You can run but you can't hide

Josh & Edie | 1 Marzo - Casa di Edie e Morgan | Glen Cove

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    "Ehi, straniera" Edie è... l’altra fottuta metà del mio cuore. E tu lo hai sempre saputo, anche dopo la rottura anche dopo il Maledictus. Ci sono cose che non cambiano, non possono. Neanche se ha scelto una strada che per me resta impossibile da comprendere.
    Un cuore - il mio - che batte sempre con un certo riguardo, ormai. E lo so da me quante cose sono cambiate nel corso degli anni, quanti giri di merda intorno al mondo abbiamo fatto. Due mondi che collidono, questo siamo. Due strazianti mondi che cercano come sempre di restare uniti, figli di un’attrazione che non si cancella, di notti passate a raccontarci stronzate su divenenti sfondati o a vedere chi crollava prima, a casa tua, Chrys. Ed io lo so che la ami e la odi, che il tuo umore con lei è variabile come il mio, e se io soffro tu ringhi. Se io godo tu godi, siamo questo, una simbiosi instabile. Dio se ti amo.
    Ma Villa Sinister è casa mia, adesso. Il mio territorio, il mio maniero, la mia famiglia. Una famiglia con cui faccio i conti ogni giorno, un posto che mi ha fatto sentire a casa da sempre, anche quando scappavo da lei per venire da te, e trovare qui almeno un briciolo di Tequila.
    Non mi scuserò - Chrys - per averne presa un po’ dalla riserva, di quella becera perché va bene tutto ma non siamo degli arricchiti del cazzo, neanche se adesso non devo raccattare soldi nei locali. Dio, a volte mi manca cantare lì, dove nessuno sapeva chi ero. Quante scopate… ma no, quelle lo sai non me le fai mancare mai.
    E perdonami, amore mio, se ho approfittato del momento dei tuoi servizi del cazzo per portarmi via Remì, per stringergli le spalle con me, che gli piace starmi incollato alle gambe quando aspettiamo che la porta si apra.
    Si è portato quel libro che gli hai preso l’altro giorno dagli scaffali più alti della libreria, il “Conte di Montecristo”, non so di che cazzo parli ma è la decima volta che se lo rilegge, ne è così assorbito.
    Tanto che quando arrivo da Edie, quando il respiro scende più in basso ed un certo sollievo - nel non vedere l’auto di Morgan - me la fa prendere bene, Remì sta già fremendo.
    A lui piace Edie, un po’ meno i bambini, con loro non sa benissimo cosa farci e non so ancora cosa gli abbiano fatto in quel posto di merda, magari ne ha sentiti piangere troppi. Dio, su questo lo appoggio in pieno.
    Tequila, Remì e -….” Mi sto presentando con un po’ di cose, si, quelle che so che adesso può di nuovo mangiare. Anche se ho sempre il terrore che possa restare incinta troppe volte di seguito.
    Ma Remì parla, a modo suo, stiamo un po’ imparando a capirlo.
    \Ciao Zia Edie \ è così educato, lui, non ha preso questo da me. \Oliver è in casa?\ poi alza il muso verso di me, perché traduca.
    … chiede se Oliver è in casa” sussurro ad Edie, prima di poterla finalmente stringere un attimo a me, un po’ come se non mi morisse il cuore ogni volta che lo realizzo, ogni volta che so che niente me la porterà via. Al massimo sarà la vita sregolata dei cacciatori, ma non la maledizione di nostra madre.
    Ed io non lo so, forse Edie adesso può vederlo, può vedere quanto io ci tenga a questo piccolo genio di casa. Quando gli passo una mano trai ricci e lui si fa coccolare come un gatto. Lo fa solo quando sa di essere al sicuro, e con noi due, con noi due lo è sempre. Lo deve sapere.
     
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    Tante cose sono cambiate, ma mai abbastanza da non farmi premere un sorriso quando lo vedo lì, fuori dalla porta. Mai abbastanza da non sentire quella sensazione familiare, tremendamente familiare, che da qualche parte è rimasta lì, sopita, come un singulto mai espresso. Un piccolo spazio asciutto, mai vuoto, e scavato nel petto fino in fondo. Mai abbastanza da non farmi sentire come naturalmente, il volto prenda una piega dolce, anche se sotto c’è quel piccolo sentore diverso, una nota aspra, quella di tutto ciò che adesso fra di noi è cambiato. Vorrei dire che non c’è stato il tempo, ma sarebbe una bugia. È che alcune cose quando si finisce ad aspettare diventano più difficili, lo diventano per me. Creano sentieri che sono loop, creano intrighi che si stringono, creano quella sensazione che appesantisce e se ne sta lì, ad affondare ogni riva. Mentirei se dicessi, anche, che non ho desiderato in alcuni momenti di tornare a prima, a troppi anni fa per essere davvero un concetto concreto. Più il segno di un ricordo, un sogno sbiadito fra mura diverse, strade lontane. Un mondo a parte, come spesso ho sentito fosse il nostro. Quando chiudendo una porta, lì fuori smetteva di esistere tutto. La maledizione era solo un incubo, mamma solo una bugia, papà un uomo diverso ed io e lui, lì, potevamo essere tutto quello che non saremmo stati mai. Non posso neanche dire che mi pento di essere dove sono ora, della mia vita, di tutto quello che poco alla volta, con fatica, ho racimolato contro il vuoto che c’era prima. Ma non avrei voluto che significasse questo, ma non posso dire di aver davvero fatto in modo che non accadesse. Ad un certo punto, mi sono resa conto di non saper più come parlare con lui, ed è stato questo, più di tutto il resto, a fermarmi. La paura di perderlo era così grande, che ho fatto la cazzata che faccio sempre: niente. Come se aspettando, potessi credere che il tempo avrebbe risolto tutto, che lo avrebbe mitigato, e ci avrebbe portato di nuovo in uno dei nostri punti. Ma è la speranza di una bambina, la mia, e conosco abbastanza il mondo da sapere che era solo un pensiero vigliacco. Mi lascio stringere, lo faccio di rimando con le mani che da dietro la schiena, si fermano contro le scapole, una stretta solida e il volto che per un secondo si piega ad occhi chiusi, nascosto da tutto lascia andare quel punto che ha fatto male. Un secondo, prima di tornare a sorridere quando di nuovo più dritta, piego appena lo sguardo su Remì. Questo,è quello che avrei voluto sempre per lui. Nei miei sogni più audaci, era così che lo immaginavo. Con quella vita che nessuno di noi sembrava destinato ad avere. Gli allungo una carezza leggera fra i capelli, il sorriso ancora puntellato lì. In fondo lo so che amerò sempre tutto ciò che ama lui, un riflesso incondizionato, una realtà stretta a doppio filo. Un filo che nonostante tutto, non ho voluto spezzare mai, neanche per un secondo. «È a scuola» ho quel tono dolce che ormai ho imparato a riconoscere come mio, mentre mi rivolgo a Remì. Non avrei mai pensato di essere madre fino a qualche anno fa, era un pensiero fatto di qualcosa di simile ad un incubo. Adesso è come guardare da una finestra, e vedere indietro tante cose. Alcune che è meglio restino lì, altre che invece vorrei prendere a due mani, stringere, e non lasciar andare mai più. Piego appena la testa di lato quando torno a guardare Josh. «Non c’è che dire, sai sempre come rendere felice una donna» mi scosto lasciando lo spazio perché possano entrare, scivolare via dall’uscio e dentro casa. «Come stanno Chrys ed Alice?» sposto lo sguardo su di lui anche mentre mi sposto verso la cucina, prendendo dei bicchieri dal mobile, spostandomi poi verso il frigo per trovare qualcosa di più adatto della Tequila per un bambino. Ci sono tante cose che vorrei dire, sepolte fra un gesto e l’altro, uno sguardo e l’altro che lo fermano qui, in questo spazio che vorrei, vorrei sempre potesse accoglierlo meglio. Non farlo sentire così spremuto contro le sue pareti.
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    Edited by usul; - 11/3/2023, 15:18
     
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    Mi lascio sfilare la bottiglia e osservo solo un attimo Remì accigliarsi. So che era abituato ad una viola diversa, ed ora ci stiamo provando noi a riempire le lacune anche se non ha ancora undici anni. Li avrà, e se sarà un mago sapremo cosa fare, se non lo sarà... gli troveremo una scuola in cui potrà stare bene. Lo sai, Chrys, che per lui farei ogni cosa. Lo farei per la mia famiglia come l'ho fatto per Edie quando già non ne poteva più di me.
    \Ok, grazie\ e questo non ho bisogno di tradurlo, questo scivola veloce in gesti automatici, comprensibili. E dovresti vedere come Remì segue Edie. Ne saresti geloso, odieresti che a volte possa essere socievole, perché lui è tuo. Io ti ho permesso di trovarlo ma è tuo, quasi sangue del tuo sangue. Ma segue Edie in cucina, la aiuta a trovare qualcosa che vada bene, come un succo di frutta ed io non faccio altro che osservare un pezzo della mia famiglia che credevo fosse già andato in pezzi.
    Forse io ed Edie siamo stanchi di inventarci mondi che non esistono, in cui vivere felici. Palazzi mentali che crollano ogni volta che nella vita ci va di merda. O forse è solo che per una volta siamo felici, ed io ho una cazzo di paura di esserlo e non meritarlo. Lo sai già, vero? Forse lo vediamo tutti.

    "Dai, non dirlo così davanti ai bambini..." resta un ghigno diverso, una battuta leggera perché beh, beh Remì sa molte più cose di me e del nostro matrimonio di quante un bambino dovrebbe saperne. Ma è bravo ad isolarsi nel suo mondo. Come adesso. Ora che prende ciò che gli è dovuto, sorride ad Edie e si cerca una poltrona comoda, un cuscino in pancia e io suo libro là dove ha lasciato il segno stamattina. Lui sta bene. Noi, noi...
    "Noi stiamo bene, Alice è peggio di me, e non dovrebbe essere un vanto ma, che ci posso fare? E Chrys, è Chrys." Ed è un complimento, se quando lo dico sorrido un po', incredulo del fin dove siamo arrivati noi due. Sollevo le spalle, mi faccio avanti per riempire i bicchieri, magari noi possiamo restare in cucina, almeno per un po'. Così io posso continuare a cercare quei segni che non ci sono, dovrei mettermi il cuore in pace.
    "Abbiamo-..." quasi rido adesso, ma che cazzo posso farci? "- gli ho comprato una villa. In Toscana. Come le cazzo di casalinghe disperate" anche se lo sai, amore mio, perché l'ho presa. Non è neanche una dimostrazione economica, è solo il fottuto modo che ho di amare. È che poi, con la tequila sotto il naso, divento appena più serio.

    "Lo so che una parte di me non andrà mai bene qui dentro, ma... ma possiamo respirare, vero? Tu stai bene, Edie?" a cosa brindiamo?


    Edited by nocturnæ - 18/3/2023, 20:15
     
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    Chrys è Chrys, e Morgan è Morgan, e queste non erano le vite che ci eravamo aspettati, non di certo quello che avevamo immaginato. Per noi, ma anche uno per l’altra. Eppure sono queste, e sono sicura che come io non scambierei la mia, neanche lui scambierebbe la sua. Non vorrei lo facesse, mai. Sono stata ipocrita, e questo lo so. Perché ho desiderato che fosse felice, e non mi sono resa conto che desideravo lo fosse in un modo che andasse bene a me. Ci ho messo un po’ a capirlo, di meno a vergognarmene in quel modo silente che non era palese, ma infilato nel subconscio. Adesso, mi basta che sia qui, mi basta che ci sia Remì a muoversi vicino a lui, mi basta sapere che c’è una casa, una famiglia. Quelle che ha scelto lui, nessun altro. Lui e basta, perché sono quelle che vanno bene per lui. E questo, in fondo, è tutto quello che importa. Non so se abbiamo mai capito davvero cosa fosse stare bene. Non so se abbiamo imparato quanto non potesse essere quel qualcosa di idilliaco, perché da sempre, io e Josh, abbiamo potuto vederlo solo nei sogni; stare bene. Ce lo potevamo raccontare come si racconta una favola, con sempre quella nota in più, fantastica, che rendeva quello che guardavamo oltre le pareti qualcosa di impossibile. Non ci saremmo potuti arrivare comunque, sono sicura che fosse questo che pensavamo. Non potevamo arrivarci, tanto valeva immaginarlo con tutti gli ornamenti possibili, e anche quelli che erano fuori da ogni mondo. Mi chiedo cosa penserebbe se gli dicessi che ci sono alti e bassi. Che ci sono momenti in cui bene non mi ci sento per niente, ma altri che invece al contrario mi sembrano la vetta, e oltre, di tutto quello che abbia mai potuto desiderare; vanno oltre anche quello, come se prendendomi per mano mi mostrassero quanto piccola potesse essere la mia immaginazione. Penso in fondo che sia una cosa che può capire anche lui. Siamo persone, oltre tutto quello che avremmo voluto darci. Siamo persone, oltre quel desiderio bruciante che ci ha stretti, accomunanti; quello che voleva sapere, avere una certezza impossibile, di quanto l’altro lo avesse quel tutto che ci era stato sempre negato. È un sorriso diverso, forse un po’ stanco, ma di quella stanchezza piena a cui non si può rinunciare perché non è un sintomo, ma la conseguenza di qualcosa di pieno, qualcosa che arriva in fondo e si muove, e allora stanca per forza. Non come correre, scappare, ma piuttosto come esplorare una terra immensa che sembra avere sempre una promessa nuova, allora non puoi fare altro che seguirla. «Sto bene» adesso sto bene, anche se ci sono punti difficili, punti che si aggrumano contro di lui proprio ora. «Sto sempre meglio dopo aver sfornato, non so se puoi immaginarlo, ma nove mesi al segno di ogni tipo di astinenza non è che siano proprio l’ideale, per me» più leggero, una battuta appena accennata, un sorso che scivola in gola e brucia un po’, ma in un modo che riconosco da un’altra vita. Penso a quella villa, cerco di immaginarmela. E dento di lei, cerco di immaginarmi Josh e Chrys, e la vita che anche loro hanno costruito con fatica. Pezzo per pezzo, e mattone dopo mattone. Ho deciso che non importa, com’è che ci sono arrivati. Ho deciso che non importa, quanto sangue e sudore e quanto male c’è stato. Se c’è qualcosa dopo, se c’è quel punto di arrivo, va bene tutto. Egoista, in questo, ipocrita. Ma il mondo non mi ha mai dato niente, non lo ha dato a lui, non vedo perché dovremmo sentirci in debito. «Hai ragione» piego un po’ la testa, gli occhi che scivolano su quello che ancora se ne sta nel bicchiere. «Avevi ragione, probabilmente ci sarà sempre qualcosa che non ti fa stare bene qui dentro» anche se ho voluto credere di no. Ho voluto, ingenuamente, credere che anche questo sarebbe stato possibile. Come quei sogni che dobbiamo aver sognato, bambini, dipingendo tutti i futuri che avremmo voluto abbracciare, troppo diversi da quello che invece ci era sempre spettato. «E io sarò stupida, sarò egoista, ma non voglio scegliere fra questo e te» uno sguardo che solo per un momento si sposta in lontananza, verso la sagoma di Remì con quello stesso sorriso che si preme quasi automatico sulle labbra alla sua vista, prima di tornare a Josh più seria. «Mi perdoni?» anche in questo sono seria, anche se ho un sorriso che forse è la reminiscenza di un’infanzia lontana. Per quella mano che non ho teso, per tutto quel tempo che ho aspettato come stretta in una preghiera senza voce. E io so che lui può capirlo, perché mi conosce. Al di là di tutto, Josh mi conosce. Sa quali sono i moti, quali i blocchi, quali i punti che si attorcigliano, si fermano, tornano indietro. Quanto certe volte non sia capace di affrontare quello che dovrei affrontare. Quanto stare ferma mi pesi, ma sia anche qualcosa in cui cado così facilmente da diventare un paradosso. Allora capita che mi muovo, ma lo faccio nel modo sbagliato. Anche io avevo bisogno di salvarlo, come lui aveva bisogno di salvare me. Ma anche questo è qualcosa che probabilmente, non ci è stato mai possibile.
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    Dio se ne sono cambiate di cose, ma adesso fammene una colpa, amore mio, non voglio sentirle pesare. Non voglio che il baratro aperto da Slater sia poi un burrone da cui non risalire più. Non senza Edie. Che lo sai come questo poi resti un ringhio incastrato in gola. Anche quando mi assicuro che Remì sia isolato nel suo mondo. Oh, quel bambino. Non lo è mai, lui sente tutto ma non giudica, lui sa cose di noi che è bene altri non sappiano e nonostante questo ha la forza di amarci come la sua famiglia. Noi lo sia, ed io lo proteggerò ad ogni costo anche quando sembrerà capace di fare tutto da solo. Era la stessa cosa che facevo con Edie, vero?
    Non so che cazzo significhi dare la vita a qualcosa che a malapena sa dirti di che ha bisogno, non è niente che vorrei provare sulla pelle, per questo trattengo un'espressione del cazzo, ma so quanto possa essere stato spaventoso sapere che sarebbe stata una femmine. Per me e lei, almeno, che le ginocchia sono tremate anche a me.
    Anche se non c'ero, ero impegnato a morire in qualche fottuto angolo della mia mente. Cristo, non so cosa avrei fatto se non mi avessi dato di nuovo la vita, tu Chrys.
    "Ok" e mi allungo quanto basta per lasciarle una carezza, quasi un bacio sulla spalla, un cazzo di senso di pace. Ora che non resta stretta nella mia gabbia d'ossa è solo più, strano. Ma cazzo se mi è naturale.
    Devo solo contenere il gesto che mi porterebbe a prendere la bottiglia dal suo collo e bere da li, tanto lo farò stasera, amore mio. Stasera, quando tutto questo saranno corpi che si cercheranno, e non saranno mai soddisfatti finché io non sarò stanco.
    Non ti ho ancora consumato, Chrys, non voglio che succeda mai, come avevo paura fosse successo con Edie. "Si io, so che non riesco molto ad andarci piano con le cose" come i cacciatori, il mio fottuto odio per ciò che rappresentano e la distanza che mettono tra me ed Edie. Morgan l'ha detto chiaro, sono dei falsi del cazzo, e questo non è che mi abbia messo il cuore in pace. Ma si, sto meglio ora che ho capito che direzione dare alla mia paranoia.
    Butto giù un secondo bicchiere, che ormai è come acqua, ma lo faccio chiudendo gli occhi, appoggiandomi di schiena a questo mobile. La mia tregua con Morgan l'ha sancita questo tavolo qui, ricordo dove eravamo seduti.
    "Rigo più dritto che posso" sussurro, piano, che Remì è muto ma non sordo, né cieco. Ma si che la perdono, le perdonerei ogni cosa senza un minimo sforzo, anche quando sono due anni che ringhio, forse ho perso mordente, forse questa guerra mi ha stancato. Forse devo pensare ad altro.
    Sfiato, piano. "Non devo perdonare niente..." mi tiro su comunque mezzo sorriso, piano nel riempire i bicchieri di nuovo. Inspiro. "Mi sei mancata."


    Edited by nocturnæ - 18/3/2023, 20:15
     
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    Penso che sia una cosa “di famiglia” non saperci andare piano. Penso che sia perché abbiamo sempre avuto quella sensazione, quella che ci diceva quanto avremmo perso, sempre. Allora era normale allungarsi con più rabbia, con più disperazione, per cercare di trattenere quel poco che ci avrebbe permesso di respirare. Sono andata miglia in là, solo perché potessi avere quella possibilità che nella mia testa, mi diceva come fosse l’unico modo di salvarlo. Lui è andato miglia in là, e sono sicura che altri ancora li avrebbe percorsi solo per la stessa cosa: una possibilità per me. Polarizzati, ecco come siamo sempre stati. Spinti sempre in estremi, perché di estremi era fatta la nostra vita. Assenze ed estremi, presenze che come fantasmi non facevano che infestare di incubi le nostre veglie. Gli incubi di quello che avrebbe potuto spettare a noi, gli incubi di essere dall’altro lato e sapere cos’è che ci saremmo lasciati alle spalle, quando quelle stesse dita scheletriche avrebbero preso anche noi. «Lo immagino, tendo ad essere impossibile da rimpiazzare» un’altra battuta, tirata via con un soffio dalle labbra, ancora piegate in un sorriso morbido. Un’alzata di spalle, prima di piegare un po’ la testa di lato, lasciare il tempo all’espressione di farsi solo un po’ più seria. «Anche tu mi sei mancato» più serio lo è anche questo. Il punto, credo, che sia che entrambi, in un modo o nell’altro, abbiamo dovuto accettare che quella vita che avevamo diviso, è finita. Non c’è modo di tornare lì, non quando tutto è cambiato intorno a noi, e anche noi lo abbiamo fatto. Quella piccola, enorme parentesi, è bloccata lì, impossibile trascinarla qui anche adesso, anche se nonostante tutto, qualche volta lo vorrei davvero. Riprendere anche la maledizione, tutto quanto. Erano più facili, le cose. Io anche affrontavo qualcosa che era sempre stato lo stesso, non c’erano sorprese, imprevisti. C’era sempre e solo la stessa storia, con un inizio ed una fine precisa. So che è egoista, che tutto questo è molto più difficile di dover affrontare quel pensiero, perché le paure che ho adesso si diramano in mille direzioni diverse, e non lasciano dietro alcuna certezza. Un po’ più spaventoso, ma anche più tutto il resto. Ma anche se non possiamo avere quello, possiamo avere sempre noi. In questo, io non ho mai smesso di credere; in quella presa che ho allungato su di lui, e non ho mai voluto allentare. Anche se mi sono sentita impotente, mi sono sentita minuscola, mi sono sentita al margine di una voragine che ero sicura, certa, lo avrebbe risucchiato del tutto non lasciandone più niente, alle spalle. Adesso, invece, è qui. Qui dove allungando una mano, trovo il suo braccio su cui stringere una presa leggera, ma anche decisa, pregna di quello stesso senso che non lo ha abbandonato mai. «Come stai, Josh?» ma ha un tono diverso, ha un tono che nei bordi delle labbra si piega appena, va a fondo, trasuda tutto l’affetto che ho per lui. Come sta davvero, nel bene e nel male.
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    Il tempo di perdonare è passato da un pezzo, Edie. Forse non smetterò di essere quel cane rabbioso che mi scorre nelle vene io… io ho solo rivolto il muso altrove. E so dirlo anche se nel guardarti adesso non riesco più a pensare a Chrys. Posso pensare a come sia fortuitamente assurdo che i miei figli siano più grandi dei tuoi. Che tu li abbia dovuti partorire e - con una smorfia di disgusto - ricordarmi quanto pesante sia. Che i miei siano arrivati per caso, un po’.
    Alice è ancora un mistero anche se cazzo quanto mi somiglia, tanto che nel buttar giù un altro shot, so solo che mi nasce un ghigno che resta sospeso. Cristo se la amo. E tu sai quanto posso diventare ossessivo, vero Edie? Sai quanto poco ci metto ad alzare il fuoco intorno a chi amo, come ho fatto con te per una vita. Ma ora, dio.. a volte fa male sapere che ti sei presa i tuoi spazio lo stesso, che mi hai ignorato nell’andare contro le mie stupide indicazioni.
    Ma io mi sono sentito il capofamiglia quando Osmar ha smesso di farlo, o forse non ci è davvero mai riuscito. E so pensare a tutto questo mentre ti guardo e non ricordo più i tratti di nostra madre. Io l’ho barattata, ma tu non lo sai. Non potrei dirtelo e sarà uno di quei segreti che porterò con me nella tomba.
    Non sai neanche che adesso va così bene da- beh, cristo, questo posso dirtelo. Posso prendere un respiro più profondo, non senza averti prima lasciato la punta dello scarpone contro lo stinco. Non lo voglio sapere com’è sgravare, cristo, dai!
    Ma si, so diventare un musone del cazzo quando poi la domanda la fai a me. E dio se ho scavato nella tua risposta, se ho voluto quelle cose che non mi dici. E lo so che esistono barriere, Edie, esiste sempre un cazzo di "ma". Non so se sono un paranoico del cazzo, o se ho deciso - fermo davanti alle tue porte - di non andare oltre. Oggi non le apro, Edie. Ho imparato la lezione, vero? E' così no?
    "Io-" ti potrei dire che sto schifosamente bene, che un po' è quello che ho detto a Morgan. Ma tu meriti qualcosa di più, cazzo rivoglio le nostre sigarette fumate di corsa sul tetto perché papà non ci vedesse. Ma siamo due adulti adesso, io non so più sentirmi un ragazzino anche se Chrys non fa che ripetermi che l'adolescente trai nostri figli sono io.
    "-sto come non sono mai stato, cristo." sembra quasi una colpa, lo so. Che nel dirlo alzo le spalle, vado avanti, no? Andiamo sempre avanti ma cazzo non sono mai stato così bene.
    Mi fermo giusto a guardare il fondo vuoto del bicchiere. La sento la voce di Chrys. Dice di non bere troppo perché ho Remì con me. O di non bere troppo e basta. Mi lascia un altro ghigno. "Se riesco a non incasinare le loro vite, andrà anche meglio" sussurro, uno sguardo verso Remì, assorto nella lettura. "Edie, non ho mai tenuto a qualcuno così tanto" oltre a te, ovviamente. Ma questo lo sai, non devo aggiungerlo. "E' così che bisogna sentirsi, vero? Che si darebbe l'anima per ognuno di loro?"


    Edited by nocturnæ - 18/3/2023, 20:15
     
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    È così che ci si dovrebbe sentire, sì. Questa, questa è una cosa che posso capire con una facilità disarmante. Nonostante tutto, alla fine, lo so che dal momento che sono arrivati i gemelli, Oliver, Lizy, è arrivata anche quella parte di me che sa che non esistono limiti, nessuno, a quello che farei per loro. Gli sorrido per questo, la dolcezza che ricade in vecchi tempi, quelli che in fondo all’anima non sono mai andati via, ma sbiaditi hanno solo pregato di poter tornare. «Bisogna non è la parola che userei, ma direi che è decisamente normale» piego un po’ la testa di lato, la mano che si allunga poco dopo a prendere un altro sorso, si sposta poi per riempire di nuovo il bicchiere svuotato. Gioco un po’ con il bordo, l’ombra di quello stesso sorriso ancora ferma lì, negli angoli delle labbra. Alzo ancora lo sguardo su Remì, e per qualche secondo lo lascio lì. Il punto, è che penso non sia solo una sensazione. Penso che lui, io, la daremmo davvero via, l’anima. L’abbiamo già barattata, in un modo o nell’altro, altre volte. È qualcosa di concreto, qualcosa che sa di asfissia perché so anche quanto certe volte, neanche quello basti. «Quando ho saputo che avrei avuto una femmina ho avuto paura. Che lei fosse come me, e io come mamma. Non importa quanto sapessi che non era possibile, ho avuto paura. Penso che una parte di me ne avrà sempre, finché non avrà la giusta età e saprò per certo che non è così» non me lo saprei perdonare mai. Perché io l'ho vissuta, e forse non ho abbastanza speranza per qualcosa come quello che hanno fatto loro. Mamma e papà. A volte mi chiedo se da qualche parte, lei sia ancora viva. Se sia a correre in qualche posto dimenticato, intrappolata lì. Non abbiamo mai avuto modo di piangerla, nostra madre. Ancora oggi nessuno potrebbe dire con certezza se sia viva o morta. Io, io spero sia morta. Lo spero perché non augurerei a nessuno il contrario, mai. Spero che abbia trovato la pace che niente mai le ha concesso in vita, neanche noi. «Lo so che è stupido, ma certe cose è difficile togliersele di dosso» questa è una cosa che lui può capire. Eravamo insieme in quella casa di speranza e paura, quando ad ogni anno che andava più vicino a quella linea rossa che avrebbe detto se anche io ero come lei, o se per miracolo il sangue ci avesse graziato, c'era densità nell'aria. A volte queste cose si esauriscono, diceva papà. Penso ci abbiano creduto per davvero, fino alla fine. Ho avuto paura di questo, ne ho ancora. Paura della speranza. Paura della paura. Paura di aver creduto qualcosa per poi scoprire che era solo una bugia. Questa è una parte di me, nonostante tutto. Non posso cancellarla, annichilirla, distruggerla. Fingere che non sia esistita solo perché ora, adesso, non è più serrata alla gola come un orologio che conta all'indietro, e consuma tutti i miei respiri. Non posso metterla in un cassetto e chiuderla lì, fingere che non esista. Tiro un sorriso sulle labbra, anche se ha dietro un respiro più profondo. Lo guardo, e ancora lo so che questo, questo lo può capire. Solo lui, fra tutti. È stata la nostra lingua, la nostra vita, la nostra storia. C'eravamo noi, lì, fra quella speranza e quella paura. Dall'altro lato è diverso, e penso ancora che una parte di Morgan, forse tutto di lui, vorrebbe invece solo che quello fosse proprio questo: qualcosa chiuso in un cassetto, fingendo che non sia mai esistito. È una cosa che capisco, la capisco fin dentro l'anima, e non penso sia sbagliato, al contrario. È solo che non può essere davvero così per me. E questa paura, non ne è che la prova. È tornata in quel preciso momento, e me lo ha detto che in realtà non se n'era mai andata. Aspettava e basta, aspettava uno spiraglio. Perfetta è la parola che ho usato quando è nata, perfetta e la parola che mi viene in mente ora. Perfetta, forse troppo per questo mondo, esattamente come lo sono i gemelli, come lo e Oliver. Ma con lei è diverso, c'è quella paura in più. Irrazionale, senza senso, quasi folle. Ma c'è lo stesso. Ed è la paura che nasce proprio da questo, da quella sensazione di voler dare via qualsiasi cosa, tutto, senza tenersi più niente, neanche una briciola, per tutti loro. Torno a guardarlo alzando ancora le spalle. Abbiamo perso abbastanza da conoscerla bene, quella sensazione. Abbastanza da conoscere bene questa paura. Abbastanza da sapere che davvero, andremmo così tanto in là per quello a cui teniamo. Così poco, in fondo, ma che è anche un mondo intero. «E credo che in fondo, tutto quello che vogliamo, è che abbiano avuto qualcosa di molto, molto meglio di quello che abbiamo avuto noi» me e lui, sì, ma anche un noi molto più generale. Quello di tutto quello che esiste lì fuori, ma da cui nonostante tutto, non possiamo davvero proteggerli per sempre. Alzo un po’ le spalle, un soffio che arriva alle labbra e mi lascia per qualche secondo a fissare il bicchiere, prima di svuotarlo con un sorso solo. «Non incasinerai le loro vite, perché nonostante tutto, Josh, sono ancora convinta che tu sia una brava persona. E sei e sarai un buon padre, come sei, sei stato e sarai un buon fratello»
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    Non lo so quanto ancora durerà questo nuovo castello, ma almeno l'abbiamo costruito dalla merda, Edie, non da quei sogni che ci sono stati strappati via dal cuore. Cristo, il mio fa ancora così male alcune notti. Ma non è una cosa che voglio dirti, è di Chrys adesso quel punto di controllo sui miei battiti, lui che sono sicuro ti chiamerebbe almeno con un giorno di ritardo se mi succedesse qualcosa e tu lo odieresti, ma resta questo a cui mi aggrappo saldamente.
    E' vero che non siamo più quei due che erano così capaci di fumarsi qualcosa sul tetto e - guardando quello schifo che è ancora il Bronx - sorridere. Ed i nostri erano ringhi, qualcosa che sapevamo potesse accomunare solo noi due.
    Eravamo noi contro il mondo, Edie. Noi contro chiunque volesse entrare nella mia o nella tua vita... poi mi sono accorto che solo io volevo ancora lottare fino allo stremo. Solo io ero contro ogni cosa mentre tu prendevi il via per una vita che avevi sempre voluto. Lo vedo adesso, che sei una madre migliore della nostra, che non c'ero quando avevi paura che lei potesse nascere come sei nata tu.
    Questo fa male, ma è ok, no? E' ok perché le colpe so darmele da solo, non lo stai facendo tu, lo faccio io, vero?
    "No, no non è stupido" e lo faccio questo passo avanti, guardandoti come ho sempre fatto e non facevo da una vita, dritta negli occhi. Anche se adesso i miei sai vederli uguali perché ti sottraggo il punto doloroso, la sclera pallida dell'occhio finto. "Dio non sai quante volte io ho ancora paura" abbasso la voce, che per Remì sono il papà forte, ma non sa quanto Chrys lo sia molto più di me. Anche se ora è pensando a lui che spingo il bicchierino sul tavolo e lo lascio li.
    "Non lo sai-" in una carezza lenta, leggera oltre il viso "-quante volte io abbia paura che si rimangino i patti, che ci sia da lottare ancora, di nuovo, sempre" che ci imprimo un ringhio in queste basi. Solide, come sono. Solide perché non smetterò mai di aver paura di perderti Edie, neanche quando sono il primo a mandarti via se fa troppo male. Lo sai come sono fatto, tu.
    "Non so se sono davvero buono come pensi, ma so che per loro farei le stesse cose, se non di più. Darei ogni briciolo della mia anima" perché è sempre così. E' sempre una lotta, sempre una guerra, non ci può uscire davvero dalle ossa, non può lasciarci in pace. Ma tu lo capisci, Edie. Tu vedi dentro qui, in questo cuore del cazzo che cosa c'è. Perché sono tuo fratello, ed in cuor mio spero che Alice e Remì possano un giorno condividere qualcosa di simile. "Non c'è abbastanza Tequila per tutto quello che ci siamo persi" che è un ghigno leggero, screziato dal dolore, sempre. "E sono un padre responsabile, adesso"
     
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    Non sono fiera di molte cose, quando si tratta di lui. Eppure, so anche che lo rifarei se mi garantisse, sempre, che Josh arrivi esattamente dov’è arrivato, con tutto quello che ha. Sarò ripetitiva, ma non ho mai voluto altro. Tutto il resto, sono solo dettagli piccolissimi in mezzo a tutto. Sposto di nuovo lo sguardo su Remì, un sorriso che è un soffio dolce sulle labbra. Certe cose, penso che non ce le lasceremo mai alle spalle. La paura, quella, è una di quelle. Non è qualcosa che possiamo semplicemente dimenticare, lo so. Probabilmente, lui più di me. Gli prendo la mano per stringerla fra le mie, tornare a guardarlo con qualcosa che adesso, è pieno. Più pieno di quanto non lo fosse quando è arrivato, e c’erano ancora tante, troppe cose fra di noi. Adesso, penso che possiamo superarle. Prenderle una ad una, mettercele alle spalle, e trovare un nuovo modo di essere noi. Uno che possa conciliarci con tutto, e non invece mettere contrasti dove in fondo, non avrebbero dovuto esistere mai. Alla fine, lo so che Josh è un pezzo troppo importante di me, un pezzo necessario, uno senza cui non potrei mai, mai, mai, essere davvero me. Non potrei mai davvero essere. C’è sempre stato, mio fratello, in ogni immagine che ho disegnato per il mio futuro. Non avrebbe potuto essere diversamente, e mai potrebbe. Nonostante quello che ho fatto, nonostante quello che ho detto e sopratutto, nonostante tutte le volte in cui non ho fatto o detto proprio niente. Stringo un po’ di più la mano, lo sguardo che scivola piano verso la bottiglia, poi torna su di lui. «Dovremmo indire una serata Çevik alla settimana» un po’ è una battuta, perché è difficile trovare il tempo in mezzo a tutto. Per lui, per me. Però, vorrei davvero scavarlo il tempo, farlo da parte, trovarne di più per noi. Per non trovarci di nuovo con troppe cose da dire, tutte insieme. Sono stanca di quelle distanze, e anche se non possiamo di nuovo avere quegli spazi stretti, quelli di una casa condivisa o di appartamenti non così lontani, che ci tenevano premuti sempre uno con l’altra, so che possiamo averne uno nuovo. Che sia nostro, anche quello. «Non avessimo deciso che essere genitori fosse la nostra vocazione» prendo un altro sorso, lasciando la presa dalla sua mano con uno sbuffo che resta un sorriso. «Staremo bene, Josh» io e lui, noi due. Una cosa che era da troppo, troppo tempo che non dicevo. Troppo tempo che non era qui, a fior di labbra. Sono più seria nel dirlo, seria come lo sono stata poche volte nella mia vita. Non lo ho lo spazio per un dubbio o l’altro, questo è qualcosa che non può che essere così. Staremo bene, per una volta nella vita. Bene, senza problemi, senza l’asfissiante presenza di un timer, senza che ci siano spazi immensi fra me e lui. Lo so che quella stretta che ho sempre avuto, adesso è talmente forte, da farmi sapere che non la lascerò mai andare. «E lo sei, buono come penso. Hai sempre voluto il meglio per me, come io volevo il tuo» non ce lo eravamo immaginato così, questo è vero. Ma va bene lo stesso, va molto più che bene. «E lo so che questo è il meglio per te» è solo un gesto della testa quello con cui indico Remì, un sorriso che resta fermo sulle labbra. Quello, quella famiglia, i figli, Chrys, quello è il meglio per lui. Questo mi rende felice, profondamente. In un modo che adesso posso sentire pieno nel petto.
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    E lo so cosa può sembrare adesso, questa sconfitta che lentamente si fa strada anche contro i sorrisi. Perché resta il fatto che tu sei viva, Edie. E contro ogni fottutissima prospettiva hai anche dei figli, una famiglia, una bambina. Che dei maschi non c'è mai granché da preoccuparsi, ma per lei.. beh so come ci si sente. So quale incubo sarebbe se di punto in bianco davvero i patti potessero spezzarsi e tutto tornare come prima, se non peggio.
    Non so, Edie, non riesco mai a sentirmi del tutto al sicuro: non è normale per me, per noi. Neanche quando contro una carezza finisco per piegarmi, per chiudere gli occhi un secondo e prendere fiato. Che era così anche quando a combattere eravamo solo io e te. Ora abbiamo un esercito alle nostre spalle.
    Tu hai Morgan, Caiden, tutti i cacciatori che possono trascinarsi dietro solo invocando il loro nome. Hai tre figli, due cani, non so quante altre bestie dentro questa fattori e... me. Edie hai ancora me, ok?
    Io, per contro, ho due figli, un mondo che mi sono costruito e che affonda in una magia che è giusto resti lontana da qui, anche se Cristo quanto mi mancano le nostre serate. Ho solo creduto che ormai fossero andate perse e.. ed ho Chrys. La forza della natura che si porta dietro, il modo in cui sa capire ogni stato d'animo del cazzo. Penso che sia un lavoro, che prima o poi si stancherà, ma non vorrei mai arrivasse a tanto.
    "Si"
    Riesco, in un soffio, a spingere la fronte contro la tua, come quando avevo bisogno di respirare e tu sapevi fermarti un attimo con me. Come quando avevo il terrore che ogni secondo fosse già l'ultimo, ed allora avevi tu la capacità di stoppare il tempo. Creare una bolla in cui il Maledictus non potesse entrare.
    Come quando finivo a dormire nel tuo letto perché da piccolo mi sembravi già troppo grande, già lontana come nostra madre.
    "Magari una volta al mese, o la mia testa finisce su una picca"
    Non è poi del tutto uno scherzo, ma immagino, lo so, lo capisco che quando girano troppi cacciatori, in un momento di caos tanto folle, non ci sia l'aspettativa di accoglienza per me.
    "E immagino che i mini-Crain ti tengano occupata-" i tuoi figli che reclamo con un ghigno, non so se sarò davvero lo zio della pizza, ora che i miei sono decisamente troppo grandi, che adesso sono già una piccola piaga nel mio cazzo di cuore.
    Faccio giusto un passo indietro "- e che Villa Sinister non abbia un aspetto così accogliente, ma le barriere sono sempre abbassate per te, per loro, e per Morgan" e basta, perché gli altri devo stare molto, molto fuori dai coglioni. "Ok?"
     
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    Ho mandato a fanculo tante cose nella mia vita. Una dopo l’altra. Penso di averlo fatto sempre con tutto, per tutta la mia vita. Le cose non erano fatte per me, io non ero fatta per vivere. Era tutta questa la verità che conoscevo, quella in cui mi ero fatta spazio. Di concesso c’erano solo Josh e Papà, tutto il resto doveva restare quella nuvola distante dentro cui non scivolare mai, ma solo leggermente passarci di fianco. Senza lasciare traccia, lasciare segno, così che una volta andata, lì di me non sarebbe rimasto niente. Ho fatto cazzate anche in quegli anni, perché alla fine è ovvio che fosse una stronzata. Che per quanto troncata, anche io avessi quegli impulsi, quei desideri monchi che cercavo di uccidere ogni sera, e ogni mattina mi trovavo lì, di nuovo di fianco al letto. Ho avuto paura, di questa vita. Ne avevo così tanta, perché l’avevo vista dal nostro lato, quello mio e di Josh. Perché ho visto mamma sparire, abbastanza grande da rendermi conto di com’era quello spazio che aveva lasciato, abbastanza grande da sapere che lì sarebbe rimasto. Essiccato, senza aria, senza niente se non quel buco. Ho visto Papà farsi piccolo, sparire anche lui in un modo diverso. Me lo sono chiesta, che altro conoscessimo io e Josh. A parte questo, lo sparire, l’assottigliarsi, il lasciare niente se non un buco che forse, a guardarlo troppo, avrebbe risucchiato anche tutto il resto. Non so se la abbia anche lui, questa paura. Quella di girarsi e trovare solo spazi vuoti lì dove c’era stato qualcuno, e avere paura che quel buco possa risucchiare tutto il resto. Io la ho sempre, l’ho avuta sempre anche con lui. Non so se lo sappia anche adesso, quanto mi faccia paura il pensiero di essere, alla fine, io tutto ciò che resta quando intorno a me tutto sparisce. Non ho mai dovuto affrontarla la paura di restare da sola, anche quella non era fatta per me, non poteva appartenermi. Adesso lo fa, ed è un demone che azzanna i miei sogni, li tormenta uno ad uno, e mi lascia a guardare ogni cosa e rendermi conto quanto sia fragile, anche quella più forte. Quanto ci voglia, quanto sforzo, quanta decisione, a tenerle insieme le cose. Ma è una fatica che mi fa sentire viva. Mi fa sentire che c’è qualcosa di importante da stringere fra le dita. «Molto occupata» è ancora un sorriso, lo è sempre. Anche se magari qualche volta, invece, vorrei raggomitolarmi in un posto sicuro, un posto fatto di braccia, silenzio e sospiri. Di presenze che non dicono niente, ma sono lì, ferme a dichiarare qualcosa contro il tempo. Qualche volta, vorrei solo che andasse bene. Che andasse bene senza quelle condizioni piene di tutti i ma che restano lì, premuti in silenzio. Anche adesso, puntati come chiodi contro una parete, così forte da non lasciarla andare mai. Vorrei strapparli uno ad uno, ricostruire tutto da capo, farlo in un modo che male non lo faccia mai. Ma non ho le braccia per farlo, non ho le gambe per reggerlo. «Lo so» lo so davvero. Lo so sul serio che casa sua, avrà sempre anche un posto per me, perché so che è così che l’avrebbe costruita Josh, con sempre quell’apertura fatta per accogliermi. Io questo non l’ho fatto, invece, non ho potuto creare uno spazio che potesse essere anche suo, sempre. In ogni secondo, senza dubbi, senza quei ma puntati lì, ancora. Abbasso appena la testa, le braccia che si stringono contro di me, le spalle un po’ alte, un dondolare che mi fa pendere da destra a sinistra prima di muovere un passo e premere il lato del volto contro il suo petto, ad occhi chiusi. «Mi dispiace non aver costruito un mondo per te» non so se lo sa, quanto questo pesi davvero contro lo sterno. Me lo sono chiesta, qualche volta, se le cose sarebbero potute andare diversamente. Se magari quella volta, a quella festa, quando mi ha chiesto chi fossero i Crain, avessi detto semplicemente la verità. Ultimamente, mi sembra di essere perseguitata da tutto quello che non ho detto più che da tutto il resto, e forse lo sono. Ho creato fantasmi dei miei silenzi, e di tutto ciò che rappresentano. Sento le labbra cedere, perdere il soffio di quel sorriso, tremare appena in un respiro che le lascia e si carica di qualcosa di diverso.
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