I swear on my life

Josh/Chrys | Villa Sinister - Obitorio | Bronx | 27 Febbraio | Contenuti sensibili

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    Sono un fottuto geloso del cazzo, Chrys, e lo sai. Lo senti quando la mia corruzione non tollera che qualcuno ti tocchi. Neanche un abbraccio. Cristo, a malapena sopporto le strette di mano, se proprio sono necessarie. Sei mio.
    E questa cosa, di Israel, che può sentirsi libero di mettere piede nel mio territorio, che va bene, è tuo, ma cazzo è mio, non sa andarmi bene.
    Non va giù neanche nella doccia, gelida ad occhi chiusi. Lascio che mi cada addosso come un peso sulle palpebre, sull'occhio per cui non ringrazio e quello che brucia se le immagini mi scaldano ancora. Non le posso spegnere le fiamme, non quando le provo per te, quando piego la testa, e ti voglio qui. Qui da me. Qui, quando lo dico io.
    Ed è perché tu lo vuoi, tu vuoi sapere che hai ancora fili che tengono a bada i miei impulsi, e cazzo se vuoi che li sfoghi dopo, che una tregua non sai chiedermela ed io, io col cazzo che te la do. La mano si allunga sull'accappatoio.
    So dove sei, Chrys, so che il mondo è spento, ora, che è notte fonda ma se tu non sei a letto, non lo sono io, che qualcosa da dirti ce l'ho ancora. Mi trema nelle ossa. Che ho trattenuto trai denti i miei pensieri, il modo in cui si sono stretti uno con l'altro e poi hanno morso. Hanno tagliato gole, bevuto sangue. La pelle, il cuoio, cazzo tutto.
    Scivolo in silenzio lungo le scale, lo faccio fino al piano di sotto, l'obitorio, il tuo santuario. Dove non ti sento ma so che lavori, so che con calma ti prendi i tuoi spazi, anche solo perché io possa rubarteli, portarli via ad ansimi. E' questo che vuoi?
    Che cazzo facevi con Israel, mh?
    Lo chiedo alla tua schiena, a cui mi avvicino lasciando sia la porta a chiudersi alle spalle, che non voglio tu mi senta finché non sarà tardi e la voglia che ho di strapparti anche la pelle dalle ossa, sarà consumata, o almeno innegabile. Non fermarmi, Chrys. Non farlo quando ti stringo i fianchi con le dita, quando il mio profumo si mescola al tuo ed all'odore di morte che riempie l'aria. Che ti sto già scopando contro ogni superficie, contro i bisturi, gli unguenti, gli olii, i cazzo di scaffali.
    Devi sentire come è un ringhio con cui ti avvicino, che te lo premo con le labbra lungo il collo, ti spingo con il muso perché lo pieghi per forza a me, ai morsi che faccio correre dall'attaccatura a dietro l'orecchio, trattenendo il lobo trai denti. Ti apro la vestaglia, nodo dopo nodo, senza chiedere niente.
    Cazzo così lo voglio troppo. Così voglio cancellare l'idea che chi ti scopava possa entrare qui dentro, anche se è stata una volta solo. Io sono il solo. Sono tuo.
    Gocce gelide lungo la tua clavicola, il fiato caldo che ti trattiene a me. Premo ancora sui fianchi la presa, che in punta di piedi ti risalgo solo per ringhiare ancora. Creare lividi.
    "Così mi farai impazzire.." te lo confesso, ad occhi chiusi, come un cazzo di animale che annusa la preda prima di distruggerla. "Cazzo, Chrys.."
    Pulsa tutto, in continuo, nella testa, negli organi, nel cuore che ti batte contro la schiena, premuto da far male.

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    C'è una cosa che resta immutata da tempo. Ed è proprio il rumore sordo del bisturi lasciato scivolare lungo il lettino di metallo. Che fa rumore a prescindere: Che ce lo si lanci o che ce lo si poggi piano. Un po' come se volesse proprio dire che certe cose, che le si prenda delicatamente o meno, probabilmente non cambiano.
    E noi non cambiamo mai, Joshua, nemmeno quando la vita ci costringe a rimodellare i nostri passi. Nemmeno quando stringiamo palesemente i denti al dolore. Perché siamo testardi e ce ne siamo resi conto proprio in queste ultime settimane in cui insieme, seppur logorati dalle avversità, ci siamo ritrovati a ricucire i lembi della nostra vita. Uno ad uno come fossero parte di una grande e morbida coperta.
    Ma non siamo freddi come questi corpi che occupano i tumoli della nostra dimora. Noi abbiamo una vita che va oltre li squarci, oltre quelle cicatrici che si rimarginano a fatica e che nel farlo, continuamente, tornano a sanguinare.
    Magari sono tornato giù proprio per questo. Perché è stato bello vedere Is ma non tanto accorgersi di avere ancora una cicatrice aperta per lui. Ma non perché sia speciale, quanto perché mi viene difficile, ad oggi, evitare di sanguinare dinanzi agli altri.
    I nostri, Joshua, sono rapporti insanabili, soprattutto quando il caos ha deciso di portarti via da me e questo resta tutt'oggi un colpo durissimo da dover digerire. Ed io ho cuore solo per questo. Per il tempo nostro che ho avuto la fortuna di dilatare. Ti ho riportato a me, ma questo sa bastarmi solo in parte.
    Allora nei movimenti abitudinari ho cercato il riposo dai miei pensieri. Che ancora s'appesantiscono quando restiamo tanto tempo ad indossar maschere che non ci appartengono più.
    Ad avrebbe anche funzionato, ovviamente, se non fossi giunto tu a macchiare i miei respiri.
    Che all'inizio nemmeno ti sento arrivare. Lento, felpato come fossi tu stesso quelle falene che di tanto in tanto lascio giocare contro le lampadine a luce calda della stanza. Anche adesso, se guardi bene, potresti vederne qualcuna picchiettare come una batterista contro quella che penzola sulla mia testa. Non è igienico, ma il loro rumore mi fa compagnia.
    ''Così...come?'' Mugugno piegando la schiena contro il tuo petto, in un chiudere degli occhi che mi spinge a posar di nuovo il bisturi lungo il corpo del coniglio. Oggi mi dedico alla tassidermia. A ricreare un tiragraffi contro il quale far giocare Judas.
    Rabbrividisco, impallidisco. Sei bagnato. Ti sei appena fatto la doccia. Profumi del nuovo bagnoschiuma che ho comprato. Riesco già ad immaginarti con i capelli imperlati lasciati stretti lungo la testa. All'indietro, aiutato da quello che è un gel naturale.
    Ansimo, lascio risalire una mano guantata contro la tua. Dovrei sfilarmeli i guanti, sì, ma io stesso devo aver fatto troppa resistenza. Non ti tocco da questa mattina.
    ''Non pensavo che vedermi impagliare conigli potesse eccitarti tanto.'' Te lo sibilo, mentre una mano te la spingo su, contro il collo. Ci struscio il capo contro. Te lo spingo verso l'addome. Mi beo di questa piccola danza solo nostra.

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    Potrebbe esserci una bestia, come un uomo aperto in due davanti a te, e l'unica cazzo di cosa che saprei respirare, sei tu. Non so se questo è amore o la mia fottuta ossessione, il mio bisogno incontrollato di averti, di sapere che mi vuoi sempre come la prima volta. Come quando giocando con le calze a rete mi sono accorto che le tue gambe mi piacevano, che la pressione del piede contro il fianco accendeva toni diversi, pensieri incancellabili. Come quando mi hai chiesto di scoparti quasi fossi l'unico che hai mai voluto.
    Io, che fosse così, l'ho capito solo dopo. Dopo aver preso da te ogni respiro solo per vestirmene e dirmi che c'era almeno una persona in questo mondo del cazzo, che mi voleva nonostante tutto: conoscendomi in ogni mio lato.
    E sei tu. E per questo nello spingermi su di te so che trovo il mio posto, che non te ne vai, che quando mi muovo tu aderisci a me come una guaina, come se fossi il mio guanto, ed io il tuo.
    Lo sento il tintinnio del bisturi che chiudi tra le mani, che appoggi perché hai capito che non lavori per un po', adesso.
    Gli occhi mi servono chiusi perché così respiro, gesso, formaldeide, sterilizzanti ma tutto ti si è incastrato sotto pelle da anni, che so qual è il tuo profumo, Chrys, a volte non lo puoi lavare via del tutto, neanche con l'alcool, neanche con le lozioni di Daffodil. No, cazzo, questo sei tu, questo che mi spinge una mano su per la gola, perché ti piace che stringa il collo, perché vuoi sentirmi ansimare al tuo orecchio.
    Dio, i tuoi capelli, che scendono lungo i miei, si incastrano in viso quando li sposto piano per tenerti più stretto. "Non proprio..." ringhio, lo spezzo con qualcosa di dolce, anche se lo sai che ti voglio troppo per spiegarti a parole che cazzo mi passa per la testa. Sei tu quello dei discorsi, non io. Non hai capito a cosa mi riferisco, ma cristo tu mi ecciti anche quando ti occupi del giardino, qualunque cazzo di cosa tu faccia, mi hai qui a stringerti i fianchi.
    Così hai imparato a farle in fretta, velocemente per non perderti momenti di quiete che io macchio, ed a volte, a volte sei anche tu che mi vieni a trovare quando provo a scrivere qualcosa, e cazzo se diventi la mia priorità. Ora è una questione di dominio esigente, il mio, che premo con forza nel seguire a tratti la tua indicazione, ti risalgo le costole, sposto il camice per sentirle meglio, una ad una, voglio essere dentro di loro. Piegati, Chrys. Piegati se invece di stringerti il collo il la mano te la passo sulla nuca, scivola da sotto il braccio ed ancoro le dita ai boccoli, li tiro su in una coda data solo dallo stringere la mano, e poi, indietro, contro di me, contro quel morso che ho l'esigenza di lasciarti lungo la clavicola. E' l'altra mano, allora, che scende al contrario, che ti circonda il busto, che si piega verso l'inguine e ti tiene ancora più stretto a me. Ti voglio, cazzo e lo sai, lo senti contro la schiena, contro le natiche. Non so più se te lo dirò che sono un fottuto geloso del cazzo, magari lo capirai da te. "Mi fai gli agguati con i tuoi amici, adesso?" dolce, melodico come una frusta che sa aprire i denti ad un lieve ghigno, un "dovrei essere incazzato" che tu reclami, sei una calamita. Tiro appena la ciocca, mentre ti parlo, mentre ti bacio il collo, mentre la mano si muove a ricercare un elastico da tirar giù.

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    Qual Dio è come te,
    che toglie l'iniquità e perdona il peccato al resto della sua eredità;
    che non serba per sempre l'ira, ma si compiace d'usar misericordia?

    Capisco qual è il mio posto solo quando mi ci collochi. E mi incastri, magari anche male, come fossi un bambino con le sue formine. Lo capisco solo quando sfrutti il mio corpo come veicolo per insegnarmi la via e la percorri, sì, con le mani a trattenere i capelli solo per poter disegnare linee rette lungo l'addome e poi l'ombelico. Che tu sei bisturi ed io carne. Dilaniami, smembrami. Che se nei morsi non sai bastarti allora sii lama. Tagliente, fredda come il bisturi che lascio andare totalmente. Le mani si adagiano sulle tue. Ripercorrono le tue prese, ti guidano così come fa la schiena quando, percependo l'erezione, mantiene su i muscoli affinché le gambe flettano. Sono in piedi, oggi più in alto di te. Tanto che le spalle non puoi più prenderle, non facilmente, anche se comunque la pressione dei tuoi muscoli mi costringe ad una posizione che non è naturale. Ma più è scomoda e più mi piace. Mi spingo indietro, cerco il tuo viso con la guancia libera a portata di naso. Danziamo un altro po' così, guidami, ma non piano. Non ammorbidirti mai, non permettermi di sfuggirti così.
    ''Ti faccio gli agguati con le ex sveltine.'' E lo marco, di proposito, perché se vogliamo giocare alla preda e al cacciatore, allora voglio che tu possa braccarmi meglio. Farmi male, darmi fuoco ad una natica solo per inciderci sopra il tuo nome. Dimmi che sei geloso e se non sai dirlo, fammelo capire meglio. Anche se l'ho capito, ma non mi basta mai. Scopami forte.
    ''Ma non è un problema, no?'' Ironico, ci provo. Lo faccio cercando di spingerti via con la schiena, ma ben conscio di non poter sciogliere la tua presa. Perché la mano che spingi lungo l'elastico qualcosa la trova e lo fa solo perché glielo permetto io. Perché ci spingo un po' più giù coi miei di polpastrelli. Spingi, tocca, tira. Fa il cazzo che vuoi ma fa qualcosa.

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    Non ti sento ansimare con la convinzione che voglio, che piace a me. Allora tiro ancora la corda, stringo di più, che le dita si aggrappano saldamente, sei un cazzo di appiglio. Comportati come tale, sentilo il ringhio che ti mastica i timpani, che quando i tuoi muscoli fanno leva io li ignoro: ignoro il loro volere il moto che avresti per divincolarti, quando mi dici una cosa sbagliata, e cazzo se è giusta.
    E' per questo che siamo qui, no? Perché io sono un paranoico del cazzo e tu ci danzi con le mie ossessioni, le alimenti dai loro fuoco come la fottuta fiamma di ogni cosa.
    Io lo sapevo che dopo avere avuto te, non mi sarebbe mai più andato bene nessun altro, tu invece lo sai? Quanto a fondo devo imprimertelo il concetto adesso?
    Ho tutta la forza che mi serve per sentirti contro il petto, per usarti come fossi un violino, pizzicarti le corde una ad una e più tu fai lo stronzo con me e più io ti piego lentamente, fino a che non sarà quasi doloroso resistere. Implorami di scoparti, ma fallo come sai fare tu, istigandomi a dare il peggio, affondare duramente senza neanche chiedere.
    Il tuo fiato sul collo e per un cazzo di secondo sposto l'occhio nuovo su di te, in un fulmine che sento si propaga ovunque, controllato ma fuori controllo. Le luci tremano e quella falena si sposta, mentre mi incattivisco quanto basta a fartelo sentire di più, ad affondare veloce con la mano e prenderti in ostaggio manovrarti come se non avessi un'anima, come se solo quella ti tenesse legato a me. E cazzo, io è quella che voglio. Voglio stringerti la presa tra le dita, soffocarti, farti capire chi cazzo comanda in questa piccola battaglia del cazzo. Che poi vincerai tu, lo sappiamo tutti e due, ma cazzo se mi ecciti adesso e se lo fa sapere che io ti istigo tanto quanto lo fai tu con me.
    "Dove cazzo vai" è una anatema che ti premo sulla pelle, che al mio minimo movimento si fa pressante perché adesso, la testa te la libero ma perché mi serve anche l'altra mano, mi serve nei ringhi che si fanno elettrici, che forse adesso la scossa la prendi per forza, quando il corpo ti aderisce alla schiena e più provi ad allontanarti e più io sono veloce a spogliarti fino a che gli slip non si incontrano con le scarpe. E no, non mi sta bene così.
    La pelle dietro la prima vertebra, la mordo a sangue. Entrambe la mani ti prendono i polsi, li sbattono contro il tavolino, nella fottuta zona libera a cui adesso ti ancora. Ma non affondo, non ancora, voglio i tuoi brividi prima, voglio che tu capisca, cazzo. "Te lo faceva questo?" Israel, quel santo del cazzo.

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    Ringhio quando al mio opporre resistenza tu non cedi, anzi, proprio come volevo, finisci per irrigidire ogni cosa. La presa, i toni che usi per dirmi che mi ami e che sono così importante da farti impazzire. Mi sembra di star battendo i pugni contro un muro quando mi giro e sì, incontro il tuo viso, che per un momento riesco persino a baciare seppur in un semplice sfiorar di labbra, ma subito vengo braccato di nuovo. E tu sai bene, così come io lo so di te, cos'è che mi piace così tanto da farmi bruciare. E la pelle brucia, lo fa dove tocchi, dove lasci che il fulmine ridisegni abiti di gala lungo l'esoscheletro. Mi sento nudo, ma non così tanto da prenderne freddo. Che sei tu, adesso, la mia pelle. Io non ne ho più, ma mi sta bene se si frantuma al tuo ennesimo morso, che questa volta mi fa trattenere grida tra le labbra. Le mordo, lascio che siano anche loro a sanguinare col resto affinché il dolore si bilanci, affinché tu possa continuare ad inferire nell'ansimare che si fa profondo ma solo perché ho già bisogno di respirare.
    ''Da - da nessuna parte.'' Gemo piano, nella presa che sciogli e mi permette di far scivolare la testa contro il tuo collo. Mi incastro un istante, giusto due secondi prima di esser nuovamente strattonato contro la mia volontà verso la prima superifcie libera che troviamo.
    ''Cazzo!'' Ma mi piace, non tirarti mai indietro solo perché ti sembro distante. Solo perché sento male. Anzi, fa di peggio, puniscimi per ciò che ho fatto nell'attesa della tua venuta.
    ''Josh...Joshua.'' Mi lascio sfuggire un sospiro strozzato che sì, provo a mandar giù quando mi pieghi di nuovo e le braccia le tieni ben dritte lontano da me. Non mi leghi, ma è come se già lo fossi. Respiro così velocemente da appannare la superficie metallica.
    ''Chiedimi cosa gli facevo io...'' Sfrontato.

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    Ti sento in fiamme, e non mi basta. Cazzo non mi basta mai, credo sia la cosa che voglio sentire sulla mia pelle per tutta la fottuta esistenza. Non lo so se è anche per questo che ti ho sposato. Perché sei il mio fuoco, e bruci a volte anche più velocemente di me. Lo fai mentre stringo i denti, le prese, scendo su una gamba, te la piego spingendoti in avanti perché il ginocchio prema contro il tavolo da lavoro. Cristo, non me le puoi dire queste cose, e lo sai, lo sai che effetto mi fanno, lo sai che poi finisco per essere veloce. Magari più di quanto ti aspetti, anche solo per avere un fottuto ansimo di sorpresa da parte tua. Che puoi innescarmi, ma non ti permetterò di prevedermi così tanto.
    Ti stringo la natica, te la apro piano, ma solo perché io sotto non ho niente se non la voglia di possedere tutti i respiri che avrai da darmi adesso, che non lo voglio sapere cosa gli facevi, voglio che tu gema il mio nome come unico e solo. E si, si che sono un egoista, si che voglio tutto e che sia mio. Mio come i centimetri che ti compongono, come gli atomi da cui hai origine, come il modo che hai di pretendere e ricevere. "Tu" ringhio, piano, quando lento non lo sono, quando entro fino a dove mi lasci spazio, a prenderti l'anima ed agganciarla alla mia, a scivolare sperando sia ancora un po' stretto abbastanza da farti sentire quando mi spezza il fiato. La tua testa deve abbassarsi ora, con la mano tengo la coscia ancorata a me, ed i capelli stretti ancora nell'altra mano. "Non gli facevi proprio un cazzo di niente" impongo, in quel ringhiare che si fa un morso più basso del segno di prima, ci passo la lingua e si che affondo una seconda volta, che mi prendo un gemito che si fa ansimo contro la schiena, nascosto trai tuoi capelli. Cazzo, Chrys. E' la rabbia che non ti risparmio, che sono respiri contro la schiena, contro le vertebre, contro di te. Con muscoli che si tendono perché tu non possa muoverti, che ti tengono così, scomodo contro la superficie fredda, con gocce d'acqua dritte lungo il fianco, e questi baci che trasformo in morsi, che ti respiro addosso. Non me lo dire che cazzo gli facevi, che non è niente, perché potranno solo sognarti e bagnarsi nei letti che occupano, e questa è l'unica cosa che concederò loro. Ma solo perché se li vedessi glielo staccherei per averci anche solo pensato. "Chrys.." ordino.

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    Io voglio il perdono per i miei peccati.
    Lo voglio tutto, lo voglio male.
    Io voglio la punizione per ciò che ho commesso.
    Le fruste che ridisegnano la tua epidermide. La mia schiena che è il tuo sterno.
    Un cuore che si fonde all'altro.
    Io voglio il perdono per ogni mio peccato.
    Voglio la punizione per ciò che non ho fatto. Per quello che potrei fare ma non faccio. Per il fatto che non faccio niente, che non oso più, che ti rispetto.
    Voglio la punizione per essere così mansueto. Buono, carino, al suo posto.
    Voglio la punizione per aver sorriso e poi premuto il viso contro il tavolino metallico.
    Voglio che mi urli contro. Un'altra volta, a denti più stretti.
    Che non devo permettermi, tipo.
    Che non devo minimamente pensare di poterti sfuggire.
    Vorrei che mi dicessi di far piano solo per poter fare ancor più forte.
    Gemere quando dovrei star zitto.
    Ansimare quando potrei darti fastidio.
    E vorrei essere punito per i nomi che non pronunzio ma che vorrei tanto gridare ai quattro venti. Che non sono il tuo per il semplice fatto che questo modo in cui lo facciamo adesso mi piace. Anche se fa male.
    Anche se gli occhi li stringo per trattenere il fastidio. Che non ero pronto, ma questo non è propriamente un problema.
    Dovrei solo rilassarmi. Ricordami ciò che mi piace.
    Ricordarmi che anche questo è parte di quei sogni di cui non ti ho mai parlato.
    Quindi fai quello che vuoi. Aprimi in due come fossi morbido.
    Come se non avessi nulla dentro: Né ossa né muscoli.
    Fallo come se fossi impossibilitato nell'emettere anche solo un fiato.
    ''No...niente.''
    Controbatto in una finta ragione che non lascia scampo all'ennesima battuta che poi vomito nell'ennesimo sospiro.
    ''Non ti racconto un cazzo.''
    Che è una negazione bella è buona. Ti sto dicendo che trattengo dei segreti solo perché tu possa affondar ancora di più. Scavare così tanto da strapparteli via da solo.
    ''Josh!''
    Ma al mio nome rispondo. Lo faccio roco, che il resto della voce te la porti via tu.
    ''Scopami meglio di come faceva lui.'' Alimento.

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    Tu vuoi che la rabbia cieca vinca su tutto, vuoi che io sia forte al punto da spingerti a soffrire contro uno di quei tavoli che ami. Io sono il cazzo di chirurgo che ti aprirà in due solo per questo.
    Solo perché stai insinuando che per te non faccio abbastanza. Che hai bisogno delle attenzione di chi ti guarda. E cazzo se viviamo anche di questo, dei riflettori che da me a te passano mettendo in luce punti oscuri al mondo. Miei, tuoi. Cristo adesso sei mio
    Cristo se sei tutto. Bello come nessuno mai.
    Ansima di più che non ti sento, che ti spingo più a fondo, contro limiti che neanche conosco, che non me ne frega un cazzo non le voglio in testa le immagini di chi ti scopava prima.
    Israel, Ray... tutti pezzi di merda che non hanno mai capito cosa volessi, non come lo so io. Che ti prendo per i capelli ancora.
    "Non ti ho sentito.." ti chiedo, ancora, quando il mio nome non lo dici abbastanza, e mi piego quanto basta perché a prenderti quel fottuto lobo siano i miei denti.
    E lo senti il fottuto ringhio che richiami? Lo senti che parte dal mio sterno ma poi si arrampica per la tua schiena, ti percorre per affondare dai polmoni: là dove arrivo io, dove con una stretta faccio più forza, vado più veloce, sfido anche la gravità del cazzo per tenermi su di te e spingerti verso di me, più a fondo.
    Lo sai che giochi con il fuoco, che mi piace e lo odio allo stesso tempo, che la presa sulla natica si fa una scavo che arriva piano al tuo centro, che ti stringe come se fossi un fottuto ostaggio, perché nessuno ti scopava così. Nessuno.
    "Dillo più forte che cazzo devo fare.." che è un no, non farlo perché lo sto già facendo, ti volto giusto perché i miei denti scavino nella spalla, affondino come faccio io, ad occhi aperti perché tu è l'animale che vuoi, e cazzo se adesso ce l'hai. "e resisti..." impongo, in un ringhio imperativo, perché il brivido di un gemito sfugge a me, ma cazzo se potrei andare avanti così ancora un bel po. Ansimarti lungo il braccio, stringere di più contro i ricci che sollevo, che tengo con fottuto amore tra le dita. Voglio testare la tua resistenza, ma cazzo se voglio che tu venga, che tu non possa resistere a me, alle mie spinte alla forza che hanno nell'assecondarti. Voglio vederti faticare.
    Nel premere dita lungo il resto della mia proprietà, nel tenertelo in mano come faccio io a me, non come faresti tu: prova che cazzo vuol dire essere me e vederti così con altri, dimmi che cazzo si prova, dimmi che ti piace ancora.

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    A me piace il fuoco.
    Quando brucia e fa male.
    Mi piace solo se fa male.
    Se lascia i segni del proprio passaggio.
    Come una lama a recidere la pelle, che appena la ferita si rimargina poi rimane leggero il pallore di una sua cicatrice.
    A me piace il fuoco quando mi spinge a danzare, quando combatte il freddo, quando diviene pelle.
    La tua, che nel fondersi alla mia alimenta fiamme altrettanto potenti.
    A me il fuoco piace perché ci avvolge, perché copre le nostre urla e trascina con sé ogni cosa.
    Ciò che siamo, il luogo in cui viviamo.
    Non esistiamo più, non per come eravamo prima.
    Siamo tutt'altra cosa adesso.
    I miei ansimi, ad esempio.
    Gemiti strozzati che non riesco a trattenere per me.
    Facci ciò che vuoi, perché il tuo nome non smetto di chiamarlo.
    Non smetto mai.
    Non so come si faccia. Allora resta una decorazione a pendere dalle labbra
    tra la bava ed il rantolio sporco di polmoni che contro il tavolo vengono tenuti immobili.
    Respiro male, ma non mi dispiace.
    E non te lo dico perché no, non voglio che tu smetta.
    Non voglio che tu sia dolce con me quando la dolcezza è l'ultima cosa di cui ho bisogno.
    Io ho bisogno del male che attutisce, che sa spostare l'attenzione dei miei recettori del dolore altrove.
    Via dai pensieri, dalle voci che si accavallano,
    dalle attività quotidiane che devo portare avanti per non impazzire.
    Che sono meccaniche e restano tali giorno per giorno.
    ''P-perdonami.''
    Premo il muso contro il metallo.
    Chiudo gli occhi, li stringo.
    Faccio in modo che la tensione dei muscoli possa ritardare l'impossibile.
    Ma tu sei uno tsunami.
    Io voglio essere le tue spiagge da abbattere.
    Voglio perire al tuo cospetto.
    Afflosciarmi come un ramo stanco.
    Voglio vomitar ogni cosa con te.
    ''Dammene di più.''
    Ma non faccio in tempo a dirtelo, che lo sento.
    Sento come arrivi, come spingi affinché sia io a vincere
    questa staffetta prima di te.
    Per l'ennesima punizione.
    Che lo merito, lo so.
    Lo accetto.
    Lo faccio mentre l'orgasmo non so ignorarlo.
    Mentre trattengo il respiro, soffoco
    e lo faccio solo per schiacciare l'intero addome contro il lettino.
    Che sono un verme, che non ti merito.

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    Premi in punti, Chrys, che sai bene cosa ti daranno in cambio. Ringhi, ansimi, la forza con cui ti prendo al punto da tenerti stretto. Anche quando mi rendi partecipe di un orgasmo che trattengo con ogni senso possibile.
    Mi cogli in un fottuto sospiro, perché questo volevo sapere, sono una testa di cazzo, ho bisogno di riuscire laddove riesco sempre ed ogni volta in modo diverso.
    Che io non ti resisto, non come fai tu, a volte neanche ti aspetto, ma adesso ho voluto che avessi tutto. Ti ho respirato, ti ho lasciato andare la schiena quando ti sei spinto contro il tavolo, appannando il metallo, scrivendo il mio nome con l'ultimo fiato.
    "Si.." che ne vuoi di più. Che lo vuoi ancora, più forte, contro il limite che io stesso posso sopportare.
    Si che il mio corpo scava il tuo, trova posto, spinge quando sei tu che vieni, quando il suono dei tuoi ultimi gemiti innesca la reazione dei miei, come la sola cosa che voglio sentire per tutta la vita.
    Mi hai voluto più bestiale ancora, hai voluto che questa parte di me ti assalisse, così io ho fatto nel volerti piegato di fronte ai tuoi errori, ma cazzo se ti ho già perdonato.
    Io che i risalgo la schiena in respiri profondi, rilasciando il fiato trattenuto per darti tutto, ripercorrendo con la punta del naso i segni che ti ho lasciato, arrossati, striati di quel sangue che ho richiamato alle labbra. Li bacio, piano ma senza darti modo di staccarti, senza uscire da te. Forse non sono ancora soddisfatto, neanche dopo un orgasmo così. Neanche se poi mi sfilo via con calma, come fosse una lama che si toglie dal costato trafitto. In genere questo anticipa la morte. In genere io dovrei ricordarmelo quando lo paragono a cose che conosco.
    E resto in silenzio, contro la tua schiena, ti lascio la gamba, te la accompagno piano in piedi, di nuovo.
    Mi hai detto di distruggerti e poi ricomporti, e ti sto ricomponendo adesso. Cazzo se ti amo quando mi capisci, quando non mi fermi, mi alimenti. Chiudo gli occhi.
    Il cuore ancora un po' fatica a riprendersi quando mi stanco così tanto, quando lo tendo al suo limite, quindi ho bisogno di respirare. Perché si è vero che sono tornato ma.. ma c'è sempre un cazzo di "ma".
    Ti bacio ancora la schiena, un'ultima volta. Non ho voce. Non ho fiato.

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    Alla fine, immagino che gli unici silenzi che mi piacciono siano proprio questi.
    Che non sono veri e propri silenzi se ci respiri dentro con forza.
    Magari non sono niente di preciso, di catalogabile.
    Sono solo momenti.
    Belli, sì, perché quando eri all'Imperial mi son davvero mancati.
    Belli perché nella mia testa li immagino coesistere solo con te.
    Non ci sarebbero se tu non fossi qui.
    Non ci sarebbe niente se tu fossi ancora là giù.
    Ma devo ricordarmelo con forza.
    Devo tener gli occhi chiusi affinché tutti gli altri sensi possano in qualche modo collaborare tra di loro.
    Ritrovarti, salvarti di nuovo, per un'ennesima volta oltre gli incubi, oltre le notti insonne.
    Ti cercano affinché l'orgasmo non sia solo un impulso singolo. Del semplice ricordo muscolare.
    Uno spasmo a ricordarmi che io esisto, ci sono ancora, mentre tu sei chissà dove.
    Tu ci sei. Ad occhi chiusi ti sento, ti ridisegno nella testa.
    Ed i tuoi baci tirano su brividi lungo tutta la pelle. Che sono fatto d'arancia.
    Ho una scorza che puoi benissimo aprire in due.
    Ma tu respiri sempre come quella notte.
    Se non fosse per il correre affannoso del cuore forse mi sentirei ancora lì.
    Braccato dalle mie paure.
    Senza di te.
    ''Ehi...'' Ridacchio piano. La faccia resta ferma contro la superficie liscia del lettino.
    Non so com'è che ci si rialza, anche se tu hai ricomposto il mio corpo affinché assumesse una postura più comoda.
    Mi tiro contro di te, di nuovo, ma non a spingere troppo contro il petto.
    Ma ancora non mi giro, quasi ho paura di farlo.
    ''Sembra Il Cuore Rivelatore di Poe.'' Anche se io non sono uno dei tre poliziotti.
    Ma sai, sai che questo è il modo che ho per non aver paura che le cose belle finiscano subito e che nel farlo possano anticipare l'avvicinarsi del dolore.
    Anche se fa male rifletterci su: Perché se il cuore a battere nelle assi di legno di questa casa è il tuo, allora tu sei l'uomo dall'occhio vitreo ed io, come sempre, il tuo assassino.
    Un ciclo che si ripete senza sosta. Mi volto solo ora.
    ''Come ti senti?'' Un sussurro leggero, una carezza sul volto, dal lato dell'occhio magico. Riesci a vedermi?

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    Ci provo sempre, cazzo, a farlo come se non avessi paura che - di punto in bianco - questo cuore smettesse di battere.
    Che l'ho guadagnato quando me l'hanno aperto in due per ricostruirlo, perché si ricomponesse anche se lo so, che una parte è rimasta lì, tra le macerie della dimensione ombra. E l'altra è con te, perché questo sei: la fottuta ragione per cui vivo.
    Voglio che te lo ricordi, sempre, anche se a me questa tachicardia pesa e la tengo stretta in gola, e non te lo dico l'ansia che mi fa se ci penso. Che temo ci arriverò a quel limite un giorno e tu, tu ne morirai.
    Non so che cazzo sia la moderazione, se do qualcosa allora cazzo mi ci impegno affinché sia tutto e non manchi mai niente. Che a te, soprattutto, non manchi nulla. Perché se mi prometto una cosa è questa. Te l'ho giurato, in silenzio quando ho saputo pronunciare solo metà delle mie promesse.
    "Ehi" te lo lascio in un soffio che ho ancora gli occhi chiusi, le mani che si fermano sulle spalle, la fronte che piano si appoggia alla schiena.
    Così posso regolarizzare tutto, un respiro alla volta. Perché lo so che lo senti, questo stronzo che batte fuori controllo, che io gli impongo una calma quando non ne vuole sapere.
    Sono il cuore che batte al punto da svelare l'arcano. E vorrei non lo fosse, Chrys. Cazzo vorrei non mi facesse male in punti in cui prima andava tutto fottutamente bene. E' umiliante, ed è spaventoso. Ma finché non ti giri, posso ingoiare questo e tenerlo con me.
    Che di preoccupazioni ne hai avute troppe e, adesso, sono stanco di dartene ancora.
    Protesto quando ti volti per avermi di fronte, vicino al punto che alzo gli occhi su di te senza aver paura di fronteggiare il tuo sguardo, la tua ricerca di una sicurezza.
    Che io stia bene.
    Che io sia vivo.
    Incastro male solo un respiro, ma va meglio. Non muovo un muscolo alla tua mano che mi sfiora, che per un cazzo di secondo mi sono perso nella fottuta grazia di averti ancora con me. Di esserci ancora.
    Che a volte se non sei tu a ricordarmi che sono vivo, io me lo dimentico.
    Vorrei non parlare, e vorrei che mi parlassi sempre. Fallo solo tu che io a parole non sono bravo. Scrivo canzoni ma cazzo se non so fare altro.
    Annuisco, per un attimo ancora senza forze. "Meglio di prima" soffio, in mezzo passo avanti, ma solo perché non lo so io devo riempire questo spazio vuoto che non voglio ci sia, soprattutto perché se la tua schiena sanguina è colpa mia.
    Allora ci passo le dita, a ricucire il sangue per te. Sei il mio cazzo di ossigeno.
    E non so dirlo, quindi quello che posso fare adesso, è baciarti di nuovo cazzo, risalendoti piano, spingendomi in punta perché queste zeppe sono trampoli, ma io ho bisogno di te. "Ti ho convinto abbastanza a tornare a letto?" non parliamo del mio cuore, parlami del tuo.

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    Mi lascio curare anche se, in realtà, non sento più nulla. Magari il mio è solo uno di quei dolori un po' selettivi: Nel senso che se non ci penso poi svaniscono. Magari è solo questo od un super potere innato che devo aver tenuto sopito per tanto tempo, un po' come il metamorfomago, tipo.
    Lo faccio perché immagino che questo ci sia utile: Distrae te, distrae me. Lo fa aiutando la mia mano a salire e scendere lungo una guancia. Te la leviga, mi aiuta a mettere a fuoco entrambi gli occhi senza spingermi ad estraniarmi su quello che non può brillare della medesima luce di quello naturale. Che ecco, non vorrei proprio guardarlo più del dovuto e magari spingerti a sentirti a disagio. Per me sei perfetto. Lo sei anche se il cuore batte diverso dal mio, anche se è strano ed il suo rumore mi mette paura, mi fa respirare un po' così.
    ''Meglio tanto o meglio poco?''
    Non per farti il terzo grado, ma per restar un istante a punzecchiarti un fianco con l'altra mano. Per gioco, magari, che se ci riesco butto tutto sul sesso come al solito e te ne offro altro, certo, anche se solo mentalmente, magari, che non vorrei che un bacio troppo spinto possa far peggio.
    ''No perché a letto potrei fare altre cose...''
    Ti spingo il naso contro. Respiro a respiro, per guardarti da vicino quanto basta ad incrociare gli occhi. Che non vedo, no, ma ti sento meglio. Ti sento con l'epidermide. Ti sento in ogni cazzo di centimetro.
    ''Come un bel massaggio sulla schiena e le gambe.''
    Che per una volta, giuro, è solo un massaggio. Solo un modo che ho per prendermi cura di te in ogni modo che posso. Che devi star bene, sì. Devi assolutamente.
    ''Che mi sembri proprio uno di quei mariti a cui si accavallano i muscoli in vista di vecchie fiamme.''
    Sorrido piano, non so se posso continuare su questa strada o se è meglio far passi indietro. Star lontani quanto basta a riposare le ossa stanche e magari preparare la cena per il rientro di Alice. Porto una mano lungo il petto, lo faccio scendere dove il cuore batte, che non lo perdo di vista nemmeno quando ricambio il bacio ma faccio piano, mi trattengo.
    ''In realtà adesso potresti chiedermi qualsiasi cosa e finirei per dirti di sì.''
    Magari non solo adesso, magari sempre.
    ''Sono un po' stanco...''
    Fisicamente, intendo.

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    "Meglio tanto.." non te lo nego, che non so come tu faccia a tirarmi fuori tutto dal petto. Cazzo, se potessi te lo lascerei davvero in mano, il mio cuore. So che ne avresti cura, lo tratteresti come si deve per farlo battere cent'anni.
    Anche se poi me lo mandi in fiamme, se poi mi sento un geloso del cazzo, uno di quelli che deve imporre la sua proprietà, ricordarti limiti e confini e rivestirti di filo spinato.
    Anche se poi la tua libertà mi accende, mi rende un cane da guardia, di quelli che vanno tenuti con il collare a punte.
    Come cazzo fai? Come riesci a modulare tutto perché il nostro equilibrio, instabile, resista? Come fai a compensarmi tanto bene da farmi respirare meglio? Da capire di cosa cazzo ho bisogno? Che ancora in piedi da solo non ci so stare.
    Non se il cuore perde il controllo, ed io su di lui. Io che lo sento se non si regolarizza, se lo forzo a provare qualcosa di tanto grande da uccidermi.
    Cazzo se sei tutto, Chrys. Anche se mi perdo, e per un attimo non ti sto ascoltando, ti sto solo sfiorando, respirando vicino, riprendendo fiato, riempiendo i polmoni della tua anidride carbonica. Fammela scendere in gola, sempre.
    E la mano che fai scivolare, mi lascia mezzo sorriso anche se a stancarci siamo in due, ma finché lo facciamo assieme è la miglior fottuta stanchezza di sempre.
    Te la stringo, piano, perché ci sono cose che non abbiamo le palle di dirci e non voglio averle io, come non vuoi averle tu. Ci spaventano. Ma almeno siamo ancora qui a sentircele a vicenda.
    "Cristo se ne ho bisogno.." di quel massaggio, delle tue mani che mi ricorrono i nervi per scioglierli uno ad uno. Che a volte io penso che questo sia amore più di molto altro, ma non te lo dico, perché voglio scopare finché ne abbiamo fiato. Però si, si fermami ogni tanto, calmami tu che io non so farlo da solo.
    Nell'ammetterlo così, mi appoggio di più a te, ora con entrambe la mani lungo la schiena, ora come si fa quando si è due colonne della stessa struttura, ma sempre una contro l'altra, sempre qui a spingersi per darsi il ricambio uguale o maggiore.
    Ma tanto lo sai, ogni nodo che posso avere si scioglie se mi guardi così, come se fossi tanto importante da cancellare chiunque altro. Mi perdo nei tuoi occhi, ci vorrei vivere dentro, che sono una cazzo di foresta. Ci vedo perfino il vento tra le fronde, il muschio attaccato alla corteccia, il sole che filtra appena quando i toni si fanno un po' caldi.
    Non contaminarli mai con il mio gelo, ti prego, anche se è bello vederci dentro una parte di me. Come se, in fondo, non potessi mai andare via.
    "Allora vieni a letto.." ti impongo, lasciando che una mano nella tua. Perché sei stanco e se non ti ricordi dove si trova il tuo posto, vicino a me, te lo ricordo io. ".. che sono un marito geloso" scherzo, ma neanche tanto, che a leggermi sei più bravo tu di chiunque altro. Vieni a letto, Chrys, che se sei stanco ti cullo io.
    Lascia che ti strappi gli incubi uno ad uno, fino a che non potrai sognare solo con calma, e riposarti fino a domani.

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