There must be something in the water

Josh/Edie | 4 Luglio

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    Non lo so se alla fine ci ho sperato davvero, o se è stata solo la pregnanza di un pensiero fisso che comunque, si è abbattuto in ogni angolo per finire semplicemente a terra, in mille pezzi. Non mi interessa neanche saperlo, non quando nel sentire solo il peso del silenzio tutto intorno, riesco a stento a contare i miei respiri. Mi dico che dovrei esserci abituata, come me lo sono detta anche quando è stato papà a scivolare oltre ed andare in uno di quei punti che per quanto mi possa sforzare, restano irraggiungibili. Eppure, so anche che sono tutte soltanto cazzate. Che queste no, non sono cose per cui viene concessa abitudine alcuna, e che ogni volta invece lo trovano un modo di scavare e stringere interiora sempre di più, in quel moto che ti fa arrancare e muovere, fa graffiare pareti invisibili in cerca di un conforto, di qualcosa che strappi via quella sensazione, anche se non esiste. È un mugugnare di ti prego che non vanno da nessuna parte, e sono fatti solo per infrangersi fra le labbra e spezzarsi lì, come punti irritrovabili di un pensiero rinsecchito. Ma non c’è nessuno da pregare, e questo lo so. Davvero. Lo so benissimo. E neanche fermarsi così ha senso, quando so che non è qualcosa che posso davvero permettermi. Non quando sento che se lo facessi anche per un solo secondo, finirei a farlo per un tempo troppo lungo, e in un modo di quelli che chiedono troppi sforzi impossibili per essere cancellati dai respiri. Lo so cos’è che mi ha chiesto Caiden, e anche se non so il perché, posso trovare lo spazio per infilarlo fra molte di quelle cose che sono state segreti per tutto questo tempo, e sono le stesse che, in fondo, hanno portato Morgan lì, in quel buco dove si trova adesso. Lo so che dovrei davvero rendere quel nessuno una totalità senza eccezioni, ma non sono davvero capace di farlo. Per quanto abbia continuato a dire, ancora ed ancora, che voglio essere capace di tenermi sulle mie sole gambe, alla fine so che non ne sono mai del tutto capace, e che adesso ho bisogno invece di quel qualcosa che da sempre, e per sempre, è stato quel costruirsi di uno spazio in cui scivolare e sentire solo l’esistenza di una presenza che è rimasta al mio fianco in tutti questi anni. Non so neanche davvero cosa gli ho detto per telefono, fra mormorii interrotti da un fiato troppo pesante o l’altro, fino ad arrivare al concetto più semplice e scontato di tutti, ma anche talmente solido da essere granitico contro tutto il resto: ho bisogno di te. Anche quando non vorrei, e vorrei essere capace di essere io a stringere le braccia intorno a lui e proteggerlo da tutto, ma adesso le sento così pesanti, come tutto, da non esserne capace. Mi sono seduta sul portico proprio di fronte casa, ad aspettarlo nel guardare la strada con occhi svuotati che non si sono fermati su niente, nessun dettaglio, nessun suono, nulla che non fosse quella pressione che sale e scende, e ogni tanto si fa così potente da farmi soffocare un singhiozzo fra le dita, contro una sigaretta che anche se non dovrei fumare, ho raccolto con necessità da un pacchetto che resiste da mesi. Penso al fatto che fra solo un mese, uno e basta, ci saranno dei bambini che non lo conosceranno mai, anche se no, non vorrei pensarci. Non vorrei, come vorrei non pensare a quell’ultima volta che ci siamo visti, o tutte le altre, e sentire solo la presenza fantasma di una presenza che si è dissolta, e che so non potrò ritrovare più da nessuna parte. Non importa quanto possa spostarmi nel mondo per cercare le sue tracce e seguirle fino a ritrovarlo, non è più da nessuna parte. Nessuna. Eppure so anche che per qualche strano, folle motivo, quasi mi aspetto di vedere quella macchina ripercorrere la strada, anticiparsi con un rombo che conosco, e ridarmi tutto quello che ho perso. Ma non succederà, e prendo un altro tiro di sigaretta. Semplicemente, senza lasciar andare più neanche un suono.
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    Il telefono squilla, ce l'ho in mano da ore. E' il quattro luglio e c'è solo una cosa che aspetto oggi, e no, non con la trepidante attesa che avevo prima; quella che mi sussurrava che volevo si togliesse dal cazzo. Oggi è il mio "te l'avevo detto" più grande, quello che mai le lascerei scorrere addosso, e che non posso riversare su di lui perché è morto. Morgan fottutissimo Crain è morto e lo so da prima di vedere il volto di mia sorella lampeggiare sullo schermo. So che qualunque cosa abbia provato suo fratello non ha funzionato e, beh, benvenuto nel club, Caiden. Quindi sì, scendo in macchina che ancora le sto rispondendo, che perfino sentirla nei pensieri sconnessi non fa altro che alimentare la fretta che ho di raggiungerla. Non è distante, ma sembra anche troppo lontana. Mai abbastanza vicina perché io possa fare qualcosa per lei, cazzo qualunque fottuta cosa sarebbe stata meglio di quello che vedrò. Il suo tono, la voce spezzata, posso quasi sapere che respira male, che forse mi ha chiamato in ultima perché prima ha dovuto pensarci da sola. E stringo i denti, che non va bene così, non va bene che si ostini ad essere forte quando ha me, adesso, per questo. Poi lo so che ha la forza di tutto, perfino più di quanto ne abbia mai avuta io e, che, a parti invertite lei mi avrebbe salvato. Ma oggi, cazzo, oggi doveva chiamarmi prima.
    La verità è che la mia è apprensione viscerale, che scava solchi da quando respiriamo, da quando ho imparato a riconoscerle metà della mia esistenza, e che se potessi gliela regalerei tutta, se non sapessi che non può perdere anche me. Sembra uno scherzo del cazzo se penso che abbiamo perso mio padre, e poi Lilian e poi Morgan in meno di due fottuti mesi di merda. Io non rido.
    E me ne sbatto un po' il cazzo anche dei limiti di velocità, non ce ne sono che tengano adesso quando un "arrivo" è stata la sola cosa che ho potuto dire, tutto il resto mi avrebbe solo fatto perdere tempo. Non voglio pensare a me, ai miei cazzo di casini, a come tutto stia lentamente crollando e minando quella fottuta bolla in ci siamo costretti a vivere quando il mondo va così di merda che non può chiederci anche di affrontarlo. E' la corruzione, però, quella che ribolle quando stringo i denti e scalo le marce fino a frenare nel suo vialetto. Mi sono detto preparato a questo, da quel dannato Agosto, da quando era chiaro che Morgan non era abbastanza forte da lasciarla in pace prima che si innamorasse di lui. E lui ha dovuto metterla incinta e lasciarla sola (anche se no, cazzo, non è sola) a crescere una progenie identica a lui. E' sempre un cazzo di incubo, anche se qualcosa in quel bar mi ha fatto smettere di credere di volerlo morto ed iniziare a pensare che lo volevo vivo. Per lei, sempre e solo per lei. Io non posso vederla così.
    Edie. Ho aspettato questo giorno seduto sul mio fottuto divano, per darle così tutto quello che aveva bisogno: tempo con Morgan. Che alla fine quello che ci manca è sempre il tempo. Siamo nati che ce l'avevamo stretto in gola e, lo so già, adesso che ne abbiamo troppo quasi non sappiamo che farcene. Lo so che non mi piacerà quello che vedrò, così come so che le sarebbe bastato chiamarmi in capo al mondo ed avrei mollato tutto per questo, per noi.
    Mi manca il fiato solo a guardarla, e lo faccio in questa radiografia che mi porta velocemente a salire i gradini del portico, senza perderla di vista un solo secondo. Mi dispiace, Edie, non so fare altro. Non riesco a non stringere le nocche fino a farle sbiancare, a non sentire il nodo crescermi in gola e chiedere come cazzo si faccia a prendermi addosso almeno metà del suo dolore. Non è possibile e se può, questo, sa farmi sentire ancora più inutile. Però ci sono, Cristo, ci sarò sempre; è una promessa che mancherò solo quando il cuore smetterà di battere. Così mi faccio avanti, mi siedo di fianco a lei e niente. Niente perché mi ricordo quando mamma è scomparsa, quando niente poteva dirmi che andava tutto bene se non Edie, ed io cazzo non voglio altro che riuscire in questo, almeno oggi e tutte le volte in cui lui le mancherà al punto da piegarla contro ogni forza. Allungo una mano, perché si intrecci a quella che non sta usando per fumare, e gliela lascio lì, che la tenga con sé come tutto quello che posso dare. L'anima, darei anche quella.
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    Lo so che c’è qualcosa che nel semplice vederlo, mi fa quasi spingere in avanti, come se dovessi raggiungerlo, come se adesso, avessi davvero solo bisogno di questo. Di tenerlo così vicino, da sapere con una certezza che adesso si fa tremante, che è qui, e non è scomparso da qualche parte che anche quella, è semplicemente oltre la mia portata. Lascio andare uno sbuffo di fumo che ha con sé un respiro che si trascina con forza dai polmoni, che da qualche parte si spezza, ma che anche a frammenti arriva fuori e me lo fa seguire con gli occhi, nel sentire il volto corrugarsi appena in un modo che resta per un secondo. Come una fitta che si fa appena più intensa, e poi scivola via, ma non del tutto. Aspetta di tornare, fra un secondo e l’altro, con l’imprimersi della realtà che si fa duro contro la pelle, e mi lascia solo a guardare quanti spazi vuoti ci sono adesso lì dove prima c’era qualcuno. Vorrei dire che sono quel tipo di troppo, che mi lascia spazio ad una resa che invece è lontana, e mi porta solo a fermarmi per un secondo, qualche istante in cui lasciar tutto scivolare a fondo, prima di muovermi di nuovo e ancora, come ho sempre fatto. Sento le dita stringersi contro le sue con forse troppa forza, con quel pensiero irreale che se solo mi ci aggrappo, può davvero trascinarmi via. Da tutto, qualsiasi cosa che è successa, e anche tutto quello che ancora deve succedere si ferma di fronte ai miei occhi, prima che io lo scacci via perché adesso no, adesso non ci riesco a pensare così in là, e vedere solo un’assenza che si sparpaglia ovunque, e resta ferma dall’altro mio fianco, quello che non è stretto adesso contro Josh, a cui non posso far altro che appoggiarmi nel premere la testa di lato, abbastanza da lasciare che la tempia gli si fermi sulla spalla. Avrei voluto cose così diverse, per me, per lui, per chiunque. Per Morgan. Per tutti e basta, diverse in un modo che anche deve far male, non lo faccia così tanto, in questi modi che sanno essere solo definitivi, e non lasciano spazio a niente. Ma lo so che non ha senso sperare, e in fondo è esattamente quello che mi sono sempre ripetuta, ancora ed ancora, quando ogni volta che l’ho fatto, è solo tutto esploso ancora una volta. Mi concentro su mio fratello, stringendo appena gli occhi e lasciando la sigaretta fra le dita, a farsi fumare dall’aria, mentre provo a concentrarmi sul fatto che lui è qui. Che nella casa di fianco, c’è Daniel. Che questa non è la fine, e che se anche lo fosse, posso solo rifiutarla e andare avanti, e superare tutto senza mai farlo. Penso ancora tutto quello che pensavo l’ultima volta che l’ho visto, appena due giorni fa. Solo due, ma già mi sembrano passati secoli. Riapro piano gli occhi, lo faccio fissandoli in avanti prima di annuire appena, farlo al nulla contro la spalla di Josh, prima di rimettere la testa dritta per girarmi a guardarlo e farlo per qualche istante, come se stessi cercando, non lo so. Qualcosa, qualsiasi cosa, un punto fermo che resti così, e non scivoli via sotto i piedi, lasciandomi solo con fumo fra le mani. «Penso che avrò bisogno di davvero <i>molto gelato questa volta» lo so che è una cosa stupida, ma non so come altro fare. Davvero, non lo so e basta. Non so come fare niente, quando a stento riesco a mandare due respiri di fila dentro e fuori dai polmoni. Un sorriso provo ad abbozzarlo, ma so anche quanto mi esce male, e riesce ad essere appena un tremito negli angoli delle labbra prima di cercare fiato da premere dentro le narici, cercando di tenere quel grumo in gola sempre più a fondo, e non lasciarlo uscire in un modo che non finirebbe più. Non penso che sarò davvero capace di scherzare, non ancora. Non sul serio, o in quel modo che anche nel non esserlo, almeno ne è capace. «Io non so come fare, Josh» quasi mi scappa fra le labbra, prima di stringerle in un moto che è solo quel sentirsi accartocciare sempre di più, alzando appena le spalle senza nessun motivo. «Staremo bene, io e te, vero?» lo so che questa, è più una preghiera che altro. Una richiesta che faccio a lui, e a tutto quello che esiste. Di scavarlo uno spazio in cui poter esistere, senza avere ancora tutto che crolla da un lato e dall’altro, e non smette mai. Ho solo bisogno di sentirlo, anche se fosse una bugia, un’illusione in cui scivolare per un po’, o per tutta la vita, aspettando sempre che sbuchi qualcosa ancora dal prossimo angolo buio. Ma ho bisogno di sentirlo, e di sentirlo premersi contro tutto, come si premono un po’ di più le mie dita fra le sue.
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    Noi non stiamo mai bene. Non esiste in nessun cazzo di angolo di questa vita la possibilità che stiamo bene. Non può sentircisi lei che è passata dall'accettazione di ansarsene e lasciare in vita quel che sarebbe rimasto di me, a stringere la mia mano per non pensare costantemente che Morgan non tornerà. E non posso esserlo io anche solo per il fatto che vederla così demolisce ogni cosa. E sono fottutamente incazzato. Ho il sangue che ribolle nelle vene e la pressione atroce nel dirmi che avrei dovuto fare di più. Io non ho fatto abbastanza per evitare che soffrisse; quello che leggo nei suoi occhi è colpa mia. Non avuto neanche il cazzo di coraggio di combattere per la sua felicità, da cui in fondo sa derivare la mia. Avrei dovuto fare di più, me lo dico quando tiro un mezzo sorriso che - insomma - sappiamo non ha niente di sereno dentro. Quello che ingoio è un fottuto rospo che mi arrossa le palpebre e no, non è certo per quello stronzo di Morgan, lui certo non mancherà a me. Ma per Edie, sempre per Edie. Che nemmeno in questo sono stato bravo, nel proteggerla da lui. Dal mondo in cui indiscriminatamente le è entrato nel cuore e ci ha impedito di andare avanti. «Lo so» che lei non sa cosa fare, e so che mi esce con il tono che conosce, quello che le impedisce di sentirsi in colpa anche per questo. Cazzo. Posso sentire quanto male fa perché provo tutto solo tenendola con me, quando è miglia e miglia altrove. Probabilmente è lì che si chiede se scostare la tenda del Calvario per tenere gli occhi fissi su Morgan e capire che gli sta succedendo, perché non c'è neanche quella stupida stronzata del dirsi che "è in posto migliore". Probabilmente è nel peggiore inferno che io conosca. Sospiro, lentamente, quasi servisse a riempirmi i polmoni.
    «Qualunque cosa sia, non la farai da sola ok? Tu non sei sola Edie... voi non lo siete.» E vorrei che sapesse crederci, che si impegnasse abbastanza a capire che quello che sento è che non mi importa se non staremo sempre bene, staremo comunque sempre qui. Insieme. Anche se è solo colpa mia, avrei dovuto far sparire quello stronzo prima che le desse una ragione per vivere ed una altrettanto forte per morire. Che lo so come si sente, Edie non ha mai voluto nessun sacrificio che la vedesse vincitrice di una vita che non ha mai ritenuto meritevole. Ho fallito anche nel farle credere che valesse abbastanza da prendersi il buono di questo cazzo di mondo. Non sa mai vivere per se stessa. Viveva per me, nell'illusione di preparare me ad un addio. Viveva per quello che Morgan le faceva provare, per il modo in cui doveva convincerlo che almeno qualcosa di buono per lui sarebbe esistito, che si sarebbe portata via i suoi mali ed accontentata così anche delle briciole pure di stringere qualcosa. E mai, mai le farei una colpa. Ora dovrebbe vivere per quei bambini che sono comunque il frutto di qualcosa in cui ha creduto. Ma, cazzo, vorrei che vivesse per sé prima che per chiunque altro. Non sono mai riuscito a spiegarglielo, ed io non sono mai riuscito a farlo. Ma questo, questo dovremmo fare. Lascio che sia una mano che le avvicina la testa alle labbra, perché io le prema in un bacio sulle tempie, là dove ho bisogno di respirare il solo profumo di casa che conosco. No, io non credo proprio che staremo bene, non finché questo non sarà alle spalle, e non se il cazzo di mondo continuerà a demolire anche gli stupidi progressi che ci diciamo di fare. Non siamo mai stati bene, non in senso generale e lo so che ultimamente con me è stato un cazzo di problema. Io sono un problema. Ma non so smettere di esserlo quando la Corruzione è l'unica fonte che ora controllo, l'unico potere che ho che mi permette di estendere la barriera. Ci ho messo tanto, troppo, e nel farlo niente si è fermato; lei è rimasta incinta, Morgan è morto. Ma adesso basta.
    «Staremo bene...» ci provo, davvero, ad essere sicuro di questo, quando è una promessa che faccio a lei ed in cui credo ma che non preverrà ancora il mali del mondo. Solo noi. Noi si staremo bene. «... dobbiamo solo stare un altro po' di merda.» Tendo questo sorriso che è amaro e non credo saprebbe essere migliore di questo. «Vuoi rientrare? O stiamo qui..?»
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    So di non essere sola, oltre quei solchi che adesso mi sembrano insormontabili, e talmente profondi da essere impossibile superarli. Ma lo so che sono cose che tendono a restringersi, anche senza mai sparire, mai davvero, per restare fori aperti contro il mondo, spazi dove anche un respiro fa male. Ma lo so, lo so davvero, di non essere sola. Di dover superare quella che è una sensazione stringente, e non mi rende capace, adesso, di pensare a qualcosa di diverso. Qualcosa che non sia solo parte di tante, troppe cose che adesso sono solo punti intoccabili alle mie spalle. E lo so, lo so che pensare ancora a tutto quello che avrei voluto, tutto quello che avrei desiderato diventasse una realtà, non fa altro che trascinarmi sempre più in basso, come se mi si impuntasse nella testa cercando di convincermi che niente di tutto questo è reale. Ma lo è. In un modo doloroso che torna ancora ed ancora, in ogni secondo come se fosse la prima volta che lo realizzo, che lo so, e che lo sento come qualcosa sia cambiata, e lo abbia fatto per sempre. Lascio andare un respiro, lasciandomi premere il bacio contro la tempia con quel senso che sa dirmi solo di quanto ne abbia bisogno adesso, di quanto per un secondo, voglio pensare davvero di poter sentire la debolezza alle gambe e non doverle invece premere dure per sorreggere il mio peso, e quello di un futuro vicino che non so come affrontare così. Solo un secondo, quando lo so già che da domani tutto quello che farò, sarà forzarmi ancora in una normalità che cambia come cambia per forza quando qualcosa viene a mancare, ma che è l’unica cosa che so fare quando tutto mi sembra quasi avere solo l’intenzione di travolgermi e trascinarmi a fondo. Alla fine, lo so che la verità è che non voglio farcela davvero. Non saprei spiegarlo a Josh adesso, come non ho saputo dirlo davvero a Morgan nel premere invece una promessa vecchia, ma che adesso se ne sta da qualche parte fra le costole a pulsare come un’infezione. Ma non voglio rientrare, e questo lo so. Lo so perché ho avuto il bisogno di uscire da quella casa, lasciarmela alle spalle insieme a troppi fantasmi che la abitano e quasi mi sembra di poter sentirli esistere alle mie spalle, in echi di ricordi che sono la manifestazione di quella stessa infestazione che cerco di allontanare dalla mia testa. Non voglio pensare a lui, lì dentro, perché non ne sono davvero capace, e non so farlo senza sentire il fiato venirmi meno, e i respiri scivolare senza mai arrivare ai polmoni, ma bloccandosi da qualche parte restando immobili come lame contro la carne. Non voglio entrare e in realtà, vorrei anche seppellirmi lì, e non pensare ad altro che tutto quello che è successo fra quelle stesse mura, e non uscirne più. Come in un sogno ad occhi aperti in cui tutto è diverso, e non sto così come sto adesso. Alla fine, scuoto la testa, lo faccio chiudendo appena gli occhi, e cercando di tenerli asciutti contro tutto, perché anche se vorrei, lo so che queste sono cose che non posso concedermi. Perché c’è ancora altro da fare, perché diventerebbe davvero troppo facile stendermi e basta, e smettere di esistere per un po’. Ma penso a quello che gli ho detto in quel corridoio, e quanto fosse vero. Voglio davvero essere una brava madre, anche se non so com’è che si faccia, anche se non credo di esserne capace quando in fondo, ho già fatto così tanti errori, in merito, da partire in un negativo che neanche so se è possibile colmare. Ma io ho mio fratello, e me lo ripeto con forza nel tornare a guardarlo come se dovessi accertarmene ancora una volta, e una in più per ogni secondo che passa e so sentirmi solo come se ci fosse un foro, da qualche parte, che mi svuota di tutto. E chiede di Morgan, ancora ed ancora, in un modo che niente e nessuno mai potrà soddisfare. «No, no, stiamo qui. Non voglio stare dentro» mi sento soffocare al solo pensiero di rientrare, e non ha senso. Lo so che non ha nessun senso, ma non sono capace di allontanare questa sensazione dalle ossa, e di dimenticare semplicemente tutto ed essere qualcosa di diverso da questo. «Non ora, almeno, fra un po’» per quel perenne controsenso. Ed è solo che alla fine, lo so. Lo so che posso trovarlo solo nei ricordi che vivono in quelle mura, e in tutti gli altri posti in cui siamo stati. E quindi, voglio e non voglio, in quella stretta che ancora premo contro qualcosa che ormai, non esiste più. «Parlami di qualcosa, qualsiasi cosa che non c’entri con questo» è una domanda stupida perché in fondo lo so che non servirà a niente, che tutto è inutile e devo davvero solo aspettare. Non che passi, ma che arrivi ad essere qualcosa di sopportabile, qualcosa che posso portare con me senza sentire quanto nel pesare così tanto, mi renda quasi impossibile ogni passo.
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    Raccolgo i pezzi come so fare, nell'essere quella boa in mezzo al mare. A quel fottuto oceano di lacrime che non ha colpa nel lasciar scorrere così. Perché lo so, cazzo se lo so, che sa farsi una colpa di tutto. Preme nello stomaco la certezza che sia ancora qui a dirsi che se non fosse esistita, se non avesse scelto di prendersi qualcosa nella vita - oltre la vita stessa - allora lui sarebbe vivo. Io non sarei corrotto ed una serie di cose che si susseguono a catene. E, Dio, farei ogni cosa possibile perché smettesse di pensarlo. Ma così dovrei chiederle di smettere di essere lei. Quest'onda la devo contenere, devo direzionarla su di me perché non sia mia l'emotività che la spinga distante. Mai distante da me, ti prego. Che la mia paura, in fondo, è questa: che scelga di allontanarsi da tutto perché tutto sta pesando più di quanto umanamente sopportabile. «Va bene.. se vuoi restare qui a fare la ciminiera al tramonto, non ho niente da obiettare» So viverla solo così, nel tentativo disperato - adesso - di strapparle anche solo uno sbuffo, uno che davvero sappia rimetterle i piedi a terra. Perché lo so dove va, cosa si dice, quanto male sa farsi anche solo nelle pareti spesse della mente. Lo so perché faccio lo stesso con me, perché siamo così e questo non sa cambiare. In realtà capisco anche che non voglia entrare; qualsiasi punto in casa avrà irrimediabilmente l'impronta di Morgan, ed allora sarà come è stato con mamma. Cazzo se me lo ricordo, credevo di avere le allucinazioni. I primi tempi sentivo la sua voce chiamarmi da una stanza all'altra, o ancora sulla pelle le carezza fantasma di una presenza inesistente. Tutte le volte che correvo con il cuore in gola cercandola in camera, in cucina, in bagno o in soggiorno, morivo un po' nel vedere che non c'era e, ancora, aumentava il terrore che per Edie sarebbe stato lo stesso, che sarei arrivato a perderla.
    Ora le cose sono diverse, non c'è più quel rischio specifico, eppure non so respirare. Non so dirmi che non la perderò lo stesso, che non arriverà a farsi trascinare in fondo dove non potrò salvarla nemmeno io, solo perché la sua vita resta legata a qualcuno di tanto problematico.
    Non siamo soli. Ce lo siamo detti sempre, e ricordo che ce lo diceva papà. Come se in qualche modo volesse prepararci a quando mamma non ci sarebbe più stata. Forse, l'a cosa che so capire adesso che anche a me si stringe questo cazzo di cuore, è che è stata l'unica cosa buona che ha fatto. E non è vivo per vederla. Non è vivo per sapere che la nostra promessa io la sto mantenendo. Io sono qui con Edie contro il resto del mondo. Perfino contro il cazzo di destino a cui Morgan è andato in conto, e che già costringe questi bambini ad essere orfani prima di nascere. L'unica cosa che davvero so, è che adesso questo è il mio compito come non lo è mai stato prima: starle accanto, essere il cazzo di fratello che ho promesso sarei stato sempre. Anche se la mia vita è stata travolta da un fottuto camion quanto la sua ma no, no per me conta solo Edie adesso. Ed è giusto così. Quindi spengo la sigaretta con forza, per liberare anche l'altra mano.
    Mi chiede di parlare di altro, qualunque cosa purché non si torni su Morgan e si, beh, non è che ci siano tante altre cose "belle" di cui parlare. Metà di ciò che faccio non posso dirgliela e l'altra metà mi sembra così stupida che me la tirerei fuori a forza. Il tour da solista, ad esempio, è un cazzo di ricordo inutile. Dovrei parlare di quello, invece accendo un'altra sigaretta e, dopo un tiro più serio e profondo, punto gli occhi davanti a noi.
    «Ho scopato con Chrys» mentre Lilian si tagliava le vene. Forse non è un argomento così felice, così diverso. Ma questo mi resta solo incastrato addosso. «... più volte, anche da sobrio.» So già cosa significa ma non voglio sentirmelo dire, anche quando mi serve.
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    No, restare qui non è quello che vorrei, ma quello che vorrei è impossibile. Vorrei essere da un’altra parte, ma non parlo di un posto fisico che ha un panorama o l’altro. Vorrei essere fuori dalla mia testa, dal mio corpo, da me, e scivolare oltre tutto questo, e tutto quello che sento, e quel sentore perenne di tutti i dopo che ancora restano, e devo tenere stretti fra le dita. Via dagli incubi, e dal fiato tirato nelle vene come funi che si sfilacciano nelle mani di braccianti che non possono far altro che tirare e tirare ancora. E niente di tutto questo è reale, è solo il bisogno di togliere qualcosa che fa troppo male dal petto. Troppo male, è davvero così semplice. Senza nessuna descrizione poetica, e senza nessun perché particolare, ma solo con quella presenza assillante che è in realtà proprio l’opposto di una presenza. È il dolore fisico di un buco, se un buco potesse ferire lo farebbe così. Con uno spingere continuo nel petto, fatto di tutti i fiati più pesanti e affilati che non riescono ad uscire e allora se ne stanno lì, semplicemente. È solo il bisogno di vedere qualcuno, e sapere che invece, non succederà e basta. Mai più. Ma annuisco, lo faccio nel premere ancora il filtro contro le labbra, e respirare a fondo da lì, anche se non serve a niente. Come non servirebbe neanche l’alcol, come non servirebbe proprio nessuna cosa. Aspettare, l’ho detto, solo questo. È tutto quello che posso fare, quando accettare è qualcosa di semplicemente impossibile. Penso anche, da qualche parte, a quante sono le cose di cui dovrei davvero parlare con lui, ma penso anche che semplicemente, adesso non ce la faccio. Sono oltre tutto, ogni mia resistenza e limite che si stanno premendo proprio adesso nelle ossa, come se stessero combattendo una guerra invisibile che tanto non posso vincere in ogni caso. Per un secondo, uno solo, guardo altrove. Alla strada che vedo appena più in là, oltre il viale, e che si allunga fra rumori lontani di festeggiamenti che sono solo echi distanti. Penso a me bambina, a Josh bambino. E penso a quanto solo due anni fa, non avrei pensato che niente di questo fosse possibile. Penso ad un anno fa preciso, quando mi sono trovata di nuovo Morgan fuori dalla porta, dopo tutto quel tempo in cui non c’era stato. E penso anche a quanto, perfino in quel momento, mi fosse semplicemente mancato. E a come tutto questo, adesso sembra essere successo dieci vite fa, e anche solo appena ieri. Lascio andare il fumo tornando a guardare mio fratello, e a chiedermi sempre in quelle parti recondite che ogni tanto lasciano andare un sussurro, cos’è che dovrò fare. Per tante cose, tanti motivi, forse troppi quando in fondo, potrei anche semplicemente smettere con tutto. Ma no, non è vero. Non posso. Prendo un respiro allungando una mano sul volto, abbastanza da scostare con un gesto i capelli oltre la testa, e restare per un attimo solo in attesa, rinunciando sul nascere alla volontà di premere un sorriso sulle labbra. Sono troppo stanca per quello. Troppo davvero. Però lo guardo, e penso che gli occhi abbiano un po’ cambiato forma, e si siano per un secondo accesi prima di scivolare di nuovo lentamente in qualcosa di più mite. È una cosa forse stupida, però me lo chiedo quando hanno iniziato ad esserci così tante cose che non diciamo uno all’altra. Le mie che sono fatte di patti, sensazioni, e speranze che se anche sono morte, da qualche parte lungo la strada, continuo a trascinarmi dietro passo dopo passo, e tutte le sue, che neanche posso contare o immaginare. È una cosa stupida, però ci penso. E so anche che lo faccio adesso in quel modo in cui nel guardarlo, me lo dice che in fondo è l’ultima cosa che ho, l’ultima che mi sia davvero rimasta, l’unica che ancora è in piedi. Ma mi limito ad aggrottare le sopracciglia, e cercare di scavalcare di quei pensieri che, meschini, cercano anche in questo un appiglio che mi trascini indietro. Indietro, dove vorrei essere. Così tanto indietro, da non avere neanche l’odore di questo adesso che invece, è tutto ciò che resta. Piego appena la testa di lato, con quel tipo di pensiero che si forma nella mia testa, e vuole solo allontanarli tutti. Anche se no funziona, e alla fine lo so che se ne restano lì, da qualche parte, a volteggiare come spine pronte a ferire in un movimento o l’altro. «Cos-quando» non ha neanche il suono di una domanda, ma più di qualcosa che si trascina fuori dalla bocca. Non so se è uno sforzo, o se è solo parte di un punto che resta confuso in merito a qualcosa che non mi aspettavo.
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    «Dopo che è morto papà...» Se esistessero parole in grado di essere un balsamo, giuro che le userei tutte. Ma non ci sono, ogni cazzo di gesto di conforto per noi non esiste. Non c'è spazio che sappia contenerci e non c'è niente, mai a cui aggrapparsi. Né l'impossibilità che ho di guardarla, né la capacità che mi resta per fingere che non sia niente. Forse la mia capacità di minimizzare è andata a fanculo insieme al resto dei miei progetti. Non dico che Lilian l'avrei sposata, non sono fatto per queste stronzate a lungo termine. Anche perché me lo ricordo bene cosa ha detto Slater sulla fine del mondo "per come lo conosco io" e no, non sono tanto stronzo da impegnarmi di nuovo per qualcosa che non ha senso tenere in piedi. Ma so di essere un buco nero; attiro qualunque cosa sia viva e la divoro finché non muore. Un parassita del cazzo, eppure quello che sono non mi disturba, non quando è dalla forza di Faust che traggo la linfa per andare avanti, per dirmi che se anche non le ho tolto la maledizione la prima volta, ho qualcosa che possa salvarla dalla fine del mondo. Lei, ed i bambini.
    Adesso mi volto di poco, non che io cerchi la sua approvazione, lo sappiamo che in fondo facciamo sempre il cazzo che vogliamo, ma Chrys è di famiglia. E' stato con noi quando non aveva un posto in cui stare, ci ha accolti quando per noi è stato lo stesso, in parte l'ho sempre considerato un cazzo di fratello. Ma io, Edie, sono un amico di merda, e tu dovresti saperlo. Dovresti capire che negli occhi mi resta una tristezza che blocca le parole in gola.
    Un sospiro dopo l'altro, alzo le spalle, apro una mano e poi la richiudo più stretta di prima.
    L'elefante nella stanza, comunque, è la morte di Lilian, è il perdere ancora un tassello che nel farsi odiare - perché cazzo se l'ho odiata per la scelta di merda che ha fatto - è rimasto incastrato in gola. Qui dove il cimitero di parole sa espandersi nel silenzio. Allora non lo dico, non serve.
    Come faccio a non sentirmi una merda anche adesso? Beh, cazzo, non posso. non posso perché lo so che sto trascinando nella mia fottuta vita un'altra persona. Avevo giurato che non l'avrei più fatto, me lo sono detto quando è morto nostro padre e poi ho ceduto alla merda che sono.
    «.. e dopo che è morta Lilian e.. beh » ancora e ancora, che non lo ripeto più perché anche questo non serve quando in gola adesso esiste anche un ringhio che preme le corde vocali sul fondo. Cristo non avrei dovuto, me lo dico ogni volta che mi guardo allo specchio, ma io ho bisogno di Chrys, del modo in cui non devo preoccuparmi di lui, perché sa compiere scelte che lo tengano al sicuro. Dagli altri si, non da me. Mai da me. Ed è, in fondo, la cosa più innocente che posso dirle. Che non intendo parlare dei miei allentamenti, delle notti insonni, di quella conversazione con Morgan, del fatto che io, cazzo io si, gli ho chiesto di farsi il culo per tornare.
    «Edie io-...» io cosa? Io cosa cazzo faccio? «.. lo so che sto facendo una stronzata» E' così...
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    Lo guardo per un po’, prima di perdere il focus, incessantemente, in qualcosa che quasi mi sembra di poter vedere fra gli sbuffi della sigaretta ancora stretta fra le dita. Incessantemente. È la parola giusta. E quasi è crudele che lo sia anche adesso, quando qualcosa nella mia testa, si fa pregna di un click che è silenzioso, ma ha la forza vivida di mille ricordi, uno accavallato sopra l’altro come nervi che si attorcigliano e bloccano un arto, e che quando vai a muoverlo poi fanno solo male. Incessantemente, anche se è da poco, è così che so sentirlo, come se fosse stato con me per tutto questo tempo, e lo avessi dovuto ascoltare ancora ed ancora. Quel pensiero. E in fondo, un po’ è così, da quando è stato chiaro che ci fosse un punto da raggiungere, e quanto questo sia stato in fondo inviolabile fin dall’inizio. Un secondo in cui resto lì, a trascinarmi per un attimo in una sensazione che è vecchia, ma che adesso, è facile richiamare a galla, per trascinarla sulla pelle come un’illusione concreta che quasi mi convince, per quel misero istante, che se solo mi voltassi, troverei altri tempi ad accogliermi. Anche se non è così, e lo so. E allora, tutto quello che mi resta, è seguire qualcosa di diverso, anche se ha delle eco che tornano sempre lì. Non sa importarmene di Lilian, e mi sono davvero chiesta, spesso in questo tempo, cosa dica di me. Non ne ho idea. Ma so che m’importa solo per questo, per lui, per come nel guardarlo mi chiedo come si scriva quella storia sulle sue spalle, la sua pelle. Sono ipocrita, ancora, lo so. Ma lo sono sempre, e forse è solo che, in fondo, penso di avere delle giustificazioni, o non lo so. Penso sempre a quanto io ci tenga davvero, a lui, e a quel poco che ho. E tutte quelle altre cose, che nella mia vita mi hanno sempre fatta allontanare da tutto e tutti, quando andavo in una direzione che lo sapevo, sarebbe diventata solo un vuoto, e allora non aveva senso. Prendo un tiro ancora, tornando a guardare lui, combattendo con ancora così tante cose, e con quel senso che non fa che dirmi come adesso, mi manchi un pilastro. Parte delle mie fondamenta, di quelle che ho costruito in questo anno e mezzo, e che adesso invece sono solo cenere che rende tutto sbilenco, e che è così che voglio lasciarlo, senza mai raddrizzare davvero niente, ma imparando solo a vivere con una pendenza che forse, ogni tanto, inghiottirà qualcosa che inevitabilmente cederà ad una gravità a cui non voglio oppormi. Non sono una brava persona, ma non ho mai detto, né pensato, di esserlo. A me importa solo e soltanto di quelle cose che sento di poter stringere fra le dita, o che ho stretto, anche se ora sono cenere. «Josh» inizio così, lasciando andare il fumo nel premere il polso sulle ginocchia, lasciando che il peso si poggi lì, e che la mano si afflosci appena oltre, sbuffando ancora ed ancora per ogni tiro che non prendo. «Onestamente, ora l’unica cosa che posso dirti è che se è una cosa che vuoi, e vuoi davvero, te la devi prendere» alzo appena le spalle, senza davvero muovermi, ma scuotendo appena la testa nell’afferrare il labbro inferiore fra i denti. E lo so, che è il contrario di quello che ho fatto io negli ultimi mesi, lo so. Proprio per questo, adesso, non posso dirgli niente di diverso. Perché è così facile fermarsi e pensare sempre, sempre, sempre a qualcosa che nella testa si piega, e parla di piaghe che la nostra pelle sa scatenare in quella degli altri, come una malattia perpetua che non si risolve mai. E lo so, perché adesso sono qui, seduta di fianco a lui, sul portico di una casa che alle mie spalle sta uccidendo una vita che ero convinta, sarebbe stata la mia, ma che è nata in un paradosso che l’ha fatta respirare solo in una fantasia irrealizzabile. Penso di nuovo, automaticamente, a quando Morgan se n’è andato, e a quanto ad un certo punto, guardandolo, mi sono saputa solo chiedere se avrei dovuto lottare per noi, invece che arrendermi nel pensiero che servisse a lui. Adesso penso che in fondo, non gli servisse, tanto quanto invece gli servisse, in quel modo complesso che ho saputo capire davvero solo molto, molto dopo. «Non è una stronzata» lo dico con un po’ più di forza, per quanta ne possa avere. Adesso che in un certo senso, nel guardarlo, posso sentire quella me che esisteva a gennaio dell’anno scorso, e tutta quella resistenza inutile che cercavo di premere contro ogni gesto, ogni sussurro, ogni tentativo di Morgan. E anche tutto quel tempo che si è esteso in resistenze inutili, e quello di tentativi mai nati, sa sembrarmi ora solo uno spreco terribile. Ed è questo quello che vorrei sapesse Josh adesso. Che è tutto talmente stupido, a guardarlo dopo. «Dovresti concederti di avere qualcosa, una volta tanto»
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    La guardo, e per un po' non so fare altro. E' questa la sua lotta, impormi una vita che non dipenda linearmente dalla sua, una vita che non ho voluto, né ho chiesto mi capitasse tra capo e collo; perché io ce l'ho già. Ho già un punto fisso dell'esistenza che non voglio lasciar andare, la cui corda forse riesco a stringere troppo anche adesso. Perfino quando le mie dita scivolano un attimo lontano dalle sue. Non sto andando da nessuna parte, non potrei, né voglio farlo. Sto solo.. beh non so neanche che cazzo sto facendo se non una ferrea opposizione a questo.
    E' sempre il punto in cui premiamo, quello per cui prendiamo i forconi e scendiamo nel campo di battaglia, dove troviamo terreno fertile da anni. Io l'ho spinta a farsi una vita comunque, a non smettere di volere tutto ciò che poteva darle il mondo, mentre mi sarei occupato di trovare un modo per sganciare la maledizione. E lei, per contro, ha sempre provato a spingermi via, non nel senso di farmi allontanare ma di darmi la possibilità di vedere come potesse esistere una vita per me che non dipendesse dalla sua. E si, tutte stronzate, io quella cazzo di possibilità non l'ho mai voluta, non esiste, non è esistita fino a quando Morgan ha cambiato tutto.
    Abbiamo iniziato a sperare, a muoversi, a prendere quel cazzo che volevamo. Io ho seguito la mia strada, segnata da Slater irrimediabilmente e lei ha cercato una famiglia che - un po' - ho creduto cercasse di sostituire me e la fottuta incertezza che le so dare. Io ora non posso tornare sui miei passi e cazzo mai, mai glielo farei pesare perché è stata una mia scelta. E Cristo se lo rifarei. In loop, continuamente, quasi nell'ossessivo tentare di spezzare il cerchio che mi vede sempre inadatto a darle ciò che vuole. Ora non so nemmeno dire qualcosa che la distragga dalla morte di Morgan, quando per un attimo è sempre la Morte a fermarsi tra noi.
    Ed io, sinceramente, all'elenco già lungo di persone, non voglio aggiungere Chrys. Penso sia questa la cosa più vera, il motivo che mi spinge a dirmi che con lui smetto quando voglio, perché devo e basta.
    Abbiamo iniziato a sperare, e Lilian è morta. Poi è morto Morgan e siamo qui con le cazzo di speranze in una fottuta mano che è solo piena di schegge. Dei miei pugno contro i vetri e delle sue lacrime contro il muro. Stringo i denti in questo moto di rabbia che è rivolto al fottuto universo, mai a lei, e nel farlo risento come la Corruzione sia pronta ad ogni mio scatto. In allerta.
    «Credo di averlo già fatto con Lilian...» che è morta, tagliandosi le vene. Credo sia implicito che non voglia farlo anche con Chrys. Non quando il suo amore, ormai ovvio, forse un po' lo è sempre stato, per me può condurlo alla deriva. Perché ora che, di nuovo, uno scopo è labile nelle mie intenzioni, e non ho più voglia di vedere ancora qualcuno allontanarsi perché sono quello che sono. E sì, si che Chrys lo sa bene ma, questa cazzo di paura resta. Forse è per questo che nel non doverlo mai dire ad alta voce, ho sentito il bisogno di parlarne con Edie, anche adesso che la mente è altrove per mille ragioni.
    Su di me non riesco a stare così tanto, che il magone preme ai confini del mio sguardo.
    No davvero, credo sia un momento invece in cui di Morgan dobbiamo parlare, anche se non le piace, perché è come il giorno dei morti per i Messicani, voglio quasi che sia così, è più facile, lo diventerà nel tempo quando ci siederemo qui ogni anno a ricordare le sue stronzate, o quanto io lo odiassi e lei lo amasse. «Ha fatto quello che non avrei mai avuto il coraggio di fare, e che mi avresti ucciso se avessi fatto...» lo so, non si capisce subito che sto di nuovo parlando di lui, ma proseguo e basta, che forse per una volta ne ho bisogno io. «.. ora lo so che ti sembra ingiusto, cazzo tutto è sempre stato ingiusto, ma è grazie a lui se siamo ancora qui. Io e te, dico. Quindi credo che dovremmo farla funzionare per forza questa cosa.» Allungo delicatamente le dita a sfiorare un punto laterale del pancione, là dove i bimbi aspettano solo una vita senza un cazzo di padre. «Questo sappiamo farlo; sopravvivere.» Cerco nei suoi occhi la conferma di cui ho bisogno io; che lei voglia vivere, che non sia arrivata al punto che avrei presto raggiunto io, quello di mollare la presa su ogni cosa perché fa troppo male anche respirare. «E' genetica, di famiglia, lo impareranno anche Alan e Jaden»
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    Non so perché, penso a quella volta in cui Josh è venuto da me, dopo che Lilian gli aveva detto del bambino. Ci penso intensamente, per un secondo o forse due, o anche mille nascosti nel tempo di un battito di ciglia. A come stesse, e a quanto ho avuto paura, in quel preciso istante, che fosse semplicemente finita. Finita. Che diventasse per lui la conferma a quello che per una vita, ho cercato di smentire, che ho combattuto senza mai essere capace di vincere. Ci penso adesso, che di nuovo ho quella stessa sensazione addosso, e la sento arrampicarsi fra tutte le altre, come se per un attimo, tutto potesse semplicemente schiacciarmi. Anche un soffio di vento, o un secondo troppo lungo. Però lo guardo, e vorrei essere capace di dirgli che non è vero. Che non è così. Che c’è qualcosa per lui, anche se ancora non lo sa. Ma so anche quanto non avrebbe senso dirlo ora, quando quella stessa cosa che mi spingerebbe a dirlo, per una sensazione che credevo a me estranea e preclusa per sempre e che invece ho stretto fra le dita, fa parte di tutto quello che ho perso. Vorrei essere capace, anche adesso, di afferrarlo e tirarlo via, spingerlo così in alto, da allontanarlo da tutto questo. Dalla nostra vita, da tutto quello che lo ha stretto a terra e non lo ha fatto alzare mai. Penso che alla fine, non sono stata in grado di salvare nessuno. E non parlo di morte e vita, ma di tutto quello che sta nel mezzo, ed è sempre stato quello per cui, alla fine, ho cercato di lottare. Ma non sono mai stata brava a farlo, e ho collezionato così tanti sbagli, che mi sembra quasi di aver remato controcorrente, inseguendo una luce fasulla convinta che fosse un faro. Ma anche questo è qualcosa che si annichilisce, all’improvviso, perché posso sentire il nome di Morgan fra una sua parola e l’altra, farsi forte come un tuono in lontananza che rimbomba con forza per essere qui ancor prima della tempesta. «No» mi scappa ancor prima che riesca anche solo a sentirlo piantarsi nel cervello, ma poi lo fa. Si pianta. Si dirama. Va a premersi in ogni spazio mentre mi giro in un gesto che mi serve solo per sentire aria fresca contro il viso ad occhi chiusi. No. Non voglio parlare di niente di tutto questo, né voglio ascoltarlo. No. In un modo quasi possessivo, come se tutto quello che è Morgan, dovessi trascinarlo via da questa parentesi che lo ha portato proprio a questo. Come se dovessi tenermi tutto il resto, e non arrivare mai a trascinarlo invece in pensieri che sono stretti nella semplice concezione, che ha stretto quel patto per me, ed è morto per questo. Era più di questo, e lo è ancora, in quel modo ostinato che non va via in qualche ora, e che non può far altro che respirare a fatica, e piantare i suoi artigli a fondo nella carne. No, non voglio parlare di Morgan. Della sua morte, e di tutto quello che implichi. Del fatto che non c’è e basta, da nessuna parte. Che non ne è rimasto neanche un frammento, se non fra tutto quello che è successo, e non può ripetersi. Non importa quanto lo vorrei, e quanto ne avrei bisogno. Mi porto la mano al petto, la stessa che stringe la sigaretta e la lascia con la punta verso l’esterno, a farmi scivolare fumo in faccia a cui non do peso, ancora ad occhi chiusi. Scuoto appena la testa, prendendo un respiro pesante dalle narici, un tiro ancora prima di umettarmi le labbra. «Non adesso, Josh» sa quasi di una preghiera premuta fra le labbra, stretta fra lo sbuffare del fumo che scivola via e gli occhi che si riaprono prima che io mi volti di nuovo verso di lui. Lo so, lo so che ci sono mille cose da fare. Lo so che devo muovermi, lo so che avrò due bambini, so tutto questo. Ma non adesso, adesso voglio solo capire davvero, e profondamente, la sua assenza. E forse è stupido, e forse è egoista. Ma è tutto quello che mi resta di lui. «Non adesso» non ce la faccio non lo dico perché mi si ferma in gola, ma lo lascio in un respiro che ancora, raschia la gola, mentre la mano lascia semplicemente andare una sigaretta che è ormai arrivata al filtro, mentre l’altra cerca il suo polso per una stressa che in qualche modo, vuole dirgli qualcosa. Che non lo sto allontanando, che non sto cercano di chiudermi dentro qualcosa e lasciarmici semplicemente annegare; è solo che non ce la faccio, non ancora. Io avrei voluto passare la mia vita con lui, ed è questo quello che sto lasciando, irrimediabilmente, senza più poter trattenere quel pensiero che in fondo è rimasto per tutti questi mesi, e mi continuava a dire che forse, forse, c’era ancora un modo per noi di esistere. Adesso, so che è semplicemente impossibile. «Ho bisogno di un po’ di tempo, non farmene parlare ora, ti prego» non saprei trovare nessuna forza da mettere nelle parole adesso, né in me stessa. Non saprei trovare altro che quella stretta alla gola che se ne sta lì, e sembra voler divorare ogni cosa. E devo ascoltarla, sentirla, prima di poterla superare, anche se non è quello che voglio. Prima di poter imparare a conviverci, e trascinarmela sempre un po’ dietro. Abbozzo un sorriso che si fa tremulo, ma si piega negli angoli come una richiesta che se ne sta in silenzio. «Per quel che vale, però» lo dico poco dopo, come se stessi cercando la fune di un discorso diverso, per riprenderlo e stringerlo fra le dita. «Chrys mi piace» diventa quasi una parentesi fra le labbra, in un secondo in cui torno a guardare il viale, la strada appena oltre, e un mondo piatto che si dipinge di fronte a me. «E alla fine, se state bene è tutto ok, non ha senso negarsi qualcosa per chi sa quale motivo. Le cose succedono e basta» torno a guardarlo annuendo appena, e in fondo lo so che quello he voglio dirgli, adesso, è che, ancora, io ci credo a quella vita diversa per lui. Magari non come l’avevo immaginata, nel premere di tutte quelle speranze che, alla fine, lo so non sono mai state altro che lame nelle dita per me; ma con ancora qualcosa che possa essere respirato, e sentito, e che sia fatto per lui. E basta.
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    Ci sono cose che non siamo pronti a sentire, lo so. L’ho detto per questo, perché non c’è e non esisterà mai un momento diverso per ammetterlo: va detto. Contro ogni rimorso, contro il dolore che preme tanto in petto da stringere anche il mio un una morsa, di rimando. Soffre lei, soffro io. È una cosa che Slater non può spezzare, che forse arriverà a sfruttare prima o poi, ma intanto, ora, è nostra. La conosco abbastanza da capire che non è sadismo il mio, nè un malsano desiderio di farla stare più male di così. È che la morte è velenosa, ti si appiccica addosso come un fungo, striscia come un telo lungo la pelle, la riveste e più ti entra nel cervello. Se arriva lì è tardi, corrode e sussurra peggio di quanto sappia fare il mio sangue con chiunque lo tocchi. Per questo non posso accettare una prima negazione, al massimo posso chiudere gli occhi e premere le palpebre perché si fissino in un secondo di silenzio. Uno. Ma è una concessione che funziona poco, perché no, non voglio neanche girare il dito nella piaga ma l’ho detto, la morte è un veleno che - se entra attraverso una ferita - distrugge ogni buon pensiero, perfino quello che celiamo nel subconscio. Allora devo farlo, ho dovuto farlo. È come premere con il pollice lungo una piaga dolorante e farlo al fine di estrarre una scheggia, una che se lasciata dentro avrebbe continuato ad avvelenare. Si preme, si fa scendere una lacrima, si previene cazzo.
    Lo so che adesso sembro uno stronzo anche se sono qui e non ho nessuna intenzione di muovermi. Ma premo lungo la ferita, estraggo la scheggia e poi le lascio una mano che passi fresca nel punto colpito. Una pomata, un fottuto balsamo. Quindi la guardo negli occhi, fermo in qualcosa che deve essere comprensione ed allo stesso momento una preghiera, la mia. Non pensare di lasciarmi, Edie, mai. «Shhh, va bene.. va bene, mi dispiace» lo mastico appena con dolcezza, gentile, perché in fondo no, credo sia questo un dolore necessario per evitare che arrivi ad un punto in cui io non saprò raggiungerla. Ma forse è sempre il mio egoismo del cazzo a parlare.
    Adesso potrà non aver voluto sentire, ma so che l’ha fatto, che quando servirà davvero - non ora - le parole torneranno alla mente e saranno un punto in cui fissarsi per ripensare a Morgan con un accenno di sorriso. Anche se triste.
    Quello che ho bisogno di fare è assicurarmi che non arriverà al momento in cui si dirà che non vale la pena… vivere. Cazzo solo pensarlo mi apre in due dalla testa ai piedi, strappato come un cazzo di foglio di carta. Magari è una fottuta paura insensata, o magari no. Non lo so ma adesso mi rendo conto di quanto indietro l’ho lasciata. Di come io non riesca a pensare di sentirla dentro come prima. Ho lasciato che Morgan gestisse questo; il loro cazzo di amore ed il risultato è che Edie è esattamente come pensavo l'avrei trovata, distrutta. Tutto è sbagliato, lo è stato fin da subito. Quindi no, poi mi fermo, respiro, smetto di guardarla e non rispondo neanche io.
    Sospiro, con la pesantezza che mi porto dietro in questa cazzo di esistenza e ne accendo un'altra, ancora, per tenerla tra le labbra e riparare la fiamma da un refolo di vento. Che vita di merda.
    «Mh» No le cose non "succedono" se si può impedire che accada. Io sto solo sbagliando, continuamente, ossessivamente nel cercare di tenermi addosso le uniche persone che mi restano. Per disperazione, si. E così facendo beh, finisce che muoiono comunque, in un modo o nell'altro. E' come se adesso dovessi avere poche cose da considerare mie, perché altrimenti potrebbero accavallarsi e non saprei gestirle. Ma sono qui per te Edie, non per me. Perché in fondo possiamo anche allontanarci, stringerci a cuscini diversi, idee diverse, ma poi siamo sempre qui a tenere duro quando il mondo crolla e siamo i soli pilastri che esistono quando le colonne cadono come tessere del domino e due si inclinano una contro l'altra. E dobbiamo farci trovare dove serve, sempre perché non esista un momento in cui uno dei due cade davvero, perché allora vorrebbe dire che abbiamo fallito. A me, però, manca già il fiato. Non sopporto che stia così male ad un palmo da me per qualcosa che, cazzo, avrei potuto evitarle. Non riesco a dirlo, non posso.
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    Non saprei dire, adesso, a che punto siamo. Con noi stessi, ognuno nel suo universo, e in tutti quei punti che combaciano e formano quella gravità che, sempre, porta il mio e il suo mondo a seguire ogni giravolta dell’altro. Non lo so, ma so che è perché adesso, in questo istante, ho troppe cose nella testa, e troppe che si annebbiano di fronte a me, ed un presente così pesante, nel trascinarsi dietro ogni più piccolo istante del passato, da essere solo un macigno piantato nel terreno. Vorrei essere appena più stanca, un po’ di più, quel tanto che basta ad esserlo del tutto, e lasciare che ci sia solo il bisogno di riposo a spingersi nelle ossa, e non lasciare spazio ad altro. O esserlo un po’ di meno, abbastanza da non sentire fatica nelle gambe, le braccia, e le mani che a furia di tenersi così saldamente strette contro tutto quello che è destinato a svanire, hanno ormai piaghe che niente può curare. Una delle due cose, un estremo o l’altro quando in realtà, mi trovo sempre e solo in quel mezzo che non mi permette di muovermi né da un latro, né dall’altro. Sempre così, fissa fra punti che non mi lasciano in pace, e passano il tempo a sfilare i motivi per cui dovrei cadere da una parte o l’altra. Ma non lo faccio mai, resto ostinatamente aggrappata al mio equilibrio, anche se non so più quale sia. Non lo so quando ho perso quello che mi sono detta, per anni, fosse tutto ciò che avevo, e anche senza ho dovuto continuare a tenermi dritta su quello stesso filo, senza scivolare mai. E quindi non so a che punto siamo adesso, ma so dire quanto sia grumoso, e abbia troppi spigoli, troppi bozzoli duri che non permettono nessuna sensazione di pace, ma sempre e solo un premere che da scomodo, può diventare doloroso in un niente. Un soffio appena, basta girare la testa con appena più forza per trovarsi su una punta, e finire a sentirla infilarsi nella carne. Lo guardo ancora, nonostante tutto. Nonostante ci sia quella parte di me, meschina, che vorrebbe solo guardare un nero talmente fitto, da farmi illudere che non esiste niente. Un silenzio così corposo, da farmi dimenticare anche che le voci esistono, e appartengono a qualcuno. Ma è quella parte che combatto, ed è solo lì a scalpitare inutilmente contro ogni mia resistenza. Io, io sono qui. Anche adesso, anche ora, contro tutto quello che si agita, si muove. Contro tutto quello che vorrei, e che so di dover lasciare anche mentre continuo a stringerlo così tanto, da sentire il dolore della mia stessa stretta. Vorrei dirgli che dispiace a me, e che insieme, non lo fa affatto. Che anche se fa così male, io Morgan lo voglio tenere con me, esattamente come ho detto a lui, e come l’ho pensato ancora ed ancora per tutti questi mesi, questo anno, questo tempo spezzato eppure, anche così unito da essere un filare che inizia e non finisce. Vorrei dirgli che mi dispiace, ancora, di mille altre cose, e di così tanti silenzi che ho cercato di tenere contro tutti, per stringerli solo in me, in quel piccolo spazio che alla fine, aveva troppe crepe per esserne davvero capace. Non lo faccio, e penso che sia perché adesso, semplicemente, c’è troppo dolore. Da me, da lui. Per me, per lui. Per così tante persone che sono state parte della nostra vita, e se ne sono andate. Papà, Morgan. Lilian. Alla fine, lo so che non sono davvero mai stata capace di essere una di quelle persone, che si lascia andare così. Non sono mai stata capace di prendere ogni mia emozione, sopratutto quando così pesanti e rimestate, e metterla di fronte a chiunque. Anche lui. Ho qualcosa che mi dice sempre un no, che anche piccolo, esiste. Anche se ora, ora è solo tutto davvero troppo, e anche sforzandomi ad andare contro quello stresso “no”, dovrei forzare troppo ogni mio pensiero, ed ogni mio moto; ogni più piccola volontà. Sono cattiva, lo so, perché so anche quanto nello stesso istante, vorrei forzare invece lui ad ascoltarmi su un punto diverso, e che mira su di lui. Egoista, in fondo. Ho sempre detto e pensato di esserlo. Anche se non lo faccio, e non penso neanche che sia davvero perché, in fondo, lo so che sono cose che è meglio trattare con calma, e con cura. No. Solo perché ora, sento qualcosa di diverso su di noi, e tutto quello che voglio è spingerci in mezzo ad una bolla che anche se per finta, possa tenere tutto appena un po’ più distante. Stringo appena di più le dita contro di lui, in un gesto che è quasi un impulso, ed è parte di quel cercare di tenerlo sempre qui. Sempre qui. Josh è tutto quello che mi resta, e per davvero. «Hey» lo bisbiglio, quasi con il tono di un gioco che dobbiamo aver fatto da bambini, ma di cui mi resta la sensazione invece che il ricordo. «Andrà tutto bene» e lo so, lo so, da che ricordi viene questa cosa. Lo so talmente bene, che quasi posso sentirla nascere nella mia testa, questa frase, e trasportarsi in un tono che non è il mio. E l’ascolto, come se davvero me lo stesse dicendo. «Ho voglia di patatine fritte con il bacon, e una montagna di formaggio, quindi direi che dovremmo ordinarle»
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    Edited by .florence; - 3/8/2021, 16:38
     
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    Hey. Beh, io potrei anche fermarmi qui. Che non c'è bisogno di andare avanti, che senso ha spingere ancora una leva che preme punti in cui irrimediabilmente noi due sanguiniamo. Non sono mai ferite rimarginate, no. Ci mettiamo un cerotto fatto di "fingiamo che". Fingiamo che le cose vadano bene. Fingiamo che questo non sia successo. Fingiamo che tu non abbia detto quello che hai detto e, visto che ci siamo, fingiamo anche che non lo abbia detto io. Tutto, tutto ha sempre avuto questo come perno. Ed anche se sembra stupido, non funziona più se lo dice solo uno di noi e non entrambi. O lo diciamo assieme o il vaso crolla e non ci saranno mai abbastanza mano per ritrovare i frammenti spezzati da ricomporre. Non sono melodrammatico, ma noi funzioniamo così; male. Male perché quando mai qualcosa è andata bene? Alzo le spalle, mi ci stringo entro anche se poi è la presa di Edie quella che mi strappa il sospiro che trattengo. Sto facendo ogni cosa in mio possesso per evitare di farmi trovare dall'altra parte, per smettere questa continua alternanza. Che sta male lei, poi sto male io, e di nuovo così. Con mamma è iniziato tutto, con noi è proseguito ed ha trascinato i nostri passi qui. E poi in punti che io non raggiungo e lei nemmeno, a vicenda, spezzati dal mondo ed ancora pronti ad incollarci per star su. Cazzo lo so che è un sorriso solo di puro sarcasmo, quando anche la testa ciondola in avanti con l'esasperazione di chi sa solo rassegnarmi. E quindi va bene, Edie, mi arrendo. Mi arrendo al fatto che possa avere ragione, che oggi non ho voglia di arrampicarmi lungo le pareti instabili dei miei muri e dirmi che da lassù, dalla mia cazzo di torre, tutto funziona. Perché ovunque io vada niente cambia, è solo una diversa altalena di sofferenza.
    Tutto per un "hey" che le è uscito con il tono che conosco; lo usava per venire a cercarmi quando andavo in panico perché non sapevo come avrei fatto a farla stare meglio, a non perdere anche lei. Erano tutti "hey" che si infilavano nei mie nascondigli da bambino, e poi sopra i tetti da adolescenti e adesso qui, in pareti invisibili anche quando mi è accanto. E mi dico solo che ho perso ancora qualcosa, probabilmente la capacità di tenerla in piedi. Mi arrendo al fatto che sia sempre stata la più forte dei due e che adesso io abbia bisogno anche della forza che le resta per dimenticarsi di quello che è successo a Morgan, per me.
    «Questo dovevo dirlo io, però.. »lo spingo delicatamente quando la mia presa si salda sulla sua, che "andrà tutto bene" è una frase nostra tanto quanto mia, o sua, o di chiunque ci abbia provato a caricarla di convinzione perché ci credessimo. Non è mai un abuso che ne facciamo, se il tono resta quello di sempre. Io, almeno, non lo sento così. Sento che mi fermo ad annuire anche se aspiro più fumo di quanto i polmoni sappiano sopportare e nel farlo uscire lo modulo in piccoli cerchi, come facevo anni fa. Cose con cui conquistare le ragazzine stupide del Bronx. In realtà ormai in sti cazzo di cerchi ci vedo solo la merda che abbiamo passato. Ci manca solo la fottuta fine del Mondo e possiamo chiuderla in pace, cazzo.
    «Sei così sfaticata che non vuoi cucinare per tuo fratello, mh ma lo so che è solo un cazzo si scherzo, un modo come un altro perché le spunti anche un sorriso di merda, uno inutile, uno che non ci lasci mai soli anche se il fulcro è altrove. E sì, ovvio che le ordiniamo, a tonnellate cazzo. Alzo le mani prima che dica altro, solo perché davvero abbiamo bisogno di fingere che andrà bene, che le cose normali saranno normali ancora e per sempre. «Offro io perché ho un nuovo contratto... da solista» Di cui al momento non mi importa un cazzo. Beh no, non è vero, fa male che i Morgana si siano sciolti, e me lo tengo in questo nodo in gola con cui spero di celare lo sguardo appena più spento. Si, beh, colpa mia perché non ho ascoltato Jack quando mi diceva di non fare casino con Lilian, e lei si è uccisa. Quindi sì, non abbiamo ancora portato via tutto dalla sala e devo ancora vedere J. l'ultima volta, ma appunto, sarà l'ultima. L'etichetta, comunque, puntava su di me. Quindi sì, li ho traditi due volte e non sembra io sappia fare altro con la gente.
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    Alla fine non resta altro che girarsi e guardare avanti. Lo so che è lì che esiste tutto, come lo ha sempre fatto. Avanti, anche quando tutto si rifiuta di muoversi e, al contrario, vorrebbe premere indietro mille e mille passi. Non è una cosa possibile, e resta solo quello stesso avanti che per quanto freddo, e spento, è davvero l’unica strada percorribile. Per me, per Josh, per chiunque. Ha sempre funzionato così alla fine, sempre e basta, da che io ricordi. Non ci si è mai fermati per niente e nessuno, non è mai davvero stata un’opzione possibile, una che fosse reale. Adesso lo guardo per qualche secondo, prima di premermi una mano dietro il collo, trascinandola a fondo nella carne come se potesse bastare a sbloccare ossa e muscoli, e farli tornare a funzionare come dovrebbero. Non così bloccati fra di loro, arrugginiti al punto che ogni movimento costa una fatica impensabile. Lo guardo, e penso che in fondo non importa chi dica cosa, fra di noi, quanto più che qualcuno lo faccia. Che prenda tutto, e nello stringerlo sappia solo sentire quanto va a fondo, e quanto questo è quello con cui dobbiamo convivere e farlo: andare avanti. Andrà tutto bene. Deve perché non so ancora quanto, davvero, saprei reggere, e di più ancora ho paura che invece non ci sia un limite, e che sarei capace di continuare e continuare e continuare, come se ci fosse una volontà meschina, dentro di me, che non riesce a fermarsi mai nonostante tutto. Probabilmente è vero. E proprio questo, anche se non è meschina. È solo sapere con certezza quanto è stato dato per questo, e quanto adesso sia talmente reale da sentirmelo premere contro come se fosse un impulso che me lo ripete anche adesso, di continuare. Anche se Morgan non lo ha mai chiesto, anche se Josh vorrebbe solo che fossi felice. Lo sento lo stesso, come sento come in fondo ormai è tutto rovinato. Lo sono io, lo è la vita, lo è tutto quello che succede. Rovinato e basta. Ma andrà tutto bene, come una preghiera che non so rivolgere a nessuno quando non so credere in niente che sia superiore, e abbia un po’ di clemenza da offrire. E sono stanca di chiedere qualcosa che tanto, non verrebbe concessa mai. Penso di saperlo bene, ormai, che tutto quello che uno vuole, deve trovare il modo di prenderselo. Che le cose non succedono se non ti ci impegni talmente tanto, da non avere fiato. E che anche in quei casi, non è detto che riescano. Non lo è mai, e devi sempre andare talmente in basso, talmente oltre, che quello che resta poi è solo una sensazione che ti strema. «È che mi piace rubare le battute più fighe» lo mormoro che anche questo non riesce a suonare per niente come vorrei, ma sono troppo stanca per riuscirci. E non ho addosso quella sensazione che adesso, mi renderebbe facile scherzare in un controsenso che in realtà, ha un senso davvero preciso nella mia testa. Anche se non lo so spiegare. Lascio andare uno sbuffo d’aria quindi, facendo cadere la mano da dietro al collo, pesantemente, perché finisca sulle gambe, come se fossi troppo stanca anche per tenerla lì. Poi, poi mi giro di nuovo verso di lui, in un modo che per un attimo mi aggrappa la mente a qualcosa che sa distaccarsi da tutto. Penso a quanto questa sia una cosa bella, quella di Josh, e quanto adesso abbia anche un senso strano. Non lo so davvero se significa che anche se a modo suo, sta combattendo per sé stesso, o se è solo qualcosa che è quasi un palliativo contro tutto. E vorrei essere sicura, invece, che sia la prima cosa. Vorrei esserne certa, per guardarlo e sapere che davvero c’è qualcosa che possa dire sua. Completamente. «Beh, allora sì lascio decisamente mettere te mano al portafogli» penso che dovremmo festeggiare, e mi sento male al pensiero di sapere che non ne sono capace adesso. Non lo sono davvero, anche se vorrei, e lo vorrei con tutta me stessa. «Sono fiera di te, Josh» lo dico prendendo le sue mani con la mia, ed è per qualcosa che un po’, va oltre il contratto. Va oltre tante cose, e torna da noi bambini, prima di tutto quello che ci ha scalfiti, fino a formarci in sagome precise. Prima di ogni altra cosa, quando non c’era niente. Stringo un po’ quella presa, prima di girarmi annuendo, e spostando lo sguardo verso la casa quando so che prima o poi, dovrò entrarci. «Devo solo chiederti una cosa, okay?» lo aggiungo quasi subito dopo, un po’ più seria, anche se non so davvero di cosa si tratti. Non ne ho idea, ma so anche che non importa che io conosca il perché. Ci sono cose che ancora, voglio proteggere, nonostante tutto. «Di Morgan non lo deve sapere nessuno. Non so perché, non ne ho idea, ma insomma» fine, scuoto appena la testa come a dire che anche questa discussione è conclusa, perché non voglio parlarne e ripercorrere troppe cose che potrebbero incastrarsi qui, una ad una. Non voglio, non adesso. Gli sorrido appena invece, piano e quasi incerta. «Aiutami ad alzarmi, su» lo dico lasciando la presa solo per dargli un buffetto affettuoso sulla gamba, prima di mettermi dritta e allungare le braccia nell’aria, muovendole per enfatizzare la richiesta. «Ti offrirò da bere per il contratto, e fingerò di ubriacarmi con del succo di frutta»
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