Jonah Ackerman

APPROVATA || Cacciatore

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    Cacciatore | 2008
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    Americana | 2000| Legale


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    L'unica certezza sulla sua identità originaria è il suo nome, Jonah, di origine biblica. Molti tendono a confonderlo e a chiamarlo John, specialmente quando accostato al suo cognome, Ackerman, che ha invece preso dal capofamiglia quando è stato adottato dai cacciatori di Pine Mountain in Georgia. All'età di circa otto anni è stato coinvolto in un incidente con i suoi genitori nel quale, oltre a diventare orfano, ha perso gran parte della sua memoria. Da ciò derivano le tante incertezze sulla sua identità, tra cui la sua stessa data di nascita. L'hanno fissata i suoi "genitori" adottivi al 24 dicembre del 2000, sullo sprazzo di un ricordo infantile di Jonah, secondo il quale avrebbe festeggiato qualcosa di simile ad un compleanno proprio sotto Natale. Sempre sulla base di quei pochi e frammentati ricordi che possiede anche sua madre e suo padre erano cacciatori, ma nonostante ciò nessuno nella comunità è mai riuscito ad identificarli, probabilmente perché amatoriali e non affiliati a nessuna famiglia tra quelle americane. Anche gli Ackerman hanno continuato a crescerlo dunque come un cacciatore, e attualmente vive con la comunità a Pine Mountain, nonostante con la sua famiglia adottiva aderisca alla resistenza che vorrebbe rovesciare Declan e riportare il sangue Ackerman a capo della famiglia. In particolare al ranch da un anno e mezzo assiste suo padre adottivo e i fidati di Declan nella gestione logistica delle armerie.
    Per via delle origini messicane dei suoi genitori adottivi parla fluentemente - e con loro quasi esclusivamente - spagnolo. Oggetto per il quale ha un'affezione e una gelosia particolare è la sua moto da cross, suo attuale mezzo.
    Il suo catalizzatore, incastonato in un bracciale di pelle, o costituito per la parte positiva da Quarzo Golden Healer, e per la parte negativa da Larimar.


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    10 ottobre 2008. Primo pomeriggio.
    Appena partiti furono costretti a tornare indietro. Tre cacciatori, due uomini, una donna, lo trovarono nella chiesa battista di Stovall, località non troppo lontano da Pine Mountain. La fronte aperta sotto i capelli e il rigolo spesso di sangue secco in mezzo agli occhi del bambino fu la certezza che era rimasto solo per troppo tempo, che non ce lo aveva lasciato probabilmente nessuno lì, non per tornare almeno.
    Aveva camminato? Sì. Quanto? Tanto. Come si chiamava? Mi chiamo Jonah.
    Il resto era inutile: ricordava troppo poco, nemmeno come ci fosse finito lì. Nessuno zaino sulle spalle, nelle tasche niente se non filacci di stoffa tirati via da uno strappo.
    I suoi genitori? Sì.
    Ricordava suo padre, sua madre, la loro presenza. Poi una grande botta, una botta fortissima, come un fuoco d'artificio senza luci che gli era scoppiato direttamente dentro le orecchie separandogli in tante parti la testa, per cui dei suoi genitori non riusciva a ricordare neanche più il nome, a malapena l'apparenza. Sapeva solo che qualcuno, con quella consapevolezza innata, illogica e consolatoria che prova un bambino nell'affidarsi a chi gli è visceralmente affine. Senza più un ricordo, una immagine definita, quel cordone tardò a spezzarsi. Neanche la fronte calda di sangue sembrava impressionarlo o preoccuparlo. Sospeso nell'incredulità e nella confusione quasi inebetita di uno che è appena rinato al mondo e aspetta solo che qualcuno, come gli suggerisce l'istinto, lo venga a prendere.
    Nessuna macchina fuori strada, nessun incidente evidente nella zona. Niente se non la quiete di una strada provinciale vuota.
    10 ottobre 2008. Pomeriggio. Appena partiti furono costretti a tornare a Pine Mountain.

    Jonah venne adottato dagli Ackerman. Riconobbero presto, nonostante fosse così giovane, una familiarità di modi e sguardi, ma nessun cacciatore di loro conoscenza era morto nei pressi di Pine Mountain. Continuarono ad indagare per alcuni anni, poi la cosa cadde col tempo e gli scarsi risultati. Gli venne dato il nome della famiglia, prima ancora di quello della coppia che aveva deciso di prendersene direttamente cura all'interno del clan. Pili e Cesar ce l'avevano avuta una figlia fino a due anni prima, quando cacciavano da soli, ma i vampiri si erano presi la vita di Carmen quando questa aveva solo ventitré anni e da allora, uniti dallo stesso scopo, avevano deciso di accogliere l'invito degli Ackerman e unirsi al clan. Jonah non sostituiva Carmen, ma Jonah non fu mai figlio di Cesar e di Pilar, lo fu degli Ackerman, sin dall'inizio. Figlio di tutta la comunità e di quell'irriducibile sentimento di essere già appartenuto a qualcuno, una volta, qualcuno di sconosciuto ma comunque insostituibile.

    Diciassette anni. Fu come se al ranch, in tutta Pine Mountain fosse scoppiata una grandissima bomba. La stessa di nove anni prima, sì, lo stesso impatto, ma stavolta fu diverso assistergli consapevolmente. I vampiri uccidevano, il capofamiglia spariva, suo figlio moriva, al ranch molti venivano portati via. Diciassette anni, Jonah già cacciava con il resto del clan.
    Stai zitto, Jonah. Dammi retta, non dire niente.
    Ma Gideon non c'era, non c'era più nessun capofamiglia, non c'era più nessun Ackerman. Solo il caos e la disumanità di Declan che tradiva i suoi: li vendeva oppure li metteva in ginocchio. Non sentiva pietà.
    Non parlare di Hiram, non dire che ti portava a cacciare. Capito? Stai zitto. Glielo diceva Cesar.
    Non era questo l'accordo che aveva preso con Gideon quando si era unito alla famiglia.
    Ma lo sapeva che il suo figlioccio aveva lo stesso nome di lui, del capofamiglia, che tutto il clan glielo aveva dato. Ma il nome era pur sempre quello, e Cesar aveva paura. Se non era solo una faccenda di sangue, allora aveva motivo di aver paura. C'era da avere paura di Declan.
    No, non è un Ackerman. Lo abbiamo cresciuto noi, è un Ortiz. Sono io responsabile per lui.
    Non è un Ackerman. Stai zitto, Jonah. Fa ciò che ti dice, Jonah. Non dire niente.


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    Il fisico decisamente asciutto di costituzione, forse troppo per essere un cacciatore. La pelle chiara, diafana, segnata dalle cicatrici dell'addestramento e della caccia, da una moltitudine di nei che continuano a comparirgli sulla schiena anno dopo anno. Il viso allungato e i tratti somatici ancora giovani, sebbene la cicatrice invisibile in cima alla fronte, nascosta dall'attaccatura dei capelli portati lunghi, tagliati sempre a malavoglia. Gli incisivi scheggiati per una brutta botta.
    Lo sguardo limpido, ma di chi pare afflitto da una inguaribile insonnia. Insonnia che è reale, e lo è da anni, la certezza che lo faccia da sempre, da quando ha avuto l'incidente ed è arrivato al ranch. E allora preferisce la notte, quando tutti dormono e a lui non riesce, per pensare alle cose di sé stesso, a tutto ciò che non riesce a rimettere insieme durante il giorno, per provare a ricucire le suggestioni che sorgono dalla sua testa. Le poche immagini frammentate, confuse, che possiede della sua infanzia prima dell'incidente, e che si sostituiscono più facilmente alle informazioni vere e proprie. Nemmeno le fattezze dei suoi genitori: con il trascorrere del tempo ciò che era più definito ha finito inevitabilmente per sbiadire ancora di più. Una amnesia è da sempre una croce. Non accettare che le chiavi del passato siano nella sua testa, proprio lì, così alla portata, senza riuscire ad accedervi. Come una ferita nella pelle nella quale si scava e si scava slabbrandola convinti di tirar fuori una scheggia la cui esistenza non è nemmeno una certezza. E dalla frustrazione di non riuscire a ricordare ne nasce quella tendenza ossessiva generalizzata. Incapace di lasciare qualcosa al caso, senza pianificare, in quel viscerale bisogno di avere una presa sempre salda sul reale e su ciò che lo circonda. E a volte sfocia in un perfezionismo dannoso. Una sensibilità attenta che si aggrappa ad ogni dettaglio dell'ambiente e delle persone, dalle quali teme con forza ogni giudizio. Ma ancora li sa riconoscere i suoi difetti e i margini della loro pericolosità. Ancora la razionalità si sveglia e si allarma quando, nella spasmodica intenzione di tirar fuori forzatamente qualcosa dal cervello, avverte la sensazione di poter finire ad inventare cose inesistenti, immagini consolatorie, risposte che vuole sentirsi dire. La costante sensazione di non trovarsi al posto giusto, in qualsiasi contesto, e la difficoltà nel relazionarsi con persone nuove a meno che l'occasione stessa e il dovere degli obblighi non glielo impongano. Ma la cura, l'attenzione, la devozione verso l'altro, verso chi gli è fedele. La paura di diventar cattivo, di diventar brutale a causa di ferite che non si chiudono, di domande a cui non giunge mai risposta e che per questo rischiano di chiudere il cielo. Il timore di non esser resiliente, di perdere la propria fortezza, di non essere quel Jonah, e nel ventre del pesce perdere la fede invece di accrescerla.







    Edited by .happysong. - 18/12/2022, 20:20
     
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