This burning desire

Horace & Ben | 7 Marzo 2023 - Maryland/phone

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    Capire come dirti le cose è sempre difficile, Benji. Per questo ho chiesto a Grace di salire, intanto, e lasciarmi un attimo qui. Siamo in Maryland, ma lo sai perché te l'ho scritto quando siamo arrivati. E' che dopo non ti ho più detto un cazzo, perché anche questo non so come dirlo. E lo seguo, questo ragazzino che mi ha portato qui. So che non è colpa sua, eppure resto qui, con il vetro appannato dal mio respiro, ad attendere che salga le scale di un ostello di fortuna e accenda la luce nella stanza.
    Mi serve per prendere tempo, ma tu lo sai. Mi serve perché così mi illudo di essere bravo con le parole, e non lo sono. Mi serve per come mi hai guardato ieri, e come poi hai smesso di rispondermi. Sono stato bravo fino ad adesso, ho tirato dritto ma non so - cristo non ne so un cazzo io di queste cose. Di maledizioni e santi, anche se sono uno stupido wendigo. Non sono informato, non sono un esperto, non so neanche che cazzo rispondergli.
    Gli ho detto che non intendo lasciarlo a piedi dove non conosce nessuno. Che la promessa che gli ho fatto comprendeva il portarlo fino al suo obiettivo, ed ancora non ci siamo. Non so quando ci saremo, Ben, ma non torno domani, e forse neanche dopodomani,

    E non voglio far vedere a Grace che non respiro, che qui in fondo sto bene solo perché c'è il tuo odore che si mescola al mio, perché se guardo a destra dal passeggero ci sei tu, coi piedi sul cruscotto. Per fortuna non sei morto, almeno non so che questa non è un'allucinazione, ma solo il mio modo di parlarti.
    Anche con il telefono in mano, che punta dritto al satellitare. Non voglio scriverti un messaggio, voglio sentire la tua voce cosicché tu possa sentire la mia.
    Ho avuto un flash, prima, ma l'ho ricacciato in gola, anche se mi ha sfiancato. Stavo guidando, ma di queste cose ve ne accorgevate solo tu e Lucian.
    Compongo il numero, è quasi mezzanotte, qui è tutto buio ma quelle cifre sono impresse nella mia testa, marchiate a fuoco dietro il collo. L'unica clemente è la luna, che mi mantiene ancora umano, ancora in grado di non cannibalizzare tutto ciò che trovo. Per ora.
    Non mi trasformerò lontano da te, non voglio. Quindi ora rispondimi, che la mia voce non è felice, non è altro che cauta, un po' triste, calda nell'essere rinchiusa in un abitacolo.
    "Ben"
    E' solo un saluto, anche se con la fronte resto appoggiato al volante, una mano trai capelli, e mi rialzo dopo, piano.
    "Qui abbiamo un problema"
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    Non ho contato i secondi di cui avete avuto bisogno per arrivare dallo stato di New York al Maryland. Non so neppure perché Grace debba andare proprio lì, come faccia a crederci così ciecamente. Eppure capisco. O almeno, credo di capire. Anche se questa notte non ho dormito. Ma non perché ho contato i secondi che avete impiegato per arrivare fin lì. Non mi sto incastrando anche con questo. Non è un dettaglio di cui, teoricamente, ho bisogno per sentirmi bene. Non mi sento bene adesso, in realtà. Ma è un pensiero che caccio via. Lo sai com'è che funziono. Come ci provo, almeno, ad autogestire certe cose. A far vedere che sono grande anche se fatico a sentire questi ventitré anni. Che a volte mi sembra di averne meno. Come quando eravamo su a Detroit ed ero il più piccolo in mezzo a voi. Non che adesso io sia diventato più grande di te, Horace, ma capisci il senso. Sono forse fermo. Ecco. Statico, immobile. Rimasto così indietro, così tanto dentro le dinamiche di Detroit da non capire. Da faticare, ecco, ad uscire totalmente dal guscio.
    Per questo caccio via l'acidità di stomaco quando sento il telefono squillare. Non perché sono arrabbiato o altro, ma perché mi tremano le mani e ho paura di ritrovarmi a raccontarti cose che, in realtà, non saprei nemmeno raccontare. Nel senso, ecco, che se dovessi proprio soffermarmi a pensarci, beh, non saprei con precisione di cosa avrei paura di parlarti. Ma poi, se penso al momento nell'insieme: alla telefonata, alla tua voce e tutto il resto, beh, questa paura strana sicuramente un po' mi assale. Quasi come se fossi sempre troppo piccolo e tu troppo bravo da riuscire a strapparmi via qualcosa.
    Ma rispondo, figurati se non lo faccio. Avvicino il dispositivo satellitare al primo squillo. Ma lo sai, che so rispondere solo se durante la chiamata posso iniziare e continuare a muovermi per la stanza come a dare il tempo alle tue parole con i miei piedi.

    "Ho, ciao!"
    Il tono è entusiasta ma, ecco, parliamoci chiaro: mi fa piacere sentirti. Non ho motivo per negartelo, per far finta di niente. A cosa servirebbe nasconderlo? Almeno questo, ecco, te lo concedo.

    "Non dirmi che avete già fatt - oh, ok, che problema?"
    Mi sembrava troppo facile, in effetti. Per questo inizio a mangiarmi le parole: perché istintivamente ho portato le dita alla bocca per iniziare a strappar via le unghie e qualche pellicina da contorno. Sto solo cercando di rilassarmi.

    "State bene almeno?"
    Alla fine è sempre stato più importante questo. Solo e soltanto questo.
    E io non odio Grace, non saprei farlo. Non ci riuscirei mai. Odio solo essere dall'altra parte del telefono, ecco.
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    Immagino che tu stia camminando, che percorra a grandi falcate "casa nostra". Questo perché sei - da sempre - il mio esatto opposto. E dove io cerco di stare fermo, tu non sei in grado di farlo. Iperattivo, ipernevrotico. Non voglio fare il bambino viziato, quello che ha bisogno di qualcosa dopo aver compiuto una buona azione.Alla fine Ben, ho bisogno di questo e basta. Del tuo rispondermi come se volessi sentirmi e non fossi diventato un estraneo in un giorno e mezzo. Perché anche se siamo fuori da Detroit, io non so come tutto funzioni, come si incastri e mi sciolga le insicurezze nell'acido. Sono qualcuno di cui a volte non vado fiero, ma esserlo in due ha un sapore differente, cambia anche il colore della carne che trangugiamo senza sosta. Dio, mi sembra di fare una cosa tanto complicata ed invece dovrebbe essere una comunicazione. Quasi militare. A dare ordini sono sempre stato bravo, ma tu lo sai. Tu me li senti impartire ai tuoi muscoli affinché smettano di muoversi senza controllo e ti lascino dormire.
    Non vorrei dire che sono la tua badante, ma tu senz'altro sei la mia.

    "Magari avessimo già finito" è quasi un sospiro stanco. Guidare mi snerva da quando non volo. Per questo vado veloce, magari anche troppo, sicuro più di quanto piaccia a te. Ma così velocizzo il tempo, mi mangio la distanza a falcate e le porto via con me. Sono io la clessidra del mio asfalto.

    "Si, si stiamo bene" non hai bisogno di vedere il mio muso per capire che è vero solo a metà. Ed io non ho bisogno di mentirti nel tono, né dirti che forse ho sbagliato i miei calcoli. Io non sbaglio i calcoli, erano calcoli sbagliati in partenza. "Grace non così tanto, ma penso che stia lottando con la tigre e l'ansia, non so cosa delle due abbia la meglio"

    Però non basta, non è tutto qui, non è niente qui. Neanche tu. "Ma l'uomo che doveva incontrare non c'era" .

    Silenzio. Tu forse sai già cosa voglio fare, e cosa sto per dire, se non fosse un problema stare già tornando a casa, dopotutto, no? Puoi sentire il grattare delle unghie contro la gomma che riveste il volante. Ne stacco piano qualche pezzo, il respiro è più pesante. "Lì va tutto bene? Tu stai bene?"
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    Ripercorro la nostra stanze in lunghe falcate. Non perché mi venga voglia di correre, quanto perché è così che so camminare. Così che aziono bene la mente e mi mantengo ben vigile. Non perché la tua voce mi faccia venir sonno, assolutamente, quanto perché così ho la sensazione di sentirti meglio. Di percepirti meglio. Di averti decisamente qui con me. Tanto vicino che magari, tra qualche minuto, ecco, potrò persino tornare a sedermi sul letto. Ma dammi tempo, anche se dubito che tutto questo mio vagare sia tanto percepibile al telefono. Non son mai quali informazioni passano attraverso di qui. Cosa arriva a te o cosa arriva a me. Insomma, sì, so cosa arriva, ma non so mai se è tutto frutto della verità o di un'immagine che mi viene spontaneo farmi nella testa. E forse ho un po' "paura" si sbagliare, in realtà. Di non averti davvero seduto in macchina. Con le mani contro il volante. A strapparti via...cosa? Le pellicine dalle dita? Magari non sei nemmeno seduto. Non composto. E magari hai ancora un piede sul freno, quasi a forzarti di restare lì. Di far compagnia a Grace perché questo gli hai promesso e le tue promesse sono oro. Sono tutto ciò che credi di possedere. L'unica cosa per la quale hai l'impressione di aver tutto sotto controllo.
    E beato te, Horace, se davvero riesci a controllare le tue promesse. Se nel rivederle poi non ti accorgi mai di aver sbagliato qualcosa. Di non essere stato bravo abbastanza. Giusto abbastanza. Veloce abbastanza.
    O abbastanza e basta, ecco, quasi un po' come so sentirmi io ultimamente. Che arrivo alla risoluzione di ogni impegni, di ogni compito sempre ad un soffio. Come se fossi stanco. Lo fossero le ossa, lo fosse la mente. E magari è anche vero. Magari sono solo un po' più stanco del solito questo periodo, eppure non riesco a smettere di camminare. Di guardarmi i piedi e poi di lasciar perdere lo sguardo nel vuoto. Calpesto l'aria. Ripercorro la strada che hai fatto l'altra sera quando hai iniziato a prepararti una borsa da portare via. E non te lo chiedo se hai tutto l'occorrente con te: non l'ho fatto prima e non lo farò adesso. Però ci penso. Mi guardo intorno come a ricercare segni della tua presenza e rendermi conto che lo spazzolino da denti manca nel bicchiere sul lavandino, un po' mi spezza. Ma sono fastidi che non ho intenzione di raccontarti, figurati.

    "Che vuol dire che non c'era?"
    C'è un momento in cui inizio a soppesare le parole. Le pronuncio con un tono deciso, ma solo perché devo rivederle ancora ed ancora nella mia testa. Ribaltarle lì, smembrarle per poi ricomporle insieme. Immagino a tutti i significati a cui questa affermazione può portare, eppure non riesco mai a sentirmi sicuro delle risposte che mi do. Vorrei che me le confermassi tu.

    "Cioè, è in ritardo o ha deciso di non venire più? Magari ha solo perso l'indirizzo, Grace non può sentirlo?"
    Non lo so com'è che funzionano queste cose: non ho le tue stesse competenze, non sono cresciuto a pane e magia. So solo quello che forse farei anche io: indagherei, chiederei, chiamerei lo stronzo che mi ha dato l'appuntamento e che ora mi sta dando buca, per dire.

    "Sì sì."
    Che vale per entrambe le domande.

    "Qui va tutto bene."
    E i ragazzi stanno bene, figurati. Non è vero che quando il gatto non c'è i topi ballano, affatto. Qui stanno tutti aspettando che ritorni.
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    Ma io resto in silenzio. Non ti rispondo subito, lascio macerare le tue parole nella testa. Un po' come se dovessi registrarle in una segreteria telefonica. Come negli anni 80. Come faceva mia madre quando non pensava di aver partorito un codardo, e successivamente un mostro. Qualcuno che non può neanche stare vicino all'area di casa propria o verrebbe preso a fucilate dal padre. Ma non è commiserazione la mia, non ho mai bisogno che tu mi compatisca. Anche perché sai violare ogni limite senza che io mi forzi a chiudere il libro. Resto aperto. Resto a grattar via copertura di plastica e gomma. Tanto neanche l'auto è mia/nostra. Siamo solo fortunati ad avere qualche aggancio. Qualcuno che cambi la targa e spacchi qualcosa.
    E forse la voce non basta, mi piacciono anche i momenti di silenzio, quelli in cui non ti sento muoverti perché sai stare immobile. E mi fai sorridere se poi percepisco che ti snerva. Che ti posso obbligare a sederti ma avrai sempre un piede che batti al ritmo della tua testa. Quello che ci gira dentro è una sinfonia corale. Un po' mi manca, ma non so quanto sia giusto dirlo oggi. Forse hai messo un limite che sono un codardo a non superare, a non forzare.

    Mi ricordo Joseph che fingeva di farmi un permesso ufficiale e bollato anche solo per sfiorarlo e bermi una birra con lui. Ho solo ridimensionato gli schemi, rivisto un po' l'assenza.

    "No, non si fa trovare così. Non lo possiamo chiamare, dobbiamo...-" perché tu sai che io ho già deciso, che questo è inappellabile purché stancante, e mi sfianca non poterti sempre dare quello che vuoi, e fare quello che ti piace. Non ne faccio comunque una giusta, quindi puoi vedere questo solo come l'ennesimo errore di Horace. "-dobbiamo seguire le sue tracce, prima che la tigre tiri gli ultimi "

    Forse è una corsa contro il tempo ed io non sono in velocista. Io ho ancora la fronte contro il volante, le orecchie che fischiano come avessi passato tre ore sotto un palco. Ho ancora tutto incollato sulla pelle ed un respiro che nel sentirsi pesante, poi sfugge via.

    "Senti... Ti- ti dispiace tenere su la baracca da solo ancora qualche giorno?" Che non so, penso sia l'unico tono che ho, il modo che mi resta per chiederti scusa.
    Perché io so che ci riesci. Non ti chiedo se ce la fai, no. Io confido che tu lo sappia fare, di averti insegnato qualcosa e che farai l'esatto opposto. Perché ho promesso a Grace, e la mia parola è quanto di più solido mi resta. La mantengo anche quando sbaglio. Soprattutto quando sbaglio.
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    Ho sempre creduto che la fortuna bisognasse crearsela, per un certo verso. Che volendo o meno, difficile o facile che sia, noi siamo davvero gli artefici del nostro destino. Per questo non mi pento mai di essermi affidato a Princip, anche se so bene come sia un fottuto codardo, uno stronzo di prima categoria. Non me ne pento perché senza di lui, senza quel cazzo di patto, forse adesso non avrei te e Lucian. E sì, ok, Lucian è morto, ma questo non significa nulla, non lede ciò che ho conquistato con il tempo: una famiglia. E io non ne ho mai avuta una, Horace. Non so chi mi abbia lasciato in orfanotrofio o perché nessuno abbia mai scelto me, ma so che alla fine, la vita, mi ha un po' portato a scegliere voi.
    Per questo forse resto in silenzio per una buona manciata di minuti. Perché forse non ho nient'altro da aggiungere, non quando mi rendo conto che Grace, forse, non ha avuto modo di decidere il suo. Per questo tu sei lì, vero? Alla fine non è mai solo per una promessa. Alla fine è semplicemente per come sei: un eroe o qualcosa che comunque ci si avvicina pericolosamente. Tanto che dovrei nutrire stima adesso o almeno, la nutro, certo, solo che non riesco a dirti nemmeno questo. Non che sei un grande uomo. Ma non un soldato: non meriti di essere etichettato in questo modo.

    "No, tranquillo. Lo capisco."
    Dico semplicemente. Che alla fine risuona anche come un sì, ci penso io o un non c'è nessun problema. Effettivamente in casi come questi uno può solo sforzarsi di comprendere ed accettare. Solo questo. Ma sento che c'è qualcosa che prude sul palato. Ad entrambi, oltretutto. Come un'allergia che irrita ogni cosa.

    "Basta che state bene. Che stai bene."
    Specifico, perché non sono uno stronzo e anche se a volte lo sembro, insomma, poi comunque torno a preoccuparmi. E mi sta a cuore, ovviamente, capire cos'è che sento da dietro una cornetta. Se sto interpretando bene i respiri. Se ci sto capendo qualcosa o meno.

    "E che ti ricordi di aggiornarmi. Gli altri hanno bisogno di sapere quando torni."
    Gli altri devono saperlo. Devono accettarlo. Anche se forse non si stanno davvero facendo tutti questi problemi. Magari il problema è solo mio, ecco. Mio che finisco sempre per sentirmi come quando a Detroit non c'era neppure Lucian con me.
    Non sono bravissimo nel restare da solo, ma a te posso ammettere il contrario.
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    Bravo, e grazie.
    Questo dovrei dire. Queste due semplice parole che non escono, non con la gola secca. Le dicevo sempre, anche quando dovevo solo aggiornare i soldati. Cristo, David con un "grazie" ha quasi pianto. Ma erano altre condizioni, non avevamo neanche lacrime per piangere. Ora invece qualcosa ce l'ho. Un destino come mi sono scelto. Come la prima volta che ho messo piede da Princip. Dovrei dire di essere stato reclutato, ma invece me la sono cercata. Ci sono andato dentro fino in fondo, con i piedi e le scarpe. A muso duro perché non avevo più niente da perdere, e per questo non mi sarei aspettato di averlo adesso. Ora che casa è diventata una persona, un profumo, forse perfino uno stupido ricordo.

    "Immagino che agli altri non piaccia non sapere quando torno... " non so mentire, Benjamin. Ho imparato il dono di fottermene se qualcosa non è corretta o perfetta, e con questo la lingua ha imparato a sciogliersi, ha imparato a srotolare anche le verità più scomode. Io non sto male, Ben, ma non sto neanche bene: tengo solo a bada le mie stranezze e le mie paure. Come ho sempre fatto, ma senza poterne nascondere con la bestia. Il wendigo non può uscire così distante da un luogo sicuro. Io sono così arrabbiato per la morte di Lucian, che ancora ogni volta mi sfogo senza tregua. Farei una strage e non saprei neanche pentirmene.

    "Io-" esalo un altro stupido respiro, lento e bisognoso si qualcosa che non può avere. Io cosa? Cosa dovrei dirti, se non quello che già sai, che ogni tanto la mia mente torna in Afganistan ed il mio respiro si spezza. Non so andare dagli strizza cervelli, non sono cosa per me. Io elaboro con la bestia, e adesso non posso avere neanche questo. Io ho paura. Questa è la frase completa, ma a che cambia dirtela a distanza? Niente. "-io sono sempre io. Cerco di tenermi a bada. " perché in fondo lo sai anche meglio di me.

    Non te lo posso dire che vorrei dormire con te, perché tu potresti non volere la stessa cosa. Anche se lo facciamo da sempre, se siamo diventati due cazzo di inseparabili.

    "Non mi piace stare cosi distante, ma l'ho promesso. Lo trovo in fretta quella stronzo." e poi torno.
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    "Ok."
    Sono il primo a dirlo, forse perché un po' ho capito com'è che funzionano queste cose: non siamo mai stati tipi da telefonate, figuriamoci poi quando sono così lunghe da superare i dieci minuti. Noi siamo quelli dei messaggi in codice. Degli sguardi e nient'altro. Perché ci bastano quelli. E lo so, lo so che adesso le cose ci sembrano diverse solo perché non possiamo voltare lo sguardo e trovarci lì: io seduto accanto a te, tu sdraiato sul letto qui di fronte, ma tu tornerai a casa e allora avremo modo di tornare come prima. Di non aver bisogno di uno stupido e limitante telefono. Sospiro, ma spero subito che questo non si senta. Perché sto pensando di attaccare, ma non vorrei fartela pesare in alcun modo. Perché, ecco, in realtà è a me che pesa. Mi pesa da morire restar così. Continuare a fare avanti e indietro senza alcuno scopo. Mi sembra di non averne uno, adesso. Di essere quasi in bilico. Sospeso. Potrei essere un funambolo e questo non cambierebbe le cose.
    Ma mi forzo, mi spingo seduto sul letto. Incrocio le gambe sotto il sedere.

    "Io...lo so, Horace."
    So tutto. Resta sempre qualcosa che mi sento addosso. Come una parola non detta ma che resta vigile sulla punta della lingua. Sto per dirla, ma poi mi fermo. Qualcosa mi blocca. Qualcuno me la strappa via la lingua.

    "Senti..."
    E lo sai cosa sto facendo: mi sto grattando la nuca con l'indice ed il medio. Con il pollice ogni tanto mi pizzico la pelle, quasi come per sentire il dolore che viene e mi abbandona. La pelle non si arrossa, resistiamo a decisamente peggio. Ma la sensazione è piacevole, rilassante, per un certo verso.

    "Forse è meglio che ci salutiamo adesso."
    Tanto suppongo che ci sentiremo domani. Perché ti ho chiesto di aggiornarmi e perché so che me lo hai promesso anche se poi non me lo hai detto apertamente. Diciamo che me lo sento dentro, come un prurito sotto pelle. Ma è piacevole anche questo. Sembra una carezza talmente è delicato.

    "Aspetto una tua chiamata domani."
    Perché io non ti chiamerò. Non ti disturberò, non rovinerò gli ultimi giorni di Grace.
    Io non sono arrabbiato con lui. Non ce l'ho mai con lui. Sono arrabbiato con me stesso e ancora non ne capisco il motivo. Questa cosa mi farà impazzire.

    "Sono seduto sul letto..."
    Ti dico piano, ma non so perché mi sta uscendo così.

    "Ora mi infilo nel letto con la schiena al muro. Fuori ci sono ancora i lampioni accesi, sembrano piccole abat jour da comodino, sai? Magari un giorno ne rubiamo una e ce la mettiamo in stanza."
    Ma mi rendo conto di star parlando troppo. Solo che mi esce spontaneo e non ne so per nulla il motivo.
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    "Si, scusa se l'ho ten-" tenuta lunga oltre la tua sopportazione. Vorrei dire questo. Ti conosco abbastanza da sapere che se ti tengo appeso qui è perché sono egoista. Solo questo. Perché voglio che mi racconti le cose anche se per telefono non siamo bravi. Siamo sintetici e schematici, e forse avremmo potuto staccare molto prima. Io che ti dico che non so quando torno e tu che mi dici che è ok.
    Magari però non lo è, e magari adesso mentire non ci piace così tanto. Così io quasi sorrido, rialzo la testa dal volante quando mi parli ancora. Quando stavo staccando la chiamata ma hai continuato a dirmi qualcosa.

    È che mi hai detto che fai. Mi dici che sei seduto sul letto, ho sentito le molle attraverso il cellulare. Le ho sentite cedere piano, lo fanno di più quando mi muovo io.

    "Sul mio o sul tuo?" Non so quale letto tu abbia scelto, ma ci metto un briciolo di scherno, qui. Riappoggio la nuca al poggiatesta. Chiudo gli occhi. E so come la mia sia un'espressione stupida. Sono un induista che sorride al buio, senza neanche un lampione che funzioni. Non qui almeno. C'è solo la luce di Grace in quella stanza. Ma non mi concentro li. Torno dove sei tu, Ben. A letto, con me. Con una mano che scivola spontanea lungo il cavallo dei pantaloni, ma me ne accorgo prima che la cosa si faccia patetica. O solamente triste. Non posso adesso, non sono così meschino, non sono così mostro. Mi manchi e basta, come è normale che sia. Si.

    E tu vuoi una lampada da comodino e quasi mi esce una risata roca. Anche se non è scherno. Sono serio. "Troverò il giusto souvenir, allora" di questo viaggio che vorrei finisse ma è solo appena iniziato. È iniziato lentamente e adesso davvero vorrei si concludesse da qui a poco, in un battito di ciglia.

    "Io sono ancora in auto." Mi esce quasi un tono caldo, come se fosse un bacio dietro il collo, una stretta che ti faccia stare meglio. "Respiro meglio qui dentro, ma adesso dovrei andare a controllare se a Grace sale la febbre" lascio giusto un monito, anche se forse è superfluo come metà di questa telefonata, no? "Buonanotte?"
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    benjamin quinn
    wendigo - 23 - NHR
    nido
    Non te lo dico. Non posso dirtelo, ma quando mi fai certe domande, poi mi esce spontaneo reagire di conseguenza. Allora mi alzo, ma sto attento dal non far cigolare troppo il letto. Magari poi non mi rendo conto di come trattengo il respiro, che rilascio troppo di corsa, in effetti, quando poi finisco per gettarmi dalla mia parte.
    Non mi ero reso conto di essermi seduto sul tuo giaciglio: mi è uscito solo spontaneo, d'altro canto dormiamo insieme da una vita e forse io vorrei che fossi qui a stringermi con forza le spalle. Me le sento terribilmente intorpidite, così come le gambe. Così come i respiri.

    "Sono sul mio."
    Sì, adesso, quindi forse la mia non è totalmente una menzogna. Non ti sto mentendo, non quando ometto semplicemente alcune cose. Ma omettere non è mentire, non del tutto. E mi dispiace, ok, non riuscir ad essere tanto cristallino a volte.

    "Ovviamente."
    Ma sorrido contro la cornetta, stupidamente. Sento le labbra tirare contro la plastica. Come un idiota.

    "Ah...pensavo fossi sceso."
    Ma lo so che non lo hai fatto: non ho sentito il rumore della portiera, né l'auto assestarsi per l'assenza del tuo peso. Non ho sentito i rumori ambientali cambiare: la città prendere posto della pace attutita che c'è in auto. Siamo ancora seduti vicini. Io tengo ancora i piedi distesi lungo il portabagagli come ora li tengo dritti contro il muro.

    "Io ora sono a testa in giù..."
    Continuo, piegando davvero la testa oltre il bordo del letto e proprio per guardare la stanza al contrario. Dicono faccia bene far fluire il sangue al cervello, anche se dubito fermamente che funzioni esattamente così.

    "Mi si è bucato un calzino e ora posso vedere l'alluce uscire fuori. Mi sembra di indossare dei guanti senza dita."
    Ora guardo il pollice. Lo muovo, non so bene a cosa sto pensando, non esattamente, ecco. Sicuro tutto questo, comunque, non è utile al nostro dialogo: non so a cosa possa servire, non credo ce ne ricorderemo nel dettaglio.

    "Ma io posso permettermi di stare a testa in giù a fissarmi le dita dei piedi...non ho nessuno che mi sta aspettando."
    Non so se Grace invece lo sta facendo, ma se fossi in te, non so, magari lo seguirei. Forse ci farei di nuovo l'amore, ma solo per questa sera. Per non farlo sentire solo. Per non lasciargli pensare che tutto questo...che questo viaggio del cazzo sarà inutile. Io non credo alla speranza, a quel tipo di magia distante, lontanissima. Io credo a un bacio, ad una carezza. Credo all'alluce che sbuca fuori dal calzino. Solo a questo.

    "Adesso che vai da lui."
    Perché ti sto davvero invitando ad attaccare prima di me.

    "Digli che...che lo saluto e che gli faccio i miei auguri."
    Ma non so perché mi si spezza la voce proprio ora. Sto pensando a Caleb, sai? Ma è stato solo un flash. Un'immagine che si è sovrapposta alla tua. Sto pensando a Caleb e al fatto che dovrebbe esserci lui al tuo posto e che tu dovresti stare qui, Horace. Qui a dormire.

    "Scusa, ma...ci sentiamo domani. Dormi...bene o male, ma dormi."
    E sono io ad attaccare o almeno, a guardare la cornetta per una buona manciata di minuti prima di farlo.
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    il nido
    Ad ogni modo ti immagino sul mio letto. Anche quando ti alzi e mi fai sorridere di nuovo, ma resto in silenzio e ti tengo il gioco. Lo farò sempre, non spezzerei qualcosa di sacro a meno che non fosse indispensabile. Adesso la tua voce è sacra, e io nel voglio il più possibile. Ho fame di quella. Ti immagino sul mio letto.
    A rigirarti tra le lenzuola che non ci servono. Le usiamo solo quando siamo così umani che per un giorno abbiano freddo davvero. Quando l'umidità che permea nel nido finisce per entrarci nelle ossa. Allora siamo freddi entrambi. Ma dura poco, perché il calore che ne segue è un crescendo che già mi manca. Forse sei tu la mia stampella, quella dell'arto offeso dalla guerra. Mi sento un veterano ed al contempo la persona più semplice del mondo.

    "Ovviamente" lo sottolineo solo perché sta bene così. Andrà sempre bene così. A volte le nostre menzogne restano sospese in una coltre bellissima, un mondo ipotetico di omissioni che non fanno male. Non so, sicuramente sarei impazzito sapendoti nel mio letto ma senza le mie braccia attorno alle spalle.

    "Dai, puoi andare a ballare senza che io sia di peso, a muso duro contro una finestra " ci sbuffo un'altra risata, ma in fondo un po' sappiamo che è una verità, che a volte non sono sicuro di essere stato una fortuna per te. Solo qualcun altro di chi occuparti. Altre volte invece sembra solo di essere beh. Non importa immagino. Non stasera se non posso neanche guardarti negli occhi e leggere quello che non mi dici. Mi sembra comunque di sentirlo nel silenzio.

    " Va bene, non so quanto mi ascolterà ma va bene" che penso che Grace sia ovunque con la mente tranne qui. Sopratutto oggi. Penso ancora a quel Caleb. Al modo disperato che aveva di parlare e di agire. Mi ricorda quel "me" ragazzino, prima dell'addestramento. Prima che qualcosa cambiasse del tutto.

    "Ok, ci provo, magari la stanchezza del viaggio farà la sua parte. Ti chiamo domani " ti chiamo pure ogni giorno per dirti dove sto e capire come siano presi i calzini. Quando sbuca fuori il piede conviene cambiarli, si.
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