Blurry vision

Josh/Edie/Morgan - 5 Settembre

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    E' un distacco fottutamente doloroso, ma l'ho impresso in respiri che ho dovuto portare avanti per forza. E forse io non lo so più come cazzo si faccia ad essere noi. Io ed Edie e tutte quelle stronzate che ci piaceva raccontarci quando ancora avevamo tempo. Dio se è stata la mia vita per... tanto tempo. Ma adesso? Adesso come cazzo le combino tutte queste cose assieme? L'ombra di Slater che avanza, Chrys che si prende cura di Alice. Alice, Cristo, Alice! E tutto, tutto quello che è successo sembra solo volermi ricadere sulle spalle con la fottuta consapevolezza che non saprò portare a termine un cazzo anche stavolta. Le cose non sarebbero dovute andare in questo modo, e l'ho sentito chiaramente quando non sono riuscito a fare i passi che servivano per stare con lei di più quando sono nati, quasi un mese fa. Un mese di niente al limite dell'assoluto. Pochi messaggi, qualche vaga telefonata con l'affanno in gola. Per non parlare di Morgan che, beh, penso sia il cazzo di motivo per cui il mi sangue a due passi dalla porta sta andando a fuoco.
    Ho dato modo di saperlo controllare, sì, ma questo non significa che sia piacevole stare nella stanza con Morgan, ed è una cosa che forse con il tempo mi verrà più facile, di certo non ora. Ora devo considerare questa come la casa di Edie, perché a dichiararla una "famiglia" faccio ancora fatica. Anche se ho firmato dove mi ha chiesto.
    Il fatto è che la mia vita sta diventando un pericolo su più fronti, non è solo la magia nera che so di poter gestire è la massa, la fama che no certo non mi aspettavo e dovrò imparare ad usare come la copertura di cui ho bisogno ma cazzo, cazzo lei la devo preservare. Non so se ci riuscirò con Chrys, ma lui, lui è un'altra storia. Lui è a casa con Alice, ad aspettarmi, esattamente quello che non vorrei facesse, che se non ci fosse lei ora sarebbe con me, qui sulla soglia. Non mi facevo questi problemi un anno fa.
    Edie non lo vuole vedere come le cose stanno cambiando, e la capisco. Cazzo neanche io lo volevo, ancora meno se tutto in una volta. Però è vero. Si sta facendo una vita e mai, mai la incolperò per questo anche se con l'ultima persona al mondo che sarò mai felice di vedere. Eppure anche se lei non ha colpa, la sua scelta ne ha per forza esclusa un'altra, per usare le parole di Caiden nel modo giusto. Me. Ha escluso me, che navigo lentamente intorno ad un confine tracciato perché i mostri non lo superino con la punta degli stivali. E va bene, davvero.
    Non ci voglio neanche girare intorno una vita, non ora che sono nati i gemelli ed il tempo per forza si sarà ristretto, però lo devo fare, ci sono troppe cose che non è giusto non sappia ed in parte almeno una voglio dirla guardando Morgan dritto negli occhi.
    Mi faccio avanti con calma, indosso un fottuto mezzo sorriso perché, insomma, è sempre Edie anche se in mille punti che non raggiungo ed anche se io sono in quelli che lei non può vedere. E' solo un altro tipo di amore.
    Dico che faccio un passo indietro anche nel metterne uno davanti. Busso perché non si sveglino i bambini, non so neanche se dormono. Poi aspetto, come sempre. Teso.
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    È uno dei momenti della giornata che preferisco, di quella nuova routine che si è imposta dolcemente fra le ore, scandendole una ad una con un senso nuovo, diverso. È uno dei momenti che preferisco, quando c’è il silenzio di una pausa fra un momento e l’altro, e resta solo il ronzio della tv che pigramente scandisce parole una dietro l’altra, lasciando solo quella sensazione che se ne sta qui, sospesa, a riempire spazi che sono stati vuoti, e che ora invece sono frementi di tutto. Sento il respiro di Morgan che lentamente si fa più calmo, e trattengo questo stesso silenzio ronzante nella consapevolezza che sono sempre troppo poche le ore che sappiano, per lui, di sonno. Ho un orecchio che resta sempre teso, con quel tipo di attenzione che è qualcosa di naturale, che è arrivata a prendere posto sulla pelle come se ci fosse sempre stata, senza bisogno di nessun insegnamento, nessuna concentrazione. Semplicemente lì, immobile, come se per tutta la vita, non avessi fatto altro che ascoltare il silenzio aspettando il momento in cui si rompe, e ci sono pianti che richiedono passi che si muovano uno dietro l’altro. È una stanchezza diversa quella che si è fermata fra le ossa, una che non sa farsi pesante in quel modo violento che brucia e consuma, e spezza le ossa, ma al contrario da una sensazione che anche nei momenti più complessi, lascia un soffio leggero contro la pelle. Anche adesso, fra le voci che scivolano piano dalla tv e i respiri di Morgan, resto ferma in mezzo a qualcosa di morbido. Ho una mano che distrattamente, si muove in un punto casuale su di lui, con un ritmo che lento, è scadenzato nei suoi stessi respiri, come un cullare leggero che si smuove quasi distrattamente. Giro la testa quando sento un rumore che arriva piano, e s’infila nello spazio con una lentezza che sembra imporsi su tutto, per trattenere minuti che scadono nei secondi in cui lo sento muoversi, mugugnare con una voce impastata che mi porta un sorriso sulle labbra. Mi giro un po’, lo faccio nel trascinare gli occhi su di lui con uno sbuffo che sa di quello stesso sorriso, e ha quasi una volontà sua. «Non è così tardi, baby» lo sussurro appena, lasciando che le carezze diventino dei buffetti leggeri, come un incoraggiamento che mi lascia solo qualcosa di dolce contro le dita. Aspetto solo qualche secondo prima di alzarmi, stiracchiare le braccia tirandole in alto, prima di chinarmi a prendere il pacchetto di sigarette per sfilarne una e metterla fra le labbra, lasciandola penzolare prima di accenderla. Lo faccio con uno sbuffo che è una risposta a lui, prima di spingermi solo un attimo verso di lui per lasciare una pressione di labbra che si ferma sull’angolo delle sue, tirarmi di nuovo su più dritta per muovermi verso la porta, dove Whiskey è già fermo e seduto ad aspettare con la coda che si muove frenetica contro il pavimento. Gli lascio una carezza distratta dietro l’orecchio, prima di allungare la mano che regge la sigaretta per aprire la porta, e trovarmi un altro sorriso sulle labbra. Lo so che l’ho visto molto meno di quanto avrei voluto, e molto meno di quanto sono abituata, ma è stato facile pensare che fosse per quei nuovi ritmi, e quelle nuove responsabilità che lasciano poco tempo a tutto il resto, e invece richiedono quasi tutte le mie attenzioni in un modo continuo. Mi spingo in avanti in un modo automatico, naturale, per stringerlo in un abbraccio che è attento a tenere la sigaretta distante, lasciando che per qualche secondo ci sia solo quella sensazione che conosco, ed è immobile nei miei ricordi. Tutti quelli che ho con Josh. «Hey» lo soffio appena quando lo lascio, facendomi da parte così da dargli lo spazio per entrare e richiudergli la porta alle spalle, portando la sigaretta alle labbra con un tiro leggero. «Sei venuto a vedere le scimmie urlanti che ho accidentalmente ospitato per nove mesi pensando fossero dei bambini?» mi premo per un secondo sulla porta prima di spingermi in avanti, muovendomi per tornare verso il salotto. «Vuoi una birra?»
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    I
    l ritmico suono delle nocche sulla porta irrompe nella mia testa nel modo più fastidioso possibile. Il campanello sarebbe stato devastante, ma dopotutto ora lo sarebbero anche le fottute campane della slitta di Babbo Natale.
    Il fatto è che non solo ho mal di testa. No, è che mi stavo anche mezzo addormentando.
    Sussulto infatti, come se fosse stato chissà quale rumore ma no, non lo era. La televisione si fonde con i sogni, diventa un tutt’uno e quello che vedo continua nella mia testa quando cado in queste zone di semi-veglia, quindi no, quello non mi fa svegliare. Ma i rumori esterni, ah, li odio.
    Sussulto e impreco tra i denti, «Merda». Mi metto seduto un po’ meglio, stavo scivolando addosso a lei, la guardo aprendo gli occhi a metà e borbottando qualcosa di indefinito ma che potrebbe somigliare a «Chi cazzo è a quest’ora», per chi conosce il mio linguaggio del sonno.
    Edie lo conosce.
    Se è uno dei vicini ritiro tutto quello che ho cercato di insegnare a Edie sulle regole del buon vicinato e tutta quella roba lì. A Bangor era legge, ma qui siamo nella fottuta New York del cazzo e forse è il caso di assecondare la misantropia di Edie. O di qualsiasi altro newyorchese.
    Anche se dicono di essere amichevoli e che noi, nelle montagne, siamo stronzi diffidenti. Ma siamo diffidenti con gli estranei, è diverso. Vabbè.
    «Vai tu». Anche se si sta già alzando. Le lascio scivolare il braccio addosso, quello che le tenevo sopra prima in chissà quale posizione scomposta ho assunto mentre sprofondavo in un sonno troppo leggero. Sonno per finta, infatti, direi.
    Colpi di sonno del cazzo.
    «E prendi la pistola, mira in fronte», sto scherzando ovviamente. Più o meno.
    Appena ho il divano tutto per me mi ci allungo meglio e mi sdraio, stravaccato con l’avambraccio che copre gli occhi e la fronte e la mano che penzola nel vuoto.
    Sento voci in lontananza, mi sembra di riconoscere l’altra.
    Sento passi che si avvicinano, sbuffo pesantemente e scosto il braccio dalla faccia.
    Mi giro a guardare ed è Joshua che arriva in salotto insieme a Edie. Grandioso. Come concludere perfettamente una giornata tranquilla, certo.
    «Hola chico», gli faccio un cenno con le dita alla fronte a mo’ di saluto militare e poi torno a sistemarmi nella medesima posizione di prima.
    Con un moto di infantilismo penso che vorrei chiedergli se Ida ha avuto la cortesia di allagargli casa e di affogarlo, ma non lo faccio, perché ho detto neutrale, e poi ho trent’anni e passa non due.

     
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    Fa male come ogni cosa sembri aleggiare nella normalità. Sempre se così posso chiamarla, che io più la guardo - questa casa in cui vivono - e più mi sembra un mondo in bianco e nero. Con qualche lampo rosso di tanto in tanto, una cazzo di vita in trash polka. E no, io continuo a dirmi che Edie non meritava questo, ma che comunque se l'è scelto quindi il mio fottuto sorriso deve restare in piedi.
    Forte come il respiro che mi prendo quando la stringo a me e la trattengo un po' più del dovuto, la sua mancanza è un fossile nel cuore. Molte cose sono cambiate e troppo dovranno farlo in poco tempo, o lo stanno già facendo e noi, beh, dovremmo accettarlo. E parlo io, si, che a Morgan stravaccato per i cazzi suoi quasi non vorrei rispondere.
    Tutti i miei fottutissimi problemi sono ancora qui, incastrati tra iridi che scosto veloce da lui a lei, di nuovo, che nemmeno ci dovrei pensare e invece lo faccio a ripetizione. Non penso, sinceramente, saprà mai esistere un momento in cui non proverò questa prima rigidità nel sentirlo muoversi intorno ad Edie, gravitare nella sua esistenza. Mi convinco solo che la terrà al sicuro.
    «Certo, scherzi? Stavo sentendo la mancanza delle loro voci nei timpani.» Lo dico con un sorriso che sa reggersi poco, il tempo di darle modo di voltarmi le spalle che si, una birra penso sia il minimo anche se non intendo stare qui più del dovuto. E, beh, anche questo fa male. Ne farebbe di più se non avessi Chrys.
    «Morgan» supero il divano che neppure lo guardo, l'ho detto, è solo un cenno con un tono decente che non innalzi il velo di oblio sulla tensione che sento. E soprattutto, osservando quel punto preciso, cerco di non dirmi come senta violato il mio territorio, che quando lui non c'era, quello era il mio posto. In modo diverso, certo, sempre diverso ma mio. Ora è suo di diritto per quella cosa che non ho potuto fermare e beh, se la fermassi ora farei più danni che altro. Edie, mi concentro solo su di lei, appurato che probabilmente il grande cacciatore non muoverà il culo dal divano.
    Vorrei trovare qualcosa, perfino una battuta del cazzo, per alleggerire il tutto e invece no, invece sfrego le dita tra loro sulla soglia della cucina.
    Non mi preoccupo neanche di abbassare il tono, in fondo non credo avrebbe più senso ora che lui vive qui.
    «Sai quella cosa che ho fatto per te qualche settimana fa?» alludo al farle da testimone ma aspetto che mi ascolti un po' di più, tanto da rendersene conto.. mi rigiro l'elettronica tra le mani, poi rialzo lo sguardo su di lei. «Dovrai ricambiarmi il favore» Mi fermo.
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    Uno sguardo distratto, anche se non lo è davvero, mai davvero, lo lancio a entrambi. Non uno ad uno, ma in un modo che li trattiene nella stessa visuale per qualche secondo, in pensieri che sono solo soffi che si scostano subito, in quel modo quasi impellente che hanno delle volte le cose di andare via. Prendo un altro tiro invece, aggrappandomi un po’ al filtro, trattenendolo fra le dita mentre mi muovo per raggiungere il mini-bar che ho attaccato fra i divani, perché sono sempre stata troppo pigra per tante cose, abbastanza da non aver voglia di alzarmi ogni volta per andare in cucina a prendere qualcosa di fresco da bere. Sono sempre stata così, in fondo, ed è solo una di quelle cose che con il tempo non è cambiata mai. Ne sfilo due, trattenendole con una mano sola, tenendole con i colli incastrati fra le dita, poggiandone una sul tavolo per avere abbastanza manualità da stapparle con l’accendino una dopo l’altra. Nell’allungarne una a Josh, penso a come avrebbero potuto essere le cose, in questo stesso momento, in questa stessa stanza. A quanto invece adesso siano così, in questo modo che non sa davvero pendere in qualcosa che non abbia durezza nelle sue superfici. Ma ho smesso di aspettarmi che possa essere diverso, o qualsiasi altra cosa. Posso solo allungare le mani, e tenerle strette da un lato all’altro, senza chiedere che ci sia meno spazio, meno distanza. Va bene lo stesso, anche se non del tutto, e mai davvero. Sono sempre stata brava ad accontentarmi, e a pensare a quanto peggio, sempre peggio, potrebbero essere le cose. E anche adesso lo so, lo so che potrebbero essere molto peggio, e finché posso vederlo, finché posso ancora sentirlo parte della mia vita, anche se sfuggente, mi va bene. Lo guardo per qualche secondo, il collo della bottiglia stretto ancora nella mano, con la sigaretta in bilico nell’altra mano. Ed è che ci metto un po’ a fare il collegamento mentale, ci metto un po’ a connettere i punti uno con l’altro, e creare qualcosa che abbia un senso coerente nella mia testa. Un po’, che poi lascia una pausa di sorpresa nei miei stessi pensieri, prima che la mano si sposti appena di fronte alla bocca in un gesto quasi casuale che si annulla subito, facendola tornare quasi sospesa a mezz’aria. «Ma che, sei serio?» sento la punta delle dita poggiarsi appena sullo sterno, quasi casualmente anche questo. Perché penso di aver capito, perché c’è solo una cosa che gli ho chiesto di fare nell’ultimo mese. Con quella fretta che fretta non era, ma solo l’incuria di dettagli che sembravano davvero inutili contro quello che era importante, per me o per Morgan, di quella cosa. «Ma- Quando prendo a muovermi di nuovo, spostandomi per lasciare la birra sul tavolo basso prima di portare la sigaretta alle labbra, e trovare posto per un secondo ai piedi di Morgan. Penso che sia serio, sì, anche se ancora, cerco di girare contro questo pensiero e renderlo reale. Sembra stupido, ma sono cose che mi sono sempre augurata esistessero per lui, esattamente come gli ho detto quella volta, a Luglio, fuori dalla porta di questa stessa casa. «Cioè, quando è successo, chi lo ha chiesto a chi?» sono agitata in un modo che non ha ansia o angoscia, ma qualcosa di euforico contro le dita. L’ho detto, sono cose che ho sempre sperato esistessero per lui. Anche se lo so che, allo stesso tempo, non posso non pensare che sia forse un po’ presto, nonostante Chrys sia nelle nostre vite da anni ed anni. Ma queste sono preoccupazioni che non ho mai saputo come sradicare, quando si tratta di lui, e che cercano solo di preservarlo anche se so che sono cose impossibili e che, alla fine, sceglierà sempre la sua strada. In ogni caso. «No, aspetta» alzo la mano e mi alzo anche io, muovendomi rapida verso la cucina, smuovendo lo sportello degli alcolici per prendere qualche bottiglia- vodka, gin- , poi due bicchieri quando quello di Morgan è già di là. Torno poggiando tutto sul tavolo, e tornando a sedermi dov’ero prima smuovendo una mano per dare un leggero sbuffo sulla gamba di Morgan come ad incitarlo a sedersi meglio sul divano. «Ovviamente, , mi sarei anche offesa se non mi avessi chiesto di farlo. Offesa in un modo impossibile» mi allungo per versare un po’ di vodka in uno dei bicchieri puliti e rimettermi poi a guardarlo. «Morgan dai alzati» lo dico spostando appena la testa per girarmi verso di lui, con un tono che resta soffice anche se puntellato da quella stessa sensazione che un po’, lo alza in qualcosa di euforico.
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    N
    on sto minimamente capendo quello di cui stanno parlando. Li ascolto in silenzio con le palpebre mezze chiuse sotto l’avambraccio, ascolto i rumori, i passi che si fermano, Edie che si muove, Edie che si siede, il buffetto sulla gamba. Li visualizzo muoversi, spostarsi in casa, aprire il frigo, prendere bottiglie che tintinnano e la mia testa crea disegni di gocce d’acqua sulla condensa.
    Non ho capito di che favore stanno parlando.
    Chi ha chiesto cosa a chi.
    Perché si sarebbe dovuta offendere.
    Immagino che sia così, dall’altra parte, quando ci siamo io e Den e il nostro modo assurdo di parlare che nessuno capisce, persino quando lo facciamo non di proposito. Senza le nostre parole segrete e tutto il resto.
    A quanto pare devo alzarmi però.
    Mi verrebbe naturale sbuffare ma me lo tengo, invece prego in silenzio i bambini di iniziare a piangere perché ops, vado io. Invece non lo fanno, non è ancora ora, e la cosa mi uccide dentro.
    Scosto il braccio per trovare Edie che mi guarda, la vedo sorridere, e improvvisamente non m’importa più di nient’altro. Come spesso accade quando la vedo contenta per qualcosa. Non so cosa sia, questa cosa, ma non ha alcuna rilevanza se la rende felice anche soltanto momentaneamente. Ricambio il sorriso d’istinto.
    Alla fine, sopportare l’esistenza di Joshua è una cosa che faccio per lei, in gran parte. Quindi se dobbiamo festeggiare qualcosa che lo riguarda lo farò, senza farle pesare che non ne ho la minima voglia e che preferirei vivere in una piscina sommersa dalla merda dei miei figli per una settimana.
    Quindi mi tiro a sedere, ignorando le punte nella testa che sembra abbiano già penetrato la carne e si accingano a trapanare il cranio per arrivare al cervello. Abbasso la mano per raggiungere la bottiglia di whiskey che ho poggiato ai piedi del divano, il bicchiere. Ci verso due, tre dita e mi alzo in piedi.
    Però se devo brindare a qualcosa, dato che è palesemente questo che vuole fare Edie considerati i bicchieri, devo sapere cos’è. Quindi chiedo, «Scusate se rovino la festa ma…». Guardo prima lei, poi Joshua, poi di nuovo lei, in sospeso, «Qual è l’occasione?».

     
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    Alzo appena il polso per sbandierarle il modo in cui sono tornato ragazzino, con la sigaretta elettronica. Anche se le ragioni sono più semplici: punto primo, le mie corde vocali ringraziano e cazzo se ne avrò bisogno in tour. Punto secondo.. Slater. Ma davvero è un tasto che non voglio toccare perché mi chiude la gola a pensarci davanti a lei. Meno per Morgan ovviamente. Se i due arrivassero a scannarsi a morte probabilmente sarebbe la cosa migliore. Che non significa meno dolorosa. Solo migliore.
    Attendo allora la sua reazione, una qualunque, anche se so che voglio arrivi al massimo. Prima di darle la conferma che aspetta: perché in fondo non serve dire di più. È chiarissimo.Mi sposo. Con Chrys. Cazzo.
    Edie ha la capacità di sembrare più entusiasta di me. Più felice. E lo so che è perché ha sempre voluto che qualcosa di solido oltre noi esistesse per me, da quando ha visto che avrei sempre abbandonato ogni cosa pur di salvarla. Non lo ha mai accettato e, adesso, mi sembra perfino assurdo riuscire a renderla felice con qualcosa che farò solo io, non per lei, per me. Ma in realtà la felicità è anche mia, ma non è uguale al moto che ha lei di farsi brillare gli occhi. Io sono felice di quel volere ossessivo che mi accompagna nel sapere che Chrys sarà mio, per sempre e contro ogni altra cosa. È la felicità di un cazzo di punto che resta con me, dell’aver fissato il vuoto per anni senza accorgermi della fottuta stella che lo ha sempre abitato. Ecco, ora sono due.
    In ogni caso le labbra si muovono, i piedi avanzano di poco perché non intendo sedermi vicino a Morgan e piuttosto mi tengo saldo al muro, che in ogni caso andrà benissimo.
    Quando. Ecco questo è un po’ un punto dolente ma credo capisca che se non gliel’ho detto subito è perché lei aveva bisogno del suo spazio, di vivere la sua storia, e le sue scimmie urlanti. «Più o meno alle tre di notte, di quella lunghissima notte» ma lo dico con calma, più che altro perché Morgan farà due più due molto più in fretta e capirà i tempi meglio di lei che forse quello ore non le ricorda così bene.
    E giuro che sto facendo di tutto per non fare altro che questo: essere suo fratello. Nonostante tutto.
    Prendo il mio bicchiere, lo alzo verso di loro. È meccanicamente semplice, cazzo perfino troppo. Ovviamente scosto lo sguardo su Morgan. E mi chiedo cosa cazzo ci trovi Edie in lui, di nuovo, lo so. Lo so che me lo domanderò fino al giorno in cui tirerò le cuoia. Comunque, «Me l'ha chiesto lui» lo dico prima ad Edie, poi trovo il modo di essere più elementare possibile nei confronti del solo neurone di Morgan che è riuscito a svegliarsi. Cazzo davvero ho la paura che saprà spegnere ogni entusiasmo in Edie e finirò per trovarla più demolita dall’americano medio che le vive in casa, che per i figli che le succhieranno anche l’anima. Ok, andiamo avanti. «Mi sposo»
    Secco, così, buttando giù qualsiasi cosa mi abbia messo nel bicchiere. Fine della spiegazione per quando lo riguarda. «A Dicembre, non abbiamo ancora la data e dovrà pensarci Chrys a tutto perché beh, lo sai.» Il Tour. Sospiro. Vorrei vuotare già un altro bicchiere. Lo sguardo per un attimo si perde. Iniziamo a breve, tanto a breve.
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    Se dovessi dire che due anni fa, mi sarei immaginata una scena del genere, beh mentirei. Per forza, quando non avevo idea di cosa ci aspettava, a nessuno dei due. Non avevo idea di niente, niente per davvero. Di tante cose del mondo, di tante cose di me, della vita, quella vera e non già abbandonata come una rinuncia che non ha mai avuto nessuna lotta. Ma adesso siamo qui, e per qualche istante riesco solo a guardarlo e farlo in quel modo che lascia ancora un sorriso contro le labbra, e mi fa sperare in quel mondo sempre strano, sempre contrastante, sempre un po’ impaurito dalla speranza stessa, che sia davvero qualcosa di buono. Qualcosa che lo faccia sentire in un punto delicato, docile, un punto che non fa male. Non volevo altro, nella mia vita, che sapere che Josh stringesse la sua. E in fondo, paradossalmente, lo so che mi ci sono trovata invischiata io, in una vita, prima di riuscire a vederla su di lui. Ma so anche che il mio è stato quello che direi un caso eccezionale. Qualcosa che non mi sarei aspettata, e non potevo neanche aspettarmi. Non quella sera al Webster, o tutte quelle dopo. Sposto uno sguardo con un sorriso verso Morgan, uno di quelli che arrivano di tanto in tanto, quando nel guardarlo ho quel senso che mi porterebbe, in qualsiasi altro mento, a sbuffargli qualcosa contro le labbra, ma che ora invece le lascia solo ad arricciarsi appena. Ma sono solo pochi secondi quando poi, torno su mio fratello. Poco alla volta. Ascolto stringendo solo per un secondo le dita sul bicchiere, in quella che è una tensione che esiste solo per me, che è solo lo stralcio di quella notte e di quello che, dopo, ho saputo fosse successo oltre di me. Quello che succedeva oltre una porta che il mondo lo riduceva ad una stanza, e minuti che speravo sarebbero corsi veloci. Sì, a quel punto ero già abbastanza nella modalità “tirateli fuori”, ma questa è un’altra storia. Come un’altra è la loro, e quella che poi è arrivata a me solo dopo, e che è quella che per un secondo, mi fa stringere queste dita contro il vetro. Non si può avere tutto, e questo lo so, l’ho detto. Non è una cosa che voglio che arrivi adesso, anche se so che è solo un’ansia che nasce e muore nella mia testa, e non ha davvero nessun rischio con sé. Ma ho sempre avuto anche quel mostro lì, a premere anche per fantasie corrotte e contorte che diventano spesso un mondo a parte che gonfia i respiri e li fa crollare nulli nel petto. Lascio che passi, in un modo che non sempre funziona, ma che adesso posso usare nel concentrarmi invece su altro. Su tutto il resto. Quello che è positivo, contro tutto il resto. Anche questo è qualcosa a cui posso dire di essere abituata, e posso anche dire che esistono momenti che sanno renderlo più facile, come prendere un respiro nel pieno dell’aria salmastra. Adesso lo è, perché so vedere come nonostante tutto, in qualche modo, forse un posto per noi lo abbiamo saputo ritagliare. Anche se non era previsto da nessuna parte e, anzi, il mio fosse tranciato a metà ancor prima di poter esistere. «Mi offrirei di aiutarlo se non fosse che palesemente non è nelle mie corde» alzo appena le spalle invece, lasciando che scivoli piano, leggero, come uno scherzo ma anche qualcosa di reale quando in fondo, quando si è trattato di me, non ho pensato di organizzare niente di niente di particolare o complesso. Non m’importava farlo. Sposto di nuovo lo sguardo verso Morgan, anche se un po’ sottecchi, muovendo giusto parte del volto e le iridi contro di lui, anche nel trattenere ancora il sorriso contro le labbra. «Ma posso organizzarti una festa “da sballo” se per da sballo intendiamo con molto alcol, poche persone, e possibilmente in un luogo che sia chiuso» per ora, per ora è solo questo. Penso che in fondo, qualsiasi altra cosa ci sia da dire, sia da dire fra me e lui, perché non credo che sarebbe contento di sentire domane che si alzano e chiedono mille ne sei sicuro, di fronte a Morgan. Anche se tutto questo, può aspettare. Aspettare domani, o un giorno qualsiasi diverso da questo. E forse è stupido, me ne rendo conto, quasi un controsenso, ma è la ragione di quelle piccole, enormi cose, che succedono e devi afferrare finché esistono. Prendo un altro tiro, uno che fa quasi un suono quando scosto di nuovo il filtro dalla bocca muovendomi appena per spingere il fumo lateralmente. Muovo il bicchiere mettendomi più dritta in un gesto che rendo quel tanto teatrale, da mimare una solennità goffa. «Bene quindi, brindisi. Ai Çevik che dicono addio al sesso occasionale nel duemilaventuno» lo dico muovendo il bicchiere in avanti, aspettando che facciano lo stesso per farli cozzare, guardandoli negli occhi uno alla volta, per quelle usanze che sono semplicemente le usanze del bere. «Batti prima di bere o porta sfiga» io mi sto già muovendo per battere il fondo del bicchiere contro il tavolo, prima di portarlo alle labbra per prendere un sorso.
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    l sorriso, sulla faccia, mi si congela.
    Reazione del tutto spontanea che non riesco a camuffare troppo bene, penso, ma dissimulo perché nonostante tutto quello lo so ancora fare.
    La sensazione di melma fredda è invadente, non si può spostare, non si può trascinare via; resta per il tempo che deve restare e poi se ne va, di solito sono secondi, niente di che.
    Ovviamente a me non importa un cazzo che Joshua sia felice, che si sistemi, metta su famiglia. A me importa solo che la sua nuova situazione di imbarazzante “fama” non diventi un problema per me e per la mia famiglia.
    Il resto non m’interessa, e non m’interessa neanche di sensazioni istintive che mi genera. Sono cazzi miei cosa ne penso, di certo non voglio condividerli con lui, tanto che preferisco non condividerli proprio con nessuno.
    «Congratulazioni», dico con un cenno della testa. Faccio questo stupido brindisi del cazzo, li guardo entrambi anche se di sfuggita, sbatto il bicchiere sul tavolo e butto giù il whiskey. Mentre mi lascio andare indietro sul divano, sto già andando a ripescare la bottiglia per riempire il bicchiere ancora una volta, questa volta più generosamente.
    Mi allungo a prendere il pacchetto di sigarette dal tavolo basso.
    Ne sfilo una per appenderla alla labbra, l’accendino l’accende, tiro incavando le guance e sputo fuori sostituendola velocemente con un sorso del whiskey che mi tengo in mano.
    Divarico le gambe, spingo indietro la schiena facendola aderire al divano e allungo il braccio libero sopra allo schienale, giocando distrattamente con il filtro con i denti spostando la fila inferiore così che la sigaretta si muova per puntare in alto e poi in avanti di nuovo.
    «Fate una cosa in grande?» è una domanda che pongo con non-chalance, riprendendo controllo delle espressioni sulla mia faccia e ne simulo una più rilassata. «Ora che a quanto pare puoi iniziare a cagare soldi dal culo», ci aggiungo anche un mezzo sorriso che schizza da un lato del volto puntellandosi in un angolo.

     
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    Lo sappiamo, io e Morgan, che se siamo qui a fare questa cosa del "va tutto bene" è solo per Edie. O almeno, lo so io dopo che è stato a casa mia di nuovo, a caricarsi le spalle di altre stronzate che mi sono rimaste incastrate in gola. Dio se quella volta ci è mancato poco, pochissimo che Faust tornasse dai cazzo di inferi in cui lo isolo finché non devo muovermi in lui per forza e .. e per necessità. E quindi si, in parte mi sembra una stronzata stare qui a parlare di matrimonio con lei, quando quello che faccio di base non ha un cazzo a che fare con questa sorta di normalità a cui stiamo forzando.
    Mi devo costringere a pensare ad altro, anche se cazzo mi chiedo quanto sia andata oltre la mente di Edie, quanto sia annebbiata dalla gioia dei gemelli e le cazzo di endorfine per non vedere che a Morgan di sta cosa frega ancora meno che a me, e che ogni impulso lei gli stia dando sortisce un effetto solo dopo innumerevoli attimi di imbarazzante silenzio. Io non ce la faccio a non fissarmi su questo. Non che mi preoccupi la salute di Morgan, decisamente no, ma mi preoccupa come vivono. Che se questo è un giorno normale, non va bene. Può andare bene a lei, ma non a me e non a me che vada bene a lei. Dio mi sto fissando ancora. Però cazzo dai, davvero? Con uno così stai? Che cosa ti da davvero?
    Riesco solo a pensare che Edie appassirà, che qualcosa non è andato quando è tornato dall'Inferno e mi è stato evidente nel modo in cui rideva a casa mia, e no, per questo non so fidarmi. Mi fido meno di prima.
    «Visto che non mi hai lasciato organizzare la tua, come minimo ti devi rifare con la mia» lo dico, sì, ma non è che io davvero voglia pensare a festeggiare adesso, né dopo. Per me il matrimonio con Chrys sarà la conferma di qualcosa che è sempre esistito, un modo per celebrarlo anche come piacerebbe a lui perché, cazzo, quando è felice di rimando so esserlo io.
    Batto anche sul tavolo al secondo brindisi, ma cazzo davvero è difficile non fissarmi sui movimenti svogliati di Morgan. E no, non penso c'entri un cazzo la mia presenza nel suo salotto. Non mi piace per niente.
    E lo so, non è questo il momento di far notare ad Edie che qualcosa palesemente non va in lui, anche solo per farmi dire in faccia che magari è sempre stato così e lei lo ama perché è un grugnitore da divano seriale. Può essere, tutto può essere, pure che non siano cazzi miei. Ma lo sono, quindi magari più avanti ne parleremo se la cosa continua se finge una felicità che io non credo esista così a fondo, non con un uomo di cartapesta in fianco.
    Proprio a lui mi rivolgo. «Ci saranno più o meno un centinaio di invitati, metà di case discografiche.» Inizio con calma, lasciando che il bicchiere vuoto scivoli lungo il tavolino. «Ma sarà un matrimonio blindato. Niente cellulari, né foto, né localizzazione. » Con questo invece torno su Edie ed alzo le mani prima che mi fucili. «Lo so, lo so, magari a te lo concedo ma niente dovrà essere postato finché non decideremo con Chrys che la cosa può essere pubblica. Fino ad allora resta l'embrargo per gli invitati.» Perché la cosa non sfugga di mano a nessuno, me compreso. E non è una questione di mostrarsi bisessuale in pubblico o fare un cazzo di coming out che neppure dovrebbe servire adesso, ma è che non voglio gli rovinino l'esistenza, che lo tormentino perché io ho voluto una vita come questa. Non significa che debba ricadere di colpo su di lui se non è pronto. Non voglio che lo trovino, che lo seguano, che gli si appostino sotto casa perché chiedergli come cazzo sia possibile che qualche mese fa stessi con Lilian, ed ora mi sposi con lui.
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    Lo so che queste non sono cose facili, per quanto possano sembrarlo da fuori. Che in realtà, sono difficili, complesse, e spingono fra punti tesi che se ne stanno lì, come corde di una chitarra tirate troppo, ma che non si spezzano. Lascio che per un secondo gli occhi restino sul vuoto, sul nulla, anche nell’ostinarsi di un sorriso che se ne resta sempre lì, in ogni caso. Fermo, come un punto che non vuole saperne di cancellarsi. Anche se so cos’è che si spinge sotto, e so che ci sono crepe che non si saldano, ma diventano più profonde. Ho rinunciato a credere che sia diverso da com’è adesso, e onestamente, mi sta bene anche che sia semplicemente così: con denti stretti, vene tese, ma che sia pregno di una calma che anche se finta, non spinge tutto in un punto diverso, più duro. Seguo Morgan tornare a sedersi lanciandogli uno sguardo appena, uno che mi porta a dare quasi la nuca a Josh, e resta lì negli occhi insieme al pizzico delle labbra che non sussurrano, ma in qualche modo lo fanno nel soffio del mio sguardo. Torno su Josh dopo, prendendo un altro sorso di Vodka che brucia la gola in un modo che quasi avevo scordato, ma che nel corso di questo mese sì, ha tornato ad essere un’abitudine, anche se qualche volta continuo a lasciare la bocca pulita per poter allattare in un modo più organico senza che ci sia qualcosa di aspro che arriva alle labbra dei bambini. Ma è una costrizione diversa, più dolce anche quella. Un po’, stringo le labbra, lo faccio in realtà nel sentire numeri che si spingo nelle labbra di Josh, e mi fanno per un secondo alzare le sopracciglia. Sì, lo so ormai che questa è la sua vita, lo so che sono cose che funzionano così, ma è comunque strano, ed è comunque qualcosa che sa preoccuparmi quando ci sono cose, di lui, che nessuno dovrà scoprire mai. Quelle che potrebbero portarlo in un punto che è fatto di ferro, di cemento che contiene e non lascia scappare niente. Ma scosto anche questo pensiero, lo faccio mentre mi siedo di nuovo dov’ero prima, vicina a Morgan, allungano una mano in un gesticolare che a Josh indica l’altro divano, quello libero, in un invito silenzioso a sedersi anche lui. «Sì beh, meglio che mi prepari un lascia passare perché video e foto vanno fatte» lo soffio appena, leggera, lasciando andare un respiro mentre tiro su le gambe, per incrociarle una sull’altra dondolandomi appena nel processo. «E tranquillo che li terrò al sicuro che neanche dei diamanti, non li faccio vedere a nessuno promessa di scout» alzo tre dita come a dare enfasi a quello che dico, anche se un po’ sono seria. Penso che sì, voglio davvero conservare qualcosa che un ricordo del genere, lo trattiene nella realtà e non solo fra i pensieri, ma lo rende reale e concreto ancora ed ancora, anche nel passare degli anni. Prendo un altro sorso, prima di chinare la schiena in avanti per versarmi ancora altra vodka nel bicchiere, e rimettermi più dritta nella mia posizione. Una mano, quasi automaticamente, si sposta su una delle gambe di Morgan, anche se è un gesto che ha il suo intento, uno che resta in silenzio, ma che so può capire e conoscere quando fa parte di quelle piccole cose, di noi, che non hanno mai avuto bisogno di essere dette in alcun modo, e sono invece rimaste come punte di sensazioni sotto la pelle. Ma resto a guardare Josh, anche fra un sorso e l’altro, con la mano che ogni tanto si storce per poter afferrare la sigaretta che sbuca dalla stretta al bicchiere, e prendere un tiro che si allunga piano nell’aria. «Avete già pensato a qualcosa? È dicembre quindi, non lo so, scenari innevati da sogno» anche se ad essere onesta, io davvero non ne so niente di come si organizzano certe cose. So quel poco di legale che è letteralmente necessario, e poi basta. E so che si beve molto, almeno questo è quello che mi è parso di capire dall’unico matrimonio a cui sia mai stata, eccetto il mio. Io e Morgan penso che in merito al bere molto, non facciamo molto testo.
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    utta questa situazione è una merda, davvero. Davvero una merda.
    Per anni vivo una vita del cazzo, fuori dai radar, come un barbone, per mantenere un basso profilo e poi, mi trovo con mio cognato che diventa una fottuta superstar idolo di ragazzine dodicenni che impazziscono per… non so neanche individuare che cosa, sinceramente.
    Cristo.
    D’istinto muovo la mano con la sigaretta su quella di Edie, stando attento a non sfiorarla con il tizzone ardente. Lo so che cosa significa, il nostro linguaggio in codice silenzioso, e lo so. È questo che le dico con questo gesto, che sì, lo so.
    Resto a guardare Josh però, in tutto questo.
    Con il bicchiere che si avvicina di nuovo alle labbra per prenderne un sorso.
    Ho fatto un sacco di cose brutte nella mia vita, davvero. Ho ucciso, sono andato a puttane, ho giocato d’azzardo, mi sono drogato, bevuto, ho picchiato della gente solo perché mi mandava così. Sesso prima del matrimonio, con troppe donne. Sono proprio un peccatore. Però insomma, davvero mi meritavo una punizione del genere?
    L’inferno era meglio.
    Evidentemente sì.
    Evidentemente mi meritavo un cognato emo famoso per la sua musica emo. Imbarazzante. Penso che persino mio padre gli riderebbe in faccia, anche se poi gli piazzerebbe una pallottola nel cranio, probabilmente continuando a ridere. Poi mi prenderebbe a mazzate per aver sposato Edie, ma questi non sono dettagli utili alla storia.
    Interrompo il discorso mentre scosto la mano da Edie, allungandomi in avanti verso il tavolino per far cadere la cenere nel posacenere, «Ecco, mi sembra il momento adatto per dire che sono ricercato dai no-mag in sette stati per varie cose... roba leggera tipo violazione di sepolcro, rapine, incendio doloso. Però ho rapimento in Missouri, e in Virginia e Texas omicidio di primo grado ed evasione». Ne parlo con tranquillità perché non è un così grande problema, ma anche seriamente, perché nonostante tutto potrebbe diventarlo facilmente.
    Torno indietro fino allo schienale, «Meglio che la mia faccia non venga rimbalzata da nessuna parte» e prendo un tiro dalla sigaretta lasciandola a penzolare dalle labbra nello sbuffare il fumo attraverso le narici.

     
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    Per un attimo però torno a respirare, e cazzo se mi riesce, tanto che in fondo un po' mi faccio contagiare dal sorrido di Edie e lo replico anche io. E no, non c'entrano un cazzo le nostre vite e quanto di merda siano andate a lungo andare, marcite come cazzo di mele cadute troppo presto da un bellissimo albero del cazzo. No, io mi stampo un cazzo di sorriso perché Morgan è palesemente sbagliato in ogni mossa che fa e si, si questo un po' mi alza l'ego. Tanto che faccio fatica a concentrarmi sulle domande di Edie quando l'elenco degli stati in cui è ricercato si snocciola così davanti a me. Oh, non che dovesse tenere il "segreto" sappiamo bene come essere un Cacciatore sia al pari di un qualsiasi fuorilegge e che più anni hanno e più stronzate avranno fatto. Farsi beccare così tanto però penso sia veramente esilarante.
    Ovviamente io sorrido perché sono felice, no? Perché mi sposo. Certo. Tanto che non ricambio lo sguardo di Morgan, piuttosto mi fisso ancora un po' su Edie.
    «Tutti i permessi che vuoi..» anche perché penso sia impossibile impedirle di fare milioni di foto a qualcosa che non pensava sarebbe mai accaduto, non a me sicuramente. Però non mi siedo. Non posso restare.
    «Quanti film del cazzo hai visto senza di me, mh? Nessun paesaggio innevato..» anche perché stavamo pensando ad un cazzo di cimitero e di certo no, non è una cosa che posso spiegarle oggi anche perché in realtà non dovrei proprio spiegare niente in generale, credo lascerò a Chrys tutta questa parte fantastica della pianificazione.
    Io voglio solo che sia mio. E' l'unica cosa che mi spinge ad accettare certi compromessi, una cazzo di festa in fondo deve esserlo per entrambi. «.. stiamo valutando cose»
    Vago, resto davvero molto vago perché lo so, lo leggo nei respiri che manca e quelli che prende velocemente, che vorrebbe avessi ore per spiegarle tutto quello che non so ancora, per fantasticare e prendere mano con il terreno su cui poggerò i piedi da adesso in avanti. E' che io, per primo, non so farlo, ancora mi manca il fiato in certi momenti e poi no, non le farò queste cose con Morgan a gravare come un condor in disparte.
    Ma torniamo all'elenco di Morgan, al modo in cui adesso lo guardo e mi chiedo se capisca che non me ne frega un cazzo di questo. Si lo so, c'è tutta la faccenda del "sono-il-marito-di-tua-sorella" che si collega al fatto che dove va lei, vada lui. Ma no, non troverò un posto che gli sia congeniale per vedermelo nelle stesse condizioni di adesso quando, per abitudine, cercherò Edie. O quando gliela sfilerò da sotto il braccio per un ballo sposo-sorella a cui certo non rinuncerei mai.
    Io aspetto solo che finisca prima di lasciar spegnere automaticamente il mio sorriso e fingermi quel serio che basta a dare l'idea che ho davvero preso in considerazione i suoi problemi. Sicuro, è proprio all'ordine del giorno. Che già così dovrebbe capirlo da sé che non sta giocando niente a suo favore, meno che meno dirmi in quanti stati se lo vedessero con mia sorella finirebbero per rintracciare lei se servisse ad arrivare a lui. «Niente foto di famiglia per Morgan, ricevuto.» E me lo tengo tra le labbra con molta calma, in fondo, nuovamente, non è un problema mio. «E' un peccato per la Virginia e per il Texas, credo avrebbero accolto a braccia aperte un matrimonio di questo tipo.» Rido.
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    Non posso dire che non mi sarei aspettata che arrivasse questo momento. Che ad un certo punto, Morgan avrebbe semplicemente detto tutto questo. Se c’è una cosa che ho imparato di lui, dal primo momento in cui l’ho conosciuto, è che ci sono momenti in cui semplicemente si sposta, e scivola nelle cose a modo suo. E in fondo, queste sono cose importanti. In quel modo che preserva e nasconde, tiene tutto in un punto che non permette a niente di arrivare a prenderle e strapparle. Non m’importa di me in mezzo a tutto questo, di come potrebbe diventare la mia vita se una di queste cose saltasse fuori oltre quel mondo a sé stante di cui fa parte. Mi lascia tesa lo stesso. In un secondo che stringe appena i nervi, i muscoli, mentre trattengo un sorriso che si fa un po’ tremulo sulle labbra, e lo so perché. Lo so che è perché aspetto una reazione di mio fratello, una qualsiasi, di qualunque tipo. La aspetto senza neanche rendermene davvero conto, ma in un modo che resta sottile, e lascia una presa un po’ più densa contro Morgan per qualche istante. Sono, semplicemente, cose che sono complesse. Lo sono in un modo che si manifesta solo in momenti come questo, quando so che io ho avuto il tempo di capire, di comprendere, di conoscere in un modo diverso, lento anche quando ci sono stati salti e corse; un modo che mi ha permesso di guardare tutto, poco alla volta, scoprirlo secondo dopo secondo, e accettarlo in un modo che fosse mio, ed è diventato totale. È diverso da questo. Ed è diverso quando lo so, e lo so davvero, in un modo che è diventato nitido contro il mio continuare a sperare, che ci sia una voragine fra di loro. Una che non penso possa più essere stretta, ma solo allargarsi ed allargarsi ancora. Ma non so come leggere davvero quello che succede sul volto di Josh, né quello che gli esce dalle labbra, anche quando ho un respiro più profondo che si nasconde in un sorso ancora di vodka. Uno che va a fondo, e si fa un po’ più lungo degli altri. Lascio il bicchiere sul tavolino, per ricominciare a fumare, e so anche che il fatto che decide di non sedersi, significa qualcosa. Qualcosa che lascio lì, sempre lì da qualche parte, a volteggiare nella testa come una sospensione perpetua. «Beh, pare che non si siano mai presentati con i fucili alle mani ai primi matrimoni gay in Texas» è una cazzata di quelle che dico quando c’è tensione da spezzare, anche se forse la sento solo io. Anche se forse è davvero solo quello spettro che vive nella mia mente e qualche volta si agita per divorare tutto il resto, e spingersi ad esistere da solo. «Anche se nessuno ci avrebbe scommesso» ancora solo un’altra cazzata, spinta con leggerezza mentre alzo le spalle e prendo un altro tiro dalla sigaretta. «Ma comunque voglio assolutamente essere aggiornata su tutto»
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    Edited by usul; - 8/9/2021, 19:03
     
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    uesta conversazione è, penso, la più inutile a cui abbia mai partecipato in tutta la mia vita.
    E io ho un mal di testa che infernale sarebbe un aggettivo davvero riduttivo per definirlo. Diventare dipendente anche dagli antidolorifici potrebbe essere una buona scelta per me, o forse no, ma non m’importa.
    Anche perché onestamente, insieme all’alcool, mi fanno sentire piacevolmente intontito. Che è un bell’effetto quando hai tante cose per la testa a cui non vuoi pensare.
    Lancio un’occhiata a Edie un po’ di sottecchi.
    Mi sembra proprio che stia lanciando battute a caso perché si sente a disagio e comincio a pensare che magari è perché ci sono io, che vorrebbe dire a Joshua delle cose che di fronte a me non direbbe.
    Fa un sorso più lungo, uno di quelli che le servono sempre per annegare pensieri che diventano velocemente troppo insistenti.
    A dir la verità, da questa visione rapida d’insieme, da Edie e le facce da poker terribili di Joshua, tutta la sua falsità che lo fa sembrare un manichino che cerca di ottenere malamente un Oscar di plastica, posso ipotizzare che i rapporti tra di loro siano un po’ tesi. Nessuno, in questa stanza, sta dicendo quello che pensa davvero.
    Lo si sente nell’aria, il peso della farsa di cortesia.
    Ma forse sono soltanto i miei pregiudizi verso Joshua e non sono capace di vedere la situazione con oggettività. Anche se dovrei, visto il lavoro che faccio. Cioè, lo so che i rapporti sono “tesi”, ma non pensavo fino a questo punto.
    Inizia a diventare opprimente.
    Soffocante.
    Come quando io e Den ci siamo ribeccati dopo quella discussione al bunker, sul Sangue e sulla puttana del secolo.
    «Bene» dico, dal nulla, mentre mi alzo portandomi dietro il bicchiere di whiskey e tutta l’intenzione di andare dritto in bagno, all’armadietto delle medicine. «Beh, se volete io vi lascio soli così potete parlare di cose dolci tra fratelli emozionati», con un mezzo sorriso guardo prima Joshua e poi Edie, e continuo a guardarla, per capire se è questo ciò che devo fare o meno.

     
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