Never there

Benjamin & Horace | 16 marzo, 2023 - Il nido

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    Non vi siete arenati. Non state perdendo niente, ecco, eppure tu hai sempre quella cazzo di sensazione di sconfitta addosso. Ti senti sconfitto, abbattuto, come un cazzo di aereo bombardato e lasciato affondare nel Pacifico. Per puro caso, alla fine, solo perché serve sempre un capro espiatorio. Qualcuno contro il quale lottare. Qualcuno sul quale averla vinta o dal quale essere sinceramente sconfitti. Nel giusto, senza alcun mezzuccio, ecco.
    Ma non state perdendo. Non la guerra, ma nemmeno una battaglia. Non perdete perché rimanere in stasi è essa stessa una parte della rivolta. Come la riflessione, ecco, quella che non viene facile a te in generale, ma figuriamoci come peggiora quando bevi e lo fai aspettando che Horace ritorni.
    E ti affacci alla finestra del casolare abbandonato con il dorso della mano a pulirne i vetri impolverati. Ad aspettare, forse, il permesso per poter scendere di nuovo le scale e andare a cenare insieme agli altri. A dare una mano quando le energie vorresti davvero impiegarle in altro. Che a te lo stomaco si contorce su se stesso ma non perché hai bisogno di mandar giù qualcosa. Non vuoi mangiar con loro né tanto meno uscir fuori a nutrirti. Per la prima volta in tutta la tua vita preferisci restar qui, tra quattro mura, nella stanza più isolata delle altre, a fissar sagome di passanti lungo i marciapiedi, conscio che nessuno alzerà il naso al cielo per vederti. Nessuno può notarvi, siete dei cazzo di topi. Invisibili, silenziosi. Squittite solo quando vi si calpesta la coda, quindi insomma, se non uscite fuori da qui nessuno può farvi urlare. Alla fine, ma non vuoi pensarci, ecco, ti rendi conto di come più che proteggervi non state facendo altro che imprigionarvi da soli.
    Ma tanti topi insieme, beh, sanno fare un gran casino.
    Solo che resta un mero pensiero. Un ripetersi di movimenti silenziosi delle labbra che accompagnano i pensieri. Perché a pensare pensi, il problema è che rimbalzi da una parte all'altra, così come fai con i piedi: che prima sei in una parte della stanza, poi dall'altra. Continuamente, quasi a defaticare così piuttosto che uscire ed andare a correre. Non puoi permetterti nemmeno questo lusso d'altronde, non quando la notte non è ancora giunta e allora sarebbe meglio evitare di far vedere quanta gente entra od esce da qui.

    "Puzzi, sai?"
    Ti fermi solo per dire questo, con gli occhi ancora rivolti alla finestra. Le mani a ridisegnare come un antistress disegni astratti sui vetri. La polvere ti si condensa lungo i polpastrelli. Strofini l'indice ed il pollice per vedere se così si raggruma meglio.

    "Di una cosa che avremmo dovuto fare insieme, tipo."
    Non hai bisogno di salutarlo o di dargli il ben tornato a casa. Non hai bisogno di carniere perché Horace non è tipo da carinerie. Non hai davvero bisogno di un cazzo, in effetti. E magari nemmeno lui. Non avete bisogno di niente voi due, ormai.

    "Com'è lei? Perché sei stato con lei, vero?"
    D'altronde, puzza come puzzava Lucian.
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    "E..."? te lo dico così, Benji, perché mi stai con il fiato sul collo ed a me non piace essere braccato. Non mi piace quando mi aspetti dalla tenda ed anche quando torno ci resti incollato. Sembri deluso da qualcosa e so bene anche dove ho sbagliato, ma cristo se non è la giornata giusta per sottolinearlo.
    Anche perché ho fatto più cazzate in un'ora di quante possa reggerne tu in una conversazione, magari è per questo che non voglio parlare, non voglio dire niente. Voglio il silenzio, e quel profumo che mi porto dietro da Vivianne, quello che è inconfondibile. Si, puzzo come puzzava Lucian, e non ho neanche impresso qualche sforzo affinché non accadesse. Di vestiti ne abbiamo così pochi che buttarli sarebbe stata una stronzata.
    Tanto prima o poi lo avresti scoperto comunque, ma il modo in cui mi accogli mi fa entrare con un ringhio, e con la supponenza di chi non sbaglia mai.

    Appoggio la giacca lanciandola un po' a cazzo di cane, come sempre, tengo il muso più in basso di quanto dovrei. Ma questo perché so di averlo fatto per Lucian, non per te, per noi... insomma per questo, per il cazzo di Nido in cui viviamo.
    "Non l'ho pianificata" stronzate, sapevo benissimo dove stavo andando ma si, pensavo solo di guardarla come sempre, senza intervenire. Che cazzo mi è preso, non ne ho idea. Era solo una ricognizione, io sono solo un folle.

    "E comunque lei non ha idea di chi l'abbia ucciso o come sia morto" che forse resta il punto focale di tutto, perché è morto da mesi - e per me non lo è davvero, lo sai cazzo - e non abbiamo ancora finito di parlare di lui. Ma d'altronde io ho l'anniversario di Joseph, sono fatto per andare avanti, restando indietro.
    Appoggio la schiena al muro, un tallone contro il tavolo della cucina, una sigaretta che non ho voglia di fumare. Lascio il pacchetto, rubato ad un pezzo di merda - ormai tutti lo sono per me - e lo lancio al centro del tavolo, come offerta di pace. Ti arriva molto vicino.

    "Lucian non ci ha mai detto quanto fosse testarda." Su questo mi fermo anche io, con gli occhi che corrono all'esterno, non si muove mai niente che non ci appartenga, ed è giusto così. Va bene finché gli altri sono al sicuro. Non ti dirò quello che non voglio dirti adesso, a meno che non me lo tirerai fuori.

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    Non sai se crederci o meno. Perché ad ogni modo Horace è una persona accorta, forse troppo e tu sai che le cose non le fa mai per caso. Non è così istintivo come lo sei tu. Lo senti che è un ex militare. Senti che ha una base dietro, uno studio, un modus operandi, tutte cose che comunque a te sfuggono per questioni educative, abitudinarie. Per questo non gli credi quando ti dice che certe dinamiche accadono per caso. Fortuitamente, come se dopo anni di legame con Lucian incontrar la sua tipa proprio dopo la sua morte fosse un caso fortuitissimo. Quelle meravigliose coincidenze che di bello forse non hanno nulla. Non sai come sentirti, in effetti ora, forse non sei nemmeno così indignato come hai creduto di percepirti all'inizio. Forse la sensazione è l'opposto, l'inverso, qualcosa che non sai effettivamente gestire perché se c'è qualcosa che sai governare, tu, sono gli impeti. Gli attacchi di rabbia, la furia che oggi non vuoi però tirar fuori. E lo guardi, Horace, farsi spazio in quella che ormai è casa vostra. Muoversi, respirarla, quasi a ricercare uno spazio che sappia appartenergli ulteriormente.
    E non dici nulla, no, anche se hai l'abitudine di far un passo quanti ne fa lui, quasi a seguirlo, ad emularlo, anche se non è qualcosa che sai programmare questa. Tu ti muovi per istinti e l'istinto, per quanto ora sia chiaro, ti chiede di ascoltare meglio. Di essere più attivo, più ricettivo, ecco. Soprattutto per quei dettagli che sei solito farti sfuggire.

    "E niente."
    Incalzi, come se ci fosse qualcosa da incalzare. Come se ogni tua parola servisse ad attivare qualcos'altro. Una sua risposta, magari aggressiva. Che c'è sempre una parte di te pronto a fronteggiarlo, anche se non a parole, no, con quelle forse non sei nemmeno tanto bravo, quanto con i denti e i pugni, ecco.
    Ma non puoi prenderlo a pugni per non essere stato invitato. Forse nemmeno per non essere stato avvertito, per averlo dovuto sentire da te, ecco, il suo odore. Ti chiedi per un istante se Horace te ne avrebbe parlato o se fosse toccato comunque a te scoprirlo.

    "Pensavo solo che fosse meglio evitare di incontrare la vedova."
    Perché c'è una parte di te che già si è arresa, anche se poi tenti sempre di mantenere le promesse che hai fatto, soprattutto a Lucian, per il quale però non sai se ti batteresti tanto. Non sai quanto saresti disposto a dare per questa causa. Per questa ennesima causa. Come se Horace avesse ragione e allora ci fosse bisogno di indagare a fondo, di capire, quando forse la verità è già di per se lampante. Anche per la sua Vivianne, dalla quale Horace non è riuscito a cavare un ragno dal buco. Nessuno sa cos'è successo veramente a Lucian o almeno, nessuno sa come sia morto, eppure tu credi fermamente che ad ogni azione corrisponda una reazione uguale o contraria. Che per come viveva lui - anche se non ve ne parlava - forse morire è anche troppo, troppo semplice.

    "Tu come stai?"
    Ma alzi il muso in sua direzione, come a voler capire meglio ciò che forse resta comunque lampante. Che non ti sembra mai troppo sereno Horace, ma forse perché sei davvero tu quello ad infastidirlo più del resto.
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    Tamara ha imparato a dire "faccia da cazzo" quando ha capito che era quella la mia espressione di pentimento. Non che io mi penta davvero di quello che ho fatto oggi senza dirti niente, Ben, ma so quando sbaglio, so che ci sono conseguenze a quello che faccio e adesso puoi cogliere ogni cosa.
    Io non mi nascondo come un coniglio delle praterie, di quelli che appena vedono il coyote sanno di dover correre otto volte più di lui. Tu non sei il coyote, io non sono il coniglio, vorrei che il concetto fosse chiaro. E spero lo sia quando metti in dubbio quei gesti che metto in dubbio anche io.
    Tanto che lascio andare un respiro più profondo, svuoto i polmoni nell'accasciarmi su questa poltroncina - il prossimo salto che ci faccio sopra stiamo sicuri che sia apre in due. Ma per ora ancora regge. Me ed il mio peso, il peso delle cose che faccio per impulsivo.

    "Non sei tu l'unico impulsivo, Ben" vorrei solo mettere anche questo sulla carta. Perché la stavo davvero solo seguendo e non avrei fatto altro che ricognizione, ma non ti guardo, non ti confermo questa cosa.
    Perché a volte superi più limiti e lo fai tutto in una volta sola, senza neanche pensare che si sono un militare ma non sono uno di quelli che ha davvero imparato a tenere fuori tutto.
    Il congedo con disonore vorrà pur dire qualcosa. Tanto che lo so che mi vedi, lo so che senti quando qualcosa non va, quanto qualcosa mi ha ricordato troppo Joseph. Forse sono palese, tanto mi sto rigirando la sua medaglietta tra le dita, sovra pensiero.

    "Almeno ho evitato di dirle che sapevo che cosa stava passando, che è una grandissima stronzata" come se avessi bisogno di farmi confermare da te che non sono uno da luoghi comuni, ma tanto poi finisco per guardarti lo stesso, per non tenerti davvero nascosto niente. Se non avessi voluto fartelo sapere, mi sarei lavato via il suo odore, non pensi?

    "Ma-" e qui lasciamo deglutire un secondo perché questa si che è stata una stronzata bella grossa, una di quelle per cui sono pronto a chiudere gli occhi agli insulti e sentirmele dire di santa ragione. "-le ho dato il numero del satellitare LO SO OK?" E prevengo qualunque cosa alzando le braccia per primo, per poi lasciarle ricadere mollemente sui braccioli mangiati dai topi. "Adesso puoi dirmi che sono un coglione, stavolta la merito più delle altre" anche se mi resta un ghigno, non so appendermi a molto altro. Sfilo le scarpe dai talloni, finiscono in un angolo.

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    Conosci Horace abbastanza da dire che tra i due è sempre quello con più cuore. Un cuore forse più stracciato, più dolorante, ma comunque tanto grande, tanto spazioso nonostante tutto. Più del tuo, ecco, che forse si è fatto duro, raggrinzito, come se nessuno, in questi quasi ventiquattro anni di vita lo avesse alimentato. Si fosse preso cura di lui.
    E lo conosci così bene da aver paura di ciò che sta per dirti. Come se sentissi già dal principio di doverti preparare a qualcosa. Di dover stringere i denti come se ci fosse qualcosa contro la quale lottare attivamente. Ed effettivamente ti allarmi. Tiri su le orecchie come a non voler perdere alcun dettaglio di questa conversazione. Come se non fossi mai sicuro, di comprendere a pieno ciò che gli altri vogliono dirti. A volte è persino strano che qualcuno scelga proprio di venire a raccontare a te qualcosa.

    "Ah, persino il numero del satellitare!"
    Ti fingi felicemente sorpreso, come se questo fosse normale, d'altro canto, insomma, si sta parlando della ragazza di Lucian, no? La ragazza che vi è stato richiesto esplicitamente di non "toccare". Qualcuno che sì, ora necessita della vostra protezione, anche se forse non in questo modo. Anche se, ecco, forse bisognava parlarne prima. Rifletterci su, capire un istante.
    Ma qui quello che non capisce sei sempre tu. Tu che non entri mai nei dettagli, che non ti spogli a dovere. Che non fai tuoi le emozioni altrui. Magari non lo imparerai mai. Magari morirai così: solo, insofferente, vuoto di qualsivoglia delicatezza. E forse sì, forse a lungo andare la cosa inizia a pesarti davvero. D'altro canto non vuoi essere solo e soltanto questo. Solo l'iperattività, solo la disattenzione, solo un mostro.

    "Dici che è una testarda e le lasci così, senza chiedere, il numero del satellitare. Non so, tanto valeva darle l'indirizzo di questo posto. Le hai chiesto di chiamarti se ha bisogno, vero?"
    E a volte sì, dai per scontate troppe, troppe cose. Lo fai prendendotene a cuore, come se non sapessi mai muoversi diversamente.

    "Magari invitala a dormire, a vivere qui. Tanto diamo per scontato che nessuno si muoverà impunemente alla ricerca di una risposta sulla morte di Lucian, vero? Nessuno metterà in pericolo il nido."
    Ma vai a sedersi vicino a lui. Lo fai prendendo posto sul bracciolo della poltrona per poi lasciar andare il corpo lungo il suo. Poggi il capo contro una sua spalla ma non perché sai restare un secondo in tranquillità. Lo fai solo perché ti viene spontaneo muoverti, muoverti continuamente.

    "Non sarai troppo buono, Ho?"
    Sospiri, ma sembri quasi un fratello maggiore pronto a perdonare gli sbagli del minore. Senza alcun permesso per farlo.

    "Io so gestire una trasformazione, un maledictus, ma non i problemi di cuore...scusa."
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    "No, le ho detto di chiamare te." Lo sai cosa ho detto si, non serve neanche che lo rimarchi così, seppur è una tua specialità. Per fortuna almeno sei un po' più morbido, mi dai del coglione ma in modo diverso. Non so se sia rispetto verso la stronzata che ho trovato il cuore di fare, o solo verso di me. O magari non è neanche rispetto è che conosci i miei limiti. Perché so perdermi con poco, e se per gli altri alzo il mento e ringhio, con te è più difficile.
    Ringhio solo quando mi vieni vicino, come a ricordarti che anche se ti appoggi al bracciolo - dopo avermi fatto una paternale sottomessa - questo posto resta mio.
    E' un ringhio che ama essere sfidato, quasi potesse solo essere il borbottio di un cane messo all'angolo. Ma tu provaci a mettermi all'angolo e ti apro la gola.

    Ma il fatto che nessuno si muoverà tanto per trovare Lucian, per capire come sia morto, beh non aiuta. Non aiuta, mi scanso un pochino però perché tu stia comodo anche se puzzo di quella ragazza che non va toccata. Non ho neanche intenzione di farlo, se è per quello, mi è solo sembrato che... non so, la perdita in comune fosse un punto. Quando ho perso Joe, c'ero solo io.

    "Non c'è nessun problema di cuore da gestire, non c'è proprio un cazzo" ringhio ancora, stavolta guardandoti e sei veramente troppo vicino per non leggere tutto in queste pozze indefinite. Non so come facciano i cani, il branco, ma al contatto sono abituato. Non sai come cazzo era brutto quando sopra le nostre teste gridavano le sirene e da ogni parte piovevano proiettili. Ho imparato a dormire sotto un cielo di polvere da sparo, grigio e fuoco.

    "Ci andrò pazzo, ma capirò che cosa gli è successo, chi ci ha portato via un altro fratello. Non importa se lei non sa niente, dovevo almeno provare, almeno togliere una persona dalla lista. Si, una lista che è di nuovo vuota, che cristo.." ma sono tutti lamenti, bassi, che non vuoi sentire. Tu non vuoi sentirmi lamentarmi in questo modo di qualcosa che non si risolve. Ma anche oggi non è quel giorno in cui alzo il culo. Mi volto solo verso di te, non è magari una buona idea starmi vicino proprio adesso, mettermi in un angolo quando ringhio sempre, quando dallo stomaco parte il nostro orrore più grande, più bestiale.

    "Pensi davvero che metterei a rischio il Nido?" stavolta non è più neanche un ringhio di avvertimento, sono io che ti fermo contro la poltrona. "Per la compagna di Lucian?" snudo i denti.

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    Ti lasci prendere e premere come vuole lui, senza opporre mai resistenza, anzi, aiutandolo persino nella presa. Come foste due lottatori di wwe: allora c'è bisogno di coordinarti per dar spettacolo e non farsi del male davvero. Tanto che assecondi i suoi movimenti, gli dai modo di averla vinta su di te anche se questo risuona un po' come una resa. E non aggiungi altro, d'altronde non hai nulla da dirgli, niente di niente. Che Horace quando si sente alle strette non diviene magicamente simpatico. Né ti sembra di poter ricavare qualcosa da questo discorso. Alla fin fine non si tocca mai alcun punto nuovo. Non si va mai davvero avanti. Ci si arena e basta, come forse nemmeno vorresti. Ma su certe cose ti lasci andare, molli la presa per vedere com'è che va, cos'è che succede se ti fai più molle. Aspetti, allora. Lo fai alzando in muso in sua direzione come per sfidarlo a fare in fretta. A darti risposte in fretta. A dirti qualcosa in più. E sospiri, che quasi sembri rammaricato.

    "Non dico per lei."
    Hai la sensazione che Vivianne possa interessargli solo come mezzo per raggiungere quella cazzo di verità per la quale si batte sempre. Horace vuole la verità, vuole essere sincero, vuole che il mondo lo sia con lui. Ma non è così che funziona: nessuno verrà a raccontargli cos'è che è successo a Lucian. E magari non c'è nemmeno nulla da raccontare. Magari è annegato davvero perché era ubriaco marcio. Magari gli incidenti esistono, accadono anche se, ecco, nessuno di voi ci crede. Nemmeno tu.

    "Dico per lui."
    Perché Lucian, per Horace, era importantissimo, non è vero? Ed è una risposta che cerchi di cavargli dallo sguardo. Dai sospiri che sei tu a trattenere, adesso.

    "Non vorrei che il suo diventare un tuo probabile Watson possa rischiare di mettere in crisi quello che abbiamo costruito." Magari perché sei semplicemente geloso dei vostri successi. Forse perché hai semplicemente e sinceramente paura di ricominciare da capo. Di riscoprirti diverso, non propriamente benvoluto, troppo poco per lui. Poco bello, poco bravo, poco intelligente, poco violento, a differenza di ciò che era Lucian.

    "Te la trovo io una risposta. Te la fiuto io una pista. Ma chiedimelo, rendimi partecipe. Non sono così male a mantenere le promesse, Ho."
    Curvi la schiena contro la poltrona. Lo guardi in un momento di tregua che deve saper proprio di questo. Profumare solo di questo.
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    Da quando sono un animale, uno vero e preoccupante, so riconoscere i segnali. I nostri sono riti. Io ti fisso e se tu vuoi finire contro un muro mi rispondi, sostieni lo sguardo, ringhi, mi sfidi. Allora è sempre una lotta, un discutere trai muscoli e i nervi. Uno sfidarsi a ginocchia incastrate, con il fiato sul collo e gli occhi a fessure.
    Oppure ti pieghi. Oppure abbassi il capo, ti spingi più sotto, rivolti il ventre perché resti verso l'altro, debole e indifeso. Mi dai un punto chiaro in cui colpire, affondare se fosse da darti una lezione - come altre volte è stato. Come altre volte tu ne hai date a me.
    E forse va bene se a questi segnali non resto cieco, se il mio ringhio si fa rantolo quando mi chiedi ancora di lui.
    Lui. Che è Lucian, che ho visto nella famiglia prima ancora che il No Human diventasse qualcosa di tangibile, anime che si spostano sotto di noi, in questo condominio isolato, un nido diroccato di arpie. Qui si formano soldati che non sono altro che ribelli, guerrieri senza forma, pacifisti reietti. Aspettano da noi come tu aspetti da me. Un altro ringhio, uno spingerti più giù ancora.
    Come ti viene di dirmi queste cose adesso, credi che non sappia cosa pensi.

    "Solo perché c'è stato un Joseph non significa che ci sia un Lucian" questo è fiato che recide come lame. Un indicazione, un istituzione, un modo per farti capire che non è una guerra con te quella che voglio ma che avrai la tua battaglia se resto così ostinato a cercarne una. "O un Watson" se vuoi dirla così.

    Ma questa non può essere la mia posizione adesso, non se gli occhi restano tristi, se in qualche modo i miei ringhi non sono supportati da niente altro di tagliente. Non adesso, Benjamin, sembra solo che io ti chieda questo. Perché mi hanno insegnato quali battaglie combattere e quali invece non vale la pena di portare avanti. Non vale la pena che io diventi una bestia solo perché ogni cosa che dici è fatta per farmi saltare i nervi. Per questo lascio andare piano la presa, respiro con un secondo di regolarità in più, ti parlo sottovoce, sottotono.

    "Vado a farmi una doccia... mi tolgo il suo odore prima che qualcuno voglia chiedersi che cazzo faccio nel mio tempo libero" perché di gente con un fiuto come il nostro ne abbiamo anche troppa. Rialzarmi è facile, anche quando per un secondo di troppo il mio naso ha sfiorato il tuo. Ringhiarsi così da vicino non mi fa mai bene.
    E lo so, hai ragione su talmente tante cose che stasera vorrei solo lasciassimo perdere.

    "Quello che abbiamo costruito è al sicuro" mi sfilo la giacca, poi la maglia, appallottolo tutto in un angolo. Ti guardo da qui adesso, alzo le spalle. "Dovresti lavarti anche tu, provo a non consumarti tutta l'acqua calda, mh? " ti fa incazzare quando non ti rispondo? Quando non mi faccio avanti per chiederti di collaborare con me? "E poi non devi per forza prendere parte alle mie follie complottiste, lo so che ti do a noia dopo un po'. Non ti affanni neanche troppo a negarlo" un sorriso.

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    A te sembra di discuterci come foste una coppia di sposini che a tratti si sopportano, a tratti si odiano e allora preferirebbero prendersi a cornate piuttosto che star lì a ragionare. A te sembra stupido, a volte, star sempre lì a puntualizzare qualcosa. A trovare il classico pelo nell'uovo consapevole poi di come andranno a finire le cose. Ma sai come funzionate e com'è che poi finalmente riuscite a raccapezzarvi su qualcosa.
    Così come capisci cos'è che vuole adesso Horace. Forse perché glielo senti dall'odore diverso che emana. Forse perché certi sbalzi ormonali li percepisci a prescindere. E a volte sono i tuoi, a volte sono i suoi. Ma sai riconoscerli, così come sai dare un nome a tanti altri odori. Per questo ti tiri su quando è lui il primo a staccarsi. Che velatamente ti invita a far una doccia con lui, eppure non credo che tu ne abbia propriamente la voglia adesso.

    "Sai che non dico le bugie, Ho."
    Rispondi solo a quello, perché il resto è aria fritta. Niente su cui hai davvero voglia di tornare a riflettere.

    "Benché meno a te."
    Ma ci premi a ripeterlo, affinché rimanga un concetto che possa impiantarglisi meglio nel cervello. Che ti serve rimarcare cos'è che siete. Forse gli ultimi wendigo in circolazione, se oltre a Lucian morto, non riuscirete a trovare Yael.

    "Lasciala agli altri l'acqua calda. Io vado a correre e a far un bagno a fiume."
    Che è un po' il modo che hai di rilassare i muscoli ed entrare in contatto con la natura. Ma anche di dirgli che oggi non hai voglia di far pace in modi come quelli. Forse con Horace non lo vorrai mai in questo modo. Perché ti fa rabbrividire la sola idea, anche se non ne capisci mai il motivo. Che di tanto in tanto ci hai pensato, ma era normale già nello scantinato. A Detroit avresti infilato il pene persino in un tubo di carta igienica pur di farti una scopata.

    "Ci tenevo solo a ricordare quali fossero le nostre...priorità, ecco."
    Nonché tutte quelle cose che a modo loro ti sono a cuore.
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