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Josh & Edie | 5 Settembre | Doe's Pub - bRONX

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    So come funziona quando io sono lo stronzo dei due. Lo sento in tutti i modi possibili anche se no, non lo do a vedere, non ci riesco finché non torno da Chrys. Allora posso bere da solo guardando il muro davanti a noi e le sue parole fanno solo da contesto, riempiono il silenzio. Mi aiutano, fissano punti saldi nella testa che tracciano uno schema: sempre lo stesso. So come funziona perché da quando Edie ha una vita, questa è la mia parte. Dopo aver sperato per anni che in qualche modo, con qualsiasi fottuta possibilità, ci fosse un buco nel tempo dedicato a lei, mi ritrovo a fare da spettatore. E mi sono detto che deve andare bene così, che piuttosto di niente, almeno è viva. Almeno vivrà, o questo sarà finché qualcuno che cerca vendetta sui Crain arriverà a lei ed è un rischio che muove ringhi più bassi, tanto che agita anche la corruzione perché cazzo se succedesse allora venderei di nuovo la mia anima per avere tutta la forza che resta e staccarla io la testa di Morgan. Una volta per tutte.
    La deriva dei miei pensieri è un cazzo di corso naturale. Io sono l'antieroe. Ma non sono qui per questo, ovviamente no, sono qui perché la sto perdendo. Certo per lei sono qui a bere come "i vecchi tempi" e tutta una serie di stronzate che ci piaceva raccontarci quando la notte ci spaventava troppo. Ma la realtà è che mi sfugge tra le dita e non posso più sopportarlo. Devo farla quella cosa che serve ad unire, che mi piega più in basso che mi ricorda che non può esistere solo bianco o nero, non se poi soffro come un cane ogni volta. Solo che non ho voglia di parlarne davanti a suo marito. Non penso vorrò farlo mai, che ogni volta resto in bilico con il sangue in fiamme. So che è colpa mia, sono io che permetto alla Corruzione di nutrirsi di odio, ma cazzo se dopo ne esco più forte, ogni volta più della prima, come se in fondo non fossi fatto altro che per questo. Come se fosse rinato per rendermi più solido, più duro, più concreto. Però ecco, anche questo resta indietro, molto fuori dalla mia portata, lontano da dita che si stringono appena attorno al cellulare. Lo rimetto in tasca, le ho solo scritto che sono arrivato, ma non metto piede oltre la porta senza di lei. La aspetto fuori, con la schiena appoggiata di fianco alla vetrata. Cazzo quante volte Tom ha dovuto ricostruirla? Mi ricordo quella volta che ci sono volato attraverso, Dio che male. Ero convinto di essermi spaccato la schiena, per fortuna era solo qualche costola, niente che Osmar non sapesse aggiustare. E' stato il subconscio a scegliere il Doe's, a convertire l'invito a cena che mi ha lasciato, in un "beviamo che cazzo non voglio niente altro, e pure tu, grazie". Ed ha fatto bene, perché il passato non voglio evitarlo, mi ci voglio immergere per ricordarmi com'era stare con Edie nel modo in cui non sappiamo stare adesso. Io, io non so stare adesso. Le devo almeno una sera, una in cui possa sembrare che non ci sia il burrone di Slater a dividerci o tutto ciò che io piano piano sto diventando. Ho bisogno di respirare.
    E cazzo, forse ho anche bisogno di essere sincero come non lo sono stato tutti questi mesi, quando i nervi si sono testi nella lotta perenne contro Morgan, e dopo sono rimasto incastrato nelle ombre. Da cui certo poi tornerò, ma non posso non pensare che se tra noi qualcosa non va, sia colpa mia. E lo so che Edie lo sente ma che fa finta di nulla, lo fa per non dover aprire gli occhi. Ora vorrei essere in grado di spostarle le mani dal viso e farle vedere che c'è ancora qualcosa, che io ho bisogno ci sia. Che posso perdonarla se non sarò più al primo posto, e forse questo solo perché lo sono per altri. Per Chrys, per Alice.
    «Dimenticarsi di questa bettola è illegale...» la ammonisco non appena la vedo, solo perché è la prima cosa che mi viene in mente, insieme ad un sorriso che cela una serie infinita di fottute preoccupazioni ma che poi invece mi porta a staccarmi dal muro per stringerla a me. Stavolta me lo prendo il cazzo di tempo di cui ho bisogno, non come a casa sua che ho risposto solo perché dovevo, non perché mi sentissi a mio agio. Non mi ci sento più, non lì. Qui invece si. «Ehi» Ciao, Edie. Questo lo sussurro dopo averle lasciato fiato. «Andiamo, devo allenarmi per l'addio al celibato del secolo» Rido
     
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    Sì, è ovvio che non avrei mai detto di no a finire a fare una serata così, perché in fondo, sono sempre io. Anche se sì, so anche che sono cambiata. Per forza, anche se con difficoltà e con tante incertezze, ma in quel modo necessario che è arrivato all’improvviso sulla pelle. E non parlo di Morgan, dei bambini, di tutto quello che è successo. Parlo dell’inizio, di quando qualcosa è scivolato via dalla mia pelle e l’ha cambiata, senza darle più quel senso che la consumava ancora ed ancora giorno per giorno, e invece l’ha lasciata libera. Sono cambiata, questo è un fatto. Cambiata in un modo che mi ha fatto sentire sempre più, come se ci fossero solo dita strette a tutto quello che non volevo perdere. Eppure, eppure alcune cose le ho perse. Lo stesso, anche per quanto ho provato e provato ancora, e mi sono screpolata le dita, e le ho consumate, a furia di provarci senza smettere mai. Le ho perse lo stesso. Ho continuato, così, a guardare buchi sempre nuovi, e sempre più grandi. E infatti, infatti, ho pensato anche che non volessi più niente di niente. Niente e basta, in giorni che sono stati settimane e mesi confusi, in cui tutto quello che sentivo era davvero solo una perdita continua. Come se ci fosse un foro, da qualche parte, che continuava a lasciar scivolare via questo e quello, e lasciasse solo vuoti duri dentro di me. Ma sono, qui, adesso, e quel senso si è mitigato, poco alla volta, giorno per giorno, anche se guarito non lo è mai per davvero. E non può farlo quando c’è sempre quel pezzo, il primo, che ancora sento allontanarsi così, e io non so più che cosa fare. Penso a quanto forse avrei dovuto, mesi fa, parlargli per davvero, e dirgli della Purificazione, e del perché dopo tutto questo tempo, e dopo averla rifiutata così tanto, sono invece andata a cercarla. Ma mi sembra passato ormai troppo, mi sembra tutto talmente lontano da sembrare la vita di qualcuno di diverso. Qualcuno che non vorrei essere io, quando tutto quello che vorrei è tuffarmi di nuovo in qualcosa che conosco, e conosciamo. Ma non so come fare. E non so più dove girarmi. Ma non mi fermo, come non l’ho mai fatto, mai, neanche per un secondo. Anche se ho dovuto girarmi altrove ultimamente, e farlo quando ci sono nuove routine, nuove vite di cui occuparmi e che mi trattengono talmente tante ore, che spesso sento di aver bisogno solo di dormire. Non in quel modo pesante che ho sentito mesi fa, ma in quello che invece, mi lascia qualcosa di soddisfatto nelle ossa, non appena sfioro il materasso e so di avere solo qualche ora prima di risvegliarmi un’altra volta. Lascio andare un respiro che sa di fumo denso fra le labbra, mentre ho passi che si muovono spediti verso un punto che non ho mai dimenticato, e che è stato teatro di tante cose che, anche loro, sembrano quasi fotografie nella mia testa. Video che posso scorrere come sullo schermo di un computer, per ripescare tante cose che anche adesso, anche ora, non posso e non voglio dirmi siano solo un passato che non può essere più riafferrato. Non spero che fra mio fratello e Morgan le cose vadano meglio. Spero solo che possa esserci di nuovo un noi che sia mio e suo, senza troppi limiti, troppe distanze, troppe sensazioni che si arrampicano e mi portano solo strette al petto, allo stomaco, e mi fanno ripetere, ancora ed ancora, tutti quei punti in cui ho sbagliato, ho fallito, e tutti quelli in cui avrei dovuto fare di più. Ma sono sempre stata così, piena di volontà che poi ad un certo punto si immobilizzavano, anche se restavano lì ad ardere, non sapevano mai fare quel passo in più. Non ne sono mai stata capace, e ancora sto imparando ad esserlo. Alzo lo sguardo dal marciapiede, sciogliendo il volto in un sorriso e facendogli un gesto del capo da lontano ancor prima di essergli vicina. E penso sempre troppe cose, davvero sempre troppe, anche mentre mi muovo appena più veloce lasciando cadere la sigaretta per finire dritta nella sua stretta e lasciarmi andare lì per qualche secondo, come sfilando via sensazioni che mi sono mancate e che ho bisogno di sentire. Per dirmi che è qui, e che posso ancora fare tutto. Tutto per lui. Stringo appena le labbra mentre mi sposto per guardarlo, e lasciare un sorriso ancora contro le labbra. «Mai più di quanto devo allenarmi io, voglio dire ricordiamo tutti che ho passato nove mesi da, facciamo finta, totalmente astemia. Non hai idea di quanto sia ridicola la mia attuale resistenza alcolica» mi scosto del tutto, guardandolo ancora un po’ prima di smuovere la testa con un gesto che non è altro che una teatralità che imprime un dovere nello sguardo, per quanto fittizio. «E sia mai che facciamo brutta figura in merito, sarebbe davvero uno scandalo»
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    Dio, se mi era mancata. E lo so che sembra una stronzata vista da fuori ma davvero, davvero non lo è quando la stringo un po' di più e mi trovo a respirare senza esserne convinto. C'è ancora. Cazzo se invece dovrebbe voltare i tacchi ed andarsene, starmi lontano, perché non sono più sicuro che sappia chi sono davvero adesso, nella realtà che si impone su di noi. Su una cosa Morgan potrebbe avere ragione, e me ne rendo conto subito: quello che le farà più male sono io, io che in fondo in questa vita devo viverci per forza e che non riesco più a tenere separati due mondi in costante collisione. Io che nel ritrovarmi so perdere tutto ciò che ha amato di me. Ma no oggi, me lo dico a forza, che non è oggi quel giorno. Ora sono qui per ricordare che non smetterò mai di esserci, che mi impegnerò più di quanto non abbia fatto anche se.. beh, anche se mettere piede in casa sua è un cazzo di casini ma ci arriveremo. Per il momento so godere anche del niente che ci sfiora le labbra.
    Sono tutti gesti, i miei, che vanno in automatico, come gli angoli della bocca che si spostano o gli occhi con cui sorrido a quello che siamo stati e che vorrei essere ancora un pochino. Ci sono tante cose, forse troppe, di cui dovremmo parlare ma... «Ci penso io a te, si» A questa cosa che l'alcol non lo regge più come prima, che in fondo davvero vorrei che fosse felice e vorrei esserlo anche io, con lei, insieme come quando venivamo qui con gli altri. Che tutti erano intercambiabili ma non Edie. Nel dirlo e nel pensarlo, le avvolgo un braccio intorno alle spalle, come fossimo due cazzo di quindicenni.
    Ed è appena apro la porta del cazzo del Doe's che le immagini si sovrappongono e per un secondo, solo uno, mi tolgono il fiato. Non è cambiato niente qui dentro, c'è sempre il tiro a segno inclinato a sinistra, lo strappo alla tela della bandiera americana sul soffitto, la disposizione casuale di bottiglie vuote e piene dietro il bancone. E, ancora, Tom che non è cambiato di una virgola se non per la barba bianca e l'espressione più stanca. Entravamo qui come fosse casa nostra ed improvvisamente lo diventa più di quella vera, almeno per me. Ci sono le polaroid appese al muro vicino al bagno, talmente ingiallite che sono certo ci sia ancora quella foto di dieci anni fa. Cazzo, dieci anni.
    Ma insomma supero il bancone, cenno a Tom che ci guarda con l'espressione incredula di chi è pronto a dire "chi non muore si rivede, e credevo foste morti da un secolo". Forse c'è anche una punta di dubbio, che lo so già come sarà una delle ultime volte in cui potrà muovermi per locali senza mascherare la mia presenza.
    E' la nostalgia che mi porta a scegliere lo stesso angolo, nel tavolo che si curva in fondo, abbastanza distante per vedere il bancone e con la possibilità di appoggiare la testa al muro e respirare l'unto che esce dalle cucine. E' un profumo, nell'insieme, che mi inchioda lo stomaco.
    «Questo posto è un cazzo di ricordo vivente...» lo dico sempre con questo fottuto sorriso addosso, quello che sembra farmi rivivere tracce di un "me" che non esiste, che anche allora ero pronto a dare via tutto per lei.
    Gretchen, ad esempio. Il primo bacio gliel'ho dato nel tavolo più in là, quello vicino alla finestra opaca. «Vuoi andarci giù piano?» con me, con l'alcol, con qualunque cosa, è un po' indistinto nella testa. «O...?» o no?
     
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    È facile adesso vedere quanto siamo andati lontano e quanto intorno a noi le cose siano diverse. Lo sono per forza, in quel modo imprescindibile che immagino abbia la vita di far cambiare tutto, fino a renderlo qualcosa che nel guardare indietro, da quella punta malinconica sulla lingua. Erano tempi diversi quelli in cui venivamo in questo stesso posto, e per me non esisteva niente al di fuori di quel punto ristretto che era lui, era papà, quando tutto il resto diventava un rifiuto continuo di serrare dita su qualsiasi cosa. Me ne sarei andata, e pensavo di dover essere, e di essere, soltanto il fantasma di una sensazione che non era fatta per durare. Non stavo andando da nessuna parte, nessuna e basta, e alzando gli occhi di fronte a me vedevo solo quello stesso destino che era stato scritto nel sangue, che era lo stesso che mia madre, prima di me, aveva stretto sulla pelle fino a sparire. Adesso, adesso sento qualcosa di diverso, come l’eco di una marea che alza il livello del mare e quasi sembra voler dire che da sola, può sommergere tutto. Ma tutto, c’è. Esiste, ed è una realtà che nello scivolarmi addosso, ha riempito anche tutti quei punti che erano rimasti vuoti, appesi contro pareti spoglie come cornici senza foto, ma lasciate lì solo come sfregi. Anche nel sentire Josh, qui, con tutto quello che si alza e si muove, so anche quanto esista ancora quella necessità, quella volontà di restare in un punto che sia lo stesso, e non disperderci come denti di leone che si spezzano contro il vento. Credo che questa sia una cosa importante, più di tante altre. Quel dirsi io resto, senza dargli voce, ma solo lasciandolo esistere così come esiste adesso, anche quando abbiamo imparato che il mondo ha dita che sono dure, e cercano di separare come di aprire e slabbrare ferite così da non farle guarire mai. Non posso lamentarmi davvero, come non posso mai, anche se quello che vorrei è qualcosa di diverso, il sogno di un sogno in cui tutto corre tiepido e tranquillo, e niente si alza con forza per far male. Non so dirmi che è impossibile. Non ancora. Non so mai rinunciare davvero quando si tratta di lui, e so solo pensare quello che ho sempre pensato: che qualcosa dovesse esistere anche per lui. Mi stringo un po’ di più contro il suo fianco, entrando con un respiro che scivola nelle narici e sembra voler trascinare qualcosa con sé, odori di ieri ed oggi che si mischiano per essere compresenti nell’aria, e farmi volteggiare da un punto all’altro come guardandoli da enormi finestre che me ne fanno scorgere il movimento. Le stesse pareti, le stesse sedie, lo stesso bancone, lo stesso tavolo che se ne sta lì nello stesso punto, e un sorriso che si disegna sulle labbra leggero come il sapore di un ricordo dolce. Mi siedo sfilandomi piano da lui per togliere la borsa, lasciarla a terra vicino ai piedi prima di poggiare le braccia sul tavolo e lanciargli uno sguardo che sa di qualcosa di complice. Qualcosa che è qui, e siamo sempre stati noi. «“Piano” è per mammolette, e noi non siamo mammolette» lo sbuffo con un sorriso, scuotendo appena la testa con un fare che si finge solenne, anche lasciandomi un sorriso sempre lì, irremovibile sul volto. «Moscow Mule, se proprio non vogliamo andare dritto di shot»
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    Sono un malinconico del cazzo. E lo dico che ci ho provato a non esserlo, davvero mi ci sono impegnato con ogni forza a dire che la cosa più importante è sempre andare avanti. Mettere un piede dopo l'altro ma, ma se poi tutto resta uguale allora perché non fermarsi un attimo. La verità, però, è che niente è rimasto come prima e non mi sta bene. Non mi sta bene non riuscire a parlarle o doverla trascinare fuori casa per riavere un "noi" che si è spezzato. E non sto facendo il ragazzino del cazzo, non ho mai avuto grandi problemi con gli stronzi che frequentava negli anni, è che Morgan ha un trascorso diverso. E no, no io credo che non lo accetterò mai, è più forte di me, è il sangue che scorre nelle vene e si ribella al nemico naturale. Questo siamo. Ed è diverso da come potrebbe con qualunque altro mago nero, perché sappiamo entrambi che io ho ucciso. Io continuo a farlo, ho solo spostato il focus tenendomi distante dai cacciatori e, beh, questo l'ho fatto per Edie si, perché non succeda quanto è successo mesi fa, che non vadano da lei per arrivare in qualche modo a me. Tanto che se dovesse, ora so che mi farei trovare per primo, sempre, anche a costo di piantarmi fuori dalla loro porta di casa. Che ci sarà già Crain ad incasinarla. E no, lo so, mi sono chiuso qui. Ma non significa che lei non sia forte, Dio penso sia più forte di tutte noi teste di cazzo messe insieme ma, beh non era la vita che volevo per lei. E sì, ora lo dico con una certa tenerezza nel tenermelo in testa. Perché ha scelto lei come vivere, ed era giusto che fossero sue le redini di qualcosa che, in fondo, non le ho dato io. Quindi so anche come la mia espressione sa farsi più pensierosa, storco le labbra e fingo sia per tutti i ricordi che mi assalgono. «Sarà sempre un po' casa.» Il posto, tu, la cosa è indistinta nel momento in cui mi affiora senza controllo.
    Lo dico che mi faccio più comodo sul divanetto imbottito. In alcuni punti la pelle è lacerata, ma non sarebbe il Doe's se fosse tutto in ordine. No, a me piaceva perché qui vige il caos e ci venivo ogni volta che ero stanco di controllare l'incontrollabile, di stringere redii invisibili che poi esistevano solo per me. Allora potevo permettermi di non pensare a come il tempo la stesse portando via, al vuoto lasciato da mamma o il modo di Osmar di impazzire lentamente. «Vedremo se davvero non lo sei, quasi astemia.» le faccio eco in mezzo sorriso che sto già alzando la mano verso Tom. Lui borbotta, ma non importa, forse accenna qualcosa sul non essere cambiato di un cazzo, e mi importa poco anche questo. «Due Mule, e poi se hai quel Rum, sai dove lasciarne una bottiglia.» Punti il dito al centro del tavolo. Ordino io, alla fine mi viene facile, così come a Tom il sorridere e mostrare quei denti impiantati in momenti diversi della vita. Cazzo un mosaico orrendo, tanto che poi mi fa anche piacere che si tolga dal cazzo.
    La guardo, lo faccio davvero, senza i veli del cazzo che ci piantiamo addosso ogni volta, che poi lo sa sono il primo a farli sempre cadere per poi rimboccarle le coperte quando è troppo.
    «E' stato un mese intenso, mh?» E io sono stato una merda, ma facciamo un passo alla volta. Parlami ancora.
     
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    Di case ne ho avute molte, nella mia vita. Ricordo ancora la prima, l’unica che ci abbia visti tutti insieme, Joshua, papà, io e mamma. Me la ricordo ancora, anche se sembra solo il ricordo di un sogno che qualcuno ha fatto e mi ha lasciato cadere nella testa, fra parole che assomigliano a racconti per bambini. Me la ricordo, come ricordo la prima casa di New York, quando ancora eravamo Josh, papà ed io. E poi sempre meno, irrimediabilmente. Sempre meno, di volta in volta. Finché non c’è stato quel monolocale che è rimasto mio per molti anni. Molti. E poi anche quello è diventato solo un pezzo di una storia che ancora, qualche volta, è difficile conciliare con tutto. Con ogni cosa che esiste adesso. Forse è che quella è una storia che conoscono in pochi, la mia storia, e nell’essere rimasta un segreto, quasi mi sembra che sia, qualche volta, solo un racconto come di qualcosa di mitologico, un incubo che affiora alle labbra ma non è mai esistito davvero. Ma lascio andare pensieri che s’incastrano solo per una familiarità che si fa presente, e quasi un po’ mi trascina indietro. Lo fa nel modo in cui mi sistemo, e in cui penso di essermi sistemata mille volte nello stesso posto, come se per un attimo cadessi in un loop antico che è stato parte di quei bisogni ripetitivi che sono sempre stati miei, e che hanno sempre chiesto meccanicità nel premere il mondo in una frequenza che potessi accettare. Lo guardo con un sorriso, perché so anche che sì, questo mese è stato intenso. Davvero, e in mille modi. Solo poco più di un anno fa, non credevo ci sarebbe stato qualcosa per me. Non credevo che avrei avuto dei figli, mai. Non potevo, perché non volevo accettare il rischio di passare quello che mia madre aveva passato a me, e se anche quello non fosse stato un problema reale, non volevo lasciare quel vuoto che è esistito per me, per Josh, e che ci ha segnati fin da subito. No, volevo solo essere qualcosa di passeggero per chiunque, quando già sapere cosa comportava la mia esistenza per lui, per papà, era qualcosa che nel petto gravava con forza. Non mi aspettavo questo. Non mi aspettavo dei bambini, un matrimonio, un matrimonio per lui. Lo volevo, tutto questo. Sia per me, che per lui, e posso dirlo solo adesso perché lo so che in fondo, tutti i desideri che parlavano di me, fino a non così tanto fa, erano solo segreti che dovevo tenere nascosti anche a me stessa. Sorrido per questo, allora. Perché è stato difficile, ed è stato intenso, ma almeno guardandoci adesso possiamo dire che qualcosa l’abbiamo trovata, in un modo o nell’altro. Sono ancora convinta che se stringo ancora un po’ di più la presa su di lui, posso aggiustare ogni cosa. Posso mettere in ordine ogni torto che gli è stato fatto, tutti quelli che gli ho fatto io, e anche quelli che si è fatto da solo nel prendere e rifiutare tutto per trascinarsi a fondo in una Maledizione che è appartenuta sempre ad entrambi. «Un mese intenso per un anno intenso» lo mormoro piano, con leggerezza, senza distogliere gli occhi da lui, e cercando di creare con tutta me stessa una bolla che sia resistente, e abbia soltanto questa stessa dolcezza a premere contro la pelle. E niente di tutto il resto, quello che ha braccato, inseguito, e sfinito membra che partivano già stanche. Non ci sarà mamma, come non ci sarà papà, come in fondo non c’erano da tanto. Perché anche nostro padre, non era che diventato un fantasma di sé stesso, traballante nella sua assenza così come nella sua presenza. Non c’era per i bambini, non c’era per il mio matrimonio, e non ci sarà neanche per Josh. Siamo rimasti solo noi, come piccoli baluardi di non so neanche cosa. Di qualcosa che, però, so che voglio sia migliore di quello che è spettato a noi. «Quindi, adesso me lo vuoi dire come te lo ha chiesto, o facciamo finta che sono qui solo per ubriacarmi?» anche questo schizza via leggero, con una smorfia divertita sul volto. Ma dura poco, e poi c’è qualcosa di diverso. Un’urgenza che si fa prepotente, e si fa corrodente. «Tu sei felice, vero?» ed è sempre questa quella solita necessità che conosco più di quanto, forse, conosca me stessa. È sempre stata qui, antica come antica lo sono io, nata con me probabilmente vivrà insieme a me anche i miei ultimi respiri. E lo dico spingendomi un po’ sul tavolo, poggiandomici piano con le braccia, così che una mano si apra sotto la mascella a reggere la testa che continua, ancora, ad essere rivolta verso lui. E so soltanto che tutto quello che vorrei, è sentire un . E sentirlo in quel modo che trascende l’udito, e diventa una certezza dura e resistente contro tutto.
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    Felice. Già. E non capisco perché il solo fatto che me lo chieda mi porta a rinchiudermi per un secondo in quella fottuta gabbia dietro cui sono stato a vita. E parlo di dietro, non dentro. E c'è una cazzo di fottuta sostanziale differenza: che io potevo uscire quando volevo, perché la porta è sempre stata aperta. Edie ha sempre voluto che io mi facessi una vita, anche a costo di veder appassire la mia. Ma sono sempre stato un egoista del cazzo e lo so che non avrei voluto vivere senza di lei, in pensieri che mi portavano sempre sul ciglio dei burroni. Più profondi ad ogni trasformazione che ci mozzava il fiato. E con più forza mi aggrappavo per non finire giù, dove niente mi avrebbe ripescato se davvero l'avessi deciso. Ma no, no che non avrei potuto farlo. Eppure eccomi a non saper ammettere quello che in fondo sento. Sono felice? Io?
    Cristo la felicità fa paura anche a me, perché non sono abituato a vedermela cucita addosso e dovrei dire che più felice sono sovraccarico. Sovraccarico di tutto. Di questo fottuto rampicante che è Chrys in fondo, che poi c'è sempre stato per entrambi e non lo vedrei male anche adesso, qui a sorridere ai due idioti del cazzo che siamo noi Çevik e poi trascinarci nel ricordo di quando con miliardi di problemi riuscivamo ancora a tiare su gli angoli della bocca. Un po' la guardo davvero la parte vuota di quelle poltroncine. E poi c'è il cazzo di tour, il matrimonio e.. e tutto. Però c'è davvero bisogno che io parli? Cazzo io penso mi si legga in volto che sto facendo esattamente quello che voglio fare. Stare qui con Edie a parlare di come sposerò Chrys. Tutto ha così un magico incastro che mi tremano le ginocchia e questo, beh questo mi sembra sempre fottutamente patetico.
    «Lo sarò..» se le cose andranno, se per una volta saprò vederla aperta 'sta cazzo di gabbia e rendermi conto che lo sono più di quanto io lo dimostri: felice. «.. la strada è giusta» ma non esageriamo con lo sbilanciarsi si.
    Che poi come cazzo faccio a non sorridere davanti al modo che ho di spingermi un po' più verso Edie, con la complicità che è fottuta aria fresca nei polmoni.
    «Unicorni, rose rosse.. un tappeto nero lungo tutto il tetto dell'ospedale e-» certo che scherzo, andiamo, un po' di divertimento in questo dovrò pur prendermelo. Soprattutto per l'attimo in cui ho un fottuto bisogno di essere leggerlo. Non credo proprio di essere il più romantico dei due «.. delfini!» Nel dirlo ne mimo un salto con le mani prima di ridere sotto tono.
    Mi fermo solo per lasciare che Tom ci spinga i bicchieri sul tavolo e poi in realtà mi faccio appena più serio. «Si è inginocchiato, in quel buco di terrazza poco sopra di voi.» Questo invece è vero, tanto come l'anello che mi sfilo per mostrarle. Argentato, con quel filo azzurro che sospetto richiami i miei occhi per lui. Cazzo a volte vorrei davvero essere all'altezza di tutte le sue aspettative. «E niente, mi sa che non è che gli abbia dato il tempo di dire altro» Qui invece mento. Abilmente, con un sorriso che è vero perché è sempre rivolto a Chrys. E' che non voglio davvero che si senta in colpa perché è questo che ne ricaverei se le dicessi tutto il discorso che ancora fatico a contenere in me senza quel cazzo di velo negli occhi. Alzo il bicchiere. «Però cazzo voglio brindare alla capacità che abbiamo di fare comunque le cose assieme. Ai matrimoni dell'anno» e non approfondiamo il resto..
     
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