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    only JohJosh <3

    jackals
    influencer
    new york accent
    31 y.o.
    the empress
    diana gallows
    Non si scompone, mantiene quel personaggio che ha disegnato per una sera come quella, per metà della sua vita e forse di più quando quello che sa diventare meglio è una ragazza frivola dai capricci di bambina. Lascia il sorriso, il volto sereno anche quando si accostando quando in fondo sa vedere tutto con occhi che non si fanno mai opachi e riescono invece a far scintillare il mondo come un diamante grezzo che aspetta solo di essere modellato. Conosce già il suo nome, come conosce di quella città ogni cosa, dai segreti più sordidi alle mode più in voga per essere matassa stessa di quel tessuto senza perdersi mai. «Per nostra fortuna io invece sono un’ottima ballerina» è una voce soffice che scalfisce appena la superficie, è quella che si riserva a conoscenze incerte ed appena accennate senza tradire mai un punto o l’altro per essere invece soggetto di scrutino. «Diana Gallows» aggiunge con lo stesso tono che usa sempre quando dice quel nome, cresciuto fra le strade di asfalto e palazzi di vetro che si sono fatti alti ed immensi, e che sotto ancora nascondono ogni possibile marciume. È parte anche di quello, una fierezza velenosa di cui a stento ci si può render conto quando trabocca di tutto quel resto che mette lì per rimarcare solo la leggerezza che ci si aspetterebbe da lei. Lo segue nei suoi gesti liscia quando in fondo imbarazzo e vergogna non sono mai state parte della sua essenza, perfino quando ancora bambina non aveva modo di capire molto di quel mondo adulto e sottile fatto di troppi punti ammucchiati per poter essere compresi. Ha solo in parte mentito quando in fondo parlare di politica è l’assioma della sua vita, di quella politica tradotta in vicoli e possessioni, sancita con la violenza piuttosto che con voti e volti sorridenti. Ma esiste per tutto una seconda, terza e quarta faccia, un volto che se ne sta sul retro di ogni scena e nasconde tutto. È lì per annusare il sentiero, e in fondo lei ed Emma sono più di presenza che per gettare davvero reti che possano rafforzarle. Questioni delicate che non potrebbero comunque essere svolte lì, non ancora, non quando non conoscono abbastanza e mancano ancora le consapevolezze di punti morbidi in cui poter premere. «Sono sicuramente abituata a peggio» è una battuta, ma di quelle che dietro la gola, nel petto, sanno di realtà che premono con forza, ma mai evidenti per essere alla mercé di chiunque quando sono intimità consacrate a religioni virulente. «Com’è andata questa serata prima di essere incastrato con me?»
    ©
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    Tutto Astrea <3


    ravius
    ravius
    ravius
    ravius
    ravius
    lestrange
    «Incredibilmente, solo tramite matrimonio, almeno da parecchie generazioni» aveva il tono divertito che riservava sempre ai grandi schemi – o piuttosto minuscoli – delle antiche famiglie. Non che non ne comprendesse il senso, ma era nondimeno un vero diletto seguire certe vicende. Era piuttosto appassionato allo spazio di annunci matrimoniali della Gazzetta, che continuava ad essergli recapitata anche in terra straniera. «Mio zio, Rodolphus, ha sposato quel prezioso gioiello quale era Bellatrix Black» l’ironia, quella volta, era modulata perché fosse ben chiara nel tono della sua voce e nell’atteggiamento delle sue labbra, impunemente curvate verso l’altro – anche se nel modo modesto che ci si poteva aspettare da un uomo come lui ed in commenti simili. Padre aveva forse pensato che il matrimonio di suo fratello fosse stato sotto certi aspetti assai più conveniente del suo – del resto i Gaunt avevano da tempo immemore perso tutto eccetto il nome, perfino una linea di sangue diretta che avrebbe potuto salvarli dall’oblio. Eppure, nondimeno, era stato tronfio nel poter dichiarare natali così diretti a Salazar in persona. Nessuno di loro aveva fatto una fine orgogliosa, e neanche vagamente decente. Se ne compiaceva ogni giorno della sua vita, bastava il pensiero di padre a marcire ad Azkaban a tirarlo su di morale in qualsiasi momento della sua vita. «Devo ammettere che la mia famiglia ha sempre fatto i salti mortali per evitare incesti troppo sontuosi» del resto, sospettava fosse questo uno dei motivi per cui avevano scelto proprio Quincy per Raelyndra – cosa di cui sarebbe stato eternamente grato, perfino padre e madre erano capaci di prendere una decisione buona quando si sforzavano, ma ahimè, ciò non era stato infine sufficiente per nessuno dei due. «Come hai notato, non è cosa facile. Richiede un certo impegno, e parecchie notti insonni» le rivolse uno sguardo divertito prima di accarezzare per un attimo la pista con lo sguardo. Era lieto che la sua partner fosse stata, infine, Astrea – certo avrebbe avuto da ridire in molti casi, ma alla fine poteva dire di aver ancora una volta beffato il destino per uscire con una mano più che vincente. Avrebbe scarsamente sopportato la poca grazia, intelligenza e intuito di una partner, consapevole che in quel caso avrebbe dovuto ricorre a tutte le sue doti attoriali – deliberatamente sviluppate proprio per situazioni come quella. Tuttavia, nulla di tutto ciò si era rivelato necessario e quella che aveva quasi rischiato di diventare una serata quasi tragica, dopo quel piccolo quasi incidente – un connubio di parole che gradiva parecchio –, si era alla fine mutata in una piacevole danza con una donna con cui la chiacchiera veniva facile ed arguta. Quel piacevole intermezzo sulle divertenti disavventure delle consanguineità Inglesi era presto sostituito da un altro argomento che nondimeno stuzzicava tutta la sua attenzione. «Mi rubi le parole di bocca, Astrea» incredibilmente onesto anche in quello, del resto era stato proprio lui, adolescente, a ripetere ai suoi amici che avrebbero dovuto conoscere a fondo ciò che volevano combattere – o ciò da cui volevano difendersi –, e che l'ignoranza sarebbe stata sempre il primo strumento della paura e, peggio ancora, della sottomissione. Il fatto che probabilmente Astrea non avrebbe di certo condiviso con lui gli scopi che quella dialettica avevano promosso ai tempi, era una questione del tutto secondaria. «Ne abbiamo esempi calzanti in un periodo neanche troppo distante, ne porto la memoria come molti di noi» nonostante il riferimento ovvio alla guerra contro Voldemort, non aveva incupito né il suo sguardo né la sua espressione – era buonaeducazione non rendere truce il vivace scambio di battute che stava incorrendo fra loro due. «Per quanto mi riguarda, purtroppo sono destinato ad essere un uomo da biblioteca, o in gergo: topo. Ho dedicato la mia vita alla ricerca in Inghilterra, spero di trovare anche qui qualcosa che possa solleticare la mia curiosità ed attenzione. Di materiale, ne converrai, non ne manca affatto» del resto poteva di certo dire – non a lei, questo sarebbe stato fin troppo simile ad un suicidio, se non altro sociale – che l’America in fondo vantava un terreno assai più proficuo rispetto ai suoi campi d’interesse. Doveva pur esserci qualcosa in cui, in un certo modo, superasse la sua antica padrona – anche se forse i Ministeriali avrebbero detto che non era di certo un vanto, e lui avrebbe volentieri convenuto solo per non dare quel punto ad una terra tanto povera di intelletto e qualsivoglia classe. «Ma ti prego di ritenerti invitata nella piccola dimora che mi sono scavato, per assaggiare un po’ della vecchia ospitalità britannica» un invito esteso con onestà, non avrebbe mai smesso di dire quante poche erano le persone la cui compagnia, in quel mondo, avrebbe potuto dirsi davvero piacevole. Una rarità a cui si era ormai da mesi rassegnato. «Tu piuttosto, come procedono i tuoi progetti? »
    sacred
    Twenty-Eight
    ex-unspeakable corrupted british accent 41 y.o. the tower
  3. .
    CHE NEFFUNO MI TAGLI LA FTRADA
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    wolf wool pack ▪ ex-whyos ▪ 31 y.o. ▪ sheetvoicemusiclook
    mitja

    grimes
    lycan
    theta
    russian
    adopted
    «Guarda che ti spacco la faccia» lo dice con un sorriso, la sigaretta incastrata fra i denti mentre guarda Jesse e quella palla che ormi fa da basso alla conversazione, e fa vibrare i muri quasi allo stesso mondo. Per lui l’aria è già cambiata. Per lui hanno già risolto, perché ora che la parte cervellotica è da parte non resta che mettersi a fare le cose pratiche, ed in quello è capace. È sempre stato uno a cui serve avere un obiettivo preciso, ma mai venuto da lui (quelli sono un casino, sono quelli che lo mandano in panne, e forse è per questo che la sua vita sembra lo scarabocchio di un bambino di tre anni, ad esser buoni). Quella è la sua gente, e qualsiasi cosa possa accadere sente che sarà sempre così. Del resto, proprio loro, hanno passato il suo peggio, e se sono rimasti anche dopo quello è convinto che neanche lui possa farla così grossa da farsi mandare a faculo (non vuole provare a scoprirlo, però, il che è decisamente un bene). Ride ed agita la bottiglia in direzione di Lara al pensiero che lei possa far qualcosa per cui lui debba tenerla d’occhio, è uno di quei pensieri che riguardano sempre le sue convinzioni invalicabili su certe cose di quelle persone. Su Jesse, su Lara, su Noah, su tutti quanti. Poco importa, alla fine, qualsiasi cosa succeda. «Al massimo ti preparo un letto e facciamo cazzate insieme» le ammicca di nuovo, butta giù un altro sorso, e non dice altro perché lo conoscono entrambi e lo sanno che è solo uno dei suoi milioni di modi per dire che non deve preoccuparsi, Lara, qualsiasi cosa succeda sarà sempre dietro al suo culo, pronto a pararglielo o anche a raccattarlo se serve. Si alza solo dopo, ancora una volta, l’impossibilità a stare fermi che deve essere un pre-reqauisito Grimes, anche se Jesse è decisamente peggio di lui. Si schiaccia contro Lara, forzandosi nello spazio in quel modo fraterno che non è molto diverso da come prende Jesse a cazzotti, o ci prova (è un’anguilla, beccarlo è più difficile di quanto uno possa immaginare, lui e le sue gambette da atletica). «Giuro su quello che vuoi che se anche questa se la scopa Jesse io mi licenzio» fa solo finta di mormorarlo a Lara, ma lo dice di modo che anche Jesse possa sentirlo forte e chiaro. «Tienitelo nelle mutande, e lasciane un po’ per noi altri cazzoni» gli tira un fischio per sottolineare la cosa, anche se è un dato di fatto che Jesse acchiappi più del miele con le api. «Quindi ora abbiamo finito di fare i seri?» che è una cosa che decisamente non gli si addice.
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    jackals
    influencer
    new york accent
    31 y.o.
    the empress
    diana gallows
    Il suo non è un mondo che chiede, che concede, è un mondo di pretese come ferite aperte che possono solo continuare a sanguinare ancora ed ancora. Ne ha saggiato la lama da ogni direzione, come arma e come affondo che ha saputo an dare talmente in fondo da minacciare di annientare ogni cosa. È questo che le ha insegnato ad osservare prima di qualsiasi cosa, ad imparare a conoscere nell’intimo ogni terreno su cui si trova per sapere sempre come muoversi e reagire prima che qualcosa crolli irrimediabilmente in frantumi. Lo stesso vale per Dorian quando ogni equilibrio è sempre troppo precario, sempre imprevedibile capire cosa potrebbe romperlo e non lasciare altro che cocci che s’infilano violenti fin sotto lo strato più profondo del derma. Non prende la coca, se lo annota come annota il mutare della sua espressione che ci contorce su una parola che lei conosce bene, una che è sevizia e salvezza in un intreccio inscindibile. Famiglia. Forse per questo trova le sue stesse labbra a corrugarsi con solo la punta di una nota più sincera, una comprensione che per quanto superficiale affonda negli stessi miasmi bollenti. Quello che deve reggere sulle sue spalle è più di un impero, quando in fondo da quello stesso regno dipende una vita che potrebbe dire essere la sua quando la necessità di quell’esistenza è pilastro primo per la sua. Lo sa cosa ha fatto lei per la famiglia, ha ucciso la sua stessa madre a sangue freddo quando è diventata minaccia insidiata troppo a fondo come un veleno più pronto a distruggere dall’interno che ad essere sputato per diventare virulento contro ogni nemico. «Non te fidi, lo capisco» non si scompone, difficilmente lo fa se non quando mani estranee cercano di infilarsi negli anfratti più privati, quegli spazi di cui è guardiana e a cui non lascia accedere mai nulla che possa ancora reclamare anche solo un respiro. Sono poche le persone che possono dire di conoscerla, forse in fondo ne esistono solo due che sono ammesse agli altari delle sue verità, lì dove basterebbe un soffio a farla crollare come ammasso di carne ormai fatta di cenere, senza niente più a sostenerla in quel mondo che sa sempre e solo divorare ogni cosa e non dare clemenza mai. Sposta appena lo sguardo alle spalle di Dorian, nel punto in cui sente la porta bussare e concede l’ingresso ad uno dei ragazzi che porta i bicchieri che ha chiesto prima. Aspetta che li prema di fronte a loro, due penicillin per cui non ha chiesto a Dorian quando in fondo sono più uno sfondo che altro. Quando sono di nuovo soli torna a guardarlo prendendo un sorso breve, quando il palato è già anestetizzato dalla cocaina e le da quella sensazione formicolante sulla lingua. «Non te vuoi immischia’ con ‘sta roba, capisco anche questo» poggia di novo il bicchiere sulla scrivania, cercando un’altra sigaretta anche quando ha appena spento l’altra. Le necessità iniziano ad essere impulsi cesellati nella sua mente, eppure riesce ad essere perfettamente lucida quando quella è un’abitudine che le è cresciuta nelle ossa quando ancora giovane, non aveva ancora afferrato davvero la prigionia della sua stessa realtà. «Non te voglio obbliga’ a fa niente» accende la sigaretta chinando solo per un attimo il capo verso la fiamma, prima di tornare ancora con gli occhi su di lui. Prende un tiro guardandolo come se fosse un testo da interpretare, e in fondo si tratta di questo. C’è sempre cautela prima di salti che nel vuoto, per lei, non lo sono mai. Non possono esserlo, è un lusso di cui è priva da quando è nata, vittima dello stesso sangue che la nutre. «Non sto a cerca’ qualche altro sottoposto, se è questo che pensi. Non è una di quelle chiacchierate» un secondo sorso, un altro tiro che trascina a fondo nella gola. «Non c’avrebbe senso, sai perché? Perché se eri interessato te saresti fatto già avanti tu, e non sono lo zio Jack che va torno torno cercando di fottere la gente e pigliarsela per sé» piega appena la testa di lato. «Non c’ho interesse ad essere la stronza di questa storia. Me preoccupa solo che chi sta qua stia apposto» gli sorride ancora, la mano che aleggia sopra il posacenere, la punta della sigaretta grigia che avvizzisce e crolla di secondo in secondo.
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    jackals
    influencer
    new york accent
    31 y.o.
    the empress
    diana gallows
    Lo analizza in quel procedimento continuando a prendere tiri molli dalla sigaretta. L’Alchimia è qualcosa che conosce solo nell’esistenza, ma non è mai stata nelle sue corde. Sa solo quello che le serve sapere quando è la fuori e deve pensare a come renderla coesa con quello che sa fare lei. C’è sempre uno scopo per tutto, questo anche Dorian sembra averlo capito, ed è una cosa che sa non può essere insegnata. È istinto e il mondo si divide in due categorie: chi se ne rende conto e chi no. I secondi possono sempre e solo essere carcasse da sfruttare, carne da cui prendere e pretendere con il suono di un sussurro. Nessuno con cui valga scambiare più di un paio di parole giuste per piegare tutto al proprio volere. «Mai stata ‘na cosa per me, l’Alchimia» apre un altro cassetto, ne tira fuori una piccola scatola di metallo senza infamia e senza lodi, rettangolare e liscia non serve a niente se non a contenere. La preme sulla scrivania facendosi avanti, le parole e le domande del suo interlocutore che le si sfilano di fronte come pezzi di vetro rotti, come singole gocce di un temporale che le batte contro la finestra e chiede la sua attenzione, e lei gliela da. Ma conosce anche il mondo della scoperta che deve essere lenta, lacerante nella sua stessa essenza come un veleno che non deve mai mostrarsi prima del momento giusto. Apre la scatola, ne tira fuori il cucchiaio minuscolo con cui prende la cocaina che avvicina alla narice tirandola su con un gesto secco, prima di lasciar cadere di nuovo l’arnese lì e premerla più vicina a lui in un invito silente che può prendere come no, in un modo o nell’altro sono tutti sulla stessa lurida barca. La cosa curiosa di una famiglia come la sua è che anche al vertice ha lo stesso malessere di chi è sotto, ha solo più soldi per coprirlo, mascherarlo, ma spezza le viscere allo stesso modo, le contorce fino a renderle bile che si può solo sputare o ingoiare perché continui a corrodere tutto dall’interno. «E te prego chiamami Diana, non sono de certo una di quelle vecchie stronze che bada a certe stronzate» il rispetto è diverso da qualche parola imbellita come un gioiello messo sull’odio, il fastidio, o il semplice fregarsene di una cosa o una persona. Sa anche questo. Non ha bisogno di un titolo perché è nata senza e quello che ha se lo è preso con le unghie ed i denti, lo ha lacerato e masticato strappandolo da tutta la carne che le si è posta di fronte aspettandosi che se ne stesse solo buona. Ma buona non ha mai imparato ad esserlo, se non nella scena che mette in atto di tanto in tanto quando è quello che serve ad arrivare dove le serve. «Nessun reclamo» spegne la sigaretta, si preme in avanti fino a poggiare i gomiti sulla scrivania per guardarlo. «Ho saputo che c’hai avuto problemi poco tempo fa, quasi qua fuori» è un punto che le vibra nelle costole, e non può che essere così. «Questa è zona mia» c’è tutta la fierezza di cui è capace, uno sputo di sillabe che si scandisce sulla lingua come una droga che vibra nelle vene. «La gente non se può prende’ certe confidenze co’ sto posto. Co’ me» non lo sta chiarendo a lui, la sua è una dichiarazione perenne che fa al mondo. Non importa quante ossa deve spezzare perché diventi chiara, quante gole tagliare. «E quindi co’ te» torna indietro con la schiena, accavalla le gambe continuando a guardarlo con la testa che scatta di lato, un gesto che la porta ad analizzarlo meglio. «Te va di dirme che è successo?»
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  7. .
    sheetvoicelookmusic
    eså åkerlund
    dėlïshk - DIMENSIONAL TRAVELER - HALF-GENASI - CĘRILLIĀN - 24 y.o.
    He was warrior and mystic, ogre and saint, the fox and the innocent, chivalrous, ruthless, less than a god, more than a man
    Avevo visto così tante cose nella mia vita, a quel punto, eppure ancora non avevo del tutto forse perso la capacità di meravigliarmi. Un pezzo lo avevo perso a Neorosis, di più ancora quando Calien non ne aveva fatto ritorno se non come un corpo senza più nulla da dare; un po’ ne avevo perso quando avevo guardato quelle dune, le mie dune, deperite senza vita, senza una voce od un coro che si alzasse fra le distese che avevano cantato e cantato e raccontato ogni possibile storia come solo Al Sura sapeva fare. Iniziava ad essermi sempre più chiaro il concetto dell’essere perseguitati dal passato, una maledizione che mi sembrava essermi stata cucita addosso da quella donna a Peler, ormai anni prima, e che pareva ora mi seguisse come fosse la mia stessa ombra. Eppure, Cailen mi aveva sempre detto che dovevo ricordare palmo contro palmo. Mi ero chiesto spesso, in quei tempi, quali sarebbero potute essere le sue parole. Erano passati mesi, anni, eppure quel bruciore era rimasto uguale, così come lo era rimasto nei suoi occhi dopo Yean Edhil. Cosa mi avrebbe detto, allora? Riuscivo a sentire il suono delle sue parole, eppure il senso mi sfuggiva, come doveva sfuggire a quell’uomo di fronte a me, messo in un mondo di suoni cacofonici da cui acciuffare sensi per non esserne sommerso. John, mi sembrò quasi un nome stonato per lui, per quelle sillabe che avevo colto così distanti da quei suoni che invece componevano quel nome. All’epoca forse non me ne rendevo a pieno conto, o non con quell’insistenza massacrante che avrei scoperto poi, ma avevo bisogno di trovare, che quella ricerca che mandavo avanti da quando ero solo un bambino, d Idur e forse ancora da prima, quando con mia madre e mio padre saltavamo di mondo in mondo perché nessuno di noi ne aveva uno da poter chiamare casa, finisse. Avevo bisogno di avere un punto che dicesse che ero arrivato e forse, lì, avrei potuto cercar quello che di me sentivo di aver perso. Forse alla fine era stato questo a farmi avvicinare a quell’uomo che esattamente come me, sembrava smarrito in una città che troppo facilmente fagocitava i silenzi fino a cancellarli. Un Ulisse che vagava in acque incerte fatte di asfalto e cemento. Forse, alla fine, si trattava di qualcosa di così semplice dopo aver affrontato cose che in molti avrebbero detto essere semplicemente impossibili. Fame era qualcosa che avrei potuto risolvere, di più ancora comprendere. I soldi non erano mai stati un problema, per me, e forse era stata la consapevolezza di essere nato Principe di un mondo ormai morto a farmi crescere senza tenerne conto, o forse erano state le catene di Idur e quel nulla che mi era stato dato lì, mai abbastanza per placare le strette dello stomaco o l'arsure della gola. «Io li ho» continuavo ad usare i gesti, un metodo che mi sembrava assai più appropriato di ogni frase complessa che avessi mai utilizzato. Era anche quello un linguaggio, ed anche quello per questo terribilmente importante. In quel momento ancora di più, quando le nostre voci non avrebbero potuto essere comprese uno dall’altro. «Tu non preoccuparti» scandivo tutto, pezzo per pezzo, continuando con quella flemma lenta perché potesse comprendere la connessione fra le singole lettere. «Vieni, uso i soldi io» annuii per accertarmi che avesse capito prima di iniziare a muovermi, voltandomi perché fosse incitato a seguirmi. Conoscevo bene i ristoranti, i luoghi in cui mangiare, e avevo compreso come in quella città vi fosse una moltitudine complessa di culture e luoghi talmente diversi uno dall’altro da essere una cacofonia che manteneva la sua armonia. C’era un Indiano non lontano a cui ero stato spesso, e che gradivo per via di quei sapori speziati e più forti che mi avevano ricordato, seppur alla lontana, ciò che avevo mangiato su Al Sura. «Da dove vieni?» era stata un po’ più difficile da mimare, ma mi ci ero impegnato. Era importante anche che ci conoscessimo, almeno fino al punto in cui si sarebbe potuto fidare di seguirmi in una città di cui non comprendeva neanche la lingua. E volevo saperlo. Volevo sapere da dov’è che venisse, quale fosse la storia di un uomo che sembrava non aver niente, non conoscere la lingua, e che pure si era ritrovato a Central Park, in mezzo a tutti gli altri.
  8. .
    Emma, Magnus e JOSHY

    jackals
    influencer
    new york accent
    31 y.o.
    the empress
    diana gallows
    Svuota il bicchiere che ha in mano con un altro sorso che sfrutta per muovere lo sguardo, individuare ancora la posizione di nomi che potrebbero essere tacche o rogne sul passaggio, ma nulla che in fondo possa davvero spaventarla quando conosce quanto possono fare. Adesso i Jackals sono più forti, adesso non hanno rivali in una città che implora solo per essere messa in ginocchio al loro cospetto, a quello di suo fratello. Lascia scivolare il bicchiere vuoto sul bancone mentre lei vi si appoggia con l’atteggiamento che resta quello leggero, anche se i sensi si sono fatti più affinati ancora adesso che esiste un’incognita sulle loro teste. Non le piacciono, le incognite. Le piace però esplorarle, anche a suon di denti ed unghie se necessario, sviscerarle pezzo per pezzo così da conoscerle e non lasciare mai nulla al caso. Segue con gli occhi i movimenti di Magnus, le labbra ancora corrucciate in quel modo che resta fissità immobile eppure cangiante della sua espressione, attenta e focalizzata adesso su quello che si dispiega per loro fra le mani dell’uomo. «Questo è poco ma sicuro», la risposta ad Emma non lascia tracce sul suo volto, ma piega quel tono mentale perché possa essere l’eco di un sorriso che nonostante tutto è divertito. «Non penso, abbiamo decisamente superato quella fase» superata e sepolta, bruciata vita quando poi è arrivato Nate. La lealtà che prova verso la sua famiglia viene sempre prima di tutto quando anche le sue pretese lo sono nascoste e solo a metà, strappate in più punti così che anche nel prenderla possa ferirsi le sue stesse mani e sentire sempre quanto in questo siano sbagliate. Segue ancora i movimenti di Magnus quando arriva il turno del suo cocktail, che prende fra dita affusolate ed alza appena come un brindisi silenzioso. «Sembra delizioso» è sempre stata una donna che apprezza di più l’aspro, la crudeltà nuda di sapori che torcono la lingua e scavano a fondo, anche se quello non sarebbe stata la sua scelta può ammettere che se ne resta sulla stessa strada. «Seh, ho proprio bisogno di una bella botta» non ha bisogno di parafrasare quando sono solo lei ed Emma ed un contatto che non può essere intercettato. Prende un altro sorso dal secondo cocktail, seguendo distrattamente quella connessione che spingerà anche lei lontana dal bar, verso lidi diversi che hanno la possibilità di infilarla in una situazione che è pronta a sfruttare. Ma alla fine quella che si trova a scrutare è una figura che non rientra nei piani che potrebbero portare i Jackals al passo successivo, ma non ne è scontenta. Dopotutto, sono uscite per una serata che potesse essere meramente piacevole. Butta giù il secondo bicchiere per lasciarlo al bar, muovendosi verso Joshua Çevik senza esitazioni perché di quelle non ne conosce mai neanche l’ombra, nata di una consistenza che le ha inciso nella carne e nelle ossa ogni punto della sua esistenza come marchi a fuoco. Lo conosce di vista e di vicinanza, lo conosce di voci stampate che cercano sempre di strappare tutto via da chiunque, le stesse che monitora perché possono nascondere punti nevralgici che possono essere piegati o rotti, le stesse da cui è la prima a nascondersi quando certe cose non sono fatte per essere di tutti. «Sono sollevata» inizia, alzando la mano a da cui spunta il filo. «Ho avuto paura di finire incastrata con qualche borioso politico» gli sorride anche se qualsiasi carta le fosse capitata, quella sera, avrebbe trovato un modo di rigirarla fra le dita. È solo il caso ad aver scelto che invece fosse una pausa e non un dovere quel momento. «Ci conosciamo, più o meno, anche se non ci siamo mai presentati come si deve» New York è incredibilmente piccola quando quelli che frequenti sono certi ambienti, e lei li frequenta tutti.
    ©
  9. .
    Dorothea e Astrea <3


    ravius
    ravius
    ravius
    ravius
    ravius
    lestrange
    La verità era che gli ambienti che aveva sempre trovato più congeniali erano sempre stati quelli di una qualche sorta di ostentata ostilità, ma anche quello era un commento che poteva nascere e morire in qualche antro mai ben illuminato della sua mente. L’unica cosa per cui aveva a spazio Ravius, in quel momento, era un sorriso pacato che avrebbe potuto tradire solo la mutua comprensione di chi era passato dal vecchio mondo al nuovo, trovandosi sotto il naso quelle oscenità di cemento che non avevano nulla della solitudine degli antichi Manieri a cui era inevitabilmente abituato. «Chi sa, potrei decidere proprio di fare un ritiro in ambienti più naturali» anche se il terrore che l’essere rurale di certi luoghi implicasse anche una crescenza rozzezza nella gente era qualcosa di incredibilmente reale per lui. Trovava la schiettezza una maleducazione, l’essere diretti una volgarità, erano incredibilmente poche le speranze che riuscisse in qualche pur vaga misura a trovare ambienti che potessero essergli congeniali. Perfino la casa che aveva preso, lontana dal caos cittadino, aveva attorno a sé più terra di quanta ne avesse forse una comune abitazione americana che fosse diversa da un ranch o una fattoria – concetti che da soli bastavano a dargli gli incubi –, ma assai meno di quanto avrebbe mai potuto ritenere anche solamente opportuno. «Del resto non nego di provare una qual certa mancanza verso le care brughiere Inglesi» quella era forse la cosa più vera che avesse pronunciato dall’inizio di quella serata – forse addirittura di quella intera settimana. «E chi può dirlo, magari uno dei suoi dipinti potrebbe ispirare la mia prossima avventura» in un altro contesto quella sua uscita avrebbe forse fatto tremare qualcuno – dietro le porte chiuse del Ministero, ai vertici del suo ex-ufficio, sarebbe bastato forse di meno per mettersi in allarme. Ma era acqua passata, e dopo un cenno si era poi avviato con Astrea, prendendo posizione lasciando che tutta l’eredità della sua Nobile Casata fosse in piena mostra nel suo portamento. La sua attenzione venne volta tutta alla donna che aveva di fronte, per educazione e per reale diletto personale, una mistura che gli piaceva fosse sempre ben mischiata in ogni attimo della sua vita. «Astrea cara, è il pegno che deve pagare l’Alta Società» ed era anche, se avesse dovuto essere onesta – cosa che di rado, se non mai, accadeva –, la più grande arma che tutti loro avessero a loro disposizione. Era incredibilmente facile muoversi facendo sì che un occhio o due si chiudessero quando avevi qualcosa che poteva essere dato, e che pure tanto era voluto. «Sì, Cyrus frequentava allo stesso anno di mia sorella ed Ariadne, ed è nondimeno cugino di Quincy, da parte di madre» conosceva ovviamente a menadito quasi tutti gli intrecci delle Sacre 28, almeno i più recenti – e sicuramente quelli verso cui nutriva maggiore interesse. Nonostante non rientrasse nei suoi piani un matrimonio di lì a breve – almeno finché avesse avuto fiato in gola – era pur vero che era sempre utile monitorare i movimenti sociali, e ancor più vero esserne parte di tanto in tanto per stemperare ogni eventuale dubbio. E poi, sinceramente, lo trovava anche semplicemente divertente. I parenti acquisiti non mancavano mai, e sembravano diventare di anno in anno sempre più intricati e complessi. «Non ho sentito parlare molto bene del MACUSA quando ero ancora in Inghilterra, ma convengo nel dire che istruzione e ricerca dovrebbero essere i capisaldi di ogni civiltà e governo che si rispetti» Astrea non poteva neanche immaginare quanto ne fosse convinto, era uno dei segreti che erano iniziati anni prima, dietro la sicurezza di una stanza impenetrabile nel castello più sicuro dell’Inghilterra – probabilmente del mondo. «Ma potrei essere di parte visto il mio vecchio impiego al Ministero» il discorso non distraeva le sue movenze, che continuavano sicure lungo la pista, impeccabili come gli era stato insegnato che fossero – e come lui si era sempre premurato di mantenere.
    sacred
    Twenty-Eight
    ex-unspeakable corrupted british accent 41 y.o. the tower
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    Prendo un altro tiro dalla sigaretta. Peggio per me. Penso sia vero molto più di quanto lei lo può immaginare. Ora ci sono solo io, perché neanche Den è rimasto a lungo. È un peso che mi sembra appartenere solo a me e del resto mi conosco, lo so che non lo condividerei con nessuno. È mio. Questa è la mia vita di mezze bugie. E sono tutte lì, tutte quelle che sono esistite in quella casa e tutte quelle che si sono trascinate invece dal monolocale, da quell’altra casa poi nel bronx prima che servissero spazi in più perché stavamo crescendo. La mia nuova vita di mezze verità, perché tutte quelle più complete adesso sono da qualche parte, sepolte. Lo sapevo che sarebbe stato così, che se fosse morto lui tutto quello che sapeva di me, che era esistito di me, tutto quello che c’era di lui ed era esistito di lui e di ogni cosa che ha rincorso in questi anni, sarebbe diventata solo un’altra porta chiusa su segreti che non si possono dire a nessuno. La mia vita di mezze bugie, e mai niente di più. Aspetto che Tony arrivi con un altro bicchiere, seguendolo appena con gli occhi prima di tornare a guardare lei. «Se vuoi altro dillo, offre la casa» di certo le mie finanze ora non sono cambiate, quelle no. Aspetto che lui si allontani prima di prendere un sorso. Lo so che non ho ancora risposto alla sua domanda, ma avevo bisogno di questo. Lascio andare un respiro e alzo le spalle. «No» non ho pensato di cercare un altro posto, né voglio farlo. Voglio che i bambini crescano lì dove avevamo pensato insieme lo facessero. Voglio che di lui possa rimanere almeno questo, e tutte le cose che ha costruito e disseminato ovunque per loro. Anche se quella stanza mi sembra mi aggredisca e più spesso che no dormo nella stanza dei gemelli, in quella di Lizy, in salotto. Anche se lo so quante volte sono stata da sola in quello stesso letto, ma questo è diverso. Ho pensato a quando abbiamo lasciato il Kansas, dopo quello che era successo a mamma. Non mi sono mai chiesta come dovesse essere stato per mio padre, credo terribile. Alzo ancora le spalle, un po’ come a dire che non c’è niente da fare, le cose vanno così, questa è la vita. Io lo so, e lo sa anche Rexana, questa è la vita con i Cacciatori. «È casa mia e mi piace come l’abbiamo sistemata» prendo un altro tiro lasciando per un secondo gli occhi andare altrove. Tanto anche volendo scappare, non so quanto lontano dovrei correre per riuscirci, forse semplicemente troppo. «Sabato ci sono» aggiungo poi con un altro tiro. Non siamo qui per questo genere di cose, e io lo so che tutto quello che posso fare è andare avanti in qualche modo e non impantanarmi in questo fango per sempre. «Ci sarà un po’ di baccano, con i bambini e tutto, ma non è un problema»
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    Il Red Circle è il gioiello che se ne sta ad imperlare la sa corona. È sangue d ossa, è una rivalsa che sa di tempi che dimenticati non possono esserlo mai perché hanno bile che acida ha scavato la carne. Eppure adesso sono solo ombre che si stagliano verso quella vetta che vede immobile di fronte a sé, la sinuosa promessa di essere afferrata e strappata da tutto il resto così che possa essere finalmente conquistato tutto. Non sono solo luci, non sono rumori e presenze che si accalcano a ogni angolo per premere in faccia a tutti una supremazia che hanno sancito sempre con forza, grattando via tutto ciò che si è messo sulla loro strada perché fosse annichilito. Non è solo un edificio, come non lo è il casinò e niente di ciò che hanno fatto da quando Jhonny è morto e hanno dovuto reclamare e ribadire ancora ogni cosa. È una dichiarazione che non smette mai di fare, anche mentre si muove in quegli spazi che le appartengono ed ogni suo poro sembra dirlo senza un grido, perché non ha bisogno di alzare la voce quando tutti i suoi silenzi sono puntellati di certezza. È la sua terra, la sua casa, il suo diritto di nascita che è diventato di più. Per questo non le piace mai quando qualcuno, lì, alza gli occhi e pretende di strappare anche solo un centimetro dalle sue grinfie. Manhattan è roba sua, loro, non può essere toccata come se nulla fosse. Diana non sa essere una sovrana clemente, non quando è fatta di vendette e ripicche che conoscono sempre e solo la stessa lingua, non quando rispetto è una pretesa che se non concessa sa sempre come strappare. Non le piace di aver saputo che proprio lì vicino, a qualche passo da quella tana sicura, uno dei suoi è stato colpito. Non della famiglia, ma non meno qualcosa che la incarna, non meno qualcosa che diventa intoccabile fra le luci di quella città marcia. Muove i passi sicuri, la sigaretta incastrata in bocca, le mani libere e neanche una pistola dietro quando anche quella è una dichiarazione, perché lì nessuno possa pensare che ci sia anche solo la possibilità di avanzare qualcosa. Gli sarebbe alla gola ancor prima che possa sputare sulla sua reputazione così. Invece scivola sicura, gli occhi che tracciano sentieri e seguono facce, la sensazione del palato addormentato mentre la cocaina raggiunge virulenta il cervello e i suoi passi si fanno allora più affilati, attenti come lo è sempre tutto di lei perché la sua è una guardia che non si abbassa mai. Si ferma a pochi passi, gli occhi che scrutano immobili quello che le si dipana di fronte senza nessuna fretta, lei non ne ha nessuna. Gli sorride solo dopo, quando è chiaro che anche lui l’ha vista. Dorian. Sa che è questo il suo nome, e gli sorride lentamente facendo scattare la sigaretta alle labbra. «Guarda che casino che stai a fa’» ma non c’è il suono di rimprovero nella sua voce che resta invece soffice, alta abbastanza perché la possa sentire oltre il frastuono che rimbomba ovunque come una bestia selvaggia che non vuole saperne di essere domata. «Lascia sta’, ci pensa qualcun altro a ripulì» prende un altro tiro lasciando poi il fumo a scivolare via dalle labbra lentamente, gli occhi che ancora lo scrutano prima che faccia un cenno con la testa per attirare l’attenzione di qualcuno, così che possa avvicinarsi il prima possibile. «Vie’ co’ me tu» lo indica con la mano libera, prima di far volteggiare la sigaretta e muoversi ancora, lasciando detto che portino di sopra qualcosa da bere per entrambi. «È tutto apposto» glielo chiarifica mentre lei continua a muoversi verso l’ufficio, una zona che possa essere più calma, senza rumori che possano essere interruzione. «Certo non mi metto a fare un casino per un bicchiere del cazzo, te pare?» apre la porta aspettando che la imbocchi prima di seguirlo, andando a prendere la scatola con il kit prima di muoversi oltre la scrivania. La lascia cadere lì mentre si siede, premendo la schiena all’indietro e indicandogli l’altra poltrona con un cenno della testa. «Non so brava in queste cose, quindi devi fa’ da te» è più brava ad aprirle, le ferite, che a chiuderle. Più brava a lasciar sanguinare che a rimarginare.
    ©
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    Cose strane perché se no muoio parte 10000
    ▸ Nome PG: Iliya Strand (in Costruzione)
    ▸ Desc: Allora, lui proprio ancora nell'iperuranio. COME DETTO, naw devo fare il capo EDiT (sì è lui), che sarà comunque un PNG. Cose che per ora so:
    • È il Capo e Fondatore dell'EDiT
    • Si era a una certa preso una pausa per motivi x (c'era un altro Capo inomma)
    • È poco ma sicuro un Legale con le L maiuscolissima
    • Ha una qualche sorta di abilità che gli permette di vedere, di base, l'interezza del tempo
    • Niente, ora torna in questa epoca perché teoricamente lui sa che sta dimensione non dovrebbe sfanculare (visto che lui viene dal suo futuro) ma le cose stanno andando un attimo a fanculino e vuole capire WHAT IS HAPPENING
    ▸ Cerco: in realtà più che altro ve lo lancio per:
    • Avete sempre sognato che il vostro mascalzone Dimensionale/Temporale avesse qualcuno che gli rompesse le palle perché NON SI FAAAA? ECCOLO
    • Avete agenti dell?EDiT che non si comportano bene (sicuro non ne esistono che si comportano come dovrebbero) e volete una due tirata di orecchie? ECCOLO
    • No a parte le cazzate, ovviamente lui ora si metterà ad indagare un secondo su che mippa sta succedendo, QUINDI se volete appunto fare trame con uno dei tanti clandestini che avete io ve lo meno così, allegramente
    • ho una mezza idea di fare che fino a che non si è preso la cattedra al Brake, abbia fatto un po' di consulenze a Mafi & co. per roba sulla Corruzione, visto che ne sa abbastanzino (ma è perché è un Mago Bianco, certo, non perché ci è cresciuto in mezzo nono). QUINDI se avete gente in ambiti simili, anche qui ve lo meno
    ▸ Contattatemi: MP o Telegram


    Questa è più normale forse
    ▸ Nome PG: Ajay Alister (in Costruzione)
    ▸ Desc: Iniziamo con il dire che è nato il 2 Settembre 1989 ed ha quindi 34 anni. Lo avevo già spammato mille anni fa ma rieccoci, ora ho un po' più info e richieste. Allors, lui praticamente nasce e cresce in una Setta di Maghi Corrotti, sua mamma di base era una delle nenne di sto matto (classico capo setta). Viene corrotto molto, molto piccino, e va tutto bene (seh) finché di base il MAFI non interviene che lui ha circa 11. Molta gente muore, lui viene infilato nel sistema e messo sotto piscologi e psichiatri vari, finché non esprime il desiderio di essere purificato per cui viene mandato da degli esperti in un Templio dove resta ad addestrarsi finché non ha 18 anni e inizia a vagare il mondo e fare cose (visto che di base fra Setta e Templio sto ragazzo non ha mai visto na ceppa, di base). Finché appunto non viene contattato per prendere la Cattedra di Bianca e decide di tornare quindi in America, e quindi qui siamo
    ▸ Cerco:
    • gente che può esser stata nel sistema a New York (aka orfani) dal 2000 al 2002 (o insomma giù di lì che ancora non ho deciso tutte le date)
    • Se qualcuno mai volesse fare altri sopravvissuti della Setta, io non mi offendo
    • Maghi Bianchi con cui può aver avuto a che fare negli anni
    • Maghi in generale con cui può aver avuto a che fre negli anni (perlopiù fuori dagli States, ma va bene in realtà ovunque tranne il Texas, grazie, che lì preferiamo non rimetterci mai più piede)
    • Gente che conosce la storia della setta e tutte cose e che boh non lo so vuole studiarla, roba qualsiasi
    • Eventuali nuovi allievi (non per forza al Brake)
    • Quello che volete
    • Ho una mezza idea di fare che fino a che non si è preso la cattedra al Brake, abbia fatto un po' di consulenze a Mafi & co. per roba sulla Corruzione, visto che ne sa abbastanzino (ma è perché è un Mago Bianco, certo, non perché ci è cresciuto in mezzo nono). QUINDI se avete gente in ambiti simili, anche qui ve lo meno
    ▸ Contattatemi: MP o Telegram (@SellySte)
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    Ora come ora, vorrei solo concentrarmi su questa cosa. Anche se continua ad essere fottutamente strano, e non è che dopo posso andare a casa a suon non hai idea di cosa è successo oggi al Deuce. Quindi tanto vale lasciar perdere certe cose, certe sensazioni. Tanto vale lasciar perdere e continuare in una farsa o l’altra finché ad un certo punto non mi sembra abbastanza vera. Mi ripeto che almeno questa è una cosa buona, che da qualche parte anche io forse sto andando, anche se sembra tutto una bugia, e sembra anche tutto abbastanza inutile. Ma non lo è. Sto coltivando il mio posto come ho sempre fatto negli ultimi anni, adesso mi sembra solo più necessario. E non ho neanche davvero una bandiera da portare da qualche parte, ormai. Anche se forse questa è una cosa che dovrei risolvere, ma neanche io sono così stronza da mettermi a dire che, cazzo, dovremmo proprio capire che fare visto che non è rimasto niente. Penso che alla fine il punto sia un po’ quello, che non è rimasto niente. Ma non è vero, perché ora magari è così, ma poi i bambini saranno grandi e non c’è nessuno, adesso, che sta facendo qualcosa per loro. Forse sono ancora incazzata con tutto e tutti, anche se cerco di non esserlo perché anche quello che diavolo di senso potrà mai avere. Nessuno. Alla fine le annuisco, penso a quanto terribile debba essere anche per lei essere qui. In fondo io e Rexana non ci conosciamo, abbiamo in comunque che qualche mese fa una testa di cazzo ha deciso di farsi ammazzare, e adesso siamo qui a ballarci intorno così perché non c’è nient’altro da fare. «No certo, è solo nel caso sto qua e arriva qualcuno che ha bisogno di là» non lo dico che non è che ho tutta questa voglia di stare a casa, che cerco di farlo sempre poco, cerco di tenere sempre tutti fuori da lì il più possibile. Sono cose che non si dicono, e di certo non qui ed ora. Prendo un tiro dalla sigaretta, e a questo punto la guardo. Io, quella casa e questo posto, li brucerei volentieri e sono seria, ma poi no ovviamente perché è tutto qui. Però lo so cosa vuol dire volerne stare alla larga, e forse è anche arrivato il momento che mi tiri fuori la testa dal culo. Non è che posso continuare per sempre a fare Dio solo sa cosa, ad essere onesta non ne ho idea. «Sicura che ti sta bene, venire a casa?» non è il livello di confidenza che abbiamo, lo so, ma del resto non penso importi davvero. «A me sabato sta bene, però insomma... » alzo le spalle, prendo un altro sorso dal bicchiere e questa volta lo svuoto, alzandolo per richiamare l’attenzione di Tony, così che possa riempirmelo di nuovo. «È una situazione del cazzo» io ho avuto tempo per abituarmi a tutte le cose che si è lasciato dietro, e che io non ho toccato perché sono proprio quel tipo di donna patetica. Quindi lo chiedo, perché entrare in quella casa è come entrare in un santuario terribile di cui, però, non mi riesco comunque a disfare.
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    mitja

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    Inutile dire che il pensiero che tutta quella faccenda potesse essere qualcosa di losco a lui non è passato neanche per l’anticamera del cervello, e per quanto sarebbe facile incolpare la botta che già gli rende più pressanti i pensieri, sarebbe una cazzata. Il suo intuito non è mai stato fatto per cose su cui si deve ragionare, ma per quello che ha sotto mano o in cui si trova. «Wo, se c’è da annusare qualche cazzata non lasciatemi a starmene in panchina» quello lo aveva capito anche lui, anche se non era certo se fosse una situazione che, eventualmente, avrebbe richiesto le mani (che è, più o meno, tutto l’ingente contributo di cui è capace il grande, mitico, Mitja Grimes). La cosa è che di certo lui non è un Alpha, questo è poco ma sicuro, ma è invece di sicuro quel tipo di persona che ha invece l’istinto di proteggere e non gli piace l’idea di Jesse e Lara in qualche situazione che può diventare pericolosa. In quelle, vuole sempre esserci, perché sa che potrebbe spezzare le ossa a chiunque prova anche solo ad accostarsi, senza neanche pensarci sopra (ora, questo sì che è il suo forte). Scrolla appena le spalle, decide di buttar giù il resto della birra in un sorso e così, per enfatizzare, fa anche un secondo rutto girandosi verso Lara nel mentre, così da richiudere la bocca con un sorriso. La coca gli inizia a dire che vorrebbe muoversi, uscire, fare qualcosa, ma lo stomaco gli dice che invece è importare essere lì adesso, e non ha niente di cui lamentarsi. Sono sicuramente fra le sue persone preferite, Lara e Jesse, non che qualcuno lo abbia chiesto (e se lo facessero probabilmente riderebbe e darebbe pacche fin troppo forti sulla spalla del malcapitato, perché lui non è uno che certe cose le dice, sia mai). «E comunque» riprende rimettendosi su per accostarsi di nuovo alla coca, sfilarsi le chiavi dalla tasca e prenderne un mucchietto sulla punta accostandola alla destra e tirando su lasciando scattare per un secondo la testa indietro. «Tu non preoccuparti di queste hernya1» allunga la mano con ancora le chiavi verso Lara. «Quando era Alpha quel cazzaro lì eravamo io, lui e la sua squinzia del tempo» o una delle, con Jesse è sempre stato un po’ così, non che lui sia stato esattamente un santo. «E lo sai io come funziono, se mi dici cosa devo fare lo faccio, e poi penso che Jesse abbia una qualche sorta di pene magico quindi non conta» si gira per lanciare un ghigno a suo fratello, lasciando schioccare la lingua fra i denti. «E non ti serve sapere qualcosa che non siano insulti. Puoi imparare questo che ti servirà Otmudohat’» si allunga a prendere una seconda birra, la apre buttandone giù un sorso. «Che è fare il culo, capito?» un altro sorso. «Il che mi ricorda che anche quell’altro kozel2 potrebbe fare al caso nostro, Søren, presente no?»


    1 stronzate
    2 stronzo

    sempre la finezza
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    Pochino Cyrus, poi obv Quincy e Astrea <3
    In realtà anche un po' generalmente a chi è ancora nel gruppo, ma VABB

    ravius
    ravius
    ravius
    ravius
    ravius
    lestrange
    Non disse che piuttosto che ambientarsi alle abitudini Americane avrebbe volentieri affrontato Azkaban, la vergogna, e probabilmente anche un paio di baci di Dissennatore – non sarebbe stato a modo, in più non avrebbe di certo giovato alla sua immagine da entusiasta ospite della nazione. Tuttavia, sapeva che sarebbe rimasto saldamente ancorato ai modi della sua terra, e che niente gli avrebbe impedito di prendere il tè ogni pomeriggio alle quattro puntuali. Le abitudini erano dure a morire, ancor di più quando dietro vi era l’ostinata persistenza a trattenerle fino alla fine dei tempi. «Ne sono assolutamente convinto» sorrise lo stesso affabile, consapevole fin dentro le ossa di cos’è che veniva richiesto dalla sua persona – era in fondo abituato a certe occasioni, di più ancora a mascherare i suoi moti per rendersi sempre più conciliante di quanto in realtà non fosse. Che Ravius Lestrange fosse serrato come un baule impossibile d’aprire, era qualcosa che probabilmente la cerchia ristretta delle sue amicizie più vecchie, e più care, non aveva avuto alcuna difficoltà a comprendere, e al contrario probabilmente a loro era not la sottile durezza con cui i arpionava quegli antichi usi e costumi che non aveva abbandonato mai e che, al contrario, amava tanto replicare e coltivare, e che pure era piacevole ritrovare nel prossimo. Aveva lanciato solo una flebilissima occhiata in direzione di Ariadne, e di quel gesto che aveva mascherato qualcosa che sarebbe rimasto sopito fra le conoscenze delle loro intimità, così come quella che aveva rivolto a Quincy per quella sua uscita con la Principessa. Del resto, sapeva bene quanto al Rowle piacesse danzare sui confini del lecito – e talvolta della decenza – senza tuttavia superarli mai, ma solo stuzzicandoli per vedere quanto fossero saldi. Il cambio d’atmosfera aveva suggerito un evento imminente, uno a cui all’inizio aveva prestato poca attenzione perché fermamente oltre il suo campo d’interessi – la vita mondana era sempre stato qualcosa che avevano apprezzato più i suoi amici, sua sorella, che lui che aveva sempre preferito, al contrario, il conforto di compagnie più ristrette. «Quantomeno sconvolgente» lo lasciò scivolare all’indirizzo di Quincy prima di premere il bicchiere contro le labbra per seguire solo leggermente l’incedere di Ariadne che si separava da loro per raggiungere il misterioso compagno delle sue danze. Un’altra cosa che non avrebbe mai potuto gradire, ma che pure aveva assecondato perché il costume gli imponeva così. Ma quando abbassò lo sguardo per seguire l’invadente filo che lo collegava a qualcuno che avrebbe dovuto necessariamente sopportare per i prossimi minuti, sentì pure qualcosa scattare a qualche parte nello stomaco, ma che non ebbe mai spazio di mostrarsi sul suo volto. La battuta di Quincy era stata puntuale – non si sarebbe mai aspettato niente di meno da lui –, ma non abbastanza da stemperare la sensazione che minacciava quasi di distogliergli le labbra. «Abbastanza da far rivoltare Hypatia Lestrange nella tomba» gli disse di rimando, consapevole che l’unico che si sarebbe volentieri rivoltato nella tomba piuttosto che sottostare a quella cosa era lui. Non aveva neanche accarezzato l’idea di obbedire alla stretta di quel filo, era un Lestrange non si sarebbe di certo ricoperto di ridicolo e vergogna. Non accennò a muoversi, non esisteva forza in cielo o in terra che lo avrebbe fatto abbassare a tanto, e invece sorrise all’indirizzo di Astrea che si avvicinava al loro gruppo ormai ridotto da chi si era già avviato alle danze. «Astrea, è sempre un piacere vederti» un sorriso ancora rivolto alla donna, mentre allungava la mano lasciando che qualcuno si occupasse del suo bicchiere che anche se non ancora vuoto aveva iniziato ad essere per lui d’impiccio. «Permettimi di farne le veci» le allungò il braccio, volenteroso più che mai di lasciarsi quel piccolo incidente alle spalle, e di continuare con la sua serata senza rivoltare anni ed anni di attenta macchinazione alle ortiche solo per una stupida casualità. «Una donna come te non dovrebbe mai essere lasciata da sola durate delle danze» lo aggiunse con lo stesso tono leggero, voltando appena il capo verso il resto degli ospiti ancora presenti. «Con rammarico, mi trovo costretto ad accompagnare Miss. Tate al posto di chi mi era stato assegnato dal caso» c’era stata solo la più vaga punta di un sarcasmo leggero, non provava ovviamente nessun rammarico per la questione. «Spero comprendiate, con permesso» un gesto del capo leggero prima di muoversi con Astrea sotto braccio diretto ad una zona più idonea al ballo. «Come sta procedendo la serata? Credo di averti vista parlare con il forse futuro Vice-Presidente»
    sacred
    Twenty-Eight
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