My mooney

Horace & Ben | 21 febbraio 2023 - Nido

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    C'è un forte odore di sangue e carne, di vita che se ne va e che viene, si fa nuova. Rinasce questa sera. C'è un forte odore di sudore, di ormoni maschili, di richiami che si fanno forti, assordanti nonostante il silenzio della notte si mischi perfettamente con i rumori di una città che non dorme mai, che è sempre vigile, troppo in allerta, ma così vasta da perdersi i propri figli nei meandri oscuri dei suoi vicoli. Ed è proprio lì che passate Ben, in silenzio, negli ansimi che trattieni perché sfamarti è per te fonte di un piacere indescrivibile, pari a quello di un tossico che si spinge l'ago nel braccio. Che irradia così le sue vene, le spacca, le distrugge in virtù di un piacere che il dolore lo anticipa sempre.
    E non parli, Ben, non sai fare tante cose insieme, non quando vivi di istinti che si fanno primordiali, che si confondono con la bestia e allora cercano dei muscoli in cui stare. Un posto dove crescere, farsi vivi.
    E se prima non hai visto l'ora di cacciare, ora non vedi l'ora di tornare a casa, di cercare Grace, di portarlo in doccia con te. Che magari è ancora sveglio ed ha voglia come l'altra sera, quando ubriachi siete finiti per scopare sul letto di Horace. E con Horace di questa cosa non ne hai parlato, anche se il suo odore è qualcosa che non ti si toglie di dosso. L'odore di Grace è qualcosa che permane, tanto che te lo sei portato a caccia questa sera ed ora, quasi per correttezza, lo trascini fin su a casa. Lungo le scale, nella stanza che non è mai stata vostra, ma solo tua e di Horace.
    Volti uno sguardo verso di lui. Gli occhi brillano appena, di una follia che però si acquieta dinanzi alla vostra dimora. Quando fermandoti per un istante e cadenzando i passi, ti rendi conto di essere sempre un po' più stanco di prima. Sempre un po' di più, quasi come se ad ogni passo le gambe stessero iniziando a farsi molle.

    "Sto una cazzo di crema adesso."
    Dici ad Horace, sinceramente, quasi come se questa fosse la tua prima confessione dopo mesi passati a dirgli semplicemente ciò che pensavi di lui, ma mai cosa provassi tu. Ma perché non sei mai stato abituato a farlo: ad aprirti tanto da lasciarti sanguinare così come ha sanguinato quel tipo oggi. Passi la lingua contro un molare mentre parli. Lo fai cercando di cacciar via un pezzo di carne rimasto incastrato tra i denti.

    "Ma già mi mancano le mie verdurine del cazzo."
    Gli barcolli contro, stanco, spingendo una spalla contro la sua, quasi a mo di sfida, anche se forse oggi non riusciresti ad affrontare alcun combattimento, soprattutto non con lui, che è sempre più forte, più bestia di te, a volte.
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    "Dio, ci voleva" Sfiato, piano, barcollando quanto te. Con le mani in tasca, infilate nel resto dei vestiti che non ho distrutto. Almeno adesso siamo abbastanza bravi da spogliarci prima e rivestirci dopo, con solo qualche macchia di sangue nascosta sotto pelle. Quelle le laviamo via dopo, prima che la stanchezza ci prenda le ossa. Stanotte è stato dilaniante, ma cazzo quando l'ho aspettato. Quanto ho atteso la luna nuova perché prendesse le mie membra e le rendesse immortali. Invincibile. Lo sai, Ben, è la sola cosa che riesce a farmi sentire perfetto, dopo il volo. Ma non posso più volare quindi non mi resta che questo, e quel lugubre canto con cui ti allontano. Perché dove cacci tu, non so cacciare io. Io ho bisogno di avere un mio spazio che ti sovrasti, di poter essere quella bestia: su di te.

    "Voglio una birra, devo buttar giù il resto" e tu sai cosa intendo, il "resto" è il conato che mi sale quando mi rendo conto di quanto sono una bestia, il solo ed unico rimorso di coscienza che batte i nervi e non fa davvero mai breccia. E' solo nausea che ricaccio in fondo alla gola perché ormai so cosa sono, e non mi basta mai, e la mia fame richiede due vite alla volta.
    Il solo cazzo di momento in cui non mi sento dire che sto sbagliando tutto, anche se resta un legame che stringo in prese anche adesso, anche quando ti spintono in stanza tra un respiro più calmo e una risata di soddisfatta adrenalina.

    "Ah, solo quello, le verdurine? Immagino" - ringhio, in una risata che mi libera fiato nei polmoni. E' stata difficile stanotte, ero così trattenuto in questo ultimo mese che non aspettavo altro che questa liberazione. La bestia che mi tendeva agguati ogni discussione più potenti e lo sentivi da solo, nei miei muscoli, quanto ne avessi bisogno.

    Scopa di nuovo nel mio letto con qualcuno, e ti ritrovi esattamente come Grace” E resta un sorriso velato del cazzo, ma io da ridere non ho niente, non ora che quel punto mi ha dato fastidio tutto il giorno. Il suo odore ce l’hai così addosso che finisco per annusarti il collo, prendermi la tua spallata e ricambiare accostandoti al muro d'ingresso. Qui dalle nostre stanze, qui dove l'unico odore dev'essere il mio e - poi - il tuo. Ed è sempre così quando la bestia tira gli ultimi prima di abbandonarci, quando sento la sua forza venire meno e ristabilirmi le ossa con prepotenza. Mi riempie di un riverbero che ti ringhio, mordendo veloce un orecchio. C'è ancora il sangue di quell'uomo e resisto all'impulso di leccartelo via io. Non siamo questo, noi due? "Chiaro?"
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    Muovi gli stessi passi che muove Horace. Coordinato, come se questa fosse l'unica cosa naturale che conosci. Una danza a cui sei abituato anche senza dover partecipare a troppe lezioni di danza, ecco. Che tu non ti eserciti mai, sei solo un impulso. Un istinto. Un ripetersi continuo di qualcosa che ti rendi conto di saper fare bene. Magari non vai mai oltre ciò che già hai imparato, preferendo sedimentare lì e basta.
    Gli guardi i piedi mentre cammini, i suoi, dico, quasi come se ti servisse per coordinare i tuoi, anche se poi ci rendiamo conto che questo non è altro il modo che hai di tener ben salde le cose. Ogni situazione sotto controllo, ad esempio, come questa, anche se questa notte sa di pace, di soddisfazione. E tu hai le spalle morbide, i muscoli del collo sciolti. Tanto che sembri camminare solo grazie all'ausilio di qualche burattinaio che è lì, pronto a manipolare i fili che ti spuntano dalla testa. Saltelli sul posto, mantieni la linea dritta quasi a testare la tua sobrietà. Ma non sei ubriaco, anche se sei solito ubriacarti di euforia, di voglia di fare, di quell'eccitazione sempre troppo alta per spegnersi. E adesso ti senti un mix di tante cose, tanto che hai bisogno di appoggiarti ad Horace per esistere. Ti lasci mordere l'orecchio affettuosamente e persino rimproverare. Che tanto ciò che ti dice ti entra da un orecchio per uscirti poi dall'altro. Non fai mai davvero tanta attenzione a quello che ti dice, soprattutto quando senti che il tono muta e che dietro ogni frase, anche ogni singola virgola, magari finisce per esserci qualcosa che stona.
    E forse hai capito di cosa si tratta, ma oggi - così come tutti gli altri giorni, alla fine - non hai alcuna voglia di star lì a puntualizzare. Lì a capire davvero cos'è che sta cercando di dirti. Sorridi appena, ma quella è l'unica reazione che ti concedi adesso. L'unica prima di infilare una chiave nella toppa arrugginita di una vecchia porta di servizio. Che cigola appena quando la apri, ma fortunatamente, lascia disperdere il proprio rumore in quello bianco della città.

    "In calore, dici?"
    Specifichi come se servisse. Come se Horace facesse fatica a sentire ciò che per te resta lampante. La tigre è in calore di nuovo, anche se non c'è una cazzo di tigre da guardare ma un ragazzino solo, che annuisce a ciò che dite e forse ogni tanto esagera troppo nel bere. Ma a te il sapore del gin non dispiace. Non ti è dispiaciuto quando ti sei ritrovato con metà del suo bicchiere rovesciato addosso e la sua lingua, sfatta, disperata, a leccarti via il liquido dalla pelle. Ti dici che è stato lui a cominciare, che eravate tutti e due alticci abbastanza da non capirci un cazzo. E che la tigre è una bestia che odi. Perché è come ogni cazzo di donna, solo che il suo odore è più forte, richiama istinti diversi.
    E sono già passati venti giorni dall'ultima volta che l'avete sentito. E ogni venti o trenta giorni le tigri tornano in calore per una lunga fottuta settimana.
    Se avessi la forza e le palle di rivangare ciò che è successo, probabilmente chiederesti a Grace il permesso di spingergli il muso lungo le gambe. Per la natura, ovviamente, non per qualcosa di terribilmente sporco. Non ci trovi niente di male in questo, anche se Horace sembra di tutt'altro avviso.

    "No, perché ci sta tornando di nuovo e questa cosa mi fa impazzire."
    Lo afferri sotto braccio, per tirartelo dietro e nasconderti verso la sua ascella, quasi come a chiedergli di sollevarti per le gambe e di portarti su per le scale. Che sì, dovreste fare una doccia adesso, giusto per non rendere i vostri letti una merda, ma tu proprio non ce la fai a star in piedi altri cinque minuti. Sei molle, sei di gomma, cazzo.

    "E comunque se non fossimo stati ubriachi non sarebbe successo un cazzo. Me lo sarei tenuto nelle mutande, lo sai."
    Bofonchi come per giustificarti, senza ovviamente raccontare nei dettagli com'è che è successo. Cosa vi siete raccontati, cosa lo ha fatto ridere tanto da spingerti con dello gin sprecato contro il petto.

    "Grace ha pure uno..."
    Tiri su col naso, quasi rattristato dalla cosa, anche se in realtà questo non è altro che il modo che hai di cercare di fermare i muscoli e star definitivamente fermo. Sono gli ultimi spasmi, le ultime energie che sprechi perché sei fatto così. Che buono non sai starci, che ti incastri sotto la spalla di Horace proprio per costringerti in uno spazio che deve starti stretto. Che deve comprimere nei punti giusti per il rilascio che poi ne consegue.

    "Caleb...tipo. Uno di quel circo che dovrebbe essere in città."
    Fai mente locale.

    "Mi ha chiamato così mentre veniva. A me non frega un cazzo come una mi chiama...insomma, alla fine è piaciuto anche a me."
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    Non riesci a darmi tregua neanche così, neanche quando sei stanco e allora ti appoggi, ti strusci, sei più un gatto tu di Grace. Non mi permetti una libertà neanche in questi ringhi, in questi muscoli sciolti che si riassestano. Che la caccia ci libera da un peso, ci soddisfa come fare sesso per ore, notti intere. E lo so quanto ti serva, sei una mina vagante da quando ti conosco, ma il mio letto è sacro e per questo insisto.
    Lo faccio anche tenendoti bene sotto la mia ala, stretto ma poco, perché poi la porta si apre, ci infilo dentro entrambi e la chiudo - che stasera non te ne vai a zonzo a fare il cazzo che vuoi con l'odore della morte ancora trai denti.
    Dio, si sente.
    Tanto quanto il calore di Grace. "Si lo sento" e "Fa impazzire anche me" in un respiro rassegnato, che non mangio nel piatto degli altri e te la potrei anche dare più leggera questa morsa, ma non lo faccio, continuo a parlarti come se fossi il sussurro di una coscienza che hai perduto. Che nel guardarmi attorno vedo una casa, si, ma vedo anche qualcosa che non può appartenermi. Niente mi appartiene, e sta bene così, un soldato non deve possedere nulla, solo la speranza, che serve in battaglia per avere più possibilità di sopravvivere. Si, stronzate da esercito.

    Ma il calore di Grace non fa solo gola a noi due, qui è pieno di bestie e non ho intenzione di lasciar correre che si dia via per disperazione, come se non sapessi che cazzo sta facendo. Ho capito che sta per morire, ma non così, non per forza in questo modo. E tu non approfitterai di questo, Ben.

    "Si va beh, lo so" che non te lo saresti scopato da sobria. "E' che a te non frega un cazzo di quello che dico" semplice, forse un po' sciolto nell'acido, ma dannatamente semplice. "Gli ho detto che non siamo un branco di ubriaconi che si fa fottere e trovare impreparato. Ma devo ripeterlo anche a te" questi ringhi incastrati trai denti, cazzo, sono tutti colpa tua. Anche quando non ho la forza di arrabbiarmi, non so mai che cosa fare davvero qui, e dove sia il confine tra responsabilità e paternità.
    Non voglio niente di tutto questo.

    "Non fotte un cazzo neanche a me" di come ti chiami mentre viene. "Non nel mio cazzo di letto, e basta, Ben è semplice" non so perché mi prema così tanto ribadirlo, forse perché scopare manca a me, perché i miei sono muscoli avviliti, stanchi e carichi al tempo stesso, infuriati e calmi. Ed è sempre colpa tua, sei solo tu che sei capace di farmi incazzare così tanto in cinque secondi e poi farti stringere al buio dopo. Ma magari è che sei l'unico che ha capito come vado trattato io.

    Ma non ti stringo, lo so di cosa hai bisogno adesso, non è detto che tu te lo sia meritato.Ti spingo solo per le scale con una mano aperta dietro la schiena, così non barcolli troppo. Che dopo la caccia io non sono come te, non mi sciolgo di soddisfazione, io sono eccitato come uno stronzo e così resto finché non mi faccio una doccia. "Laviamoci in due, dai meno acqua che dobbiamo risparmiare per il tuo nuovo scopamico." il ringhio resta.
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    Ti fa sempre ridere il modo con cui cerca di riprenderti. Di dirti come andrebbero fatte determinate cose. Come se tu fossi tanto piccolo ed ingenuo da non capirle. E sempre in errore, tanto da esser padre e poi figlio di quei suoi ringhi. Che se lui ringhia, comunque, ringhi anche tu, anche se per gioco. Anche se per un'abitudine al contrasto che non sai perdere: perché sei fatto così, con lui. Vivete di lotte continue, anche quando effettivamente non servirebbe lottare ma il vostro resta comunque un gioco, un modo semplice per allentare i muscoli.

    "Certo, come se tu ed io non bevessimo mai insieme."
    Ti fai spingere su per le scale, per poi fiancheggiarlo quando è lui ad aprire la porta e allora gli issi un gomito nel fianco, lo fai come per punzecchiarlo e fargli capire così che dovrebbe smetterla di aver sempre da ridire su qualsiasi cosa, anche se poi tu sei il primo ad intervenire sempre. Il primo a criticarlo per ciò che fa, per come cerca disperatamente di avere ogni cosa sotto il proprio controllo. E ti fa impazzire questa cosa, più di quanto ci riesca l'odore di Grace, eppure, al col tempo, sai bene come resta un dettaglio che di Horace apprezzi tantissimo. Questo resta il tuo controsenso.

    "Roger, capo."
    Gli fai poi il cenno da soldato, un sì da film solo per rendere il tutto ancor più ironico, più leggero. Che non hai voglia di sentirlo parlare tutta la sera di Grace o del suo cazzo di letto. La vostra è stata solo una scopata, non un cazzo di accordo prematrimoniale. Non credo sentirai la mancanza di Grace quando andrà via, quando il maledictus prenderà effettivamente possesso del suo corpo da urlo e allora della ragazzina o del ragazzino che è non resterà un cazzo se non il ricordo di quel profumo che ti vivrà per sempre nelle narici.

    "Purché non ti stia innamorando tu del cucciolo."
    Dici senza pensarci, mentre ti sfili le scarpe per gettarle sotto al letto e ti spogli dei vestiti che sì, saranno pure stati presi puliti, ma adesso, comunque, pur non volendo, odorano di morte.

    "Non ho intenzione di farmi alcuno scopamico io, lo sai."
    Tiri su col naso. Chiudi gli occhi nello sfilarti la felpa e pieghi il collo, per farne scrocchiare piano qualche vertebra.

    "Ho testa per altre cose."
    Gli dici, anche se non gli spieghi mai a cos'è che pensi, in effetti.
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    "Il cucciolo ha più anni di te e di me" a rido, lasciando andare l'ennesimo piccolo peso, così a sottolineare quello che forse già sai, che in fondo Grace sembra un ragazzino, ma non lo è. Ha vissuto una vita del cazzo, e qui ci troviamo abbastanza punti in comune anche noi, ma non è come noi.
    Non è un mostro che dilania per fame, per voglia. Non apprezza lo scricchiolare delle ossa prima della trasformazione, non accetta di poter mutare la propria forma e non averne davvero un controllo. Non si sente parte della sua creatura, né vuole sentirla scalpitare in fondo allo stomaco quando lei sarebbe già pronta ad uscire di nuovo.
    E' triste - Ben - ma è la sua vita e noi non abbiamo il diritto di entrarci, né io dovrei averlo di dirgli di non bere, ma almeno il mio territorio vorrei tenerlo più pulito possibile, cristo, dai.

    Lancio verso il materasso la maglia, che ancora sono riuscito a non macchiare, perché qui non abbiamo un cazzo di cambio, solo la possibilità di lavarci le nostre cose. Dio come è simile all'Afganistan. E tu mi conosci, Benji, sai quanto quel posto di merda mi manchi ogni tanto. E non perché fosse bello, era terrificante, è che non posso davvero mai togliermelo dalle ossa, nei momenti in cui mi fisso fuori da un vetro o contro un muro, ed il mio sguardo sa perdersi. Ora semplicemente evito, ancora di più quando alla fine sto meglio, in questo mondo di merda ho ritrovato un posto in cui vivere, respirare. E lo farò fino all'ultimo ringhio, anche se i tuoi colpi di testa mi mandano al manicomio.

    "E poi, no, entrambi abbiamo la testa su altro...già" ma qui non so ridere, so solo cercarti al limitare della doccia, che il freddo inizio piano a sentirlo, e sono i sintomi della bestia che ci abbandona, lasciandoci addosso solo i suoi artigli, la voglia di correre in un bosco al gelo per ore e giorni interminabili.

    "Anche se non so mai capire che cosa passa nella tua" sbuffo, lento, scuoto il capo e spingo giù anche le mutande. Non so conoscere quello che vive oltre l'istinto, perché i modi in cui ti muovi li ho memorizzati tutti, li ho impressi nel cervello da Detroit, come ho dentro ancora quelli di Lucian. Dio che male fa ripensarci anche adesso. Il suo nome è sempre una coltellata alle costole, un ringhio che risale in un colpo di tosse, in quel rivolo di sangue che macchia lentamente le labbra, non è mio, ovviamente, lo lecco via. I muscoli tesi sono macchiati altrettanto.

    Afferro il sapone con la destra, ma ti invito a farli sti due passi davanti a me, per entrare prima. Ci siamo visti nudi tante volte, Ben, non penso che oggi sia un problema condividere la doccia, anche se io il nodo in gola lo devo tenere ben fermo prima che azioni altro e diventi tutto un gioco di voglie ed erezioni. Che non scherza nessuno.
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    Non sai nemmeno tu cos'è che ti passa per la testa. Non così bene da descriverne ogni dettaglio. Da capirne davvero le voci. Perché spesso sono giusto quelle: un sovrapporsi continuo di parole, senza alcuna pausa, senza capo né coda, purtroppo. Non sai nemmeno a cosa stai pensando adesso, non quando lo sguardo lo tieni basso, ma tra le tempie batte a tempo l'ultimo ansimo di Grace. Che tu sei solito quietarle così le voci: con un movimento frenetico del corpo. Tanto che sai rilassarti solo dopo una scopata od un po' di corsa. Ti basta muovere le gambe per farle smettere. Per lasciarle scivolare dall'angolo da cui sono emerse. Come se gli ansimi riuscissero in un qualche modo a sovrastarle ed allora il mondo che ti circonda fosse in grado di farsi d'ovatta. Morbido, soffice, senza alcuno spigolo contro il quale finire a batter forte la testa.
    Tanto che quando Horace finisce per far un appunto anche su questo, l'unica cosa che ti senti di rispondergli è qualcosa che deve comunque imparare a leggere da sé osservando semplicemente il tuo scrollar di spalle.
    Che non è che hai qualcosa da dirgli: non sai rispondere nemmeno a te stesso, quindi figuriamoci cosa potresti dire agli altri. L'unica cosa di cui sei certo è che spesso e volentieri nemmeno ti piace sentirti così. Mai davvero solo, mai davvero in pace con te stesso. Per questo ti agiti tanto no? Per questo scatti come una molla, non vai mai in riposo, non dormi mai bene e respiri peggio di chiunque altro: perché hai bisogno di qualcosa che ti distragga. Hai bisogno di qualcosa che sappia fare più rumore del resto. Di qualcosa che ti sovrasti, che ti schiacci a terra, così come sei riuscito a calmarti prima stringendoti da solo sotto l'ascella di Horace. A volte bastano punti di pressione precisi, come quello sul collo, laddove basta premere più forte e un po' più a lungo per mandare a terra qualcuno. E tu vuoi essere messo a terra, ma non è qualcosa che finisci per raccontargli: te la tieni per te, sia mai che qualcuno possa usarla a proprio vantaggio.

    "Le solite cose."
    Le parole ovviamente arrivano dopo, quando ormai sei così nudo da potergli far leggere direttamente l'anima dai capezzoli turgidi dal freddo. Che adesso è più forte di prima, ma solo perché sei stanco e allora ogni cosa sembra amplificata. Si amplificano i suoni, il peso che senti addosso, il freddo che ti penetra nelle ossa. Sono sere come queste le uniche in cui forse riesci a dormir bene fino a tarda mattinata.

    "Ti informerò quando inizierà a non passarci più niente e allora non ci sarà più bisogno di preoccuparsi."
    Aggiungi sorpassandolo, per entrare in doccia qualche secondo prima di lui, come se questo possa in qualche modo salvarti dal freddo. E ti stringi un attimo nelle spalle, quando guardando la manopola dell'acqua non hai il coraggio di aprirla. Che sicuro da lì uscirà quella fredda. Perché è fine giornata, perché tutti nel nido hanno avuto bisogno di lavarsi. E il pomello lo guardi, sì, ma col cavolo che lo giri.

    "Un giorno troveremo una fattoria carina con l'acqua calda. Te la regalo per i tuoi trent'anni."
    Quindi avete quattro anni di tempo per inventarvi un metodo ancor più facile per far soldi o, in alternativa, rubare casa a qualcuno. Ma non lo guardi negli occhi quando lo dici, ti sembra qualcosa di terribilmente delicato anche se non ne capisci il motivo. Tanto che sei fermo con lo sguardo contro una fuga tra le piastrelle. Ci passi appena il dito contro.

    "Fa un freddo del cazzo."
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    Benjamin ti passa davanti, sfila come un soldato al freddo. Inconsapevole di quanto ti urti non sapere che cosa fare, non riuscire a leggere nelle sue follie. Il tuo bisogno di prevedere qualunque cosa è andato a puttane nel tempo, o forse non l'hai mai avuto: è solo una necessità nata con la guerra, e il disonore. Un bisogno che ti fa stringere il muso in un cenno di disappunto, che poi sciogli. Tu scioglie sempre perché di uno come Ben che ti stimoli ogni venti secondi, ne hai bisogno. Nel silenzio vivono ancora quei mostri, i bambini che urlano ogni volta che i radiatori del Nido fischiano per la vecchiaia. Per non parlare del vento contro le vetrate, che chiude le imposte di colpo in piena notte: quelli sono spari del nemico, Horace. Spari che vogliono coglierti impreparato quando invece devi sempre essere pronto, ed imparare a condensare il sonno pesante in due ore, tutto il resto non ti può servire a nulla. Due ore, conto ventidue di costante allerta. Ti sei detto che ti servivano questi momenti, lì da Princip. Erano utili a prevedere le mosse dei più forti, a volte - ma non te ne puoi vantare ora che è morto - anche di Lucian.

    Quello che non sia fare, invece, è prevedere quando quei momenti prendono te. Quando ti portano via e ti basta che Ben dica di aver freddo per zittirti.
    Tu non sai cosa si provi perché voi non avevate mai freddo, faceva un cazzo di caldo da tenervi sempre sudati. Appiccicati l'uno all'altro come sardine e pure l'acqua li era bollente, c'era pace solo in piena escursione termica. Quando tu e Joseph trovavate il modo di avere il turno di guardia e facevate la cazzata bellissima di lavarvi di notte. All'insaputa degli altri. Che molti di loro rientravano - nei momenti di statica quiete - dopo notti nei bordelli con le ragazzine. Altri, fedelissimi, si toccavano solo sull'immagine sbiadita della fidanzata. Mentre tu, tu avevi Joseph, Joe. Il suo sudore era diventato il profumo di notti troppo stressanti. Era dolciastro, forse per via delle lentiggini sulle spalle, o della pelle sottile. O perché era terribilmente giovane e tu ti sentivi già vecchio, decrepito. Se chiudi gli occhi ti sorride ancora, perché sapeva di avere tutte le colpe delle voglie che ti faceva venire. Non ne aveva paura tanta quanta invece ne aveva suo padre o ne avevi tu.

    Così ti fermi, non sai se passano secondi oppure ore. La mano sul pomello per fare ciò che va fatto. Il corpo nudo di Ben davanti al tuo, tanto vicino da sentire i muscoli congelarsi dopo la luna. Ma non è lui la persona che vedi, non è il silenzio calmo quello che senti. Le dita rigide tirano su la manopola, ma prima che il getto bagni Ben, tu gli avvolgi le scapole con un braccio e te lo spingo contro, perché il freddo non lo prenda in pieno. Non vuoi sprecare acqua, quindi li sotto, girandovi al contrario, ci vai tu.
    Avevi questa idea stupida, con Joe che se l'acqua ti passava prima attraverso non gli arrivava così fredda. Magari è così anche adesso anche se questo ti eccita. Lo fa anche il dolore a volte, la sofferenza ed ogni sentimento che possa essere negativo, attaccato ai nervi. Non parli, quando hai questi momenti non vuoi parlare, non sai descrivere cosa provi e cosa senti. Forse stai anche stringendo troppo. Forse non vuoi vedere Ben, e chiudi gli occhi con i capelli umidi in volto, con il respiro irregolare, il sapone che scivola lento tra il tuo collo ed il suo.Devi uscirne, Horace, adesso!
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    Horace si frappone tra te e il getto d'acqua, lo fa istintivamente, tanto che ti basta dirgli che hai freddo. Freddo a differenza sua che sembra non sentirlo mai o che se lo sente quasi gli fa piacere. Come se per un periodo troppo lungo della sua vita momenti come questi gli fossero mancati mentre a te no.
    Che freddo lo avevi anche a Detroit. Soprattutto a Detroit, a volte, anche se lì le finestre erano piccole, troppo alte per far entrare anche solo la luce. E tu di notte finivi per rannicchiarti sempre con la schiena contro il muro. La tua schiena era ovunque, contro qualsiasi superficie potesse tenerla al sicuro, proteggerti.
    E ora è un po' come quelle notti. Horace ti afferra per le spalle e capisce bene quali sono i punti giusti da sfiorare. A volte ti basta sentire le dita lungo il bicipite per avere un brivido e successivamente chiudere gli occhi. Rimanere così in bilico, quasi a sonnecchiare come un cavallo, con gli occhi chiusi e le ginocchia nodose tirate. Gambe dritte come fuscelli, come quelle dei fenicotteri.
    Il braccio di Horace ti scivola lungo le scapole e quando la tua schiena finisce per aderire completamente alla sua, gli occhi ti si chiudono di botto, quasi in uno scatto. Tiri su un respiro che è profondissimo. Un rantolo che sembra di piacere. Come quando sdrai la schiena stanca contro un giaciglio qualunque e la sensazione di piacere, di pace prende a pervaderti in ogni centimetro del tuo corpo.
    Adesso è così. Dondoli appena sui tuoi piedi quando comunque l'acqua esce e allora qualche goccia, inevitabilmente ti raggiunge. Ma sei abituato a non scomporti più di tanto e, anzi, in momenti come questi riesci persino a placarti, a farlo del tutto, tanto da renderti conto di star già dormendo così. Che nella testa le parole si accavallano coi sogni. Che ciò che senti, ciò che vedi non ha nulla a che vedere con la realtà dei fatti. Sei ancora a Detroit, a volte, con Lucian che dorme poco distante da te. E lui ha un respiro più pesante, più roco del tuo.
    Fuori dalla vostra stanza qualcuno si muove, qualcuno parla, ma nessuno tira via quella pesante porta che vi separa. Siete voi due, da soli per ancora poco, perché presto arriverà Horace. E fuori è buio, un buio tetro che si lascia spaccare in due solo da un lampione giallo.
    Lasci che il viso scivoli verso Horace. Che la presa rimanga salda ma il capo penzoli appena. Guancia contro il suo petto. Che finalmente le voci si azzittiscono, i pensieri smettono di vorticare e tu torni ad essere quieto, tranquillo. Si regolarizza del tutto il respiro.
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    Sono solo gli odori a salvarmi, Ben. Quelli che ti distinguono da Joseph, da un mondo distante anni luce. Eppure io ne sento il fiato pesante lungo il collo, ascolto il rumore bianco dell'acqua nel silenzio e ci sei tu. Nessun ragazzino che piange agli angoli dei miei incubi, nessuna donna che grida per quanto ha perso, e nessun soldato che - in crisi - mi chiede se può nascondersi per non farsi trovare il giorno dopo, nessun flash nel cielo color fumogeno. Qui non c'è un cielo, non dormiamo all'aperto, né al largo in enormi portaerei pronte a saltare in aria da un momento all'altro. Stabili quanto il Titanic in dirittura dell'iceberg.
    Allora io non posso smettere di sentire il rantolo provenire dall'anima, piegarsi in ginocchio, in due come con un colpo ben assestato in vita. Il tuo corpo caldo contro il mio, il fiato che lascio ti corra tra gli umori del sangue, fino dietro il collo. Che è solenne, come una danza assonnata, come se non mi rendessi conto di quanto ti stai lasciando andare. Morbido contro il mio petto, al sicuro come se io potessi mai tenere al sicuro qualcuno.
    Non posso, Joseph.
    Non ho salvato nessuno, non ero un uomo che imbracciava il fucile, noi eravamo i falchi, i corvi, i cazzo di avvoltoi. Ma la tua pelle mi rilassa come le mie prese fanno con te, con i muscoli che ti si sciolgono, il viso che incolli a me, ed è come se l'acqua fosse bollente. Come il buio che ci accompagna, che viene appena spezzato da un raggio d'alba. Filtra, color seppia, da una tenda scostata. E' solo la fine di una notte senza luna.

    E' l'inizio di un'ascesa, della lunga e lenta discesa delle mie mani, che passano piano il sapone davanti a te, che sono scivolose quando le spingo con sicurezza giù dalle spalla. Ti percorrono le braccia, in movimenti minimi del corpo, come se mi accomodassi e basta contro la tua schiena, ti tirassi su appena per poter affondare un respiro dietro il collo. L'acqua che scorre a ricordarmi di essere vivo. Dio se mi manchi, Joseph, e se mi manca questo. Noi lontani dalla guerra. In un mondo decadente.

    Ma so che non sei, tu.
    So che sei tu, Ben.

    Sfioro i fianchi in una presa che è minima, solo piccoli spostamenti, piccoli stupidi rituali, come se avessimo tempo. Come se non lo avessi usato abbastanza quando ancora l'avevo. Lascia che mi prenda cura di questo, di un altro respiro che si trasforma in un morso docile tra il collo e l'orecchio.
    Mani che ti cercano, piano, una sola che ti sfiora incastrandosi verso l'ombelico, poi più giù, alcuni centimetri, tamburello lentamente.
    Prima di cercarti per davvero. Prima di non darti grande scampo, puoi fermarmi, ma se non lo fai, allora in un attimo sei mio.
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    Horace non sa rispettare i tuoi spazi, ma forse perché non ha davvero mai compreso come muoversi, cosa fare per essere nel giusto con te. Totalmente nel giusto. E tu forse hai sempre fatto l'errore di non spiegarti bene, perché hai creduto che determinate dinamiche dovessero in un qualche modo risultare di facile comprensione così. Che non ci fosse bisogno di star lì a specificare cosa potesse essere fatto e cosa no. Perché voi vi sentite. Almeno voi due, ecco, riuscite a percepire i vostri umori con il semplice bisogno di uno sguardo o del fiuto. Vi annusate per comprendere se c'è il consenso. Se l'odore altrui muta in funzione delle vostre volontà e magari il tuo adesso cambia, si fa più dolce, più attraente, ma non per questo, probabilmente, sai essere davvero pronto ad un'unione del genere. Non tu che come prima cosa nasci fratello e compagno. Non tu che le delicatezze non le conosci, tanto da non averne dedicate nemmeno a Grace quella sera.
    Ma respiri piano adesso, quasi a trattenere un pizzico d'aria ogniqualvolta Horace si muove e allora tu, da bravo idiota, lasci che si prenda un po' del tuo spazio. Che si illuda di qualcosa che non vuoi confermare e che forse, in cuor tuo, anche se la bestia richiama altra bestia, non porterai nemmeno a compimento. Resti infatti immobile adesso, come un cavallo. Ad occhi chiusi, quasi in attesa. Pronto a scattare con un morso alla gola qualora i suoi passi iniziassero a farsi troppo pesanti. A pretendere più del dovuto. Che non sai dare nulla, tu. Non quando ti convinci di essere acerbo, di non essere mai davvero adatto a qualcuno o a qualcosa. Tu esisti per rimaner sospeso, per non essere nulla di ciò di cui potrebbero aver bisogno. Che dubiti possano aver bisogno di te, non in quel senso, ecco, non nel modo in cui Horace cerca, scava, pretende sia suo.
    Così sbuffi piano quando ti afferra. Arretri quando ti stringe, quando ormai sembri essere suo, senza alcuna via di scampo. Rantoli piano, con lo sguardo ora rivolto al soffione della doccia, insofferente.

    "Non sono Joseph."
    Sibili piano, fermo, quasi a ricordargli cosa forse non dovrebbe fare. Perché comunque non ti piacerebbe così, non sarebbe forse nelle tue corde, anche se poi, a conti fatti, non sapresti nemmeno cos'è che cerchi in un rapporto di coppia, tu.
    Ma Horace resta un fratello e forse non hai cuore di rompere un legame del genere per del sesso. Respiri piano, aspetti di essere respinto in malo modo.
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    A volte è un confine labile che non mi fa dormire la notte, che si frappone in respiri tra me e te. Tra Joe e Ben, o tra Joe e chiunque altro mi passi tra le dita.
    E' questione di un fremito, lo spazio giusto di due dita che premono su un interruttore. Come quando accendi la luce in una stanza, ti aspetti che illumini un luogo a te noto, che conosci come le tue tasche. E non accade. Se ti va bene la luce non si accende troppo. Ma se sei un bastardo sfortunato, allora vedi quello che speravi di aver respinto nel buio per sempre.
    Come le mani di Joe, il suo respiro, il modo in cui si appoggiava alla mia schiena dopo una settimana senza chiudere occhio. Dormiva anche in piedi, come i cavalli, contro i muri perché ogni minuto era buono per recuperare energie. E scopare ce ne toglieva troppe. Allora magari andava bene anche solo questo, toccarsi, prendersi un pochino, giusto per rilassarsi e non essere sempre sul fottuto piede di guerra.

    Ma lo capisco, cazzo Ben non sono un ragazzino. Magari non lo sono mai stato, ho imparato a tenermi vigile in volo prima ancora di capire come si scopasse un uomo. Però non ho la forza della violenza nelle braccia, né una stretta che dalle dita non ti lasci scivolare via se non mi vuoi. Non sono un violentatore, né sono mai uscito di testa per un po' di testosterone di merda. Non sono una bestia fino a questo punto. "Si, si lo so."

    L'acqua è tiepida, e forse il mio tono è così basso che neanche lo senti, o magari è che per quanto ti allontani non c'è tutto questo spazio per ignorarsi qui dentro. Siamo comunque a mezzo metro al massimo, ma almeno adesso non c'è più sangue lungo le braccia, ci sono solo io e la mia erezione ignorante, il modo in cui mi guardo in basso e trattengo un sospiro. E' meglio che mi arrangi da solo, immagino sia questo che vuoi dirmi adesso. Che non posso e basta. Che preferisci un ragazzino in fin di vita. Fai un po' come vuoi, Ben, va bene così suppongo.

    Io la mano l'ho lasciata scivolare via appena ti sei scostato, e non sto neanche a guardarti negli occhi adesso. Eppure ogni gesto resta lento, sciolto, melodico lungo i muscoli rilassati. "Dammi cinque minuti da solo di la, per favore" che al mio pene ci penso da solo, a questo punto. "E cerca almeno di non avere così tanta pietà di me" questo invece è un ordine, un ringhio diffuso a far tremare le pareti. Così che afferro l'asciugamano e me lo metto in vita, lascio la doccia aperta solo perché magari tu ne hai ancora bisogno, senza di me. "Cristo"
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    Non ti importa del modo in cui ti risponde. Di come stia lì, pronto da forse troppo tempo a confermare ciò che non vorresti sentirti dire. Non ti importa del modo in cui si muove, di come finisce per essere dolce e accondiscendente. Non sono dettagli, in effetti, sui quali ti soffermi. Non quando la testa torna a pulsare e allora le voci parlano tra di loro, si risvegliano dal torpore al quale le hai spinte con la caccia. Cercano di comunicare anche con te. Con te che lo guardi uscire dalla doccia, che recepisci ciò che ti dice ma non emetti alcun suono di risposta. Lo guardi e basta, guardi la sua erezione ed allunghi una mano per afferrare l'accappatoio a tua volta. Che qualche secondo in più là dentro, comunque, te lo concedi, anche se poi l'acqua la spegni non appena capisci di essere rimasto solo. Che a volte è un bene: come oggi, dove forse non serve una vicinanza come la sua. Dove non vuoi nulla, se non star ad assecondare dei muscoli che dovrebbero calmarsi. Rilassarsi con il resto e mandar magari le voci a dormire. Ogni altra sensazione a nanna. Affinché non dia mai tanto fastidio, non oggi almeno, soprattutto non adesso che gli concedi i suoi minuti. Che ti stringi nell'accappatoio e finisci seduto a terra. Stretto nel calore del cotone che ti asciuga la pelle infreddolita. Con il cappuccio tirato su sino alla testa, sin oltre gli occhi a volte. Occhi che richiudi in una morsa. Li stringi un attimo insieme alle ciglia e al resto del viso. Che lo contrai in un istante, quel momento di cui hai bisogno per vedere le stelle oltre la retina e mentire sulle costellazioni che ti si stagliano davanti. Hai sempre giocato così, Ben, quando il cielo non lo vedevi. Ti ha detto qualcuno di farlo, magari chi si è finto tua madre o tuo padre per un periodo così breve da impedirti di ricordarne il volto. Ma da quella volta tu non hai mai smesso. Non lo fai nemmeno ora che i corpi celesti sembrano esploderti in faccia e allora ti concentri su quell'esplosione. Chiedi alle voci di farsi più basse, di ascoltarti un attimo. L'attimo di cui hai bisogno per contarle tutte, stella dopo stella, mentre Horace potrebbe star ad ansimare in camera e comunque tu non lo sentiresti. Che ti basta l'odore del suo sesso a distruggere il tuo big bang personale. A stimolarlo, ecco.
    Ma tu rimani in doccia. L'acqua chiusa per non sprecarla, con le mani strette attorno alle ginocchia e la testa piegata su di esse. Il volto su di un lato, l'accappatoio giallo a coprirti totalmente fatta eccezione per i piedi che sbucano fuori.
    E mentre Horace potrebbe venire, tu cerchi il sonno. Conti le stelle, osservi la via lattea dei suoi umori. Ci navighi attraverso ma non la tocchi. Non distruggeresti un fratello. Non tireresti giù l'alterino di Joseph. Non sei secondo a nessuno, volendolo ammettere.
    Sei solo stanco adesso. Solo un po' più fuori posto del solito, tanto che le stelle non le vedi più, perché forse hai preso sonno. Perché rimaner contratto così ti rilassa, come quando è Horace a stringere nei punti giusti e allora, qualche ora di sonno, finisci per fartela anche tu.
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