei denti tra cui la mastico. «Quel bastardo.. » E no, non me ne frega un cazzo se viene a dirmi che non vuole io parli di lui così, ho ragioni che lei non sa ma ora non ho motivo per non alzare lo sguardo e tenerlo saldo in lei come un qualcosa che non le consenta alcun appiglio se non il mio. Non mento, lo sa, al massimo ho omesso una serie infinita di cose, ma non ho mai mentito e non lo faccio nemmeno adesso quando il calcolo della vita di Crain ce l'ho in testa perché ho i miei sospetti. «Gli restano otto mesi. Giorno più, giorno meno.» Non c'è il sadico sorriso che si potrebbe figurare sul volto di Faust, non sono felice di quanto le sto dicendo e non sono felice di essere stato costretto a farlo in questo modo con lei in una condizione tra le più fragili. Aspetto, adesso, di vedere, di capire. Aspetto che la tempesta monti fino a scagliarsi su di me, cosa che in fondo spero perché non vorrei fosse la prima a prendersi l'ennesima colpa che non le appartiene. Libero le mani dalle tasche, perché.. beh non lo so il perché, per la prima fottuta volta in vita mia non ho idea di come potrebbe reagire Edie perché adesso tra noi c'è un'altra persona. Una di quelle che vorrei proprio cancellare dalla faccia della Terra e ringrazio che ci abbia già pensato da solo. Vorrei che lei capisse, non chiedo niente, non chiedo e non lo farei mai, che mettesse da parte la gravidanza per questa cosa, ma cazzo deve allontanarsi da lui, questo è poco ma sicuro, perché non è in buone mani, perché non c'è da fidarsi e, soprattutto, non potrà mai davvero essere un padre.
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    Edited by nocturnæ - 3/11/2020, 13:12
     
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    Non lo so cosa sto guardando in questo momento, probabilmente niente. Un punto imprecisato, che diventa sfocato mentre cerco di afferrare queste parole e quel senso enorme che hanno dentro, senza neanche iniziare neanche a pensare di legare fra di loro puntini per avere una linea che, all’improvviso, diventa il segmento di qualcosa. Otto mesi. Luglio. Mi metterei quasi a ridere, quel tipo di risata che è solo un rumore spezzato e che esce come un’esplosione, ma penso che in questo preciso momento, non avrei la capacità di emettere alcun suono. E non lo faccio infatti. Otto mesi. Lo shock finisce in fretta, e quello che inizia è una litania che sa di una negazione che non riesco a scrollarmi di dosso, quando la prima cosa che faccio è piegarmi in avanti per premere i gomiti sulle gambe, premendomi le mani contro le tempie per continuare a fissare un maledetto punto di niente, indistinto sul pavimento, perché in questo momento no, non ho la capacità di continuare a guardare mio fratello con questa espressione che non ho idea di come sia, ma che mi sento contorcersi come sento fare lo stesso al fiato, e a quel punto nello stomaco che inizia a pulsare, stringere un grumo che si alza, si muove, e pulsa in un modo che non può far altro che aumentare. Otto mesi. Luglio. E sì, ci sono poche spiegazioni in merito, e non è che abbia bisogno che ora mi spieghi che è per quello che è successo con me, quella stupida maledizione che ora sì, ora lo penso che andava lasciata esattamente dov’era e tanti saluti. È esattamente il tipo di cosa che no, non avrei mai voluto. Come non volevo che Josh vendesse la sua anima ad un Dio che ora lo bracca con la Corruzione, come non volevo proprio niente se non essere lasciata in pace a deperire nel mio destino senza procurare nessun danno. E invece. Invece. Otto mesi. Stringo gli occhi e cerco di avere un respiro che si regolarizzi, quando so che non è possibile, e posso sentire ogni fiato pungere nella sua risalita dai polmoni alla gola, infilarsi da qualche parto mentre penso solo, onestamente, che vorrei tanto che mi si aprisse la terra sotto i piedi e mi inghiottisse in un unico boccone, senza lasciare nessuna maledetta traccia di me da nessuna parte, men che meno nella mia testa. Tante di quelle cose hanno un senso del tutto diverso adesso, ma no, onestamente non voglio pensarci, e vorrei solo sfilarmi da me stessa e trovare uno spazio in cui non esista niente e nessuno, e restarci come ho sempre fatto per tutta la mia vita, quando arrivava davvero un momento che era un colpo di quelli ben assestati, che sbattendo sulla cassa toracica ti toglie il respiro per qualche minuto, lasciandoti a rantolare a terra senza neanche più sapere come si fa a sperare che sia l’ultimo. Non è mai l’ultimo, e non so neanche perché cazzo mi sono adagiata così tanto sugli allori, quando era tutto già in rovina ed io, ovviamente, troppo stupida e troppo ignorante su tutto per averne anche solo la più vaga intuizione. Complimenti a me, sono davvero brava a far buttare al cesso le vite alla gente e poi non fare assolutamente niente per nessuno. Mi alzo con uno scatto e muovo qualche passo, allontanandomi da lui per dargli le spalle e cercando uno spazio ora che sì, il fiato mi manca davvero, e lo sento gonfiarsi nel petto con lo strascico di un pianto che non ho intenzione di far scivolare via adesso, perché almeno questo, almeno questo posso evitare di buttarlo su di lui, su Morgan, su chiunque come faccio sempre. Scuoto la testa con gli occhi che, ancora, si chiudono, e penso che sotto tutto, sotto quell’ammasso che si sta già facendo insostenibile e le gambe me le fa tremare, sono incazzata. Incazzata perché è una di quelle cose che avrei dovuto sapere, e non per chi sa quale fottuto motivo. Morgan potrebbe morire anche domani, non è questo il punto, il punto è che è difficile non pensare che sia parte di quel prezzo che ha pagato per la maledizione, ed è difficile cercare di capire perché né lui, né Josh che aveva questa informazione, abbiano pensato che fosse un mio sacrosanto diritto saperlo. «Da quanto lo sai, Josh?» non ho più nessun tipo di morbidezza nella mia voce, e la sento spezzarsi in quel modo che preme, anche se io cerco di tenerla insieme e cerco di tenere insieme me, mentre mi giro per guardarlo con un’espressione che non so cosa abbia. Non so se sia più pendente verso un male che si sta irradiando e sì, lo so che continuerà a farlo, inutile girarci intorno, e che conosco da così tanto tempo quando le scadenze sembrano essere la nota ricorrente della mia esistenza, sempre ferme in un modo o nell’altro. Inspiro a fondo, lo faccio in un modo che mi fa male, ma lo ignoro, perché adesso ho bisogno di farmi spazio lì dove c’è sempre stato qualcosa che mi è rimasto alle spalle, ma che adesso posso guardare e sentirmi scavare la carne a fondo come una lama che non si ferma mai. «Da quanto cazzo lo sai?» muovo qualche passo e sento la voce graffiarmi la gola, mentre prendo grossi respiri dal naso e, Dio, vorrei solo distruggere tutto. E no, non voglio neanche accostarmi a pensare che Morgan ha otto mesi, e ironia della sorte, partorirò fra nove. Quello è un pensiero che preferisco affrontare dopo, da sola.
     
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    Ho perso il fiato nel momento in cui l'ho vista. Ho visto la sua reazione, la guardo anche adesso che si piega su stessa per raccogliere respiri che non esistono e sembra abbiano senso di esistere, ed allora, io solo allora abbasso il mio sguardo perché sono incapace di tenerlo su di lei. Non posso, io non posso vederla soffrire in questo modo, e cazzo era l'ultima cosa che doveva succedere in mia cazzo di presenza. E invece sono stato io che ho dovuto farle questo, ho dovuto dirlo a voce alta affinché il timer di Crain riempisse lo spazio tra noi ed in un colpo distruggesse tutto. Vorrei raccoglierli i frammenti di Edie che scivolano al suolo come niente e, Cristo, non so come si possa vivere guardandola così. Me lo chiedo con il cuore fermo, spezzato, distrutto nel capire quanto a fondo si è insinuato il veleno di Morgan, tanto a fondo che non è per lui una rabbia che le sento montare tra la paura e la tristezza, è per me. Le lascio tempo, modo e spazio per riprendersi da qualcosa che fa male anche a me, ma che mi tengo dentro, perché non è un mio diritto oggi mostrare questo, devo solo esserci se mai vorrà ancora averci a che fare con me dopo stasera. Dio, vorrei così tanto che capisse che sono con lei, che lo sto facendo per lei, per un diritto che in due le abbiamo tolto, ma io le sto dando di nuovo. Vorrei che mi chiedesse di accompagnarla, di restare al suo fianco come una statua d'odio puro, mentre dice addio allo stronzo che l'ha messa incinta. Utopia, Josh. Perché questo non è quello che accadrà anche se penso continuerò a sperarlo a fondo. La verità è che vorrei poter chiedere un perdono che non merito e non lo faccio perché la questione non è risolta e questo la fa crescere in me un'ansia che non controllo nel serrare di scatto la mandibola. «Edie...» ti prego, guardami.. lo sussurro per la merda che sono, con la paura che il suo voltarsi la veda andare via da qui per non tornare, e so che saprei seguirla se non perfino sbarrarle le uscite perché noi ce le diciamo tutte le cose, di solito... lo abbiamo fatto finché non è stato a me essere uno stronzo e non dirglielo. Non avrei proprio dovuto fidarmi di quella testa di cazzo, eppure gli ho dato il beneficio di un cazzo di dubbio e questo adesso è un chiaro errore che non commetterò mai più. Ho sempre saputo quando ero nei guai con lei, e mi vengono in mente parecchi momenti in cui il suo tono si è indurito contro di me, ed il mio contro di lei, quando tutto è sempre ruotato intorno al suo non accettare che avrei dato via ogni cosa pur di saperla al sicuro, non più un Maledictus che mi avrebbe lasciato solo con papà. Ora siamo adulti, ora gli errori sono più grandi, immensi e pesanti ed ora mi sento scuotere nella rigidità che non so impormi quando mi si avvicina. So che provo a sfiorarla, ma non arrivo alle sue spalle, perché sono un cazzo di codardo ed ho paura che si sposti. Non voglio mentire, l'ho detto, e non intendo farlo anche se aspetto che me lo chieda due volte prima di decidermi a dire la cosa che più pesante di tutte. «Sono andato da lui ad Agosto» le lascio fare il calcolo di tre mesi di silenzio. Tre mesi in cui avrei potuto riavvolgere il cazzo di tempo e dirglielo, e bloccare io sul nascere ogni caso, eppure qualcosa quella sera mi ha detto di andare in quella cazzo di chiesa abbandonata dagli Dei, per non arrivare a spingere ancora di più Edie verso Morgan. Voglio spiegarmi anche se mi manca il fiato, se sono così un fottuto vigliacco che lo sguardo non so tenerlo su di lei, che mi sforzo di non empatizzare al punto da prendermi un dolore che so già sarà anche mio perché per noi è sempre stato così. Stringo i denti, chiudo gli occhi, lascio andare in sospiro ed è di nuovo rabbia quella che monta in me. «Non avrei dovuto dirtelo io.» E cazzo non è la frase migliore di sempre ma adesso come adesso vorrei solo non.. beh non lo so che cazzo voglio, voglio che stia bene e non sta funzionando, non che immaginassi un salto di gioia. «Edie... lo so» è quasi una supplica quella che mi esce mentre azzardo stavolta con più coraggio a posarle una mano sulla spalla facendo un passo avanti. «Ti prego, ascoltami e dopo puoi odiarmi.»
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    Tre mesi e neanche una parola, un accenno, il più piccolo indizio. Tre mesi e neanche un sussurro e, Dio, vorrei proprio sapere che cazzo avevano in testa, tutti e due, a pensare di tenermi all’oscuro di questo minuscolo dettaglio. Tre mesi uno, non voglio neanche soffermarmi sul fatto che invece Morgan mi abbia mentito dritto in faccia quella mattina, dopo essersi presentato a casa mia in piena notte senza pensare che quando gli ho detto che volevo sapere come mi riferissi anche ad una cosa del genere. No, evidentemente hanno deciso che invece fosse cosa buona e giusta non dire una parola e poi cosa? Arrivare a Luglio e sorpresa? Cerco ancora i respiri e lo so, lo so che la rabbia è solo una reazione che nasce spontanea perché altrimenti, penso che sarei semplicemente crollata al suolo senza più trovare fiato fra le lacrime, e non è una cosa che ho mai più intenzione di fare, mai, perché se prima avevo anche solo un minimo dubbio, ormai è abbastanza chiaro che non mi merito niente neanche da me stessa. Lo guardo e penso che tutto quello che ho negli occhi sia questo miscuglio compresso di rabbia, dolore, e quella paura smunta che esiste sempre, e mi accompagna da quando solo bambina, ho capito che la mia vita non sarebbe mai stata come quella degli altri. La stessa vita per cui tutti, a quanto pare, hanno deciso di dare ogni cosa, e no, non meritavo neanche questo. Ma sì, il fatto che neanche Josh me lo abbia detto, è un po’ l’appiglio che egoisticamente scelgo adesso, perché onestamente non ho idea di come fare ad affrontare questa consapevolezza che ha troppi angoli acuminati, troppe punte pronte ad infilarsi in altrettanti punti che non so come cucirò dopo, che non so se saprò cucire mai. Tre mesi, e io lo so adesso, adesso, e probabilmente solo perché sono incinta, e non lo so, non so neanche quale sia stato il punto per dirmelo proprio ora. Non sto ragionando, me ne rendo conto, e so che non è colpa di Josh, ma questa è una cosa che avevo il diritto di sapere, sì anche a discapito delle idee che si fa Morgan nella sua testa, che sono davvero tante e complesse, ma al Diavolo. Al Diavolo tutto, non hanno semplicemente dimenticato di dirmi che si sono visti, cosa che a questo punto è un’altra ovvietà che fa sempre parte di tutta una storia di cui non so nulla, e non ho saputo nulla per tre mesi. «Agosto esce con una pesantezza tremula, senza essere davvero una domanda, ma più qualcosa di solido che sibila fra le labbra e si spinge con forza per uscire, quando probabilmente ho solo bisogno di buttare qualcosa fuori, farlo adesso, farlo dopo, farlo per non lo so quanto, finché non sarò del tutto scarica e allora potrò pensare solo a lenire i colpi che lasciano segni sul corpo. «Tre mesi che sai questa cosa e me la dici adesso mi scosto per il bisogno di muovermi, ancora, e farlo in un modo che non nasconde nervosismo, ma che non è uno sfuggire a lui o la sua presa, ma semplicemente il bisogno dio agire in quella scarica che preme il mio corpo in cerca di alleviare un dolore che no, non posso semplicemente stracciare via dai miei muscoli. Lo so, ma non so comunque fermarmi mentre cerco aria a grandi boccate. «Non me ne frega di chi avrebbe dovuto dirmelo o meno, lo capisci? Sei mio fratello e sai cosa dovevi fare appena saputa questa cosa? Venire a dirmelo immediatamente» lo sto di nuovo guardando nel muovere le braccia alzandole appena prima di farle ricadere lungo i fianchi con forza, scuotendo ancora la testa mentre cerco di mettere in ordine pensieri che no, non vogliono saperne di andare dritti, ma solo di avvolgersi uno sopra l’altro, accartocciandosi e diventando talmente grandi, da sembrare opprimere tutto il resto, e restare incastrati incapaci di scivolare davvero come dovrebbero. «E non ti odio, cazzo, sono solo molto, molto incazzata di venire a sapere una cosa del genere dopo tre mesi porcaputtana, Josh» lascio andare un respiro pesante e mi fermo per un secondo a guardarlo, e lo so che ho tutto che brucia, gli occhi come la gola, ma ancora lascio che ci sia solo aria a modulare tutto, a comprimerlo, perché no, non posso affrontare adesso quel cedere che non mi permetterebbe di far altro che cercare di stringermi in uno spazio tanto piccolo, da farmi collassare su me stessa. «Avevo il sacrosanto diritto di saperlo, e né te né lui avete fatto un cazzo per rispettare questa cosa. Nessuno dei due»
     
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    Tre mesi di silenzio, di conversazioni su cui ho sorvolato per evitare che entrare più a fondo mi portasse esattamente dove sono adesso. Tre mesi in cui ho provato a sperare che qualcuno avesse più palle di me per fare quello che avrei dovuto fare io. Tre mesi fa avrei dovuto rispondere che no, non mi andava bene che Edie non lo sapesse e che aveva pochi giorni per dirglielo prima che lo facessi io. Cazzo questo è quello che fa un fratello, uno che sa come esserlo. Io, invece, sono rimasto fermo nella certezza che avrei dato a Crain il modo di ferirla abbastanza da allontanarla da sé, e non è comunque servito ad un cazzo perché lui ha perfino meno palle di me per fare ciò che deve e me ne sbatto il cazzo che la ami o qualsiasi stronzata pensi di provare per lei, il suo è egoismo, il mio no. Punto. Inspiro ognuna delle giustificazioni che vorrei dare mentre so solo guardarla e chiedermi quanto sono un povero stronzo in questo momento, quanto sto spendendo nel rimanere in piedi a percorrere una via che è dissestata dalla nascita e quante possibilità ci sono che io finisca per trovarmici da solo, forse è questo il destino di cui Slater non mi ha ancora parlato, quello per cui non sono pronto. Però in questo momento può andare al Diavolo anche lui, con le sue lezione e la meditazione che non mi serve ad un cazzo ora che continuo a sentirmi morire ad ogni parola che mi arriva addosso. E sì, sì io posso reggere, questo glielo devo, ma reggere non significa che niente sappia ferirmi. E credo che la cosa peggiore sia che so che Edie ha ragione e che laddove lei punta solo uno spillo, io premo sull'elsa di una lama che mi lacera senza scampo. Perché me lo merito, e lei merita che io riesca a guardarla anche quando è solo mortificazione quella che ho in corpo. Mortificazione e rabbia che si mescolano perché non intendo essere accomunato a Crain mai all'interno della mia fottuta esistenza. Un altro grande problema, è che se mi leggesse attraverso vedrebbe bene che gliel'ho detto adesso solo perché mi ha detto che è incinta, altrimenti avrei prima fatto un secondo giro dal suo ragazzo e gli avrei dato un ultimatum che evidentemente non era stato abbastanza chiaro prima. Ma cosa cazzo sono diventato? Sono abbastanza adulto da non andare a sottolineare che anche se avrei dovuto dirglielo io, mi sono fidato di quel cazzone del suo ragazzo, non gioverebbe alla mia posizione e solo pensarla così analiticamente mi ammazza. Mi ammazza perché il cuore è diventato un frammento così piccolo che stringerlo tra le dita fino a ridurlo in polvere è un passo breve, uno che non le farò una colpa se compirà esattamente adesso. Ed un po' lo fa nel mancare alla mia presa, e costringermi ad un passo indietro che faccio senza neppure accorgermene. "Sei mio fratello". non penso basti niente altro a farmi crollare così, come una statua che va in mille pezzi, perché sono suo fratello e l'unica cazzo di cosa che voglio fare è sempre l'unica che non mi riesce. Stringo i pugni, fermo il respiro ma il battito è impossibile da controllare, muove il sangue corrotto ovunque nel mio corpo e quello che so fare è solo guardarla agitarsi davanti a me e pensare che questo, io, l'anno scorso non lo avrei mai fatto, non le avrei mai tenuto nascosta una cosa adel genere. «Mi dispiace...» di averti deluso di nuovo. Non so neppure con che voce sappia uscirmi dalla labbra quando non sento di averne alcuna forza. Sì Edie aveva il diritto di sapere, ma cazzo non sono stato io a spezzare la maledizione senza degnarla di una fottuta spiegazione totale, senza chiedere, capire. Ma c'è di più, ed il motivo per cui mi esce adesso, non lo conosco con precisione, so che ho un tono così basso che non supera il suo nell'incazzarsi con tutta la ragione dalla sua parte. Perché andiamo, lo so che ha ragione tanto quanto so che se le spiegassi quello che ci siamo detti, non lo capirebbe e che adesso anche io ne capisco poco senza le informazioni che devo avere. Ma qualcosa devo dire perché non riesco a vederla così. «Sapevo dell'esistenza di questo tipo di accordi, con esseri superiori, e sapevo che avevano tutti una richiesta in anni di vita da soddisfare. Lo sapevo, ed ho scelto di non farlo quando ne ho avuto occasione, perché non credo ti sarebbe piaciuto sapere che sarei morto in uno o due anni ma tu saresti stata libera.» E vado avanti, anche se questo non potrà lenire proprio un cazzo di niente. «E quindi immaginavo che con Crain le cose non dovevano essere andate tanto diversamente» Ora però sono un coglione, perché non so come andare avanti, e perché la mia posizione non si alimenta nel sollievo del fatto che non mi odi, credo che per questo avrà ancora tempo. «Ho dovuto chiederglielo e sì, Edie, non te l'ho detto e sì forse ho sperato lo facesse lui, che finisse quello che ha iniziato. E cazzo Edie, io non-.. » volevo ferirti così.
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    No, non mi sarebbe piaciuto, così come non mi piace adesso per il semplice fatto che la mia vita non vale quella di Josh, di Morgan, o di chiunque altro per quel che conta. Se lo avesse fatto Josh, non glielo avrei perdonato mai, e di questo sono sicura, come sono sicura che non sarei riuscita ad accettare di andare avanti e sì, avrei buttato al cesso la mia vita, e con quella quella di Josh, ma del resto, non faccio che ripetere che io non merito per niente sacrifici del genere. Ci sono sicuramente persone che magari, al contrario, lo meritano, io non ero fra queste, e non lo sarò mai. Come so anche che mi pentirò di questo comportamento appena non avrò più neanche la speranza di una rabbia che, lo so, è una salvezza solo momentanea, ma si smonterà e dovrò semplicemente affrontare il grande elefante nella stanza, e il fatto che sono riuscita a rovinare l’esistenza prima a Josh, e poi a Morgan. Piuttosto letteralmente, e non. so quante persone al mondo possono dire lo stesso. Per non parlare di tutta l’altra fetta di persone che non sono io, e che non sarà contenta della dipartita di Morgan. Non voglio pensare neanche a questo, non adesso, e in realtà vorrei non pensare a niente e basta, ma non mi sembra così fattibile come spererei. Sì, mi sentirò in colpa per ogni cosa che ho detto e ho fatto, ma io non sono capace di prendere questa cosa senza farmi male, e non sono mai stata capace di reagire al dolore. Mai. Neanche una volta, e questo è tutto quello che sono capace di fare. Urlare, sbraitare, incazzarmi, e premermi in un diritto che mi è stato negato, anche se so che non sarebbe cambiato niente. Io non so aiutarle le persone, e ora è anche così logico il perché quella volta Morgan mi abbia dato ragione in merito. Non sono come Josh, né come Morgan, e non saprei neanche dove mettere le mani per provare anche solo a risolvere una cosa che se ne sta lì, ferma, e vorrei solo non stare a guardarla ancora ed ancora. Io sono quella che non capisce mai niente, e che ora si trova spiattellato in faccia anche quanto. Sono quella che anche adesso, non sa far altro che questo, la stupida stronza, perché l’unica cosa che odio e con cui vorrei prendermela è la vita, e non è esattamente il tipo di cosa contro cui posso inveire. Quindi tocca a Josh, adesso, quando so che dopo, o domani, andrò anche da Morgan, perché sono incazzata in quel modo che no, ancora una volta non è rabbia, sono solo triste. E con un senso di colpa che era già enorme per tutto quello che ho fatto a Josh, per tutto quello che ha dato via per me, e che adesso non può far altro che farsi più grande e divorarmi pezzo per pezzo. Sì, è questa fottuta vita che odio, e odio me per non essere stata capace di fare in modo che nessuno pensasse che era una buona idea mandare tutto al Diavolo per me. Sopratutto me, sì. Perché possiamo girarci intorno quanto vogliamo, ma era la mia fottuta maledizione, e avrebbe dovuto essere una mia fottuta responsabilità, non loro. «Beh non lo ha fatto» lo dico con la voce secca, anche se la sento già abbassarsi ed andare in quel verso che si fa più spento, perché alla fine, quello che resta è solo che qualcuno ha pensato che fosse una buona idea morire per togliermi una maledizione di dosso, quando a me non sembra affatto così. Lascio andare un respiro e ora lo sento tremare ancora di più, e vorrei davvero solo sapere come si fa a togliersi una cosa del genere dal petto, ma onestamente non ci provo neanche a sperare che davvero ci sia un modo per farlo. «Come non mi ha detto che vi siete incontrati, altra cosa che a quanto pare vi è sembrato giusto tenervi per voi» sì sono cattiva, me ne rendo conto, e forse se non fossi fatta così male, così incapace di fare un passo indietro perché mi sento di scivolare lungo una discesa troppo ripida e posso solo andare avanti, gli direi che non sono davvero arrabbiata con lui, né con Morgan, è che è solo uno di quei modi del cazzo che uso perché non sono capace, io, di guardare dritto in faccia questa cosa e non morire. «Mi sembra giusto così, del resto a cosa serve che lo sappia io quando potete parlarne comodamente tu e lui» già me ne sto pentendo, ma non mi fermo, perché sono ancora su quella discesa ripida, e se provassi ad oppormi a quella gravità, finirei solo per ruzzolare giù facendomi ancora più male. «Non è mica come se la mia vita si basi sulla morte di qualcuno, no» mi premo una mano sulla faccia perché lo so che adesso è quel momento in cui non importa cos’è che dico o faccio, eccola che arriva in pieno la botta, e non posso davvero fermarla. Me la sento esplodere in gola, bruciare sopra il bruciore della voce che si è alzata graffiandola, e premere con forza spezzandomi un suono fra le labbra. Che stronzo. Che stronza a pensare che stronzo. «Stupida io, no? Sempre stupida io che ci ho pure creduto a tutta questa cazzata» alzo la testa fissando il soffitto in un gesto che non serve ad altro che ricacciare indietro le lacrime, inspirando con forza dal naso e lasciando andare l’aria dalle labbra con forza, come se potesse servire a cacciare tutto fuori. Non serve, è ovvio, non serve niente a niente. «La prossima volta non sperare, dimmelo» torno a guardarlo annuendo appena, anche se non so a chi, o perché.
     
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    Cazzo. Cazzo cazzo cazzo. Sta crollando, ed io mi chiedo cazzo sia riuscito a pensare che non sarebbe accaduto e che nel farlo non ci saremmo trascinati a vicenda in una spirale distruttiva. E mi viene solo da pensare che la colpa non sia del tutto mia, ma di qualcuno che sulla nostra strada non avrebbe dovuto trovarsi mai. La guardo ed è un dolore che sale dall'anima e me la strappa anche se l'ho venduta a quello che mi è davvero sembrato il miglior offerente e adesso vorrei solo che non ci fosse un abisso a dividerci, vorrei che non fossero così umidi i suoi occhi, tanto da rispecchiare in parte anche i miei. Non ci riesco a rimanere impassibile come so farebbe Slater, perché non sono lui ed Edie è sempre stata tutto quello per cui mi è importato vivere. E lo so, so che se anche adesso mi venisse chiesto di scegliere, non avrei dubbi, vincerebbe su ogni sacrosanta cosa della mia esistenza. «Rallenta Edie.» lo dico che non serve ad un cazzo ovviamente perché adesso vedo solo il mondo che le crolla addosso e vorrei poter essere un fottuto supereroe come immaginavo da bambino, e scattare in avanti abbastanza velocemente da fermare il palazzo prima che la investa, ed invece sono il minatore che l'ha spinto a cadere. So anche che forse è meglio che questo sia uscito adesso e non fra sette mesi e tre settimane, quando forse Morgan si sarebbe degnato di aprire bocca. Solo che saperlo non mi aiuta, non mi serve quando vorrei che Edie frenasse le parole che rivolge adesso a se stessa e che non condivido in ogni parte. No, no... ehi non lo dire nemmeno!. Dovrei sconvolgermi per la velocità con cui si lancia contro una serie di aghi che le perforano il cuore così, davanti a me, ed io adesso non ce la faccio a vederla così e non fare un cazzo di niente. Come non meritava il mio silenzio prima, non merita la mia immobilità adesso. Che Crain non abbia fatto quello che doveva, è lampante, ma che lei si prenda la colpa per non averlo capito no. E ancora di più mi spacca il cuore sapere che ha ragione, che mi sono incazzato tanto per come non le era stata data la possibilità di scegliere, e sono stato il primo a non dargliela a mia volta. E fa male anche quando non ho il diritto di soffrire, lo fa in un colpo che mi prende il cuore in una morsa e lo trascina via in una scia di sangue che si allunga fino al suo, quello che lascia in piccole gocce lungo casa mia nel suo navigarla con un dolore che non deve nemmeno descrivermi, è palese. Respiro piano, con la convinzione che tra poco non saprò fare più nemmeno questo, e lo so come posso guardarla adesso mentre la vedo scendere in picchiata e di me non mi frega un cazzo quando lei trae conclusioni sbagliate e non posso permetterlo. "Non è mica come se la mia vita si basi sulla morte di qualcuno, no" Vorrei dire che il mio sguardo si vela per tante ragioni, ma la verità è che questa rimbomba nella mia testa più di tutto il resto. Perché sì, non credo sarebbe mai esistito un modo che avrebbe visto possibile per lei vivere anche insieme a chi le avrebbe poi salvato la vita. E no, non è mai stato giusto per lei, per me e per noi. Nostra madre non ha pensato a niente quando ha deciso di sperare in modo insensato che la maledizione non facesse quello per cui era stata creata, e adesso non me ne frega più un cazzo se si sottrarrà a me, perché ho tutta l'intenzione di avvicinarmi anche se non vuole. Tra le cose più dure di questo cazzo di momento, c'è che non ho fiato per dirle che non sarebbe stato così, che avrei trovato un modo diverso se ne avessi avuto il tempo, quando sappiamo che non è vero, stavo finendo le speranze anche io e questo mi ha portato al margine di un burrone in cui poi mi sono lanciato. Scuoto il capo con insistenza mentre ogni fottuta parola si incastra in gola e si scontra con l'impossibilità di fare qualunque cosa e dire qualunque cosa che possa sollevarle il peso dal petto. E lo so, so che tornando indietro rifarei le stesse identiche cose, perché ho voluto fidarmi di un bastardo. Uno che non rimarrà impunito per questo, ma non riesco più a pensarci quando vorrei solo trovare un cazzo di modo per dirle che non piò anche in questo caso pensare di darsi la colpa. «Edie... no..» che cazzo di voce mi ritrovo non la so nemmeno io, so che è spezzata, come lo sono io nel mio lento avvicinarmi, un po' come facevo quando tornava dal mondo animale e dovevo farla riprendere il contatto con l'umanità. L'ho fatto così tante volte che non ho smesso di contarle, ma tutte non sono servite ad un cazzo se ora lei la pensa ancora così. Mi avvicino, lo faccio perché ho bisogno che sappia che non accadrà di nuovo, e che ha ragione, nel non sapere evidentemente quanto impossibile sia per me stare senza di lei per davvero. So che respiro ancora a fatica ma faccio anche il passo che manca e stavolta se vorrà dimenarsi tra le mie braccia io non mollerò la presa, e se mi chiederà di lasciarla andare non lo farò e se dovremo scivolare al suolo allora lo faremo, assieme. «Tu non le devi dire queste cose, Edie cazzo la tua vita vale il mondo e se tu non ci credi lascia almeno che ci creda io.» E ci provo anche a continuare quando il nodo in gola opprime tutto, pensieri e perfino azioni che si placano in un abbraccio che non stringo mai fino a farle male, ma a cui la obbligo perché ne abbiamo bisogno e basta. Non posso lasciarla andare alla deriva in questo modo, non per colpa mia. «Non ci sarà nessuna prossima volta.» lo giuro.
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    No, non ci credo, e penso che nessuno ci saprebbe credere, sopratutto non una persona come me che, diciamocelo, per quasi ventott’anni mi sono concentrata a non averla una vita, quindi non capisco perché la mia dovrebbe essere talmente importante, da richiedere che Josh si rovini la sua, e che Morgan la perda del tutto. Sinceramente no, e potrebbero ripetermelo tutti da ora fino al giorno della mia morte, continuerò a non crederci, e a non capirlo. Ecco perché era importante tenermi lontano da tutto e tutti, anche se questo è decisamente peggio di fare la fine che avrei fatto, facendo sentire a qualcuno, oltre che la mia famiglia, la mia mancanza. Dovevo essere invisibile, inconsistente, e mi sembra quasi come se la vecchia Edie, ora, mi stesse dicendo un te lo avevo detto molto grande. La mia vita non vale il mondo, non vale proprio niente di tutto questo, niente di tutto quello che è stato dato per salvarla, niente di ciò che è andato letteralmente sprecato. So anche che questo è solo l’inizio di una serie di pensieri che non potranno fare a meno di premersi nella mia testa, ripetendosi ancora e ancora fino alla nausea, fino a diventare solo una sensazione perenne infilata sotto a tutto, senza che possa davvero farci niente. Non mi scosto questa volta, e non so se è perché so che tanto non ne avrei la forza, quanto tutta quella che ho, in questo momento, la sto usando per non pensare che fanculo tutto, davvero tutto, posso anche tornarmene nel mio angolo, e alla mia vodka. Fanculo anche il bambino. Fanculo io, sopratutto. Quindi no, non mi scosto, e so soltanto quanto sto lottando per tenermi gli occhi asciutti e cercare, non lo so. Qualcosa che possa sembrare una corda, anche se lo so che sono sul fondo di un buco e non c’è nulla che mi possa aiutare a risalire, che dovrò farlo a mani nude, su sporgenze che mi consumeranno la pelle, la carne, mi distruggeranno le unghie e le dita fino a farle sanguinare nello sforzo di trascinare un peso immane che, adesso, grava solo in parte sulle mie spalle. Io non so perché qualcuno abbia deciso che fosse giusto farmi vivere una vita così, farmi vivere e basta, quando ormai so solo vedere quanto davvero abbia saputo solo fare del male a chiunque mi si sia avvicinato. Che sì, sono poche persone, per fortuna, e questo conferma di nuovo solo quanto sì, cazzo, facevo davvero bene ad avere quell’atteggiamento ridicolo e a non volere niente, e sopratutto, a essere qualcosa che nessuno avrebbe voluto mai. E mi detesto anche per questi pensieri di compianto verso me stessa, quando no, non dovrei essere proprio io il centro di questa cosa. Ma proprio loro due, per cui ancora so sentire quel moto di rabbia nell’avermi tenuto nascosta una cosa così. Avrei dovuto saperlo, è l’unica cosa che so ripetermi, come un capriccio, un tentativo di tenere ancora qualcosa di solido e logico nella mia testa, per evitare che sprofondi. Dovrei proprio smetterla di piangermi addosso. Lascio le braccia inerti lungo i fianchi e gli occhi li stringo, cercando di far uscire i respiri piano, per non dare carbone a nessun fuoco, nessun incendio, ma lasciarmi senza combustibile. Magari funziona, non lo so. Non so proprio più niente ora come ora, e penso solo, ancora ed incessantemente, otto mesi. Ora sì, ci penso, che qualunque cosa nascerà dal mio grembo, Morgan non la vedrà mai comunque. E penso a tutto quello che gli ho detto ieri, e mi sento anche una stupida per averlo fatto. Adesso penso che sarebbe stato meglio non dire niente, e lo so che se avessi saputo prima di questa scadenza, probabilmente non avrei detto niente sul serio, e avrei pensato solo che no, non avrei fatto in modo di mettergli fra le cose una cosa così, a metà, senza che potesse davvero vederla prima della fine. Sì, non sono capace di sperare, l’ho detto, e quindi neanche capace di pensare che in qualche modo, ci sarà una soluzione. Del resto sono la stessa che appena ha mostrato di aver ereditato quella Maledizione che si è portata via mia madre, si è subito rassegnata al suo destino. Senza battere ciglio. «No, Josh, basta con questa cazzata di me e della mia vita che vale così tanto» lo pigolo quando ormai non sono più capace di tenere la voce insieme, e cerco solo uno spazio per nascondere il volto, come se così potessi dirmi che no, non sto crollando davvero. «Non l’ho mai chiesto, non l’ho mai voluto» solo Dio lo sa quanto, tutto quello che volevo, era sapere solo che Josh sarebbe andato avanti e sarebbe stato felice, e che nessuno mai sentisse la mia mancanza quando sarebbe toccato anche a me fare quella fine che era stata scelta per noi da generazioni. Una vita non può valerne un’altra, e non può valerne addirittura due. «E non è vero, e non è neanche giusto. E non m’importa cosa pensi, è così e basta. Ho rovinato la tua vita, e adesso so di aver rovinato anche la sua»
     
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