How i'm feeling now

Horace & Ben | Nido, 6 marzo 2023

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    Non ti piace mai quando arrivi agli sgoccioli. Quando metti piede al nido ed i giochi sono già stati fatti e finiti. Non ti piace tornare a casa quando è l'ora di andare a dormire. Quando tutte le luci si spengono e allora non si sente più alcun rumore se non quello dei respiri che si regolarizzano a vicenda. Entrate tutti in accordo quando state insieme: avete imparato non solo a respirare nello stesso modo, ma persino a sognare le stesse cose. E tu hai sempre creduto di aver gli stessi sogni di Horace. Di muoverti, per un certo verso, nel medesimo modo in cui viene a lui di muoversi per una sorta di fratellanza, di intesa che sa superare ogni cosa.
    Per questo non ti aspetti di saper le cose dopo che le hanno già sapute tutti gli altri. Per questo, quando sali le scale che portano a quella che ormai è la vostra stanza, speri di non ritrovarlo lì dove invece ti hanno detto di essere. Di non ritrovarlo intento a preparare quello che sembra essere uno zaino e quasi con la fretta di chi sarebbe scappato senza minimamente avvisarti. Senza lasciarti nemmeno un messaggio. Certo, magari lo avrebbe fatto, ma quando? Quando sarebbe arrivato a destinazione, ovviamente.
    Non ti aspetti nemmeno di reagire nel modo in cui stai reagendo, anche se sei sempre tu quello dalle reazioni plateali. Quello che non sa mai star fermo, quello che l'attenzione la fa rimbalzare come una pallina da tennis da una parte e l'altra del campo. Sei sempre stato tu quello che sembra avere pensieri strani. Che fa, proprio per questo, scelte avventate, anche se poi le tue azioni si basano sempre su una certa logica. Anche se poi...anche se poi niente.

    "Oh!"
    Lo chiami così. Come se Horace non avesse un nome proprio. Cambiando accento proprio per non farlo risuonare come un suo diminutivo. Tu non vuoi chiamarlo semplicemente, no, tu vuoi che lui si volti a guardarti solo dopo aver capito tutti i sotto intesi che ci sono dietro a questa esclamazione.

    "Stai facendo lo zaino?"
    Rimarchi partendo dalla cosa che ti sembra più ovvia. Non avete niente voi due. Niente da portare via o da lasciare qui, eppure lui sta preparando un cazzo di zaino e non ti ha avvertito, no. Ha dovuto farselo scappare Gabriel.

    "Quando hai deciso di partire? Dimmi che hai provato a mandarmi un messaggio ma che il problema è sempre la linea del cazzo che abbiamo qui."
    Anche se lui usa un cazzo di telefono satellitare e tu sai bene come non riusciresti a farti bastare una risposta come questa. Non sai nemmeno com'è che ti senti adesso, in effetti. Forse arrabbiato, ma non solo così. Non sarebbe tanto difficile altrimenti.
    Ti verrebbe voglia di strappargli via lo zaino dalle mani, ma non lo fai. Piuttosto ti sposti dall'altra parte della stanza per lanciar contro la sedia la giacca di pelle già consumata sulle spalle.
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    il nido
    "Ben" e puoi sentirlo come rallento, che tanto di maglie ne ho tre e di jeans solo un paio. Che io posso vivere senza vestirmi e non sento il freddo, non lo soffro in quelle bufere che arrivano a mezza stagione. Ed è così anche per te. Allora perché il nodo allo stomaco lo sento, come se chiamandomi tu avessi preso a calci il mio sterno. Un po' come quella volta: l'ultima in cui abbiamo fatto la doccia insieme, l'ultima perché dopo ho preferito sacrificare le mie alle tue, o prendermele quando non te le meritavi a mio insindacabile giudizio.
    Ma non ti ho mai fatto la guerra, non ne sono capace, Ben. Non con te, sto solo cercando di accettare le cose per come le hai messe, accettare di avere dei cazzo di paletti solo quanto tu decidi di metterli, ed io mi devo adeguare.
    Ma tu hai voluto Grace qui. Tu hai portato il suo odore qui, e ci hai scopato. Non so nemmeno se una volta o più di una, perché ho la decenza di non chiedere.

    "Smettila, non sto scappando in piena notte come un ladro, sono qui. Ti avrei aspettato per dirtelo." ed allargo le braccia perché tu mi veda anche quando mi stai già guardando. Non ho fretta, no, ma parto stanotte perché Grace deve rifarsi una vita e tu gli hai fatto una promessa che, adesso, devo mantenere io. Cristo va sempre così. E immagino sia colpa mia, mh?

    "Sapevi che sarebbe successo, l'hai portato tu qui" Ci hai scopato tu, cazzo. "Lo lascio in Maryland e torno" ma qui - non so - mi si alza un ringhio stupido, che combacia con la cerniera chiusa dello zaino, quando misuro a passi la stanza per farmi vicino io. "Tranquillo, non lo tocco, la sua pelle puzza ancora come te." Sono troppo fisso qui.

    "Ce la fai a mantenere l'ordine in questo posto senza di me per un paio di giorni?" Mi ammorbidisco.
    Ma ti sto chiedendo altro. Ti chiedo se riesci a dormire senza di me, senza che sia io qui a stringerti quando i muscoli si fanno rigidi e tu hai bisogno di scioglierli. E lo so, forse io con questo mi sono illuso per settimane, per anni. Ma credevo in qualcosa che adesso immagino possa non esistere. Ma starò via poco e, soprattutto, non intendevo scappare nella notte.
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    La colpa, a quanto pare, è sempre la tua, Ben. Tua che ti ammorbidisci troppo, che ti fai infinocchiare così facilmente. Tu che sei un ragazzino sotto alcuni aspetti e un uomo fatto e finito sotto tanti altri. Ma non basta, niente basta mai. Resta comunque colpa tua. Tua che l'hai portato qui, tua che gli hai accarezzato il viso, che hai stretto gli occhi quando la sua pelle ti è scivolata perfettamente tra le mani. La colpa è la tua che adesso sei arrabbiato e che con questa rabbia finisci per non poterci far nulla. Senti di non poterci nemmeno guardare male Horace, tanto cosa otterresti in cambio? Solo l'ennesima frecciatina. Solo l'ennesima prova che per lui farai sempre male, così come lui fa male per te.
    Ma lo guardi comunque, adesso. Lo guardi assottigliando lo sguardo, lo fa in una sorta di sfida, avvicinandoti a lui nel medesimo modo con cui Horace lo fa a sua volta.
    Alzi il muso, cerchi di compensare la differenza di altezza.

    "Quindi suppongo di non poter venire perché altrimenti finirei per scoparmelo. Mi stai sottilmente dicendo questo, vero?"
    Ti sembra gli dia fastidio parlarne. Tornare su questo discorso come se il sesso fosse un male da estirpare. Non ti pentirai di aver scopato con Grace, neanche quando ti renderai conto di non aver provato niente. Di essere stata semplicemente una scopata. Solo una scopata e basta.

    "N-non me ne frega niente di quello che vuoi farci, Horace!"
    Non ti accorgi di alzare la voce, ma forse non è nemmeno un problema: d'altro canto, nessuno potrebbe sentirti. Queste pareti sono terribilmente spesse e l'inquinamento acustico, anche se di notte, distrugge ogni silenzio. Ma per te il rumore delle auto sono la quiete. La gente che parla in sottofondo il tuo silenzio personale.

    "Scopaci, se proprio voi un motivo per essere pari."
    Ti stringi nelle spalle, un'abitudine che hai da quando sei piccolo. Ti abbracci da solo e tamburelli sulle braccia in attesa che i muscoli si rilassino quando non c'è nessun altro ad aiutarti nella pressione.

    "Tanto io resto qui, no? Non vi darò fastidio, anche se è colpa mia questo viaggio...giusto?"
    Calci la zampa della poltrona.

    "Io le cose le so fare, anche se non sono abbastanza bravo da meritarmi di venire con te, evidentemente."
    Sei intransigente, ripetitivo, come se il bambino che ti vive in petto abbia deciso proprio questa sera di prendere la rivalsa. Di costringerti ad un raziocinio che sembra venire meno. Non ragioni lucidamente, non come quando sei sempre lì, sul pezzo, pronto a smontare ogni piano di Horace.
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    il nido
    Non ci siamo mai separati, da quando Princip ci ha buttati nello stesso scantinato. Anche se poi io ero solo l'ultimo arrivato, il più silenzioso, quello che si è aperto con calma. Non credere che non sappia che lo devo a te, e Lucian, quello che sono adesso. Se posso prendere decisioni che fanno male, Ben, è anche grazie a voi. Muso a muso è il modo migliore per parlarsi, ed il modo migliore per parlarsi è ringhiare.
    Io non ho il predominio sul niente, sarò anche un alpha ma lo sei anche tu, e a differenza mia, puoi stare in piedi anche molto più di me. Tu sei tante cose più di me, Ben, e per questo i miei nervi scattano adesso.
    Io di questa storia sono già stanco, voglio solo tornare qui il prima possibile e fare di tutto per non affezionarmi a Grace, o chiunque sia come lui: terribilmente mortale.

    Mi dici che dovrei scoparmelo. Così per essere a pari. Certo, me lo scopo che è in fin di vita, adesso, vado in Maryland per farci il viaggio di nozze. Perché sono un mostro, come lo siamo tutti noi.
    "Non c'è niente per cui dover essere a pari, non fare l'idiota." lineare come la bugia meglio riuscita. D'altronde, pari di cosa, Ben? Non stiamo tenendo conto di quante persone passano sotto i nostri muscoli, si insinuano nei nostri letti e poi filano via prima che ce ne accorgiamo. Come se non avessimo dei sensi così acuiti dalla maledizione.

    Ma quando calci la poltrona io ringhio, perché sono stanco del tuo muoverti sempre contro di me e che non vada mai bene niente di quello che faccio. E' così da una vita ormai, cazzo, da sempre. E vorrei rimediare con una pizza anche troppo costosa, ma oggi non posso.

    Oggi posso solo avvicinarmi e tenerti stretto per la collottola, come si fa con i gatti che si getterebbero in un fossato troppo profondo. Lo faccio perché vorrei che mi guardassi negli occhi, cristo dio. "Ti lascio qui perché mi fido solo di te qui dentro, quanto cazzo può essere difficile da capire?" sorvolo su quanto sia colpa tua, perché lo è, e lo sai.

    "Non l'ho voluto io un palazzo pieno di ragazzini di cui prendersi cura! CRISTO a me bastava stare con-" voi, ma forse questo non ha neanche importanza adesso. Non se lascio la presa con calma, lo zaino fermo ai miei piedi. Lo sguardo che s'illumina di colpevole ferocia.
    Ma non importa, niente di tutto questo importa. Non succede nulla, non ci sta capitando niente, andiamo solo per un attimo in missioni opposte, mi faccio una tirata fino al Maryland e torno, tutto qui. Non capiterà niente di male o di sbagliato, o che cazzo sia. E siamo tanto lontani dalla luna nuova, è tutto controllato. "Sono solo due giorni"
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    nido
    A volte hai davvero la fortuna di essere tanto volatile dalla tua parte. Una fortuna che ti impedisce di rimaner fisso su un determinato argomento. Che costringe l'attenzione a fare un po' il viaggio che vuole, nel modo in cui gli viene facile farlo. Dalla tua parte, Ben, hai Horace che ti conosce, che già sa dove dover toccare per farti star calmo. Per questo ti stringe il collo come farebbe una mamma gatta: perché tu hai bisogno di qualcuno che sia sempre lì a dirti di star fermo. Di aspettare, di non trarre conclusioni troppo affrettate. Che al punto puoi arrivarci, non è mai un problema, non sei un povero scemo. Devi semplicemente comprendere come lasciarti andare.
    Come instradarti da loro. Trovare i giusti binari e percorrerli senza farti prendere dal treno.
    Ma tu Horace non lo guardi negli occhi. No, tu gli spingi la fronte contro la spalla. Lo fai frapponendo una mano tra voi due, anche se poi non smetti di ringhiare e quel palmo aperto, infatti, non serve a far altro che ricordare com'è che funziona adesso. Non vuoi dargliela vinta, ma sai bene come hai bisogno di questo per ritrovare il tuo centro. Per saldare i piedi a terra. Per sentirti in grado di resistere a qualsiasi cosa. Che non sei un debole, Ben, sei semplicemente troppo, troppo avventato.
    Ma quando lui la presa la molla, allora tu spingi la mano come ad avvalorare l'idea che non lo tratterresti mai contro di te. Che anche se gli chiedi di stringerti le spalle quando i muscoli si irrigidiscono al punto da far male, adesso un abbraccio non lo vuoi. Non vuoi sentirlo così vicino, così intimo da ritrovarti ad implorarlo di tornare in fretta. Non deve affrettarsi, non deve correre spericolatamente sulla strada. Serri la mascella.
    Perché in fin dei conti sai bene quanta ragione abbia. Come sia sempre tuo il problema. Tuo nel trovare casa a questi bisognosi. Tuo che ti affezioni troppo, che credi nel giusto, che ti prodigheresti per l'altro come se questo potesse in qualche modo ripulirti da ciò che sei e ciò che continuerai a fare a vita fino a che un cacciatore non verrà a darti fuoco. Aspetti il giorno in cui una pallottola anti wendigo finirà per trapassarti il cranio. Ogni tanto lo sogni. Sogni di non riuscir più a mettere piede nel nido: sempre perché sei troppo avventato e Horace, beh, lui ha capito di doverti lasciar andare. Che la tua presenza è ingombrante. Tu sei ingestibile.

    "Vattene."
    Riprendi a camminare piano per la stanza. Fino a spogliarti dei pantaloni per restare così solo in mutande, calzini e maglietta. Che dormi così nel letto, nella speranza di non sudar tanto la notte.

    "Ci vediamo tra due giorni."
    Mugugni sdraiandoti, dandogli così le spalle.
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    il nido
    Lo sento come respiri male, come il mio stringere sia proporzionale al tuo non cedere. Più resisti più resto, più ti opponi e più non mi scosto da qui. E' così che funzioniamo: io che ti do una calmata e tu che mi rimetti al mondo. Neanche ti sei chiesto come potrei starci io due giorni lontano dai tuoi bisogni e dai miei, lontano da un punto fisso che a volte sa distrarmi dalle visioni più macabre. Dai miei compagni feriti, dal sangue che cola da arti spezzati, da qualunque cosa si azioni male nel cervello.
    Sei tu la mia sicurezza, tu che non lo capisci e che quando lascio la presa mi allontani. E li faccio questi due passi indietro, ringhiando come un cane all'angolo, come quella bestia che sei tu, prima di me. Che siamo in due, forse.

    Vattene. Ha un peso, anche se resta un gioco tra noi, se lo relego a questo: a confini che superi, che abbatti. Non so se sia peggiore di quello che mi hai detto l'ultima volta, ma so che se insultarmi ti aiuta, io non resisto al ringhio. Non resisto all'uscirne comunque ferito, comunque sanguinante. Non c'è mai niente che ti vada bene, niente che tu possa approvare. E non mi serve, a quest'età la tua approvazione, sarebbe solo. Solo carino ogni tanto beneficiarne. Ma sono stupido, un'ignorante vissuto a pane e fucilate, tutto qui.

    Ti guardo trovare il tuo posto, voltarmi le spalle. Non sai quanto cazzo mi sforzo per non venire lì e fare come faccio sempre, invadere i tuoi spazi, rubarti il fiato, insistere con prese che ti diano una regolata. Questo mi apre in due, perché non mi dici mai quello che davvero vuoi, e non so più dirmi che cazzo ci faccio io ancora qui a guardarti la schiena. Immagino di stringerti le spalle, di piazzarti una mano aperta in petto, di sentirti respirare contro di me, di bearmi di qualche brivido che percepirei soltanto io. Di lasciarti un solo morso di avvertimento dietro il collo, un "ci vediamo presto" che sia un monito non verbale. Ma hai parlato, e le tue parole hanno conseguenze, a volte più delle tue azioni.

    "Si, due giorni. Ti-" prendo lo zaino, lo infilo in spalla. "- ti ho lasciato qualche dollaro sotto il materasso, i ragazzi hanno abbastanza acqua e sanno che andranno a caccia da soli." Perché, Ben, ho pensato a tutto in queste fottute ore, anche quando a te è sembrato che non provassi altro che gioia nel tenermi distante. "Il satellitare te lo lascio di emergenza, mi porto l'usa e getta, per.. va beh, tenerti aggiornato se te ne frega qualche cazzo".
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    Non hai voglia di guardarlo, Ben, ma perché sai cosa significherebbe star lì a cercare il suo sguardo. Sai cosa finirebbe per scatenarsi in te: il bisogno di qualcuno che resti per una tua ripicca. E non credi che Grace possa effettivamente meritare questo. Tu non ce l'hai con lei, no. Tu ce l'hai con te stesso. Soprattutto oggi. E con Horace, sempre, per quell'abitudine che ha di star dietro ai casi persi. E sì, magari ti duole dirlo, ma Grace non è altro che questo. Tu non hai fiducia nel rivederlo vivo. No. Tu hai già capito di doverlo lasciare andare per sempre. E speri, per un certo verso, che Horace faccia altrettanto. Che non si prodighi al punto da perdere se stesso. Un po' come con Joseph. Un po' come non ti rendi conto di star già facendo con te. Tu che gli dai le spalle e non gli dai modo di entrare. Che lo spingi via per quell'insana paura che hai di sentir dolore. Di scoprirti più umano di quanto effettivamente vorresti essere. Più fragile, sì, persino di coloro che non conoscono il wendigo. Che non hanno la bestia con sé. Per questo rimani così. Tanto rigido da sentir male alle spalle. Tanto immobile da non alzarle nemmeno quando respiri.
    Ti senti di sforzarti parecchio adesso. Di andar contro a tutto ciò che effettivamente sei. Ma non puoi far altro, non puoi far altrimenti. E capisci che ciò che dice ha il suo senso: devi restare qui. Devi farlo perché quest'edificio lo avete occupato voi due. Perché la gente, qui dentro, seppur non vi siate mai mostrati come dei despota, risponde a voi. Ma tu non ti sei mai sentito un vero e proprio capo, Ben. Quello che forse Horace non capisce, adesso, è che tu puoi prendere decisioni solo quando queste sono quantomeno influenzate dalla sua presenza.
    Respiri, anzi, sospiri.

    "Guida piano, per favore."
    Poi butti fuori l'aria. Lo fai spingendo ulteriormente la testa contro il cuscino. Ci sprofondi un istante, rannicchiandoti proprio come farebbe un bambino. Sei un bambino offeso adesso.

    "E...scrivimi quando arrivi, ok?"
    Ma non vuoi sentirti rispondere positivamente o negativamente. No. Vuoi semplicemente che a lui arrivi un messaggio. Un messaggio che è chiaro, seppur non dentro la tua testa. Un messaggio che richiama tante cose, in effetti, così come quella verità che un po' penzola lungo la lingua. Una verità che, purtroppo, sai ammettere solo ed esclusivamente così.
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    il nido
    Io non so guidare piano, Ben. Ho bisogno di sentire il vento sfiatare sotto le ruote e spingerle fino a farle bruciare. Come se la gomma fossero le mie dita, e l'asfalto la tua pelle rovente. Questa per me è la strada, ma tu non puoi lasciar passare neanche questo. Neanche la velocità che raggiungerei solo per tornare prima a casa. Che davvero ti ho lasciato solo i dollari che sono rimasti in tasca, quelli utili a mantenere due giorni di fame. Poi lo so che puoi trovarne altre, tirarti fuori da questo buco e scendere a bere con gli altri, e magari fare tutte quelle cose che non vi permetto di fare io.
    I topi ballano, no?
    Io sono il gatto in una metafora che non ha tutto questo senso adesso. Non mi sento un gatto, né un randagio, non sento niente se non il tuo rigirarti sul materasso. E vorrei farti compagnia. Vorrei venire a pizzicarti i fianchi finché non ti romperò il cazzo e mi manderai via. Ma... non ci riesco. Non riesco a infilarmi sotto coperta e stringerti al petto, come se tu avessi bisogno di una qualche rassicurazione. Come se potessi ancora sentire la tua schiena contro il mio petto e l'acqua scivolare tra noi.

    Sono sempre sul punto di dire qualcosa, anche quando recupero la giacca e ti guarda, rivolto di schiena per non darmela vinta mai. Non una volta che tu sappia non farmi incazzare, non irritarmi, non farti odiare. Anche se non ti odio, mi è dannatamente impossibile. Sono stupido, un soldato con un problema. Uno che devo tenermi stretto perché a gestire i miei flashback ci sei sempre stato tu.

    Mi avvicino alla porta, allungo una mano solo per stringerti la caviglia, ti lascio ritrarre il piede se vuoi. Ma se non lo fai, me lo rigiro piano tra le dita. Cristo, non è un addio, sto solo portando la tua scopata di una notte - e non so quante altre - a non morire. Dopo torno, magari così non ti verrà in mente di riportarmi a casa chi capita senza avvisarmi prima.

    "Se torna, stai lontano da quel Caleb, per favore" è solo il mio modo che ho per dirti la stessa cosa che mi dici tu, forse il più accettabile. Prima di lasciare la presa ed uscire dalla porta. Non so perché ma resto fermo qui fuori. Un attimo solo. Come se mi aspettassi di sentirti dirmi qualcosa, ma forse è solo questo... solo che io non so se posso allontanarmi nella condizione in cui sono.
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