I'm no hero

Josh e Morgan | 16 Agosto - Villa Sinister

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    Sono stato bravo, Cristo Santo. Bravo Joshua. Me l'ha detto anche Chrys. Sono stato bravo, ho fatto tutto quello che dovevo senza fiatare. Ingoiando, trattenendo, piegando la corruzione perché le sue spire non arrivassero a ferire chi amo. L'ho sentita ribollire, premersi contro la struttura del mio scheletro. Ha teso i nervi, ha spezzato legamenti e tutto è riuscito a logorarmi. Perché questo lo so fare bene, cazzo se lo so fare. Se non ci fossero stati Chrys ed Alice probabilmente avrei preso una fottuta vacanza nella dimensione ombra per un tempo indefinito: tutto quello che avrei usato prima di esaurire la sopportazione in quel luogo. Sarei tornato qui prima che mi distruggesse, in tempo per riprendere a respirare.
    La Corruzione fa questo, di base: corrode cazzo.
    L'ho tenuta con me. Ho stretto i denti in quel sorriso di cui Edie aveva bisogno per sentirsi felice. Dio, ho perfino testimoniato al suo matrimonio. Si è sposata un coglione e l'ho lasciata fare perché la rende felice. Infinitamente triste in alcuni momenti ma mediamente felice. Bello.
    E sì, possiamo dire che ho capito che non posso decidere io cosa debba piacerle e cosa no. Se della vita che ha vuole farne questo, allora un passo indietro lo faccio per forza. E l'ho fatto. Anche se non del tutto. Mai del tutto.
    Volevo mettermelo alle spalle, capire come cazzo si fa a continuare, a trovare uno scopo adesso. Ma no, no evidentemente per Morgan ancora non era abbastanza.
    Mi ha scritto, mi ha chiesto di vederci e beh, io da qui il culo non lo muovo. Per me è stato ieri. Ieri che ha deciso di invadere uno spazio che per fottuta grazia divina gli ho lasciato prendersi ed a poco sono valsi i discorsi di merda di suo fratello. Gli ho risparmiato qualcosa di spiacevole, non dico doloroso, ma certo nessuno si diverte a vivere una mezza paralisi. Ma niente, neppure questo è bastato.
    E quindi sentiamo che cazzo ha da dire Morgan Crain adesso. Ha avuto tutto. Ma ancora non gli basta. Ha sposato Edie e, ancora, non gli basta. E' entrato nella mia famiglia imponendosi come un fottuto salvatore e Dio ce ne scampi se non vedevamo l'ora che arrivasse. Però no.
    Lo sento arrivare, Chrys si è portato via Alice, ed io non ho neanche saputo ringraziarlo decentemente. Cristo, si sta occupando di cose che certo non si aspettava e spero che questo non arrivi a logorare lui. Che ora non so pensare ad altro. Comunque sono rimasto sulla mia poltrona finché non ho sentito il suo bussare alla porta.
    Una volta, quando c'erano feste e ancora poteva spaccare vetrate, poteva fare come fosse a casa sua. Ora la sento mia, quindi lo lascio aspettare che i miei passi del cazzo si muovano fino all'ingresso.
    «Entra.»
    Non mi sforzo neanche di avere un briciolo di entusiasmo, che il mio sangue sta già invocando il suo fottuto Dio perché io lo assecondi. Ma non farà niente di tutto quello che mi passa per la testa. Gli faccio largo perché ci sia la dovuta distanza tra me e lui. Che scelga un po' dove cazzo andare ma per gli alcolici ci vorrà una licenza, la mia, ed al momento me la tengo stretta tra le dita.
    Noto l'immane somiglianza con suo fratello quando mi basta guardarlo per dirgli mentalmente la stessa identica frase: Di quello che devi, e togliti dal cazzo. In fretta.
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    on me ne frega un cazzo del suo perdono.
    Sono qui solo perché il mio senso del dovere me lo impone.
    Non me ne frega un cazzo di Joshua, in realtà. Lo so, l’ho già detto una volta e poi non era del tutto vero, forse neanche questa volta è così, ma chissenefotte. Adesso è così che sta girando la “giostra impazzita” che è la mia testa.
    Spengo il motore di fronte a casa di Chrys. Mi attraversa un pensiero che mi mette il freddo addosso, un ribrezzo che sa di melma gelida sotto la pelle, impossibile da scorticare via. Guardo la villa da dietro il finestrino mezzo aperto dell’Impala e penso a quanto si dovrebbe buttare giù.
    Asse dopo asse.
    Da bruciare, ogni suo più piccolo centimetro sotto una pioggia di sale e fuoco.
    Case come queste sono lavori per noi.
    Ancora mi chiedo che cazzo sia passato per la testa a Den quando ha deciso che quel ragazzo poteva essere un buon informatore. Quello si è fatto possedere da un fantasma. Il fatto che sia un mago nero infastidisce solo me, lo capisco, ma si è fatto possedere da un cazzo di fantasma per farmici comunicare.
    Il freddo addosso.
    Infilo una sigaretta tra i denti e l’accendo mentre alzo manualmente il finestrino girando la manopola. Accendo l’American Spirit. Apro lo sportello, esco, lo richiudo alle spalle.
    Case come queste, piene di fantasmi e non ben controllate visto chi ci vive dentro, sono lavori per gente come noi. Ma va bene. Non posso raderla al suolo come vorrei, e non sono così tanto una merda da fare una soffiata a gente invece, diversa da noi, gente come i Foulger. Che tanti problemi di morale non se li fa.
    Soprattutto quando dentro ci vive – credo che viva almeno, sono confuso su questi dettagli – uno che ha ammazzato un Cacciatore.
    Non sono così tanto una merda.
    Attacco le chiavi al moschettone e arrivo fino alla porta, sbuffando il fumo contro il legno prima di bussare con il lato del pugno giusto perché devo farmi sentire, vista la grandezza dell’abitazione. Se fossi venuto qui con reali intenti aggressivi non avrei bussato, l’avrei buttata giù direttamente.
    Aspetto che la porta si apra per salutare con un cenno della testa, aspetto che mi faccia entrare.
    Gli vorrei dire che ha proprio una faccia di merda, non si dovrebbe dare il benvenuto con espressioni simili. Poi sembra che non ci sia feeling, azzarderei una sorta di antipatia pregressa. Me lo tengo, non sono qui a rompere il cazzo con sarcasmo spicciolo.
    Faccio qualche passo all’interno spostandomi oltre l’ingresso, verso il salone.
    Questa casa puzza di stantio e lavanda.
    Non sa di realtà.
    Non mi sembra davvero reale quanto dovrebbe essere.
    Lancio lo sguardo in giro, trovo scaffalature scure, ripesco dalla testa ricordi che mi paiono più antichi dei miei stessi anni di vita, o di morte, a seconda dei punti di vista. Era due vite fa che sono stato a quella festa. Così a disagio, avevo dimenticato del tutto come si faceva a stare tra la gente dopo tre anni passati solo con il sangue a schizzare ovunque intorno a me e morti. Ero più a mio agio con i morti, il che è paradossale perché anche qui ce ne sono molti, ma non uccisi da me.
    Ero più a mio agio con il controllo della morte.
    Con il controllo.
    A quella festa non ero in controllo di niente.
    Catapultato dentro la “vita normale” di Den. L’odiosa vita normale di Den. La odiavo, la odiavo con tutto me stesso e volevo distruggerla come ho distrutto quella finestra e come avrei voluto distruggere tutte quelle persone e Chrys stesso, che la incarnava in quel modo fastidiosamente reale.
    Adesso mi sembra finta.
    Adesso mi sembra tutto finto.
    Un disegno, un quadro, un film.
    Sono dentro un film.
    Guardo la finestra che ho rotto e che poi ho riparato. Non mi viene da sorridere, anzi, sento i lineamenti della mia faccia che si fanno più duri, ancora di più, cemento che si asciuga intorno ad un’espressione tirata.
    Lo riporto così lo sguardo su Joshua quando mi giro verso di lui, infilando le mani nelle tasche e mantenendo la sigaretta tra le labbra.
    «Volevo scusarmi per quello che ho fatto all’ospedale, non avrei dovuto aggredirti di fronte a tua figlia», inizio dal nulla. Serio. La voce è seria. La voce suona perfetta, senza crepe, senza cedimenti. Ho sempre saputo come sembrare perfetto per varie situazioni, è solo una scelta; a volte semplicemente non ne ho voglia o non voglio, che è una sottile differenza spesso sottovalutata. In questo caso, devo sembrare calmo. «Non sapevo lo fosse ma non importa, è una bambina e cose del genere di fronte ai bambini non si fanno a prescindere». Non ho giustificazioni. Non sono neanche il tipo che le cerca; anche se le avessi, non le considererei. «Quindi ti chiedo scusa per questo».

     
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    Una vaga idea del perché volesse vedermi ce l'avevo. E, Cristo, me lo risparmio volentieri un altro discorso alla Caiden sul fingersi cosparsi di glitter quando per forza dovremmo trovarci nella stessa stanza. Io so come cazzo comportarmi, loro palesemente no. Ma andiamo avanti e lasciamo entrare Morgan in casa mia.
    Perché la Villa lo è. Mia, quanto mio è Chrys e tutto ciò che possiede. Mia come Alice che per quanto contorta, resta la figlia che avevo perso l'opportunità di avere ed ora no che non la lascio andare. Ma non ha importanza.
    Alzo le spalle, arretro, già il fatto che non l'abbia tenuto fuori nel portico è un buon segno no? Ma quanto cazzo sono bravo eh? Un santo.
    E' naturale che io mi ricordi perfettamente come mi ha accolto in casa sua la prima ed unica volta che mi ci sono presentato. Annunciandomi perfino prima, con quella canna puntata dritta alle tempie. Direi che come benvenuto il mio sia perfino alla pari di un hotel di lusso.
    Non gli stacco gli occhi di dosso. Mi sembra normale, non fingerò un cazzo visto che siamo soli ed abbastanza in grado di capire che la tolleranza rasenta il limite umano. Il mio almeno. E di lui sono già stanco.
    Ma la cosa peggiore, diciamolo, è che è venuto a scusarsi. Cristo è un pattern di famiglia? A che cazzo pensa che serva, mh? Pensa che io sia un bambino che ha spinto lungo la corsia sbagliata dei giochi sportivi. Un bimbo che si è sbucciato il ginocchio e che ancora piange per l'offesa. Rido in silenzio, lentamente, ironicamente. Ed è una cosa che non sa essere civile quando invece scuoto la testa, mi tormento le labbra, accendo la sigaretta elettronica e, alla fine, torno a guardarlo. Fai davvero Morgan?
    A quanto pare, per lui, il problema era che l'aggressione c'è stata con Alice ad assistere e non che si sia sentito una merda quando perfino lei mi ha difeso. La cosa peggiore è che a me non frega un cazzo delle sue scuse, non sono un fottuto boss mafioso a cui baciarle l'anello perché hai rotto il cazzo un po' troppo. Dio santo.
    Per me, invece, il problema è che nessuno cerca quel fottuto scontro di cui io ho bisogno. Cristo è una sirena nel cervello che brama solo un "provaci di nuovo, Morgan, andiamo, siamo soli cazzo. Fallo adesso".
    Ma non posso, quindi stringo i denti. Mi appoggio con una spalla allo spigolo dell'arco.
    «Bene, ma ora Alice non c'è. Ora lo rifaresti?» Di nuovo, la processione del cazzo proprio non mi serve, grazie ma no. Sii sincero, non aspetto altro.
    Ho promesso ad Edie che ci avrei provato, quindi mi tengo questo fottuto modo che ho di fare le cose anche se cerco un tono più gentile, più garbato e che poco mi appartiene, per dirgli qualcosa di cui vorrei tenesse conto in futuro. Perché ho già detto che non intendo essere una minaccia per lui e la sua famiglia. Perché questo è adesso.
    Muovo appena una mano come a sottolineare quello che sto dicendo.
    «Li conosci i totem dei maghi neri, Morgan?» Suppongo proprio di sì, ma mi serve per introdurre il discorso. Spero abbia già capito dove voglio arrivare ma, nel dubbio, scendo nel dettaglio. Mi lascio andare ad un sospiro che accende l'Istrice, lo spingo ad agire, lo forzo perché si vedano punti dell'epidermide che, sotto i tatuaggi, lungo il collo, si alzino in piccoli aghi che rientrano. E' un po' come ringhiare in sordina, ma non è una minaccia e questo vorrei fosse chiaro.
    «Il mio è l'Istrice e se te lo sto dicendo è perché non accadrà due volte la stessa scena. » Non solo. «Te lo dico perché non l'hai sentito. E se non l'hai sentito, è perché non volevo niente di quello che è successo.» Adesso i denti li stringo davvero in una confessione palese. «Che tu mi creda o no.»
    ©

    Totem Istrice.
    E' solo attivo.
    Nome: Aghi Paralizzanti
    Requisiti: Simbolo Istrice
    Tipologia: Acquisita
    Descrizione: Se toccato come difesa automatica il Mago Nero indurisce il sangue in aghi che perforano l'epidermide conficcandosi in quella dell'avversario. Possono causare Linfa Vitale.
     
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    eanche io volevo. Non volevo finché ho iniziato a volerlo.
    Ma non sono certo che lui non volesse.
    Forse sono più propenso a pensare male della gente adesso, non saprei. Forse è che do più ascolto alla mia intelligenza emotiva. Forse sbaglio. Ma mi pare proprio che nonostante i tentativi, magari anche veri, di farla funzionare, lui non abbia voluto altro che quello che è successo all’ospedale.
    Sorrido.
    Mi chiedo se davvero crede che la punturina di un paio di aghi e sfruttare il mio sangue per i suoi incantesimi possa farmi retrocedere. Cazzo, sto tremando. Dopo trent’anni di inferno sto tremando di fronte al Totem dell’Istrice di Joshua Çevik.
    Sorrido, lo guardo fisso per qualche istante senza sbattere le palpebre e senza preavvisi di alcun genere, che sia un movimento della faccia o un respiro, inizio: «Sai che annunciare la tua strategia prima di metterla in atto è controproducente?», mentre lo dico mi volto e prendo a muovermi, un passo alla volta con lentezza in una direzione a caso nella stanza. Con le mani in tasca, la sigaretta bloccata tra le labbra che fa da filtro al suono delle parole. La cenere cade a terra quando le muovo per parlare e non me ne curo.
    «Statisticamente un’offensiva funziona quasi soltanto per l’effetto sorpresa», sfilo le mani dalle tasche per fare un gesto aprendole ai lati, le mani e le braccia, come in un cenno che scrolla le spalle anche se quelle rimangono immobili.
    Non mi fermo nel camminare.
    Non dirò che Joshua mi costringe ad essere stronzo.
    È una mia scelta esserlo adesso, è una mia scelta usare quello che ho imparato su di lui guardandolo e studiandolo come faccio per ogni cosa che mi gira intorno. Soprattutto se è una cosa che non mi piace.
    Ho pensato che Joshua fosse recuperabile, come ragazzo, come Mago Nero.
    L’ho pensato finché non ho smesso di pensarlo.
    E da quando ho smesso di pensarlo, sono cambiate un po’ di cose.
    Cambio traiettoria dei passi, ora giro verso la sua direzione ma per quanto sono lenti ho tutto il tempo di parlare. «Ma non hai le palle di fare davvero il pezzo di merda e non poterti più giocare la carta della vittima con Edie, contro di me. Vero?», lo dico con un sorriso che resta di sottofondo ma che gradualmente si va ad affievolire per mutare in un’espressione di palesemente finta pena, esasperata, così per sottolineare quanto sia una recita. «Non ci sarebbe più il povero, piccolo Joshua, che cerca conforto perché i cattivi che si credono eroi vanno a fargli la bua. Ti piace la sensazione del sacrificio? Ti fa sentire uno dei buoni, giusto?». Stringo le palpebre, corrugo le sopracciglia, piego la testa da un lato continuando a guardarlo con gli occhi che accarezzano una pietà fasulla.
    «Evitare lo scontro, sopprimere il tuo bisogno di spaccarmi la faccia». Prendo al volo la sigaretta con la sinistra e quella stessa la mano me la premo sul pettorale, tenendo il filtro tra indice e medio. Modello la faccia nel simulare una sensazione di sforzo, dilungandomi su quella prima vocale come se fosse davvero difficile trovarne dell’appagamento. Scuoto la testa piano, strizzando gli occhi su se stessi e premendo le labbra una sull’altra «Ah, quanto deve essere difficile».
    Sposto la mano per prendere un tiro dalla sigaretta al volo, un tiro rapido che si incastra nelle prime parole che continuano a fluire ora in un tono diverso. Più placido, ancora più calmo di prima, accondiscendente. «Ma va bene, perché gli eroi prendono scelte difficili. Si sacrificano per il bene di chi amano… ah, no, te l’ho tolta io quella possibilità. Cazzo, sono proprio un pezzo di merda, ti ho scippato il travestimento da eroe della storia e me lo sono messo io», e sorrido alla fine, di nuovo. «Ops» sollevo morbidamente le mani aprendole verso l’alto, con un fare che dovrebbe sembrare colpevole.
    Non è una buona performance questa.
    Direi che è più teatrale che cinematografica.
    Un attore alle prime armi.
    Mi fermo a pochi passi da lui, infilando di nuovo la sigaretta tra le labbra e questa volta tenendola lì. «Finito il monologo da eroe schizzato. Piuttosto, toglimi una curiosità», abbasso gli occhi sulla sua, l’elettronica che ha. «Com’è fumare quella roba? Mi sa tipo… non so. Sembra che te ne stai lì a succhiare il cazzo a un robot».

     
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    27.
    Finalmente ha le palle per farlo. Per dire quello che pensava fosse il mio piano dal principio, la mia idea di apparire sempre bisognoso nel cercare l'approvazione di Edie o le cure perché il suo ragazzo è fottuto coglione.
    Non l'ho mai voluto.
    Lui l'ha sempre creduto.
    Ed è qui che ne parla davanti a me mentre rimango fermo, sicuro del punto che ho scelto per una svariata serie di ragioni che spero sappiano passargli inosservate. Ancora, non sono io quello con idee fisse nella testa, che marciscono e si trasformano in poltiglia informe.
    «Ti sei risposto» è lì in una logica che non comprende, perché se gliel'ho detto è per dimostrargli la buona fede in cui non credere. Per spiegargli che se avessi davvero voluto il suo corpo contro il mio, l'avrei cercato in un altro modo.
    Ma no, lo spettacolo di Morgan il folle è solo agli inizi, ed io cazzo se me lo godo. Lo faccio anche quando la questione scende, accende punti più seri e la mia cortesia viene scambiata per una minaccia.
    Adesso gioca al mio gioco?
    Adesso lui fa quello che non faccio io, mi lancia pezzi di una carcassa come se fossi una fottuta iena, e lui il leone, il Re del suo piccolo mondo di merda. Magari ora crede sia più grande perché ha visto cosa c'è dopo la morte.
    Annuncio la mia strategia - che non sarebbe questa - proprio perché non la metterò in atto. E' così semplice che mi chiedo quante rotelle siano andate perdute negli ingranaggi del Calvario per riportarlo qui così in bilico. Ossessivo, lunatico. Cazzo sembra me.
    Mantengo questo modo che ho di seguirlo mentre parla, lo faccio perché inizio ad avere bisogno di un punto fisso, mentre i muscoli sono sciolti ed i nervi appena tesi. Non può logorarmi, non dopo Slater. Può provarci ed è ammirevole perché parla alla corruzione, anzi, si può dire che canti inviti che nemmeno nel triangolo delle Bermuda. Il fatto è che sono arrivato ad un punto in cui so bene come Edie starebbe meglio senza di me, e che se quindi per sfortuna capitasse di trovare in Morgan una vittima, e per questo in me un colpevole, non me ne priverei più di tanto.
    Succede questo, che non ci pensi a queste cose, quando il tuo sangue è in mano ad un Dio come Tharizdun, che c'è un risvolto della medaglia. Ma non sono così una testa di cazzo da non sapere quanto forte può essere Morgan Crain. Sono solo dell'idea che tenergli testa sarebbe divertente e, Cristo, fottutamente appagante.
    E lui continua, lui arranca in azzardi precisi, è bravo.
    Ho la gola secca.
    Riarsa come un fottuto deserto, ed è una merda ma cazzo se ci godo quando lentamente lo vedo impazzire. Voglio vedere che cazzo fanno tre giorni dilatati nel tempo del Calvario. Ed ecco qui la fatina che esaudisce i miei fottuti desideri.
    «Si, l'hai fatto.» Si è preso tutto quello che poteva, ma non starò certo di nuovo qui a piangere sul latte versato, tutt'al più che la sua è benzina sul fuoco e no, non ho neanche quel sadismo di chiedermi cosa ne penserebbe Edie a vederlo dire tutto questo ed in questo modo. Perché non ce l'ho? Perché lo ama, lo perdona, lo assolve sempre da ogni peccato e non esisterà mai un torto tanto grande da farle aprire gli occhi, o non se lo sarebbe sposato. E' cieca, ma io non lo sono.
    «Allora fai qualcosa per cui scusarti sul serio...» lo dico quasi tirandomelo via di dosso, come se gli stessi dicendo di uccidere il cattivo prima di impazzire del tutto, che sarebbe l'ultimo bel gesto, no? Poi la bella al castello sarebbe totalmente al sicuro.
    Ma la realtà è che è da dieci minuti che gli sto dicendo di starmi fottutamente lontano, e lui arriva ad un tiro di fumo da me. Devi essere veramente molto stronzo, si.
    Il cazzo di un robot, che fine umorista, mancava quel tocco di omofobia nemmeno così latente.
    Applaudirei se non sentissi le vene aprirsi quando si fa troppo vicino, se non sentissi il modo in cui il familiare bruciore preme perché si allunghino lame di sangue che, invece, non escono. Trattengo ogni cosa, ma non per molto, cazzo no, oggi non ho un solo motivo per non farlo. Neanche questa casa è un valido deterrente.
    «Vuoi provare?» un gesto con cui sfilo dalla labbra l'elettronica e gliela offro. «Belle scuse comunque, commoventi» ma gli avvertimenti hanno un tono che si abbassa, raschia in gola come il Rum quando è secca. Acido nelle crepe. «Ora tornatene a giocare nel cimitero degli elefanti.» L'ingresso si spalanca.
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    I
    l tempo delle scuse è finito nel momento in cui ha dettato un nuovo ritmo alla conversazione.
    Non riesco ancora a capire com’è che veda la realtà.
    Ho avuto difficoltà anche io, ero abituato a vedere la gente morire, tutti, non solo i soldati. Ero abituato che l’unico scambio possibile è violenza contro violenza. Ma io ero anche uno che a sei anni ha ucciso per la prima volta, e non una persona.
    Quando sono venuto qui poi ho capito come funziona il mondo, come funzionano gli esseri umani quando non sono in guerra. Certe cose, sono un po’ alla base. Com’è quella faccenda di fisica? Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, no?
    Io sono uno che si adatta ai ritmi degli altri.
    «Lo sto facendo adesso», giocare nel cimitero degli elefanti. Ma dipende da come la vede lui, dipende chi è chi. E di chi è la terra dei Re caduti.
    Secondo me, non è la mia.
    Nah, decisamente non è la mia.
    Io sono seduto sul fottuto trono del mio cognome. E per dirla in termini più vicini a quelli che lui potrebbe comprendere, ho conquistato tutto il terreno su cui avevo messo gli occhi.
    In un altro momento avrei pensato cose diverse, davvero. Tante cose diverse le ho pensate, in realtà, ne ho pensate molte su di lui. Ho cercato di capirlo, di giustificarlo, ho cercato di essere comprensivo. Però io ne ho le palle piene di cercare di salvare qualcuno che non vuole essere salvato, perché finisce sempre così, che mi prendo merda su merda per aver cercato di fare qualcosa di buono e no, non sono un eroe.
    Guardo la sigaretta elettronica e poi torno ai suoi occhi. C’è un sorriso che si apre solo nel tempo delle prime cinque parole e poi scivola via con il piegare lento della testa sulla destra «Non fare quella faccia, Joshua. Ti ci metterei un sorriso sopra, ma preferisco evitare che tu abbia accesso magico al mio sangue sai, invece, ti spiego una cosa. Se ti va, o anche se non ti va insomma, lo faccio lo stesso». Continuo più serio, così che sia evidente che ho davvero più o meno finito di cazzeggiare e quello che dico adesso è un’offerta. Non lo sto solo prendendo per il culo, non del tutto insomma.
    «Se mi aggredisci, io rispondo. In qualunque modo tu lo faccia. È molto semplice in realtà: causa ed effetto. Ci siamo? Se io ti chiedo scusa, e tu ti agiti in dimostrazioni di forza, anche un po’ patetiche fattelo dire, e insinui, e punzecchi e corrodi la pazienza della gente… questo è quello che succede. La gente risponde; io rispondo». Parlo molto. Lo so. Parlo davvero un sacco. Mi piacciono i monologhi, probabilmente è un vizio narcisista. Non mi dispiace particolarmente la cosa.
    Non indietreggio.
    Avrei comunque anche così lo spazio per spostarmi, o per incassare e muovermi abbastanza rapidamente dopo. Incassargli la testa contro lo stipite dell’arco. Sbattergliela così forte da piegare le ossa del cranio. Non in molti lo sanno ma a volte, le teste, non si spaccano davvero, a volte si forma un bozzo convesso, come un’ammaccatura nel metallo.
    È una cosa che mi ha sempre affascinato.
    Da un altro senso di potere, uno più sottile. Uno che ti fa entrare nel midollo la consapevolezza di poter modellare un cranio come se fosse di argilla, come se fosse un materiale sotto il tuo stretto controllo.
    «Onestamente, fosse solo per me, starei giocando a football con la tua testa in questo momento. Ma non è mai “solo per me”. Quindi, visto che abbiamo appurato che le palle non le hai, facciamo che smetti di essere aggressivo nei miei confronti ogni volta che condividiamo lo stesso spazio, e io giuro che chiudo in un cassetto i tutorial su come decorare le stanze con le tue interiora» allargo un fulmineo sorriso sulle labbra, vibra negli occhi e si scontra con la calma apparente del tono di voce. «Non ti chiedo molto, solo di rispondermi in modo neutrale quando dobbiamo parlarci per obbligo e ignorarmi per il tempo restante».
    Si alzano le sopracciglia, come nell’attesa della risposta, «Siamo d’accordo?» e solo alla fine prendo un tiro dalla sigaretta, dopo averla allontanata nel mezzo del discorso e riportata sul finire. Lo sbuffo lateralmente, piegando solo le labbra così da non dover muovere la testa lontana dalla traiettoria verso i suoi occhi.



    Edited by hime. - 22/8/2021, 16:46
     
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    L'inferno lo ha fottuto per bene. Eppure non sento nessun moto di rispetto nei suoi confronti. Proprio no, ed ancora meno quando lentamente scopre una carta dopo l'altra. E' sull'attenti molto più di me. Patetico
    Alla fine Slater aveva ragione, Morgan ha perso contatto con il terreno che calpesta ed è così sopraelevato nel suo cazzo di ego che non guarda dove mette i piedi. Continua a divertirmi il modo in cui salti da un lato all'altro della conversazione. Cristo ancora pensa di potermi insegnare qualcosa? Ma poi che cazzo di scuse sono queste? Andiamo, è durato un secondo netto in mia presenza e non ho dovuto fare un cazzo di niente: hai fatto tutto tu Morgan, come sempre. Per quello me la prendo con calma, può avere tutto il tempo che vuole sul palco, io trattengo la corruzione come fosse un mastino pronto al minimo cenno. Un cenno che non farò, ma cazzo se vorrei. Cazzo se avrei voglia adesso di entrare in quella sua testa, di aprirla in due e vedere la merda che ci ha infilato dentro negli anni e, la cosa meravigliosa che mi spinge un sorriso, è che potrei. Dio se potrei.
    Sono aggressivo. E rido, lo faccio perché sembra che i Crain siano fatti con lo stampo, uno appena più sensato dell'altro. Ma no, la cosa davvero divertente è che non sono io quello che deve scusarsi e sebbene siano loro, nemmeno quello riescono a fare.
    Questo sarebbe un bello scontro, lo so io e lo sa lui che magari già pensa di essere l'unico con frecce al proprio arco. La mia vera possibilità è che Faust non lo conoscono e conviene che questa cosa resti com'è: mia.
    Ci proverei anche a ragionare con Morgan, ma cazzo se è bello vederlo impazzire così come sentire le ante della porta cigolare sotto un alito di vento più forte. La cosa fantastica è che io non sto facendo niente, non li muovo io i fili in casa. Ma cazzo se ci vivo e tanto mi basta per avere qualche amico anche qui.
    Ma, dicendola tutta: Morgan ha rotto il cazzo, così come i suoi monologhi che logorano per sfinimento. Quindi mi do mezza spinta per tornare in piedi e non appoggiarmi più a niente. «Football, posso immaginarlo.»
    Perché se si aspetta che io abbia anche solo un briciolo di interesse nelle sue minacce che, a dirla tutta, vengono sempre prima delle mie, si sbaglia. Quando sei corrotto come me, tanto quanto me, la Morte non è una cosa che temi così tanto, e cazzo se vuoi giocartela fino all'ultimo respiro. Se non fosse che ho Chrys, Alice, Edie e un fottuto anello da rispettare, avrei già iniziato a muovermi.
    E invece mi tengo qui in bilico lungo una corda di elettricità statica, che Carmen sussurra seppur io non la stia chiamando, non ancora, vediamo fin dove Morgan vuole arrivare per rompere il cazzo.
    Quello che non sa, è che ho visto cose peggiori di lui. Cazzo anche io ho le mie paure, ma i Crain non rientrano in un quadro che profumi di timore, non per me, c'è solo puzza d'ego stantio e Dio, è quasi inebriante. Al contrario della sua smania di muoversi tra testa, collo, espressioni e quant'altro, io sono immobile.
    Non ha capito che le mie erano scuse, un modo come un altro per dirgli di smettere di credere allo stronzate che gli sussurra la mente.
    Uso movimenti lenti, ho solo bisogno di liberare entrambe le mani, per infilare l'elettronica in tasca e tenere le dita pronte. Al niente, ovviamente, sia mai che io aizzi Morgan che chiaramente ha detto che non attaccherebbe per primo, tuttavia è un richiamo così dolce che non cedere mi costa un dovuto sforzo del cazzo.
    «Quindi..» ricapitoliamo un secondo l'elenco di stronzate. Entri in casa mia, ti scusi solo perché c'era mia figlia quando hai dato sfoggio di te, cosa che ti ho lasciato fare per ovvie ragioni, e poi quando cerco di spiegarti come cazzo sono andate le cose davvero, mi spari un monologo da principessa Disney. «.. siamo a posto»
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    O
    rmai mi sono fatto un’idea piuttosto precisa del ritmo di Joshua nelle conversazioni con me. Ci sono due versioni, in realtà.
    La prima, quella più comune, è quella che si apre quando non gli si da ragione. Inizia tastando il terreno per vedere come si comporta l’altro, con un avvertimento che cerca di camuffare così la scusa del “non ho detto niente, hai iniziato tu”. Lo faccio anche io, non con lui, in altre circostanze lo faccio. È una tecnica che uso, sì, e la riconosco quando la vedo in atto. Poi, aspetta una reazione, su cui è pronto a puntare il dito per iniziare la fase dell’incassare; è una fase particolare perché serve sia per assorbire e caricarsi, sia per essere usata successivamente in caso serva. Diventa la base della terza fase. Quella della rispostina del cazzo da bambino che ignora la predica del padre; inutile, che nasconde apposta un po’ male tutta una serie di pensieri che ovviamente non posso dire quali siano, ma credo si attestino tutti sul solito “io ho ragione, gli altri hanno torto”, con qualche variazione di sorta. Qui, solitamente, le conversazioni si chiudono perché all’altro non resta che gettare la spugna, perché è questo il momento in cui ci si accorge di aver parlato per tutto il tempo con qualcuno che non stava ascoltando.
    O meglio, ascoltava ma soltanto quello che poteva essere utile alle fondamenta del suo pensiero fisso: io ho ragione, gli altri hanno torto.
    Non dico che Joshua non mi abbia dato ragione mai, per carità. Un paio di volte l’ha fatto. Ma chissà perché, incredibile, è stato sempre e solo quando ho iniziato con quel tanto di sottomissione verbale che gli dava l’impressione di essere in controllo, padrone della situazione, padrone della conversazione.
    Questa è l’altra versione, la seconda.
    Saprei come fare per prenderlo bene, Joshua, aprire un discorso che continua su una linea civile. Il fatto è che non voglio farlo.
    L’ho detto e ridetto parecchie volte: è cambiata una cosa fondamentale. A me non interessa più provare a salvarlo. Non mi interessa più provare a capirlo, e capire e analizzare sono due cose diverse, sia chiaro. Ho sempre e solo fatto io i primi passi, sempre, quelli chiari e cristallini per lo meno. Perché quelli di Josh sono sempre così perfettamente mascherati in modo da poterli ritirare, rigirare, per farli risuonare sempre a favore della sua immagine o della situazione.
    Non sono un manipolatore, ma ho vissuto vent’anni della mia vita con mio fratello che si attesta ad un livello piuttosto alto di abilità nell’ambito e mi sono addestrato a capire quando lo fa. Non sempre, non lo vedo così chiaramente sempre, ma l’atteggiamento è quello e Joshua ce l’ha nelle vene.
    Non è così bravo, ma se la cava abbastanza.
    Basta anche solo guardare chi ha intorno. Lilian, Chrys, vittime perfette per un manipolatore. Ed è triste, dal mio punto di vista almeno, perché relazioni come queste sono finte. Però sensato, perché Joshua penso abbia paura a farsi vedere per quello che è realmente. Come tutti quelli che vivono di maschere insomma.
    Me compreso.
    Poi ovviamente tutto quello che si recrimina agli altri, è rivolto a sé stessi in realtà. La differenza tra me e Josh è che io ne sono consapevole.
    E infatti mi viene da ridere, e lo faccio con qualche passo indietro piegandomi in avanti, anche se di poco, nel moto della risata. Prendo la sigaretta per spostarla dalle labbra. Una risata profonda e di gusto, perché mi fa davvero ridere tutta questa situazione. Non l’avevo predetta fino a questo punto, devo essere onesto, pensavo che evitasse di farmi vedere il suo totem e quelle puttanate da cattivone mega oscuro. Ma insomma. Non sono venuto qua per avere delle risposte perché tanto lo so, ormai, che con Joshua non si può avere una conversazione reale.
    Volevo solo dire delle cose.
    Così, per poi dire “te l’avevo detto”, che è una cosa che ogni tanto mi piace. Soprattutto in certe situazioni al limite.
    «Va bene, Joshua. Va bene», calmo la risata e mi raddrizzo, riprendendo la sigaretta tra i denti, il filtro schiacciato tra la mascella dischiusa per poter parlare. «Un’altra cosa, poi mi eclisso dalle palle e ti lascio a fare l’emo nel tuo covo da superfan di Twilight», le mani tornano nelle tasche, il volto si distende in un’espressione più tranquilla. «Sarò civile perché sei il fratello di mia moglie. Ma al prossimo passo falso, che sia con Slater o da solo, o con il prossimo demente che riesci a manipolare e assoggettare alle tue necessità, non chiuderò gli occhi».
    Tranquillo sì, ma anche gradualmente più serio.
    «Non rompermi più i coglioni, né a me, né ai Cacciatori», chiudo le labbra intorno al filtro per prendere un tiro profondo, lasciandolo uscire dalle narici poco dopo. Resto fermo solo per capire se ha qualcosa da dire, ma sì, ovviamente, ovviamente, questa è una minaccia. Neanche tanto velata.

     
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    Vorrei dire che la sua è come la risata del Joker, ma la verità è che fa pena. Al punto che un po' me le tiro su le labbra per fargli compagnia, ma aspetto che finisca. Adesso, ancora di più, non mi piace che siano queste le condizioni di Morgan vicino ad Edie. Vicino a quei bambini che tanto ha fatto per dimenticare nei mesi e per lasciar crescere con la consapevolezza che lei, più di tutti, avrebbe navigato nella merda per lui. Dio che spreco del cazzo, non ho cercato una vita perché mia sorella la sprecasse con lui.
    Però ho deciso che non sono più cazzi miei, fino ad una certa ovviamente, ma oggi più che mai che dal mio fallimento hanno forgiato le fedi che indossano.
    Avanti, puoi fare di meglio. Lo impongo solo per me, quando è palesemente patetico tutto quello a cui mi tocca assistere. Ed anche questo è tipico dei Crain, fottersene un po' il cazzo dell'insofferenza delle persone, entrare in un posto, liberarsi di un peso e togliersi dal cazzo. Per quello aspetto, mi fermo nel momento in cui lo farà anche lui, che tanto ha poca voglia di star qui e ne ho meno io che ci stia. Però oggi è un folle.
    E così non voglio che torni da Edie tanto velocemente, che la Corruzione mi suggerisce mille modi per tenerlo qui con me, amabilmente immobile in una casa che sa costruire pareti in mezzo secondo. Faust lo vuole.
    L'unica cosa che gli riconosco, è che in parte ha smesso di considerarmi una damigella in pericolo, un tarlo per me stesso, che in fondo avrà almeno capito cosa significhi compiere una scelta di cui no, non mi pento. Lo rifarei sempre, forse anche sapendo che sarebbe arrivato lui due mesi dopo a vanificare il sacrificio del mio sangue. Per questo non mi sto illudendo di essere una brava persona, andiamo, con cazzo che lo sono.
    E so quanto bello sia vivere fingendo di aver visto sempre di peggio di ciò che ci si trova davanti e penso sia il suo caso. Sarà anche grande grosso e pieno di denti per mordere, ma io non vedo altro che Ego. E Dio quanto vorrei prendere un ago e vederlo volare molto, molto distante da me. Da noi. Fremo un po'.
    Le dita vibrano di questo cazzo di desiderio che ho di smettere di controllarmi, che tutto è una dimostrazione di governo sulla corruzione piuttosto lodevole, me lo dico da solo. Ma so anche che essere degli avventati di merda non porta a niente. Ma cazzo se lo vorrei.
    Mi convinco sempre che non ne vale mai la pena, non quando la sua vita sarà misera già così, già per come la mente sappia chiudersi intorno a concetti stagni. Me lo dimostra ora, che per lui devo tornare a fare l'Emo, perché non può attaccarsi ad altro che non a quella "vita" che va vissuta solo secondi i suoi modi ed allora tutto il resto è un insulto. Rido io, ma non come lui, i miei sorrisi sono un passo avanti dopo l'altro a canini snudati. Un po' come dire che ora sì, ha rotto il cazzo.
    E sì che la minaccia l'ho colta, e mi è pure piaciuta a dirla tutta. Finalmente, vorrei dire.
    «Oh no, Morgan, non devi proprio chiuderli mai.» Guardami, tienili puntati su di me nell'attesa di un solo passo falso, perché se è così ti terrò occupato molto, molto a lungo.
    E sul non rompere i coglioni vorrei fare una piccola aggiunta del cazzo, fondamentale però. «Fuori da casa mia» che fingerò di non aver sentito per cinque secondi.
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    orrei non l’avesse detto. O vorrei anche aver capito male, però temo di aver capito proprio bene, invece.
    Dare la caccia a Joshua non è una cosa che vorrei fare.
    Dico davvero, vorrei soltanto ucciderlo. E non è che cacciare non mi piaccia, anzi, mi piace proprio la sensazione che mi da quando mi sento diventare il fiato sul collo di qualcosa. Però con lui durerebbe troppo poco e non avrebbe senso, non la chiamerei neanche caccia. A quanto pare non è capace di tenere un basso profilo, quello con “la voce che ha stregato migliaia di ragazzine in tutta l’America” – non è difficile dire poi perché rido anche soltanto guardandolo.
    Sarebbe troppo facile, riassumendo.
    Quindi vorrei non mi avesse avvertito. Avrei preferito non so, beccarlo con le mani nella marmellata senza dovermelo tenere nel cervello per tutto il tempo. Cosa che, anche questa, non è tanto difficile, visto che tra lui e Slater non so chi sia più incapace a non lasciare tracce evidenti. Signori “scriviamo di Edie incinta quando l’unico che lo sa è Josh”. Furbissimi.
    Però me l’ha detto.
    Che palle.
    Adesso devo tenere gli occhi davvero apertissimi. Mai, mai, mai chiusi. Che se Joshua esce fuori dal cono dall’attenzione poverino ci resta male.
    Funziona così con le persone che vivono di altri.
    Anche se non so se, nel caso suo, sia perché ha un vuoto dentro simile al mio che ha bisogno di riempire, o perché è semplicemente una merda e non riesce ad accettarlo, e quindi deve avere nella testa le voci di altri che gli dicano che non lo è per riuscire a crederci.
    Immagino lo scoprirò prima o poi, tanto non ho un cazzo da fare di più importante. Solo sistemare il casino del patto di Den, solo l’Apocalisse, che sarà mai. Niente che possa minimamente paragonarsi all’importanza di Joshua Çevik nella mia esistenza o in quella di tutti.
    Anche se sono convinto che gli piacerebbe.
    Gli piacerebbe essere così importante anche per me.
    Chissà, magari invece ho capito male e ha parlato come un fottuto indovinello del cazzo solo per fare scena ma in realtà è abbastanza furbo da evitare i Cacciatori. O non so, forse faccio meglio a sperare che colleghi due neuroni e capisca che non è il caso di mettere di nuovo nella merda Edie, che adesso è una Crain. Non è solo una formalità prendere il cognome di una famiglia come la mia.
    Per un attimo ci penso a quanto sarebbe semplice ucciderlo anche ora.
    Non credo si aspetti una mossa tattica, anche se basilare, da parte mia. Penso che mi veda come una specie di bestia che non è capace di ragionare e che quindi gli salterei addosso. No, non penso sia abbastanza addestrato da capire che se vuoi uccidere qualcuno per davvero, quello che devi fare a questa distanza e in una situazione del genere, è fargli un buco in fronte. I proiettili sono troppo veloci per la magia, e io sono troppo veloce a entrare in puntamento.
    Per un attimo ci penso.
    Un attimo che si allunga nella mia testa come un abbraccio.
    Ma non lo farò, perché mi piace dire “te l’avevo detto”. Cazzo quanto mi piace.
    Sussulto di proposito aprendo un po’ gli occhi, come se mi fossi riscosso da un pensiero in cui ero annegato anche se è stato breve, brevissimo, «Oh cazzo, scusa». Prendo la sigaretta, la trascino via con un gesto rapido. «Vado via subito» lo dico con un tono che sembra costernato, dispiaciuto.
    Ovviamente si consuma tutto in un sorriso, più un ghigno ma non importa che cosa sia. «Ciao Josh», sollevo la mano con la sigaretta in cenno di saluto mentre mi volto per dargli le spalle e muovermi verso la porta. «Ride bene…» lo lascio in sospeso, a voce più alta mentre mi “eclisso” come avevo detto. Si completerà da sola nella sua mente e probabilmente penserà che è lui, quello che riderà per ultimo, ma le illusioni si lasciano agli illusi.

     
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    Siamo sempre qui, e direi che cazzo le sue scuse sono proprio state sentite. Lui vuole ancora staccarmi la testa, io voglio ancora rispedirlo nell'Inferno da cui è miracolosamente uscito e tenercelo con la testa premuta nella lava finché non soffocherà. Ma sono tutte gentilezze che ci facciamo nel non rendere cristallino l'ovvio. Che no, mi dispiace Edie, ma così non so farla funzionare.
    E' palese il modo in cui voglia aggiustare le cose con me per renderle "civili", per usare un termine di suo fratello. Peccato che non abbia più alcuna voglia di ridere, io.
    Ha rotto il cazzo, in casa mia, quindi che la prenda seriamente o meno, la minaccia non aveva alcuna intenzione di essere coperta. E' qui, come lo è stata la sua dal momento in cui ha messo piede qui dentro. Ma è ironico vedere come si prodighi nel sottolineare con tutti i colori nel suo astuccio quanto sia una merda.
    Deve togliersi dal cazzo, e farlo in fretta, perché se spera che io devi anche solo mezzo passo solo perché gli piace aprire lo sterno e fare il bullo, si sbaglia come sempre.
    Magari la merda che ho visto io, non sarà la stessa che ha visto lui, ma non me ne frega un cazzo quando è nel mio territorio. Ed io sono un fottuto stronzo possessivo, rasento l'ossessione e ci vado a braccetto da più di quanto faccia lui, quindi gli conviene non divertirsi così tanto a contraddirmi.
    Che davvero, ho le vene lungo il polso già ai limiti del taglio. Cristo come vorrei manipolargli il sangue adesso, anche solo per vedere come cazzo sia possibile che stia camminando come se niente fosse.
    Ho bisogno di uno scontro che soddisfi i miei fottuti desideri e Dio se vorrei che fosse adesso. Tanto che me lo tengo nello sguardo il punto di non ritorno, cosicché lo veda e quasi gli venga voglia di farlo il mezzo passo di merda che basta a legittimarmi. Che io non faccio parte dei buoni, quindi non mi serve una scusa per dichiarare chi ha attaccato per prima. A lui piace l'effetto sorpresa no? Bene perché è ad un millimetro dall'avere ciò che vuole.
    Che mi guardi, che mi segua, che rintracci le mie mosse e si ossessioni con quello che potrei o non potrei avere fatto. Che gli entri nel cervello, così poi saprò io cosa farmene di quello che pensa. Che dorma con un occhio aperto, perché nemmeno in quel caso sarà lontano da me.
    Ma anche se stringo lo sguardo su di lui, l'unica cosa che so pensare è che voglio che lo faccia il passo avanti contro di me. E invece niente, peccato. Si gira e prova a tenersi l'ultima parola anche adesso. Certo Morgan, ma ride bene chi «.. può ancora farlo» anche se me lo stringo trai denti mentre allungo passi fino allo stipite della porta, ora ha smesso di agitarsi. Lo so che è Ophelia, e so che non le piace quello che sente e che vede qui, credo non rimarrà molto, ma oggi la sua isteria non mi è dispiaciuta per niente, ha fatto da sfondo al monologo di Morgan Crain. Oh, cazzo, avrei dovuto applaudire?
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