in silence a whisper has a deafening noise

Rex/Edie | 23/04/24 | Double Deuce

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    Una valle ricoperta di pietra blu. Un cielo stellato sopra un campo di mais. Il suono preciso di una chitarra tagliente. Diventava tutto silenzio, che parlava da una torbiera ricoperta di acqua scura. A un passo dalla porta, controllava di non sentirne il rumore in modo assordante.
    Aveva messo da parte tutto il materiale di quel progetto, organizzato in modo meticoloso, pur senza sapere se avesse senso tanta premura quando certi discorsi, in quel mondo, avrebbero necessitato di tutt'altro. Ma non conosceva Edie. Tutto ciò che sapeva era stato sepolto sotto strati di terra, apparteneva a un tempo che non esisteva più.
    Entrò nell'area principale, ricordandosi solo dopo lo stupore iniziale che fosse cambiato dopo l'attacco di ormai due anni prima. O anche in altri momenti, non lo sapeva, perché non andava mai al Double Deuce. Ma intuiva alcuni funzionamenti, sapeva dell'area nascosta, e si mosse per andare nella parte dedicata ai cacciatori. Lì i volti familiari aumentavano, richiedevano saluti che sopra non erano stati necessari. Il mondo dei cacciatori che era rimasto immutato.
    Andò al bancone cercando Edie con gli occhi, impresa non difficile, e che richiese appena qualche secondo. Strano come incontro, visto che erano state unite da una sola conoscenza svanita.
    Iniziò a togliere lo zaino, prima di sedersi, mettendoselo davanti perché non fosse d'impaccio. Ma l'impaccio era altrove, la portò a un saluto da lontano per attirare l'attenzione di Edie, senza riuscire a dire una sola parola. Era una situazione imprevedibile e senza precedenti.
    Ma aveva recuperato nel tempo necessario a colmare le distanze. Poco, inevitabilmente intenso. «Ciao» cominciò, un inizio incespicante, ma pur sempre un inizio. «Io ero venuta per parlarti di una cosa degli Uomini di Lettere».
    Principio, ma c'era un elefante troppo alto messo lì di mezzo. Le fissò per qualche istante, anche quando si trovò a dire una banalità che però non poteva non venir affrontata: «Come va?».
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    Edited by tippete - 26/4/2024, 15:16
     
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    Lavoro tanto, come ho sempre fatto. Come facevo prima. Lavoro tanto, è così che va la vita. Mi ha sempre aiutato tenermi impegnata, da sempre. È avere la testa piena di piccole cose meccaniche: una birra alla spina di qua, un cocktail di là. Lavare tutto, asciugare, tornare a casa in qualche modo e far funzionare tutto. Piccole cose, una alla volta. L’ultima volta è passato un mese quindi, beh, direi che sarebbe proprio il caso rispuntare se fosse questo il caso. Non lo è però, neanche ci provo a dirmi il contrario. Anche perché a questo punto lo saprei, gli unici che davvero si infialerebbe in queste stronzate sono Den e, beh, lui. Va così. Lavoro, il mondo continua, e non ci posso fare proprio niente. Ho pensato, per un secondo, di lasciar stare tutto questo. Mentre ero sola, mentre Den non si alzava, mentre lentamente mi abituavo al pensiero di tutta la mia vita. Perché continuare in cose come questa? E poi è stato così ovvio. Questo è tutto quello che i gemelli, che Lizy, avranno di lui. Forse sono una madre terribile perché questo vorrà dire che avranno questa stessa vita, e che forse avranno la sua stessa fine. Forse lo sono per davvero, ma forse così qualcosa di lui, a loro, resterà. E poi cosai avrei dovuto fare? Ricominciare ancora da zero per una terza volta? Forse è solo che sono sempre la solita vigliacca, ma non importa. La vita va così, e va avanti. E io ho quattro figli, e Oliver che è grande e capisce benissimo, e i gemelli che non lo sono così tanto ma capiscono lo stesso. Quindi, piccole cose. Il lavoro, loro, quello a cui devo pensare perché è vivo e ha bisogno di me. Ha bisogno di essere tenuto in piedi. Mi muovo per andare a pulire uno dei tavoli ormai vuoto quando la vedo. Faccio solo un cenno a Tony perché si occupi di sgombrare mentre vado verso di lei come vado da tutte le persone che lo conoscevano. Un respiro profondo, un secondo per sentire il suono del battito con il pollice premuto contro il polso, poi un sorriso tirato sulle labbra. «Hey» lo dico con un respiro, e un po’ sono grata che ci sia qualcosa degli Uomini di Lettere di cui vuole parlarmi. Ho lasciato l’ospedale perché adesso ci sono troppe cose a cui pensare, ma la verità è che non riesco proprio a starmene senza niente da fare. È l’unica cosa di cui non ho bisogno. Come va. Lo so che è una cosa che un po’ uno deve chiedere per forza, ed è meglio far così e non ignorare una cosa che tanto, non potrebbe essere ignorata davvero. Solo che non ho voglia di dire come va davvero, non ne avevo prima, adesso è solo utopico. Quindi faccio quello che faccio da mesi, perché è meglio di mettermi stesa su un letto a fissare il soffitto troppo ubriaca anche per ricordare come mi chiamo. Alzo le spalle, lentamente, scuoto appena la testa e stringo le labbra. «Meglio» anche se non è vero e forse non lo sarà mai del tutto, perché certe cose funzionano così. Non è che passano, non è che le dimentichi, o te le lasci alle spalle come niente fosse. Ma del resto penso che lei lo sappia, per quanto mi sembri quasi patetico essere qui di fronte a lei e pensare a tutto quello che ho pensato per anni, e rendermi conto di come siano cose inutili ma ancora non del tutto superate. Come se avesse un qualche sorta di senso. «Tu?» è un po’ la stessa domanda che ha fatto lei, perché che altro si può fare in queste situazioni? Un bel cazzo di niente. «Se mi dici cosa vuoi da bere te lo prendo e... beh parliamo di questa cosa degli Uomini di Lettere» forse è da stronze, ma davvero adesso vorrei parlare con lei di qualsiasi cosa, tranne quella attorno cui muoverci. Non mi va di parlarne e basta, non è neanche che sia lei, anche se sì, certo, sarebbe forse ancora più strano parlare di Morgan con lei. Mi muovo solo dopo, prendendo quello che ha chiesto lei, chiedendo a Tony di coprirmi per un po’ mentre per me prendo un bicchiere di Whiskey, che è una cosa davvero stupida ma sto facendo tante di quelle cose stupide ultimamente che neanche ci faccio più caso. Torno da lei, poggio tutto sul tavolo prima di sedermi, sfilando le sigarette dalla tasca per poggiare il pacchetto sul legno e prenderne una.
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    Un riflesso, di muscolo e di specchio, che si rimetteva in mezzo. Lo sentì bruciare fin nelle viscere, un secondo in cui divenne insopportabile, offuscava la vista. Una rabbia che non sarebbe dovuta essere lì, perché non era di colpe che si parlava ma di condizioni simili, di difficoltà e dolore che non avevano parti, rendevano simili e non opposti. Non era giusto sentire quel bruciore come non era giusto dargli spazio, anche se di giustizia non si parlava affatto. Né di senso.
    Giocò con il ciondolo nella difficoltà di trovare una risposta, anche se sapeva che a modo suo, Edie poteva capire. L'aveva conosciuto per poco ma intensamente, come si poteva dire di una persona di cui era stato innamorato. E portava il suo nome, era ciò che restava della sua famiglia, dopo che l'aveva traghettata in quel mondo.
    Ingiusto ma era un pensiero che nel suo, di mondo, aveva avuto un peso troppo negativo, che aveva fatto sprecare una vita per goderne solo qualche istante.
    «Uguale» sorrise a stemperare il pensiero di come troppe cose le paressero bugie, fin dal principio di quella conversazione. Si sentiva come coperta di fango dentro quelle parole e quei pensieri che fu felice di accantonare, pensando invece al suo progetto.
    Il motivo per cui era lì, perché certe cose, come gli Uomini di Lettere che erano stati come un figlio, dovevano essere portate avanti. Dovevano crescere, diventare più forti, generare nuova memoria.
    «Solo uno scotch» durava meno di una birra e non si voleva trattenere.
    Prese dalla borsa il quaderno anche se non contava di usarlo, ma c'erano tutte le sue note e i suoi appunti, era interamente dedicato a quello, con le sue lettere e numeri, cancellature, e pure le cancellature che erano state interrotte.
    «Sto creando con gli Uomini di Lettere una rete fatta appositamente per i Cacciatori. I bunker potranno essere usati per avere informazioni sulle creature, i luoghi di ritrovo, e metteranno a disposizione collegamenti veloci con alcune risorse preziose» era il modo più semplice e veloce di spiegare un lavoro intricato che aveva richiesto anni di lavoro anche solo per reperire le materie prime, figurarsi creare un sistema che avesse il giusto grado di sicurezza. Aveva comportato il seccare della sua relazione, un sacrificio che in quei giorni a volte pensava forse non ne era valso la pena. Un pensiero terrificante perché significava rinnegare la sua stessa anima.
    «Ho pensato che la tua infermeria e il Double Deuce potessero essere sulla mappa dei punti di ritrovo, se la cosa ti sta bene potremo anche creare il passaggio per un teletrasporto magico che permetta di arrivare velocemente da te in momenti di emergenza» come poteva essere quello di qualcuno che si trovava ferito, e aveva bisogno urgente di cure.
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    Anche le risposte, immagino, siano sempre le stesse. Va meglio, sto bene, e tutto quel corredo inutile che alla fine se ne sta lì appeso come un panno sporco. Ma ancora una volta, cos’è che uno può aspettarsi avendo a che fare con persone come loro? Muoio. Questo si sa. Lo sanno tutti, sempre. Succede così spesso che deve essere la norma, e in fondo penso lo sia. Il problema è che poi tutti i dopo non spettano mai a loro, spettano a tutti quelli che invece a queste cose fanno da contorno, da supporto, e se ne stanno lì po a chiedersi che cazzo di decisione deve essere presa per una cosa o l’altra. Ed eccomi qui allora, senza neanche sapere se sto facendo la cosa giusta, e senza neanche sapere neanche come dovrebbe essere fatta la cosa giusta. Certo questo è completamente diverso, me ne rendo conto. Diverso perché non si tratta di niente di meccanico, è una di quelle cose a cui pensare. Una di quelle cose di cui avremmo parlato, da decidere insieme. Non so neanche davvero dove sono messa, ora, in mezzo a tutte queste cose. Non ho nessuno a cui chiedere cosa ne pensi, nessuno con cui confrontarmi. Penso che forse solo cinque mesi fa avrei trovato qualcosa da ridire, ma mi sembra di starmene così tanto con le mani in mano. E poi che senso avrebbe avere da ridire ora? Peso solo che tante cose siano state sepolte, e non c’è molto altro da dire. Una connessione non è una brutta idea, questo è quanto. Non è brutta per niente. Io non sono capace di pensare davvero cosa sarebbe meglio per i Crain, non so neanche se pensare che esitano ancora o se è qualcosa che è cambiato talmente tanto da essere anche quello solo un ricordo. So cosa lui voleva, ma non so come fare ad ottenerlo, e forse questo è peggio. Annuisco, prendo un sorso di whisky, un tiro di sigaretta. Non posso passare la m ia vita a chiedermi cosa avrebbe fatto lui, anche se vorrei. Allo stesso tempo vorrei non doverlo fare per niente, ma è quel mondo in cui niente di tutto questo e reale e guardando Rexana che mi parla sento solo fastidio. «Certo» cerco di non pensare, come ho cercato di non farlo in tutti questi mesi, che nonostante questo sia il mio ruolo, alla fine non è servito. È una cosa davvero talmente stupida, me ne rendo conto da sola. Non è che saper fare una cosa, saper arrabbattare ferite e tutto, vuol dire che semplicemente la gente non può morire. Ma è così che funzionano certe sensazioni e certi pensieri, esserne consapevole aiuta solo un po’, non fa miracoli. Certo, quindi. Certo, magari così la prossima volta qualcuno potrà essere salvato e non ci saranno più così tanti vuoti appesi ovunque. Anche questo è un pensiero talmente stupido che mi prenderei a schiaffi da sola, ma probabilmente conservo le mie energie per tutto il resto. Per tutto quello che mi sembra più difficile, anche se forse lo è sempre stato ed è che ora sono da sola su tanti fronti. «Voglio fare quello che posso» e non so se sia perché voglio davvero aiutare o se perché ne ho così bisogno, così tanto per non farmi divorare da quel senso di inutilità che se ne sta sempre lì dietro ogni angolo cieco. Immagino che non importi, finché qualcosa la faccio. Forse ne sono uscita più disillusa, forse solo più consapevole. «Certo, sarebbe perfetto se trovassimo anche altri e facessimo una vera e propria rete di guaritori o cose simili» non vado oltre sul pensiero, ci sono implicazioni che non voglio neanche affrontare. Non ora, forse mai. «Ma visto come vanno le cose, direi che anche solo così sarebbe un grande miglioramento» prendo un altro tiro, un altro sorso. «Sì, mi sta bene» dico solo alla fine, annuendo appena.
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    Sollievo misto a un enorme pezzo mancante alla sua prima risposta. Era così che doveva andare, molto prima di quel giorno. Così tante cose decise, nel segreto del bunker, così tante cose ragionate con la dedizione che sapeva essere sua perché aveva una vocazione imprescindibile. La stessa che Pierre aveva faticato a capire, e per questo si era aperto un baratro incolmabile.
    Così doveva andare, anche se non poteva dire di essere andata lì certa della risposta. Più facile di una volta, anche se odiava quel pensiero, ma comunque niente offriva alcuna certezza.
    Era pronta a mostrarle gli schizzi dei cerchi runici e di magia antica che avrebbero messo nell'infermeria, spiegarle che doveva esserci sempre qualcuno, come sarebbe servito un sistema di allarme. Poi Edie disse qualcosa che aizzò solo senso di colpa che andava ben oltre tutto quello che le avrebbe dovuto. Era stata invidiosa, quando l'aveva conosciuta a quello stesso bar, perché lei aveva avuto una via preferenziale per accedere a quel mondo in cui lei invece correva a perdifiato da tutta la vita. Si era impegnata come in nient'altro per riuscire a ottenere una briciola di ciò che Edie aveva avuto in un secondo, solo perché aveva avuto Morgan accanto. Ma alla fine chi faceva parte di quel mondo si vedeva comunque, traspariva dalle reti intessute intorno alla propria vita, ai pensieri e come questi venivano formulati. Forse mentire avrebbe fatto meno male, ma almeno su quello avrebbe preferito non farlo. Oltre alla sua preferenza, credeva che Edie non lo meritasse. «In realtà è già così» la scelta di non mentire non rese comunque più sicura la voce, che venne fuori morbida come una carezza, bassa solo non abbastanza per apparire sussurro. Sembrava imbarazzata e avrebbe voluto non sembrasse così, per questo si raddrizzò sulla sedia e con le dita si aggrappò di più al suo quaderno, ormai aperto sul bancone. «Non sei l'unica a cui l'ho chiesto. Ci sono altri punti di ritrovo e infermerie disseminate in tutti gli Stati Uniti. In città per ora sei l'unica, ma ci sono anche il reverendo Pete a Trenton, i Bishop su a Lily Dale, e diversi altri» non li elencò tutti, non avrebbe avuto senso. Ma fece più avanti il quaderno per farle vedere il progetto, lo stesso che aveva condiviso con tutte le persone che conosceva di quel mondo, anche se non tutte avevano accettato. Era però riuscita a mettere su già una rete discreta.
    «Questo è il sistema di collegamento. Sono dei cerchi che permettono il teletrasporto, funzionano come portali. Dovremo tracciarli in un punto scelto dell'infermeria, dove arriveranno i cacciatori. Questo invece è il sistema per avvisare chi è in casa che è arrivato qualcuno, come un campanello».
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    Mi sento quasi stupida, e anche senza il quasi, perché è ovvio. Del resto, quando mai hanno chiesto aiuto a qualcuno? Mai. Ciò che era fra di loro era sacro, ed ecco a cosa porta. A cosa ha sempre portato. Nessuno poteva mettersi in mezzo, quindi, ancora, è ovvio. Che stronzi. Però ormai è andata, e me lo dico ogni santo giorno da mesi. È andata, ed è giusto così. Anche se mi fa incazzare come una bestia, e lo fa. È giusto così ed è andata, e io sono così stanca di sentirmi così. Annuisco soltanto, non prendo un altro sorso perché l’ultima cosa che voglio è che sia più palese di quanto non sia già com’è che vanno adesso le cose nella mia vita. L’ultima cosa che voglio è che la gente si metta qui con pietà e compassione. Invece penso che questa cosa la posso fare, che questa cosa è un bene, perché lo è. Non posso ridurre tutta la mia v ita al niente, e questo è un po’ il contrario di niente. Guardo il quaderno, mi concentro su quello. Su tutte le parti meccaniche, pratiche, un progetto che è fatto per essere reale e concreto. Forse dovrei parlarne comunque parlarne con Caiden, ma penso che sarebbe talmente tanto inutile che non ci trovo neanche un senso, e poi ho davvero bisogno di questa cosa. Egoisticamente, io per me, io per avere qualcosa che mi tiene piena, mi tiene in allerta, mi tiene con le mani in pasta a qualcosa che mi faccia sentire che qualcosa la posso fare. Che non sono solo un’inutile spreco di spazio, che nonostante tutto qualcosa la posso davvero fare. Anche se non è lui. Anche se niente di tutto questo può risolvere niente. «Se è possibile, direi di mettere un campanello anche qui, così nel caso so se qualcuno arriva a casa» anche se quella casa ormai la odio, e non la odio per niente allo stesso tempo. «Tanto se il Deuce è collegato alla rete, posso muovermi rapidamente per andare all’infermeria, giusto?» guardo ancora quello che mi ha passato perché è più facile, come se potessi davvero capirne qualcosa di tutte queste cose. Non è il mio campo, non lo è mai stato. Alla fine, torno al bicchiere e prendo un sorso, scostando di nuovo gli appunti verso di lei. Un altro tiro dalla sigaretta, le spalle che si stringono appena su sé stesse. È una situazione talmente assurda, questa, che per un attimo mi sembra quasi di essere fuori dal mio corpo, per un attimo quasi mi scordo di tutto. Ma è sempre solo un attimo. E in fondo, so che devo impegnarmi di più in queste cose. Lo devo ai bambini, perché se ormai ho scelto di restare, devo far sì che abbiano tutto quello che possono avere, che non diventino solo parti di margini dimenticati. E alla fine ho scelto, quindi posso solo fare tutto quello che posso, di più e non di meno. «Quando pensi che possiamo farlo?» pratico è meglio, è sempre meglio e io mi conosco, almeno su questo. Ho bisogno di qualcosa che mi tenga centrata, è sempre stato così. Alcuni dei vecchi metodi ora sono decisamente fuori discussione, e forse anche questo è essere egoisti, forse anche questo non mi rende una buona persona. Ma onestamente adesso non m’importa, e alla fine almeno è qualcosa che del bene lo farà alla comunità.
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    Un tono diverso,come le porte chiuse di Babilonia, che si erge orgoglioso e alle spalle ha crepe lungo tutta la pietra. Lo sentì gonfiarsi, frapporsi sul bancone senza lasciar dubbio su quel che non sarebbe mai potuto essere. Non aveva mai avuto l'illusione di alleggerire quel peso, nemmeno il desiderio. C'era stato un tempo in cui avrebbe voluto capire, ma era stato ingiusto, perché non aveva mai avuto un seme genuino. Avrebbe cercato di comprendere per qualcun altro, per promesse fatte in tempi acerbi, quando avrebbero dovuto aspettare per sapere cosa stavano trascurando.
    Si ricordò lei di bere, non l'aveva ancora fatto, guardando i suoi stessi appunti e l'attenzione che Edie ci riversava sopra. Aveva smesso di guardarla, persino nel modo sfuggente del principio. Ricordava un primo incontro ed era ben lontano da un secondo. Quando Pierre aveva provato a spiegare alla fine non aveva capito, ma sapeva che non avrebbe mai potuto. Mancavano vite intere, esistenze malcelate dietro sorrisi sempre a metà.
    «Certo, si può fare» cominciò, prendendo un'appunto su un altro foglio, perché doveva ricordare il dettaglio di ogni rifugio, quello che cambiava e che richiedeva un funzionamento armonico con il progetto stesso. «Ma ti chiederei di evitare di usare il portale se non per emergenze. Il fatto è che una rete protetta e segreta così strutturata sfrutta i bunker per la sua energia, in questo modo i viaggi non possono essere intercettati se non si accede alla rete stessa. Se dovessero essere usati troppi portali contemporaneamente rischiamo di sovraccaricare il sistema» richiedeva una modifica che non aveva progettato, ma sapeva che non era quell'imprevisto il problema. C'era una carenza iniziale di fiducia, ora che non c'era nessuno a porre garanzie si sentiva più in dovere di cautela. Sapeva che Edie si era impegnata per entrare in quel mondo e l'aveva fatto da studentessa modello, ma non poteva colmare un'intera vita passata lì dentro, conoscendo i perché e i come dell'uso di una magia tanto antica. Bastava quella raccomandazione.
    «Dimmi quando sei a casa, ci vorranno un paio d'ore per fare i sigilli e testare la rete» un altro sorso che comunque avvicinava alla fine, come aveva previsto era diverso dalla birra che l'avrebbe tenuta lì a lungo «Sabato non lavoro, potrebbe essere un'idea».
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    Ora come ora, vorrei solo concentrarmi su questa cosa. Anche se continua ad essere fottutamente strano, e non è che dopo posso andare a casa a suon non hai idea di cosa è successo oggi al Deuce. Quindi tanto vale lasciar perdere certe cose, certe sensazioni. Tanto vale lasciar perdere e continuare in una farsa o l’altra finché ad un certo punto non mi sembra abbastanza vera. Mi ripeto che almeno questa è una cosa buona, che da qualche parte anche io forse sto andando, anche se sembra tutto una bugia, e sembra anche tutto abbastanza inutile. Ma non lo è. Sto coltivando il mio posto come ho sempre fatto negli ultimi anni, adesso mi sembra solo più necessario. E non ho neanche davvero una bandiera da portare da qualche parte, ormai. Anche se forse questa è una cosa che dovrei risolvere, ma neanche io sono così stronza da mettermi a dire che, cazzo, dovremmo proprio capire che fare visto che non è rimasto niente. Penso che alla fine il punto sia un po’ quello, che non è rimasto niente. Ma non è vero, perché ora magari è così, ma poi i bambini saranno grandi e non c’è nessuno, adesso, che sta facendo qualcosa per loro. Forse sono ancora incazzata con tutto e tutti, anche se cerco di non esserlo perché anche quello che diavolo di senso potrà mai avere. Nessuno. Alla fine le annuisco, penso a quanto terribile debba essere anche per lei essere qui. In fondo io e Rexana non ci conosciamo, abbiamo in comunque che qualche mese fa una testa di cazzo ha deciso di farsi ammazzare, e adesso siamo qui a ballarci intorno così perché non c’è nient’altro da fare. «No certo, è solo nel caso sto qua e arriva qualcuno che ha bisogno di là» non lo dico che non è che ho tutta questa voglia di stare a casa, che cerco di farlo sempre poco, cerco di tenere sempre tutti fuori da lì il più possibile. Sono cose che non si dicono, e di certo non qui ed ora. Prendo un tiro dalla sigaretta, e a questo punto la guardo. Io, quella casa e questo posto, li brucerei volentieri e sono seria, ma poi no ovviamente perché è tutto qui. Però lo so cosa vuol dire volerne stare alla larga, e forse è anche arrivato il momento che mi tiri fuori la testa dal culo. Non è che posso continuare per sempre a fare Dio solo sa cosa, ad essere onesta non ne ho idea. «Sicura che ti sta bene, venire a casa?» non è il livello di confidenza che abbiamo, lo so, ma del resto non penso importi davvero. «A me sabato sta bene, però insomma... » alzo le spalle, prendo un altro sorso dal bicchiere e questa volta lo svuoto, alzandolo per richiamare l’attenzione di Tony, così che possa riempirmelo di nuovo. «È una situazione del cazzo» io ho avuto tempo per abituarmi a tutte le cose che si è lasciato dietro, e che io non ho toccato perché sono proprio quel tipo di donna patetica. Quindi lo chiedo, perché entrare in quella casa è come entrare in un santuario terribile di cui, però, non mi riesco comunque a disfare.
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    Un altro sorso,poi un mezzo sorriso, perché alla fine era comunque qualcuno in più in quella rete. Non c'era niente di più importante. Quella creatura che ormai era venuta alla luce, stava crescendo, diveniva importante. Quella creatura sorella di ciò che gli Uomini di Lettere erano stati per lei, ma con una paternità diversa, perché la prima volta c'erano stati River e Layla, questa volta aveva pensato da sola a quel desiderio, l'aveva nutrito, e poi erano arrivati quelli che avevano contribuito in modo più importante.
    Chiuse il quaderno per rimetterlo nella borsa, poi quella domanda, che fece scivolare lo stupore fino agli occhi.
    Sapeva che Edie avrebbe detto qualcosa di simile, quella non era poi fonte di sorpresa. Ma che pensasse alla casa, come braciere che riaccendeva il dolore, non l'avrebbe mai pensato. C'era qualcosa in quella casa che le avrebbe ricordato l'assenza, gli scacciapensieri del portico, la casetta sull'albero, quello che portava la sua firma. Ma c'erano luoghi che si portava dentro che erano addirittura lancinanti, luoghi dove vivevano anni di ricordi. Quella casa, salvo qualcosa, non sarebbe stata peggiore del passato. Pure se quel qualcosa aveva comunque un peso.
    «Penso sia peggio per te» lì loro avevano condiviso una vita, aveva un significato profondo. Per lei non era che un pezzo microscopico di passato che le aveva dato pure valanghe di estraneità. Sarebbe stato peggio se ci fosse dovuta andare per la prima volta, se lo strappo non si fosse ricucito prima di quel momento. Lì ci sarebbe stato rimpianto, ma di rimpianti in quel caso non ne aveva.
    «Hai pensato di cercare un altro posto?» pose quella domanda che era sorpresa anche quella, perché non ci avrebbe pensato per sé, non avrebbe saputo vedere la negatività di quattro pareti in cui c'era stata tanta complicità. Se fosse tornata nella sua, di casa, quella dove anche Morgan era stato un'infinità di volte, avrebbe sentito la sua vicinanza più della sua assenza.
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    Prendo un altro tiro dalla sigaretta. Peggio per me. Penso sia vero molto più di quanto lei lo può immaginare. Ora ci sono solo io, perché neanche Den è rimasto a lungo. È un peso che mi sembra appartenere solo a me e del resto mi conosco, lo so che non lo condividerei con nessuno. È mio. Questa è la mia vita di mezze bugie. E sono tutte lì, tutte quelle che sono esistite in quella casa e tutte quelle che si sono trascinate invece dal monolocale, da quell’altra casa poi nel bronx prima che servissero spazi in più perché stavamo crescendo. La mia nuova vita di mezze verità, perché tutte quelle più complete adesso sono da qualche parte, sepolte. Lo sapevo che sarebbe stato così, che se fosse morto lui tutto quello che sapeva di me, che era esistito di me, tutto quello che c’era di lui ed era esistito di lui e di ogni cosa che ha rincorso in questi anni, sarebbe diventata solo un’altra porta chiusa su segreti che non si possono dire a nessuno. La mia vita di mezze bugie, e mai niente di più. Aspetto che Tony arrivi con un altro bicchiere, seguendolo appena con gli occhi prima di tornare a guardare lei. «Se vuoi altro dillo, offre la casa» di certo le mie finanze ora non sono cambiate, quelle no. Aspetto che lui si allontani prima di prendere un sorso. Lo so che non ho ancora risposto alla sua domanda, ma avevo bisogno di questo. Lascio andare un respiro e alzo le spalle. «No» non ho pensato di cercare un altro posto, né voglio farlo. Voglio che i bambini crescano lì dove avevamo pensato insieme lo facessero. Voglio che di lui possa rimanere almeno questo, e tutte le cose che ha costruito e disseminato ovunque per loro. Anche se quella stanza mi sembra mi aggredisca e più spesso che no dormo nella stanza dei gemelli, in quella di Lizy, in salotto. Anche se lo so quante volte sono stata da sola in quello stesso letto, ma questo è diverso. Ho pensato a quando abbiamo lasciato il Kansas, dopo quello che era successo a mamma. Non mi sono mai chiesta come dovesse essere stato per mio padre, credo terribile. Alzo ancora le spalle, un po’ come a dire che non c’è niente da fare, le cose vanno così, questa è la vita. Io lo so, e lo sa anche Rexana, questa è la vita con i Cacciatori. «È casa mia e mi piace come l’abbiamo sistemata» prendo un altro tiro lasciando per un secondo gli occhi andare altrove. Tanto anche volendo scappare, non so quanto lontano dovrei correre per riuscirci, forse semplicemente troppo. «Sabato ci sono» aggiungo poi con un altro tiro. Non siamo qui per questo genere di cose, e io lo so che tutto quello che posso fare è andare avanti in qualche modo e non impantanarmi in questo fango per sempre. «Ci sarà un po’ di baccano, con i bambini e tutto, ma non è un problema»
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    «No, grazie, devo lavorare dopo» e stare con Arkell, finché poteva lavorare da casa almeno quei due o tre giorni a settimana, a seconda di quanti sopralluoghi dovesse fare. E c'era sempre un limite, pure quando si concedeva di bere un po' di più perché in fondo le piaceva, ma le regole erano stringenti. Mai bere troppo davanti a cacciatori, cercare di non essere mai ubriache per far fede alle urgenze. E se n'erano aggiunte altre, come evitare di bere più di un bicchiere quando doveva stare vicino ad Arkell. Ma non era mai stato poi così diverso, non era qualcosa che le mancava.
    E in quella situazione, si aggiungeva una regola nuova, del tutto a sé stante. Significava non abbassare le difese della propria inibizione, perché sapeva che avrebbe potuto dire qualcosa che avrebbe ferito Edie, e non voleva farlo. Aveva cercato di esserle amica quando rischiava di rendere il suo rapporto con Morgan più difficile, poi aveva smesso, in parte perché aveva avuto troppo a distanziarla da lei, in parte perché chi la conosceva meglio aveva comunque detto come non sarebbe stato possibile. Poi le cose erano cambiate, avevano sancito un punto di non ritorno in cui un simile pensiero diventava solo deprecabile.
    «Non è un problema il baccano. Ho un bambino e un eterno bambino a casa, mi piace quando c'è rumore» le sarebbe piaciuto anche che di bambini ce ne fossero una decina a casa, anche se sapeva come quello fosse impossibile. Aveva avuto un unico miracolo, e non aveva mai smesso di considerarlo tale.
    «Allora ci vediamo sabato. Passo verso le nove, se va bene» un orario più tranquillo perché sapeva come la mattina fosse piena di cose da fare, con Arkell che si svegliava e doveva mangiare, era il momento in cui era più attivo. Ed era solo uno.
    Era pronta ad andare, anche se con quella bugia nel petto. Perché il rumore le sarebbe stato bene, era segno di una casa dove c'era una vera famiglia. Ma sarebbe stata anche un'occasione in cui non avrebbe potuto stare con i suoi figli come sarebbe dovuto essere, con la vicinanza di una persona che era stata così importante nella sua vita, una con cui aveva condiviso la paternità e così tanto altro.
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    Un po' sorrido, anche se non so come venga fuori. Se è una di quelle cose che se ne stanno solo un po' lì, sulla faccia, senza senso. Lo so che dovrei trovare un modo per far smettere a quel click di scattare semplicemente sempre, come se tutto potesse essere un rimando. Lo so che passerà. Che ci sarà un periodo migliore di questo e se potessi ci salterei, ma poi non è vero perché non sono così. Non sono sempre stata quella che ci resta attaccata, alle cose? Penso di sì, e penso che tante cose siano successe per questo nella mia vita, ma non questo. E del resto dovrei essere grata per tutto, perché qui non ci sarei quasi dovuta arrivare, quei bambini non avrei dovuto averli, e tutto quello che ora scava il vuoto non avrebbe mai dovuto esserci. Quindi, non lo so. Mi viene solo un piccolo sorriso e basta, forse perché qualcosa di eterni bambini ne so, anche se ora la casa sembra più vuota, anche se pochi non lo siamo. Lo sembra lo stesso. Come macerie che sono state ricostruite da un'idea vaga di quello che un tempo fosse quello stesso posto. È negli spazi fra i silenzi che sta la fregatura. Non è tanto il resto, che loro due fossero fuori per tanto tempo era qualcosa a cui ero abituata, più o meno. È che non c'è neanche tutto il resto. C'è solo quello che c'è già stato, e tutte quelle cose che non hanno avuto opportunità, quelle ossessioni che arrivano sempre quando poi c'è un punto che non permette ad altro di andare avanti. Ma sorrido, perché in qualche modo passerà, e non so proprio se sentirmi meglio per questo. «Va benissimo» andrebbe bene qualsiasi ora, non è che dorma tanto. Lizy è ancora piccola, ancora piange la notte e mi tiene sveglia. Ollie ha quella porta chiusa, e io che non so come gestire così bene con lui tutto questo. I gemelli sono sempre impegnativi, ora forse un po' di più. Vorrei se non altro sembrare una persona normale, ora come ora. Almeno agli altri. «Allora ti aspetto» ed è finita qui, con me che spero solo che davvero io da questo riesca a prendere qualcosa. Che riesca a essere abbastanza. Picchietto la mano sul tavolo, poi mi tiro su. «Buon rientro, e passa quando vuoi» le faccio un cenno, un altro sorriso mentre prendo il bicchiere ancora pieno dal tavolo.
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