Abat-jour

Horace & Benjamin | al Nido - 16 Marzo

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    Li divoro gli ultimi metri che mancano - scusa - tanto che lo sento come le ruote bruciano sull'asfalto, sfidano l'aderenza. O lo faccio io, non ha importanza, perché sono a casa. Ben, sono tornato. E lo so che questo è un ghigno che mi porto dietro e sembra quasi un sorriso. Quasi un miracolo, anche se certo sono sopravvissuto, così come mi hanno insegnato a fare, ma dio se quelle strette mi sono mancate e se ora ne ho bisogno come un drogato in astinenza, anche se lo so come ci si comporta con gli altri, se ne parleremo meglio quando saremo da soli.
    Ma quando sbatto la portiera per chiuderla lo faccio cercando più rumore possibile. Perché non ti ho detto benissimo quando partivo, sapevi però che sarei arrivato oggi. Forse non è detto che tu mi stia aspettando così tanto, ma una parte di me ci spera.
    E lo so che non è il più lieto degli eventi, non per come ho lasciato Grace ed a questo punto con l'ignoto davanti al suo futuro. Ma noi non ci siamo affezionati a lui tanto da non poter far altro che piangerne l'assenza. Io, beh, si una parte di me non è poi così entusiasta, ma il cuore so alleggerirlo, me l'hanno insegnato in volo, che bisogna fare attenzione a tutti i bagagli che si sceglie di portare o non si potrà mai volare per bene.
    Ed io una cosa te l'ho portata. Scusa se sono un coglione, ma l'ho vista e mi sono fermato. L'ho pagata due dollari, che sembra uno sproposito ma è un inizio.
    Per la casa, che è distante ed io non sono davvero mai stato un sognatore. Me l'hai messa in testa tu sta cosa, anche se è solo euforia, penso. Sicuramente non so stare così lontano da casa, e non so stare senza questa famiglia che ho scelto.
    Senza di te, Ben.
    Che non lo so cosa smuovi ogni volta nel mio stomaco, o forse lo metto a tacere e basta, ma lo fai, e sono quasi felice che tutto si muova di nuovo appena rimetto piede al nido. Con i cancelli che si aprono per me e quel suono soffuso che mi raggiunge piano piano. Come piano faccio io.
    Ho in mano l'abat-jout di una vecchia che svendeva tutto in un mercatino davanti casa. Mi voleva raccontare la sua storia, ma lo sai, io non avevo tempo. Quando ho sentito le catene staccarsi piano piano dalle caviglie non ho potuto fare altro che correre, come un folle. Come non piace a te. Con un sorriso che faccio tornare appena più composto quando finalmente la porta la apro.

    "Ehi, s-" Non sei il primo che mi accoglie, ma piuttosto lo fa Alicia, stringendomi. Smetto di parlare, mi prendo questa pacca sulla spalla che ricambio, ma... Mi spezza il fiato in un colpo solo, io che come uno stronzo sto qui fuori con una lampada probabilmente degli anni '50 se tutto va bene, che la tenevo come un mazzo di fiori fino a due secondi fa. Ci metto un secondo a ridimensionarmi, anche se poi ad abbracciarmi arrivano gli altri, e li lascio fare. Lo sai che questo non lo so negare, che in fondo tutto il movimento qui mi è mancato. Ma tu, dove cazzo sei Ben? Resti come un raschio in gola, come il panico che ti sia successo qualcosa, perché il corpo di Lucian - per me - è ancora caldo. Ti cerco sopra le teste di chiunque qui mi si avvicini.

    "Ben? " chiedo, quasi sussurro ed è sempre Alicia a dirmi di andare più avanti, lungo il corridoio. Questa è forse la loro idea di festa, forse lo è anche per te, ma non per uno come me. Io mi faccio solo largo tra di loro come se non li vedessi, come se non fossero la mia urgenza oggi. E non lo sono, Ben, dovresti saperlo. La lampada ancora stretta in mano, e faccio attenzione perché non si rovini contro i muri. Ma poi mi fermo. Perché c'è una cosa che purtroppo riconosco su tutte. Stringo la mandibola, si spegne il sorriso prima ancora che finisca di nascere. So che qui, davanti al punto in cui mi fermo, alloggia Quentin.
    E so che la voce che lo reclama è la tua, in ansimi. Anche se forse chiami me? Che cazzo fai Ben?
    E li riconosco perché me li sono sentiti nella testa tutte le volte che ci sono stati loro, che fosse qui o Detroit. Lo so quando ti ho immaginato con Grace e quando ti immaginavo con... non importa, credo. Tanto sotto la doccia hai reso chiaro qualcosa che ancora, stupidamente, stavo riscrivendo da solo. Cancellando, quasi. Appoggio la lampada a terra accanto alla porta. Con il pugno alzato aspetto altri ansimi, come un cazzo di masochista. Grazie del bentornato, Benjamin, dovevi sforzarti così tanto.
    Busso due volte. Forte. Sono così stronzo che non aspetto che tu venga. Non sono capace di prendermela di meno.
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    Edited by nocturnæ - 23/5/2023, 21:50
     
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    Non dovevo bere e mixare l'md all'alcol. Non dovevo lasciare che la gola potesse seccarsi così, nemmeno quando restar in arsura mi sembra una cosa tanto normale. Non mi lubrifico nemmeno quando Quentin mi bacia, o si scopa queste labbra tanto da farmi salivare. Ma non è un problema o almeno, so che non è questo a distruggere il mio umore: non mi buttano mai giù momenti come questi. D'altro canto credo di essere fatto solo ed unicamente per scopare. Per agitarmi, ecco. Per non essere mai davvero fermo in un punto, bensì presente ovunque. E mi sta bene che sia stato lui a cercarmi, o che per un certo verso siamo finiti per trovarci. Perché i suoi capelli rossi mi stanno tanto bene stretti tra le dita. Perché il suo fiato è buono, sa di vodka mista a quelle cose che a me non piace bere, ma che sulla bocca di Quentin hanno un gusto diverso. Mi sta bene, suppongo, che sia arrivato lui proprio quando mi sono reso conto di non poter far a meno che struggermi in quel modo. Di solito la voglia di scopare so trattenerla. Ma non quella che mi ha preso in questi giorni. Alla fine, però, ne capisco il senso. Lo faccio quando piego il collo, spingo con una mano contro il muro come per far opposizione e mi rendo conto di non star godendo affatto delle spinte di Q. Non funziona nemmeno con l'MDMA in circolo. Non funziona niente, se la tua voce continua comunque ad esser ferma e pressante solo e soltanto nella mia testa. So che ti incazzerai nel sapermi così: perché non ho bisogno di qualcos'altro che sappia farmi battere il cuore come quello di un coniglio. Non ho bisogno di passare altre notti insonne, soprattutto non quando i muscoli continuo a sentirli così rigidi da non sapermi muovere bene nemmeno adesso. Ma quello che stiamo facendo adesso, Horace, è ridicolo: io non so nemmeno cos' è che sento. Mi sembra solo di averti già qui. Di trovare te sotto la presa salda dei polpastrelli. Alla fine è solo questione di percezione: mi basta tenere gli occhi chiusi e assecondare le spinte di Quentin. Che poi lo sento. Cioè, qualcosa io riesco a sentirla, solo che non so classificarla. Non so distaccarla dal resto. E se non capisco io posso solo che darmi vinto al caos. Mi lascio trasportare dalle onde del mare. Lascio che una gamba me la tenga bloccata lui. Che il piede esca dalle lenzuola. Che io sia premuto contro il cuscino come un vile. Spinto, nascosto, in ansimi che ormai non fanno altro che riempire la stanza. Sto bene così, credo. Sto bene solo se nessuno finisce per lasciarmi solo. Magari non ci so più stare ed il problema non è altro che questo: tu te ne sei andato senza portarmi con te.

    "Cazzo."
    Mi sfugge un altro ansimo. Uno di quelli che non è altro che una risposta fisica dei polmoni che vengono compressi. Quentin è ubriaco, peggio di me e non sa regolare la pressione. A me sembra già tanto aver messo su una scopata in cui lui continua ancora a tenermi testa. Va avanti come un toro, anche se non risponde più ad un cazzo. In realtà abbiamo smesso di parlare da almeno una mezz'ora buona. Ci muoviamo solo. Ci spingiamo, cerchiamo qualcosa che possa svegliarci. Che possa svegliare me. Che non lo so che cazzo c'ho, ok? So solo che anche se non ho sonno poi dormo. E se non dormo davvero, tengo semplicemente gli occhi chiusi. Come a mentire a me stesso. Come adesso, ecco, che cerchi di dimostrare alle mura, a questo letto, a chi potrebbe guardarci dall'esterno che sto godendo davvero. Anche se poi non sono nemmeno in tiro e mi basta un colpo alla porta per cercare di sgattaiolare dalla presa di Q.

    "Cazzo, arrivo."
    Ansimo ma non raggiungo l'orgasmo. Mi faccio scopare ma non mi sento appagato. E Q è persino carino. Lo conosci più tu che io. Ha quelle lentiggini rosse che sanno di persona giusta, genuina. Ha quelle mani che profumano di casa, di amore corrisposto. Mi piace anche se ci siamo detti di non essere niente. Mi piace perché a letto è bravo. Grezzo, genuino. Mi piace da che me lo sono dovuto far andare bene...diciamo le cose come stanno.
    E lo conosco abbastanza da esser certo che adesso è stanco. Che sta continuando ad andare avanti perché il cervello ci dice questo. Perché lo fanno le luci e tutte quelle finestre che si contorcono sopra le nostre teste. Io lo so che lui sta seguendo un qualche messaggio divino. Io, d'altro canto, sto facendo lo stesso: sento la tua voce e ci sono così perso dentro da aver l'impressione di percepire il tuo odore.
    Scivolo giù dal letto adagiando prima le ginocchia, per poi rialzarmi lentamente. Che il pavimento si muove. Qui tutto ondeggia come fossimo su una nave durante una tempesta. Barcollo ma non mollo. Apro la porta senza. nemmeno badare al modo in cui mi presenterò. Tanto ci sei tu qui dietro, no? Ne sento l'odore perché sto diventando pazzo. Perché comunque, nonostante il pavimenti ondeggi sotto di noi, io comunque accelero il passo. Puoi sentirne le falcate a piede quasi nudo - se non fosse per i calzini - contro il pavimento.

    "Cazzo, sei tornato Ho!"
    Questa è tutta l'allegria che posso regalarti. Un movimento brusco delle braccia che si frappongono tra te e la stanza. La porta che si apre quasi di scatto. Quel momento eterno che sfrutto per gettarmi in avanti: per metterti le braccia intorno al collo senza minimamente pensarci. Ti sto abbracciando, fattela andare bene, te ne prego.

    "Stupidotestone"
    Dondolo nella presa. Cerco di portati con me. Lo faccio guardandomi intorno, come se con la coda dell'occhio volessi capire se c'è qualcun altro. Se qualcuno, oltre Q, rischierebbe di vedere questo istante. Ma io credo che lui abbia capito: sono io a non aver le idee chiare su un cazzo.

    "Quella è per casa nostra?"
    Mi piace quella grossa lampadina a grandezza testa umana che è stata abbandonata dinanzi la porta di Q.
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    Per un secondo, stupido e vendicativo, mi dico che allora avrei anche potuto scoparmi Grace quando era più debole. Approfittare di lui. Scendere a patti con le mie voglie e lasciare loro scampo. Smetterla, soprattuto, di conservare qualcosa per chi non la vuole davvero. Se solo fossi appena più una bestia che un uomo magari la vita saprei godermela. Invece io sono un cazzo di ibrido. Non abbastanza bestiale per fottermene quando qualcosa mi ferisce, e non tanto umano da meritare qualcosa di meglio di una continua serie di rifiuti. Un continuo "non è questo il tuo posto, Horace" che sento ripetere perfino da mia madre nella testa. Da quella volta che mi ha rinnegato quasi prima di mio padre.
    Non lo so perché ero stupidamente felice di tornare a casa. Di tornare dalla voce che non potevi nascondere neanche al telefono, e dalla sensazione che importasse qualcosa. Che ti mancassi davvero e non solo tanto per dire, o per dirmi qualcosa affinché tornassi. Forse l'esercito l'hai capito meglio tu. Hai capito come sfruttare il soldato in missione. Come dargli un motivo per tornare e poi fottertene se quando torna non era la realtà. O se non era vero.
    Quanti sono caduti in queste trappole del cazzo. Oggi a quanto pare anche io. Che tengo le braccia molli lungo i fianchi, incapace anche solo di fare qualcosa che non sia stringe i pugni ed aspettare.
    Guardo la lampada una sola volta, vorrei distruggerla. Basterebbe poco per calpestarla e dimenticare di averla mai avuta o di averci mai pensato. Troveresti solo vetri rotti. Ma non sono capace di questo, perché poi mi inginocchierei trai cocci per raccogliere tutto ed evitare che qualcuno possa farsi male per un mio errore. Un altro.
    Tanto non faccio mai niente di giusto, e adesso ho sbagliato anche l'orario del rientro. Nonostante tutto dovevo bussare proprio per romperti il cazzo e... e non lo so che altro.
    E' questo il modo che hai tu di aspettarmi? E' così che volevi che andasse quando un po' credevo volessi che tornassi?

    E mi apri, quasi nudo come avrei dovuto immaginare. Che il ringhio lo soffoco solo perché la prima cosa che fai è abbracciarmi. Allora mi costringi a stare immobile il primo secondo, con lo sguardo furente solo per Quentin. Che sembra più in là che in qua.
    "Ehi!" non sono uno stupido testone, anche se è il solo secondo in cui sorrido, nascosto contro di te. Che avete fatto?
    Oh ma lo so, mi basta spingere piano il muso lungo il tuo collo per sentirlo quanto hai bevuto. Allora, solo allora chiudo gli occhi ed in questo gesto chiudo anche l'abbraccio. Lo faccio cercando con quello che posso di non passarti le dita lungo la schiena, di non sentirlo quanto sei caldo. E stringo. Per questo strano attimo, io ti stringo a me.

    "" che è una risposta un po' a tutto. All'essere tornato, alla lampada che è per casa e che magari un giorno vorrai condividere con qualcuno come Quentin, non certo con me. Mi esce che è un soffio doloroso, quando ti allontano piano dai polsi, e gli occhi tornano nei tuoi. Non lo so come si mente, non lo faccio quasi mai, quindi vedilo da te come è stato rientrare e trovarsi a scopare con qualcuno che non-... non sono io neanche stavolta. Ma non sarò mai io, lo so.

    "Domani la riunione è alle dieci" alzo un po' il tono solo perché anche Quentin mi senta, e lo faccia anche chi ci sta intorno adesso, con occhi puntati a chiedere risposte che non ho. Non voglio che mi vedano così. Mi piego sulle ginocchia per prendere la lampada in mano di nuovo. Ma poi dovrei andarmene e invece resto qui, a guardarti. Ti dovrei dare il permesso di tornare a scopare e sbattermi la porta in muso? Torna pure a scopare, dai, riprendi da dove ti ho interrotto, ma stavolta lontano dalle mie orecchie, che mi è bastato un viaggio così, che a terra non avrò rotto la lampada ma i cocci ci sono lo stesso, come gli occhi che si arrossano piano. Me li stringo tra pollice ed indice. Era questo il ritorno come lo meritavo io. Faccio un passo indietro riguardando meglio tutto, come se dovessi ricordarmi come è fatto un ritorno a casa dopo giorni in cui alla fine, probabilmente, mi mancavi solo tu. Non avrei dovuto lasciarti da solo. "La porto su. Tu resti qui?"
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    Edited by nocturnæ - 24/5/2023, 09:06
     
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    Quello che recepisco oggi non vale. Lo so bene che ciò che mi arriva potrebbe essere qualcosa di troppo edulcorato nella mia testa. Quello che recepisco oggi lo tengo un po' per me, in attesa che l'effetto dell'ecstasy svanisca e che io ritorni ad essere tanto lucido da godermi il tuo rientro. Ma alla fine, ne sto gioendo anche adesso, non credi? Non ti rendi conto di quanto io sia felice? Me lo domando, ma non è qualcosa che pronuncio. Funziono esattamente così, che io sia fatto o no: non parlo, non come dovrei. Non dico mai niente di buono. Mi limito solo a grattarmi la caviglia con il tallone dell'altro piede. Nervosamente, quasi come se fossi sul punto di tirar fuori qualcosa eppure, puntualmente, finisco per ricacciarlo dentro. Infatti sorrido e basta: che i denti sono l'unica che posso mostrarti. Non importa che io sia nudo adesso fatta eccezione per i calzini: non ho freddo né tanto meno vergogna. Non la percepisco nemmeno quando mi abbasso insieme a te per prendere la grande luce a mia volta, ma poi mi rialzo, per evitare di prenderti a testate.

    "Non lo so se ti sente, tempo due minuti e si addormenta."
    E magari Quentin sta già dormendo. In effetti nel girarmi mi rendo conto di star guardando la sua schiena. Non è male, sai? Sembra solo tanto solo, ma alla fine questo è ciò che siamo anche noi: soli e con un bisogno di appartenenza che spesso superare qualsivoglia raziocinio. Vogliamo appartenere a qualcuno, a tutti i costi e questo ci spinge ad essere terribilmente egoisti. Non è un po' un controsenso? Quando l'effetto dell'ecstasy svanirà, riuscirai a spiegarmelo meglio?

    "Domani lo sveglio io per le dieci."
    Bofonchio, aggrappandomi nuovamente alla tua spalla. In realtà cerco il braccio. Cerco l'incastro perfetto tra il muso ed il tuo collo. Che stare in piedi, su questi pavimenti tremanti mi stanca. Mi fa irrigidire tutte le gambe. Mi fa venire i crampi ai polpacci. Cerco con una mano la grande luce che hai tirato su tu. Lo faccio perché sento che è mia, che l'hai portata qui per me e questo mi fa sorridere ancora. Anche se il mio è un sorriso leggero, stanco dall'effetto che fa questa roba. Non dormirò oggi, ma chiuderò gli occhi quando saremo vicini e allora farò finta di star in pace con me stesso. Ho bisogno di queste menzogne, che non sono rivolte principalmente a te, quanto a me stesso.

    "Voglio portarla su anche io."
    Mugugno, so che sto assumendo quel tono da bambino piccolo. Che sto assottigliando la voce, che sto parlando di gola piuttosto che con la pancia.

    "Scusa se non ho sistemato la stanza, non ci torno da giorni."
    Non ci torno dalla seconda notte che hai passato fuori di qui. Perché forse ho paura di dormire da solo. Perché forse, semplicemente, non sono più in grado di vivere in quel modo. Non sono più quel Benjamin che non aveva né Lucian né te. Non quel ragazzino che la sera, nello scantinato, vi dava le spalle perché non aveva bisogno di voi. No, purtroppo sono quel Ben che se deve darti le spalle, allora, è perché vuole sentire il tuo petto aderire alla sua pelle. Sono un Ben decisamente più egoista di prima.
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    Non prendo bene niente di tutto questo, Ben. Ma è chiaro che non sta a me fartelo capire nelle condizioni in cui sei. Tanto che ne approfitto quando in ginocchio siamo in due, per vedere quanto sono dilatate le tue pupille. Se inglobano perfino le sclere. Ti sei anche fatto di qualcosa, che posso immaginare dato che so chi gira di qua. E so cosa portano anche se tu avresti dovuto essere quello che impediva loro di sballarsi tanto. E invece ti appoggi a me per stare in piedi. A me ed alla lampada. E non voglio ti vedano così, indebolito da non so cosa, la mancanza? Per cosa ti sei ridotto in questo modo? Ti avevo detto che stavo tornando, ok non sapevi l'orario preciso ma che sarei arrivato si. Che cazzo dovrei dire, Ben? Cosa si dice in questi casi che non sia solo un respirarti adulto, vicino. Consapevole che nel mio tornare non è davvero cambiato niente, come nell'andar via. Forse le cose stanno lentamente peggiorando.
    Perché lo svegli tu domani. Perché forse ti sei dimenticato di dirmi di Quentin nelle nostre telefonate. Non mi hai detto molte cose, e quanto in fretta siano cresciute. E lo vedo che collassa e so solo sbuffare il mio nervosismo stanco.
    Come vuoi, Ben. Tanto facciamo sempre come vuoi tu.
    E nonostante questa rabbia sia un po' una forma di delusione, una forma di blocco che appesantisce il petto, finisce che quasi sempre sono ad un passo dal lasciarti un bacio, lungo lo stupido collo lungo che ti ritrovi. Ma - come dirò fino alla mia cazzo di morte - non sono un animale. Ti lascio prendere la lampada e stringo un attimo la mia presa in vita, così da tenerti su. Da farti dare le spalle alla gente, che per quanto sia abituata a noi e come ci muoviamo, ha troppi occhi puntati qui.
    Non voglio che sia tu a passare per quello inaffidabile, soprattutto quando non capisci quanto cazzo sia importante. Mi chiedo se abbia senso litigare con te adesso, e cosa capiresti al punto da portarlo a consapevolezza domani. Probabilmente niente. E questo mi fa peggio che mai.

    "Dove hai d-.. lascia stare, andiamo" non finisco neanche di chiederti dove hai dormito, non voglio saperlo. Sta zitto. Per favore, evita di ricordarmi ancora una volta quanto io sia stupido. Dio volevo così tanto tornare a casa. Hai ragione, forse sono davvero uno stupidocoglione.
    Mi lamenterò sempre così, ma non cambierà mai niente. Chiudo io la porta a Quentin. Senza guardarlo, senza smettere di tenerti. E no, non riesco a nascondere il mio stupido disappunto.
    Non sto parlando ma non è per pietà, è perché immagino che sarebbe tutto inutile, che se me ne resto in silenzio è meglio. Perché non ci sarebbe niente di buono da dirti, niente che mi dia un senso esprimere.
    Noi siamo così, vero? Non parliamo mai quanto dovremmo e come dovremmo. Perché io non voglio sentire quello che spero di aver capito nel modo sbagliato e tu non vuoi neanche dirmi quello che pensi davvero.
    La porta della stanza la apro con un piede e davvero non lo guardo il casino che ci hai lasciato dentro, l'ordine non è neanche roba mia. Posso dormire come un cane stanotte, e ripensarci domani.

    "C'è acqua per una doccia?" mi esce quasi con distacco, quasi come se fosse un interrogatorio. D'altronde le risorse le ho lasciate in mano a te, e adesso non so neanche se riesci a rispondermi. E neanche ci voglio passare sulla stupidità di farsi quando sei l'unico a governare il regno che tu hai voluto.
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    Lo so che mi odi. Lo sento anche se sono fatto. Perché sono solo fatto, Horace, non sono stupido. Vedo solo cose che tu non puoi vedere. Vedo solo una realtà che si distorce sotto il mio muso come se la roba fosse stata tagliata male. Ma non importa cos'è che ho mandato giù: credo di essere lucido abbastanza da non sembrare un coglione. Poi noi certe cose le assimiliamo meglio: siamo fatti anche per questo. Per essere delle cazzo di cavie da laboratorio che, se serve, poi, possono ripulire ogni problema. Non te lo racconto com'è che funzionava prima che da Princip ci finiste voi due. In effetti non ve l'ho mai raccontato. Resta solo un'immagine che sa sovvenirmi adesso. Solo il modo folle che aveva lui di testare ogni cosa nella speranza di riuscire a far soldi almeno con uno dei suoi giri. Non sai quante pasticche ho dovuto mandare giù, Horace. Però è per questo che ti dico che sto bene. Che avevo solo bisogno di svagarmi e che alla fine, l'unica cosa che è andata storta, è che non mi sono svagato per un cazzo. Ma restano problemi miei, in effetti, niente che debba riguardarti direttamente. Perché a modo mio sono stato bravo: ho tenuto tutti in riga e se oggi mi sono lasciato andare solo per un istante... non importa. L'importante è che loro, laggiù, stiano bene. E a me sembrano felici. Mi sembrano stupidamente felici, quindi perché non riesci ad esserlo anche tu? Cosa devo fare per non sentire tutto questo odio che provi?

    "Non lo senti quanto puzzo?"
    Ma questo te lo dico sorridendo. Lo faccio grattando il cuoio capelluto all'altezza della nuca. Prude da un giorno o due, forse ho contratto nuovamente i pidocchi. Ma è normale in luoghi come questi: meglio loro che le zecche. Ad ogni modo non mi fa problema grattarmi. A dir la verità nemmeno sento quanto a fondo vado con le dita. Alla fine il mio sembra persino un movimento psicosomatico. Non so come cazzo si dica, in realtà.

    "Mi laverei con te, però."
    Aggrotto il naso e mi stacco da te solo per cercare tra i cumuli di disordine dei vestiti che non puzzino più di altri. E la mia non è una ricerca disperata: ho l'olfatto super sviluppato oggi. O almeno, questo è quello che purtroppo sento.

    "Perché faccio davvero schifo e dobbiamo festeggiare il tuo ritorno."
    E non è che io abbia capito come fare, anche se qualche giorno fa ho rubato un liquore al minimarket della zona. Ricordavo ti piacesse, per questo lo tiro fuori da sotto al letto. Non l'ho ancora aperto, il sigillo è intonso.

    "Bentornato a casa nostra!"
    Allargo le braccia, il liquore stretto tra le dita. Ti guardo, sto sorridendo come non mai.
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    Dimmi solo che mi odi, Benjamin, cristo non ti sto chiedendo niente altro. Dimmi che mi odi, che non vuoi che io ti resti vicino, che io spinga il naso ancora lungo il collo, che percepisca quanto ad entrambi manchi una doccia. Che mi ricordi come è stato farla con te l'ultima volta. Per quale stupida ragione quello forte devo sempre essere io? Quello che si contiene, quello che va rimesso al suo posto cosicché possa rimetterci tutti gli altri.
    Magari sei fortunato se non sono così esplicito da dirti che dovresti fartela con Quentin la doccia. O forse invece è la tua sfortuna che io non mi spinga mai oltre il cazzo di seminato per mostrarti i denti.
    Ora sto ringhiando, ma tu non lo vedi. Ora sono incazzato, e questo sa sedimentare nella calma, perché per urlare ho bisogno di fiato, per stringere i muscoli ho bisogno di riposo, ora sono solo troppo stanco per tutto questo e per sentirmi un dodicenne.

    "Non dirmi che sono di nuovi i pidocchi" e ci provo, dio, capiscilo che almeno un po' mi sforzo, per tirare su mezzo ghigno e prenderti la testa per portarmela sotto gli occhi. Così posso controllarti come si fa con le scimmie, ma poi anche al contempo spingerti via, lasciarti fare. "Forse abbiamo ancora l'antipulci per capelli..."
    Sei un coglione se vuoi di nuovo lavarti nudo con me. Sei uno stronzo che vuole tirarmi ai matti, spingermi agli ultimi, capire quando la mia corda può spezzarsi. E se non fosse che ho bisogno di te, magari sarebbe già spezzata. Ora è solo un po' sfilacciata, niente che distrugga la presa, fa solo male come se ogni piccola cordina fosse in realtà una vena che porta al cuore. Pizzica quando ti avvicini, brucia quando vai via.

    "Fatti ripulire e poi festeggiamo" che alla fine lo stronzo resto sempre io, che mi spoglio dandoti le spalle, preparandomi quasi a non mostrare niente, né la felicità di tornare vicino a te, né la voglia di stringerti fino a calmare i muscoli. Vorrei chiederti scusa per averci messo tanto, mi ero pure ripetuto certe frasi nella testa, ma ora so solo dirmi che se invece avessi tardato un po' di più non ti sarebbe dispiaciuto così tanto, alla fine. Per questo non riesco a dire niente, sfilo le scarpe dai talloni e poi con loro i jeans.

    Ti allungo quasi una mano, perché tu l'afferri e ti lasci fare. "...non ti faccio niente" non so perché lo sussurro così piano da volerti convincere, come se non fossi più arrabbiato, ed invece lo continuerò ad essere per giorni. Lo sarò finché quella bottiglia non sarà arrivata al suo fondo, ed allora potrò lasciarla correre giù dal tetto fino a schiantarsi al suolo. "Hai fatto ballare abbastanza i topi?" mentre il gatto era fuori a rovinare - forse - un'altra vita, o provare disperatamente a salvarla. Non so neanche come dire che per una cazzo di volta vorrei che tu capissi che non sono così forte, che anche io ho bisogno di qualcuno che in quel solo momento di debolezza che mi concedo, almeno possa esserci. Prendersi cura di me.
    Ma va bene anche così, forse la mia cura resti comunque tu, anche quando non mi vuoi nello stesso modo.
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    Lo so che non mi farai niente, Horace, perché in un qualche modo devo aver messo in chiaro questa cosa: non ti voglio in quel senso. Ho una paura fottuta di volerti in quel senso. Ecco, ammettiamo le cose come stanno. Ma non diciamole troppo ad alta voce. Perché non ci riesco, in realtà. Non so alzare la voce in questi contesti. Non so proprio tirar fuori alcun suono e forse va bene così. Va bene se tu resti. Se mi tendi la mano e lasci che sia proprio io ad afferrarla. Io che ti ho sempre respinto per poi volerti a casa. Che non so girare tra queste camere senza percepire la presenza del tuo odore. Il corpo, il tuo, ciò che emana, per me è l'immagine perfetta di casa. Una casa dove il profumo di Lucian, però, non si fa più strada. Una casa che ha qualche finestra rotta ma che va bene così. Va bene così se possiamo abbracciarci. Se possiamo stringerci al punto da non sentir mai davvero freddo.
    Ma non ti dico nemmeno questo. In realtà ho già capito com'è che dovrei comportarmi, anche se poi non è che riesco a farlo così bene. Non sono poi così bravo, non quando ho abbassato tanto certe difese. Non quando mi sta bene esser trascinato oggi, giusto per ritrovare la mia dimensione. Per capire dov'è che devo stare. Che è sempre un posto che non suona come "la camera di Quentin". Se ci penso mi rendo conto di non esserci mai voluto stare, in realtà. Che il mio non è stato altro che puro egoismo. Un bisogno del cazzo che ho lasciato assecondare a qualcun altro. Ma io a Quentin voglio bene: voglio bene a tutti quelli che nella nostra vita comunque in un modo o nell'altro entrano. Gli voglio bene anche se ho scelto te. Anche se è da te che sono corso. Con te che mi sto affannando adesso. Mentre mi faccio vicino e per gioco ti do una spinta. Ti spingo verso la doccia. Lo faccio lasciando scivolare il liquore lungo uno dei letti, affinché non si rompa e rimanga lì, ad aspettarci lindi e pinti.

    "Come non mi fai niente?"
    Mastico senza rendermi conto di come effettivamente suona. Nella mia testa era sicuramente molto più innocente. Più neutro, meno malizioso. Ma Ho, perdonami, è colpa tua che non mi hai fatto venire. Che poi dubito avrei raggiunto l'orgasmo. Qua sotto tutto dorme, non sta in piedi nemmeno se lo si tira su manualmente. Ma sarà sempre per colpa dell'ecstasy.

    "Devi tartassarmi tutta la notte con i racconti sulla tigre. Come sta? Come stai tu? Avete avuto dei momenti carini laggiù?"
    Scherzo, continuando però a puntellarti un dito sul petto. Che se non ti spogli sono io a spogliarti quasi di corsa. A darti una mano.

    "Qua i topi hanno ballato poco, non sono ancora così coordinati."
    Ti guardo, superandoti senza però mollar davvero la presa dalla tua mano.

    "Ci stiamo lavorando su, Ho. Diventerò sempre più bravo."
    Così non avrai mai più nulla da ridire sul mio operato. Così non ti darà mai fastidio nulla e io andrò finalmente bene, almeno per te.
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    Però tu devi smetterla di trattarmi come se io fossi tanto bravo da contenere ogni cosa. Devi smetterla di sorridermi come se sapessi che non mi provocherà niente, Benjamin. Perché non è così e lo hai visto, e lo si può sentire quando cerchi di spogliarmi, quando ti lascio togliermi quello che resta mai boxer li tengo saldamente su con una mano. Questo perché ho già il respiro corto, sono stanco, non ho fatto altro che preoccuparmi per Grace per dieci giorni, e poi per te che eri distante.
    E sono stato bravo - questo me lo devi dire - a non pensarti mai in un senso così sbagliato, come quello che non volevi succedesse. Tu mi hai respinto, Ben, ora non puoi davvero giocare così. Anche se nel risponderti tengo altro un sorriso, anche se mi trascini come se fossi io la ragazzina di turno. Non capisco perché, alla fine, noi ci troviamo sempre qui. Quasi nudi ad un alito di fiato. Quasi nudi e con questo calore ad espandersi e bruciarci come lava che cola ai nostri piedi. Tutto il pavimento è fatto di lava per me adesso, lo sono i tuoi ansimi che ancora sento nella testa non appena - per sbaglio - tengo gli occhi un po' più chiusi.

    Ci sono cose che pur volendo, pur vergognandomi come il cane che sono, non posso tenerti nascoste, non ci riesco quando appoggiamo i piedi in doccia ed io devo darti la schiena perché tu non veda. Devo pensare alla rabbia, al livore, al motivo per cui mi sono sentito così dieci minuti fa. Non a te che sei leggero stasera, che mi forzi a fare il bravo cane, quello alla catena, anche quando sono affamato e tu sventoli una bistecca ai miei limiti. Che se tendo il muso abbastanza, con i denti posso graffiare la carne.
    Non voglio dirti di nuovo che cosa non intendo farti, come se fossi il ragazzino che deve spiegare alla maestra di aver capito il proprio errore. Fa già abbastanza schifo così.

    "Non ho tanta voglia di parlarne" di Grace, di Caleb, di quello che penso che tu abbia fatto, che ti giuro avrei perdonato ogni cazzo di cosa se solo avessi aperto tu la porta. Se non fossi stato altrettanto nudo ma con Quentin. Quello che io voglio fare, Ben, è altro. E' talmente radicato in me che la doccia ho bisogno che sia gelata. Fredda al punto da far male ad entrambi che sopportiamo ben di peggio.

    "S-sapevo che lasciavo il nido in buone mani" Quello che non sapevo è che TU ne avresti cercate altre per te. Altre che ti stringessero al posto mio. Io che resto voltato di schiena. "Girati che ti controllo la testa" fallo prima che lo faccia io, prima di vedere cosa si smuove qui sotto non appena mi sei tanto vicino. Mi stai chiedendo l'impossibile in una sera in cui sono troppo stanco per volermi controllare, per impormi promesse. Ti prego, risparmiami.
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    Trattengo il respiro come se entrando in doccia fossimo già a contatto con l'acqua gelida. Che già lo so che da qui non uscirà niente di caldo. Al massimo le gocce evaporeranno sulle nostre spalle ma oltre a quello, ecco, non credo ci sarà modo di aver conforto. Ma d'altro canto noi non abbiamo bisogno di salvarci dal freddo. Non abbiamo bisogno di nulla in effetti. Anche se forse siamo sempre i primi a mendicare qualcosa. I primi ad abbaiare come cani. Ad uggiolare come loro. E poi, come sempre, se venissi a chiedermi di cosa ho bisogno io sicuramente non saprei risponderti. Per questo non dico più un cazzo e allora ti guardo la schiena. Mi insapono le mani con l'intento di lavartela io, anche se poi mi chiedi di voltarmi, di darti la mia così che tu possa vedere quanti pidocchi ho in testa. E io rispondo positivamente, figurati. Lo faccio voltandoti le spalle e piegando il collo in avanti. Con il capo chino e la schiena che si curva appena mostrando le spalle magre. Ultimamente mangiamo così di merda che non sto facendo altro che perdere peso. Ma non ha importanza, insomma, io non ho mai fame. Capita di rado lontano dalla luna nuova.

    "Ok, scusa se te l'ho chiesto."
    Bofonchio, però, quasi sentendomi colpito per questa cosa. Insomma, mi dispiace che tu non abbia voglia di parlarmene, quando credo che parte di noi è stata progettata per condividere ogni cosa. Che poi è ciò che dico, sì, ma che professo malamente. So bene come a volte sono io a nasconderti tante cose. Più che a nasconderle, insomma, a dimenticarle. Lascio che sfuggano dal mio controllo, che scivolino lontano dai miei ricordi affinché nulla possa sfiorarle davvero. Ma si tratta semplicemente di una risposta diretta delle mie angosce: tu, forse, non c'entri mai così tanto. Anche se sei la prima persona a mettermi un'ansia atroce addosso.

    "Qui non è successo niente di bello. Abbiamo fatto due riunioni da che sei andato via. Ma si sentiva che non le stavi tenendo in piedi tu. Quentin ci prova a fare la persona seria, ma loro prendono sul serio solo noi due...cioè, solo tu e me, intendo. "
    Non voglio lasciare intendere che Quentin abbia in un qualche modo cercato di usurparti il posto, ma so bene com'è che suona. Scusa, ecco, anche se non mi scuserò apertamente. Ma non è questo ciò che in effetti intendevo.

    "Vedi qualcosa?"
    Domando quando mi viene da grattarmi dietro l'orecchio. Quando spingo un dito oltre la pelle e cerco di non dar fastidio alla tua indagine. Sospiro. Ho qualcosa che resta perennemente fermo lungo la punta della lingua. E magari so cos'è. So cos'è che non vorrei lasciar sfuggire da queste labbra.

    "Forse da Detroit non ho più voglia di stare da solo."
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    Anche a me non piace stare zitto, e non dirti niente. Niente oltre quello che mi sono già lasciato scivolare via quando ci siamo sentiti l'ultima volta. Solo che parlare adesso mi è quasi impossibile, non so come contenere ogni respiro e calibrare ogni movimento perché tu non abbia la percezione che qualcosa stia andando profondamente a picco. Ed il tuo corpo, Ben, mi toglie il fiato. Anche se le ossa sono spigolose, se ti ostini a fare il vegetariano quando il tuo stesso essere ha bisogno di carne cruda, a volte umana anche all'infuori della luna. Non te lo dico quando ogni tanto mi lascio convincere a metterti qualcosa di diverso nel piatto. A volte non mi riesce, è vero ma ci provo. Perché ci tengo più di quanto sia concesso a me.
    Perché trattengo il fiato non appena allunghi il collo e faccio solo mezzo passo avanti, quasi senza appoggiarmi. Infilo piano le dita trai capelli, cerco a ciocce casuali, ci faccio scorrere il getto solo perché se ci sono larve o uova queste sanguineranno e si vedranno al volo. Ma non mi sembra ci sia niente, al momento. Sei solo irritato, dovresti smetterla di grattarti come una volpe nelle praterie.
    Scaldo l'acqua solo con il mio fiato, lascio scendere qualche goccia di shampoo che finirà per colarti negli occhi, o almeno andarci vicino.

    "Scusa" solo per questo so scusarmi. "No, mi sembra che sia... che sia tutto come deve, ti gratti solo troppo" Non suona neanche come un rimprovero, suona come le mie mani che lentamente dalla nuca si spostano, ti fermano le spalle, le accarezzano piano e lo so che devo fermarmi, che questo è alienante adesso. Che vorrei spingermi oltre così tanto da sentirmi bruciare perfino gli occhi, come se il sapone fosse finito solo nei miei. Non lo sai che sforzo disumano sia nella mia condizione, e ci giochi ancora come se non sapessi i pericoli che corri. Come faccio a dirti che non voglio rovinare tutto con i miei istinti?

    "Ma tu non sei rimasto da solo" e questo mi esce come un ringhio, si. Questo trapassa da parte a parte. Perché IO sono stato da solo, Ben. Io non ho toccato Grace neanche con un muscolo, se non quando stava male. E solo per calmarlo. Non sono in grado di fare quello che fai tu e per questo forse non so ancora perdonarti. "Hai trovato un bel modo di passare il tempo e dimenticarti che stavo tornando" dimenticarti di quello che mi hai detto, che nonostante tutto non abbassa le mie voglie, forse le agita di più, le fa ululare in sottofondo per ogni ringhio che trattengo nei denti.

    "Nemmeno io volevo stare solo, ma non ho tutte le tue risorse. Ci sono rimasto e basta." Ne parlo con una calma quasi dolorosa, come dolorante sono io alla fine di tutto, sempre. Come adesso che non mi accorgo che nel venire più vicino ho reso la cosa un po' più evidente.
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    Ormai ho capito perché ringhio. Perché ti basta puntualizzare cose sul mio conto per farmi ringhiare. Per farmi sentire tanto arrabbiato. Tanto protettivo con le mie cose. E Quentin è roba mia, così come lo sono quei cazzo di disagi dei quali sto cercando di parlarti. Non ti stanno bene? Ti danno fastidio? Allora vattene. Vattene, Horace, se ti faccio così pena da spingerti a puntualizzare ogni cazzo di cosa. Io lo so com'è che funziono. So chi sono e non ho voglia, proprio alcuna, ecco, di farmi riprendere da te. Non sempre, cazzo, non per ogni cosa che credo di star facendo semplicemente per me stesso.

    "Oh, vaffanculo, Horace."
    Mastico piano anche se poi non è che mi sposto da lì, anzi. A volte mi sembra che arrabbiarmi mi faccia bene. Che serva quella tensione in più nei muscoli a scioglierli del tutto. E non ha senso, lo so bene, ma è così che funziono, purtroppo. Così che mi sembrano andare le cose. Un po' alla cazzo, devo dire, ma cosa potrei farci? Non posso avere tutto sotto controllo. Non posso nemmeno spostarmi da qui senza sentirmi per un qualche stupido motivo cadere. Mi sembra di essere in bilico. In bilico tra il fastidio e quella sensazione pungente che mi prende allo stomaco ogni volta che ti ritrovi a ricordarmi cos'è che non ti va bene di me. Mi sembra quasi di viverci in questo contrasto del cazzo, cosa vuoi che ti dica?

    "Che cazzo vuoi che ti faccia!? Potevi portarmi con te."
    Ma tengo ancora il capo chino. Le braccia strette contro i fianchi. I pugni chiusi contro le cosce.
    Potevi portarmi con te, tanto questo posto lo avremmo trovato così come lo hai lasciato tu. Non sarebbe successo un cazzo, niente che sarebbe davvero fuggito dal nostro controllo. Ma tu no, tu non ti fidi di un cazzo. Forse non ti fidi nemmeno di me, non davvero almeno.

    "Forse sarebbe stato meglio per entrambi."
    Non so cosa ti sto chiedendo, in realtà. O almeno, non so cos'è che ho intenzione di dirti. Non vorrei dirti un cazzo, in realtà, ma poi arrivi sempre al punto da tirarmi fuori le cose direttamente dalla bocca. E questo non va bene, perché significa che mi innervosisci. Che mi porti ad un punto di rottura che non so ancora come gestire. E questo potere del cazzo, questa capacità la hai solo e soltanto tu.

    "L-laviamoci, va."
    Ma te lo dico che mi trema la voce. Che per la seconda volta in vita mia finisce per prendermi a male e non capisco il perché. Saranno ste pasticche del cazzo che amplificano un po' tutto. Che mi fanno sentire terribilmente triste perché braccato in qualcosa che non mi calza affatto bene. Io so essere libero solo quando sto con te.
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    "Credi che non me ne sia pentito? Lo so che dovevi venire con me, cazzo lo so che ho sbagliato. Dio sbaglio sempre! Ogni cazzo di cosa, e con chiunque. " e questa è la cosa più ad altra voce che io abbia detto da quando sono qui. Da quando sono tornato, si e no un'ora fa. E mi esce di getto come se fosse acqua, o una cazzo di tempesta, come se nel ricordarti i tuoi errori io debba ricordarmi i miei. Perché in fondo è colpa mia. Colpa mia quando non ti parlo di me, e colpa mia quando te ne parlo. Colpa mia se provo qualcosa che stava nel profondo e colpa mia se a volte non dimostro niente.
    Io sbaglio sempre, Ben. Per te sbaglio ogni cosa a volte mi chiedo come cazzo ci teniamo in piedi in questo equilibrio instabile tra un ringhio ed una carezza. Che le nostro sono di velcro. Le tue graffiano, bruciano come acido. Come qualunque cosa ti sei preso stasera. Adesso si, forse non c'è rischio concreto che non sia la mia più totale umiliazione. Ma tanto per te non sono che una vergogna, non certo il capo dei ribelli. Non qualcuno a cui tieni.

    Credevo solo che le cose sarebbero andate diversamente. Che sarei tornato ed avremmo capito qual è l'anello di connessione tra noi, cosa ci tiene qui che non sia solo il mio bisogno di averti più vicino. Adesso, Ben, scoperei con te fino all'alba, fino a che il sonno non verrebbe naturale, per la stanchezza, per la tensione, per essere al posto giusto.
    Ma tu hai scelto Quentin, stavolta. Almeno non è Grace. Almeno non ha un ragazzo anche lui. Ma alla fine, come diciamo sempre, è davvero colpa mia. Che dovrei farmela passare, ricacciare l'ardore in fondo alla grotta e farmi gli affari miei.

    "Si, lascia stare, scusa. Sono solo stanco." Sarebbe stato meglio per tutti, si. Anche quando prendo il sapone e lo spezzo in due, perché non sarò io a lavarti la schiena, te lo lascio in mano, ci penserai da solo. Ho il bisogno di girarmi di spalle di nuovo, perché fa ancora male, brucia ancora, ed ancora non voglio che tu lo veda che cazzo mi fai. E' solo triste, come quei momenti con Joe, che non so perché avrei davvero voglia di replicare con te, di migliorare, di non rivivere e non sovrascrivere. Sono un animale da compagnia, non un lupo solitario del cazzo.
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    Con Quentin non ho mai di questi problemi. Lui non si arrabbia mai con me, non ha mai niente da ridire. Lui mi guarda e mi sorride. Mi sorride sempre prima di prendermi. Lo fa con una naturalezza disarmante. Tanto che mi dimentico quant'è che abbiamo di differenza. Lui ha la tua età, su per giù, ma io lo sento meno che con te. Con te a volte mi sembra di ritrovarmi dinanzi ad uno scalino impossibile da superare. Nulla su cui posar le zampe senza rischiare di cadere. E tu mi fai scivolare, Horace. Mi fai scivolare sempre in quei cazzo di luoghi oscuri in cui non vorrei finire. Mai con la mente, né tantomeno con il cuore. Ma d'altro canto a te cosa cazzo frega? Non frega niente a nessuno. Non a me, non a te e questo ci sta bene, giusto? O non sto capendo un cazzo io, come al solito? Sta di fatto che Quentin tutti questi problemi non me li crea. Lui non è così male. Non è cattivo, non sa arrabbiarsi. Lui è una persona ok, magari troppo ok per i miei standard. Troppo giusta, troppo buona, troppo gentile. E non dico che tu faccia schifo, no, dico semplicemente che a volte mi sembri più umano tu che lui. Più normale tu di lui. Ed è ok, penso. Ok preferire te a lui anche se lui è perfetto o almeno così mi sembra. Così perfetto che mi viene da ringhiare. Che se alzi la voce allora io devo fare altrettanto. Che noi le gare le vinciamo così, no? Sputandoci in faccia. Spintonandoci nella doccia con il rischio di cadere e farci del male. Tanto più male di così cos'è che si può provare?

    "Bene! Allora la prossima volta tienimi da conto e basta."
    Che è inutile puntualizzare in questo modo. Tutto mi sembra inutile adesso, in effetti. Ma perché sta finendo l'effetto di sta merda e a me sta prendendo solo che a male. Sono triste, ok? Non so nemmeno io per cosa, ma sto male, sto uno schifo. Uno schifo che sento nei polmoni, come se respirassi merda, come se l'aria fosse pesante come catrame e io, con tutti i polmoni, fossi pesante come un cazzo di gabbiano che cade a picco nel mare scuro delle nostre volontà. So cosa vuoi tu ma non cosa voglio io ed è proprio questo il problema. Il problema sono io che faccio promesse a Quentin per non doverle fare a te. E non cambia che Q, a differenza tua, sa essere una persona tollerante, una persona troppo, troppo ok. Non cambia un cazzo perché a conti fatti, in qualsiasi modo vogliamo vederla, io resto comunque lo stronzo di turno. Il bastardo idiota.
    Ma il sapone non lo prendo. Lo schiaffo dalla tua mano senza aver davvero voglia di farti del male. Non voglio ferirti, non voglio nemmeno schiaffarti tanto forte da lasciar udire lo schiocco delle dita. Non vorrei un cazzo. Perché tanto le cose non le capisco. Non so dare un nome alla lampada che mi hai regalato. O che hai portato a casa, insomma. Non so spiegarmela. So solo dirmi che non fai mai niente per darmi al conferma di voler stare con me. No, tu sei solo geloso, palesemente geloso, ma non mi chiedi di stare con te. Non prendi dei momenti per noi fuori da questo cazzo di posto, no, tu te ne vai e mi lasci qui. Mi lasci a cercar scuse da darti per tornare a ringhiare. Per non capirci un cazzo peggio di me. E ti guardo o almeno, guardo le tue mani quando la saponetta cade a terra e non mi chino per raccoglierla.

    "Non sono solo scopabile."
    Accenno anche se non sono mai sicuro di quale sia il vero punto della situazione.

    "Anche se Quentin mi ha spaccato il culo per una settimana intera."
    Non lo so come mi esce, so solo che è da stronzi ma che è l'unico modo che ho per dirti che voglio amore. Un sacco di amore. Che voglio far schifo come ogni coppietta stupida da film rosa. Voglio la noia, Horace. Voglio l'abitudine. Voglio quell'amore da far venire il latte alle ginocchia. Ma lo so, sto chiedendo troppo.
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    Ed io non dico più niente. Né quando il sapone mi cade dalle mani perché lo fai finire tu sul piatto della doccia, né quando mi parli come se non ti conoscessi. Come se io fossi il mostro arrapato che non vuole altro che sesso, quando sono il primo a starci lontano perché non ne ho tutta questa necessità. Non se non sei tu.
    Se non sei tu posso anche pensare a me diversamente, ma anche quello mi esce male, e forse non lo so che cosa vuoi. Non so capire che vuoi quel tipo di amore quando non mi tieni neanche vicino abbastanza, se non per sedare le tue crisi. Ed io lo voglio continuare a fare, voglio sentirmi giusto da qualche parte nel mondo, e voglio che questo avvenga con te.
    Ma come cazzo faccio se ogni volta che mi giro stai scopando con qualcuno? Come cazzo riesco a dirti quello che sento se non ne vuoi sapere neanche la metà?
    Dio! Però sai far male, e questa cosa, il tempo che hai passato con Quantin così, mi fa a pezzi. In questa doccia, su due piedi, come un plotone di esecuzione su un muro. Tanto che lo so che apro bocca ma poi la richiudo subito, incapace di mostrare qualcosa che non sia dolore e dannatissima stanchezza.
    Mi fa male in un punto che non sapevo esistesse ancora, lo fa perforando e ricordandomi che so soffrire come un ragazzino alle prime armi con l'amore.
    Trattengo il fiato e così lo sguardo che non perde per un istante il tuo adesso, nel mio girarmi per tenerti testa. Che posso essere più vecchio e più alto, ma non sono certo il più saggio.

    "Ti ho sentito, prima... tu hai chiamato me" come Grace che gemeva per Caleb quando lo scopavi tu. E lo so che non sei solo scopabile, cristo, pensavo solo che gran parte delle cose le avessimo già considerate, tenute da conto. Pensavo solo che valessero come quegli stupidi preliminari. Io non la so fare la coppia felice, l'unico amore era sotto dannati bombardamenti, sono un militare e questo non lo so come si cambia. Se non hai voglia di insegnarmelo tu, potrei non imparare mai. E tutto questo potrebbe non bastarti mai.

    Ma anche se questo dovrebbe tenermi distante, io un passo avanti lo devo fare. Che se non piango adesso è solo perché sono un soldato e tu mi stai dando una lezione che non posso dimenticare. "Non sei solo scopabile, e non penso che tu sia Joseph" per sottolineare in quel ringhio che richiami anche l'ultima volta che siamo arrivati a questo punto. Ma adesso hai fatto male, Ben. Adesso ne hai fatto abbastanza da lasciarmi gli occhi lucidi, nonostante il mio costante impegno nel fare qualcosa di buono, nel darti una casa che magari non è ancora quella che sogni, ma speravo ci si avvicinasse. Speravo di esserlo io, non Quentin. "Lo so. E mi sei mancato anche tu" anche se la mia voce è ridotta ad un soffio, come se dovessi di punto in bianco perdere tutte quelle frasi che mi ero appuntato. "Tanto".
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