Votes taken by .happysong.

  1. .
    Anna

    emeraude
    emeraude
    emeraude
    emeraude
    emeraude
    kabakov
    Si tratta pur sempre di lavoro, pensi, anche la tua presenza qui. Se non fosse per quella chiavetta che hai in tasca probabilmente saresti già a Putnam Valley. Nulla da togliere ad Anna. È pure difficile riuscire a pensare a qualcos'altro che non siano dei doveri, delle responsabilità. Come madre, come capofamiglia, come… "bibliotecaria"? È la parola giusta per descrivere un organismo come quello che cerchi di tenere in vita e di alimentare? In ogni caso, ci sono così tante cose che dipendono da te adesso, che finisci per dimenticarti come è semplicemente, sì, staccare la spina. Quegli spazi vuoti, che fino ad un paio di anni fa ancora resistevano, sono stati tutti sacrificati, riassegnati per cercare di non farti mancare in nulla. E come è che va a finire? Finisce che dove non c'è lavoro da fare rimane un ozio pericoloso, rimane quel senso di colpevole ed inaccettabile stanchezza. La stanchezza ti ha portato via già troppe cose. O forse non era quella, ma non puoi permettere che la distrazione ti conduca verso altri errori, come già ha fatto. E allora, nonostante tutto, neanche qui ti senti completamente a tuo agio. È pure difficile, pensi, ritrovarsi tra gente che non facciano parte della vostra stessa cerchia, gente assolutamente normale, ordinaria. A volte è come se viveste separati dal mondo reale, da questo tipo di mondo. Ma meriterebbe di levarci quel plurale, e la ragione è sempre la solita: Putnam Valley è nata per essere lontana. E Putnam Valley ormai è Emeraude, e viceversa, per cui è ancora più difficile pensare di non essere qualcosa di utile anche qui, anche adesso. Una deformazione sofferente, anche se sono passati solamente due anni da quell'ultimo capodanno spensierato. Due anni che paiono giorni, e gli stessi due anni che sembrano invece secoli.
    «Ti prego!» cerchi di farle cenno per evitare di mettere quei soldi sul bancone, abbastanza inutilmente «Allora grazie.»
    Non hai mai avuto un'estrema confidenza con Anna, ad essere onesti, ma è piacevole ritrovarsi negli occhi di qualcuno e riconoscerci il semplice riflesso di sé stessi piuttosto che quello del proprio ruolo, delle proprie storie, anche se è una veste che non ti togli mai di dosso.
    «Già, ho lasciato quattro bambini senza la loro mamma alla vigilia di Natale. Sono una madre pessima.» ed è un pensiero che in fondo ha una nota di onestà.
    Prendi il bicchiere dal bancone velocemente, prima di scansarti quanto basta a non farti investire dalla calca della gente che comincia ad affollarsi.
    «Quindi il regalo lo vuoi subito o aspettiamo prima di bere?» le chiedi avvicinando il bicchiere al suo per l'accenno di un brindisi.
    hunter
    head of kabakov
    mother reliquary paleographer 34 y.o. wyoming
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  2. .
    Cass e Rose <3




    metamorphomagus – 25 y.o. – supporter – brooklyn




    «Mh…» gli rispondo, ma solo perché sto finendo di tirare l'ultima boccata dalla sigaretta, e masticare l'ultimo fumo. Quello che papà mi ha sempre tenuto da parte nonostante "Il fondo fa schifo Vivi". Non lo so, forse perché è la parte peggiore a fare, in qualche modo, invece, che mi piaccia. Sicuramente sveglia. Anche perché credo di aver già iniziato a bere prima di arrivare qui, e quel "credo" si misura nel conteggio di sbadigli sopra la normale soglia di tollerabilità. Tutta roba che ho volutamente ricacciato indietro quando sono uscita di casa. Tanto lo so che domani mi aspetta la famiglia, e so già pure che non mi va, e forse per questo stasera sono qui invece che con mamma o con papà. Insolito, forse un ripiego proprio per sfuggire ad una vigilia a questo giro già abbastanza sofferente. Forse per Cass vale lo stesso, e allora, dopo tutto questo tempo, potremmo ache ritagliarcela l'occasione di conoscerci per le nostre povere scelte di vita.
    Non posso far finta, dal canto mio, di non sapere, o di dimenticarmi dove è che mi trovavo lo scorso Natale. È passato un anno, e fa un male allucinante, soprattutto perché in questo tempo ho imparato a, diciamo, "ritualizzare" ogni cosa, e poi, alla fine, ho deciso un tempo entro il quale continuare ad aspettare. Una sorta di paracadute, un modo per giustificarmi, tenermi buona. Oltre quello non ho più scuse, questo anno serviva per accettarlo. Però lo guardo adesso, tutto questo tempo, e purtroppo continuo a vederci una sconfitta. C'è più rassegnazione che consolazione. A questo punto penso anche che mi piacerebbe guarire dalla malinconia, perché comprendo come sia insensato voler rimanere aggrappata a qualcosa che fa male. Voglio riuscire a convincermi che ciò non significa anche dimenticare.
    Magari un giorno ne parlerò anche con Cass. Che poi non capisco secondo quale meccanismo due persone si conoscano e poi le cose così importanti rimangano taciute.
    «Menomale hai quello, sennò saresti seriamente brutto stasera.» gli rispondo mentre spengo sotto la scarpa il mozzicone di sigaretta che lascio sul marciapiede. Magari un giorno divento anche ambientalista.
    L'acquisto del secolo, sì, quel maglione. Avevo bevuto, anche se me lo ricordo perfettamente quell'ordine online fatto totalmente a cazzo. Solo che non ne ricordo la logica, per questo convengo che sia stato l'acquisto dell'alcol piuttosto che il mio. Sì, non che il mio di maglione sia altrettanto elegante. Devo ammettere di aver voluto, in un certo senso, ripagare Cass del mio stesso regalo, e non lasciarlo da solo a sfoggiare le mie discutibili scelte di stile.
    Sì, stasera preferisco il caos che una tavola e delle persone che faccio fatica a guardare negli occhi per… diciamo più di un motivo. Preferisco non dover far convenevoli formali con nessuno, preferisco non conoscere nessuno. O quasi, perché la chioma di Rose è abbastanza riconoscibile da tutti gli angoli del locale.
    «Vieni ti faccio diventare amico della barista. Ringraziami.»
    Riprendo Cass sotto braccio per avviarmi verso il bancone, e aspettare che si apra uno spiraglio per avvicinarmi.
    «Oi Rose! Buon Natale! Come te la passi?» le sventolo la mano di fronte al viso.
    «Ci dai due birre? Lui è Cass.»

    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

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  3. .
    CITAZIONE (.isabella. @ 17/12/2023, 13:30) 
    ◉◉◉◉

    Peskipiksi Pesternomi!!
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    Rivolto ad Annina (però andiamo a letto presto noi)

    emeraude
    emeraude
    emeraude
    emeraude
    emeraude
    kabakov
    Ti stringi nel cappotto mentre varchi la soglia del locale. Ormai le vibrazioni della caotica città ti sono entrate dentro, risuonano, fanno eco nelle ossa. Ci sono stati momenti in cui hai odiato l'idea di dover rimanere a Putnam Valley, momenti in cui ti stava stretta la solitudine, il silenzio di una casa tutt'altro che silenziosa, eppure completamente muta, superbamente offesa. Erano quei momenti, sì, quelli della solitudine, che hanno abitato per tanto tempo dentro le mura di Putnam Valley. E poi c'è invece un tempo come questo, dove casa è l'unico posto dove vorresti essere. Forse perché fuori è freddo, perché la giornata ti ha portata lontana dalla quiete della valle per più di un motivo e sei già stanca, forse perché è Natale, e per certe cose neanche quello è importante. Però hai fatto una promessa più a te stessa che ai tuoi figli, quella di non rincasare tardi, quella di trovarli ancora svegli, perché tanto stanotte difficilmente riusciranno a dormire, e a maggior ragione non lo faranno sapendo che non ci sei. Per la gioia di Elke. Le devi l'ennesimo favore. Non aspetti di trovare altro quando rincaserai. Non sei solita chiedere le destinazioni di chi sosta sotto il tuo tetto, però immagini quasi naturalmente che Kieran riprenderà la via di casa, quantomeno per il periodo festivo, insieme a suo figlio. Aspettarsi qualcosa e sperare inconsciamente qualcos'altro poi sono due cose differenti. C'è solo che forse l'età, forse una gabbia toracica più simile ad un'armatura portante, la poca flessibilità dei sentimenti, un bianco e nero fattosi troppo netti a causa delle delusioni, delle ferite profonde, ti toglie il coraggio di ammettere diverse cose. In primis che non sai più scommettere. L'incapacità di rischiare è ben nascosta dentro il puzzle di tutte quelle complicazioni, tutte quelle cose che vengono prima. È una cosa che fa parte della tua giovinezza, non tanto del tuo presente cicatrizzato.
    Anche con te stessa: dirti una cosa banale, che se la dici a te soltanto forse è innocua, perché sai anche come fare a controllarla, a renderla inoffensiva una volta che viene alla luce, che le dai una forma, un aspetto, un'età.
    Ti dici che pensarci troppo lo rende ulteriormente senza senso e stupido. Non te le puoi permettere le cose sciocche, e allora lo metti da una parte.
    Questa è soltanto l'ultima tappa della giornata.
    L'ambiente riscaldato, soprattutto dalla presenza vibrante, colorata, variopinta umana, ti prende al petto dopo pochi minuti che cerchi in mezzo alla gente il volto familiare di Anna. Non sei abituata più nemmeno alla calca, all'aria troppo pesante, ai rumori costanti troppo saturi, a questi colori di vita troppo accesi. Continui a rigirarti tra le dita, nella tasca della giacca, il piccolo oggetto metallico, fino a che, dopo qualche minuto, vedi spuntare Anna come un'onda, la stessa che nel ritirarsi ti spinge verso il bancone del bar.
    «Ehi!» provi a richiamare la sua attenzione nell'avvicinarti. «Buon Natale!»
    hunter
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  5. .


    Alastor
    crossroads crier – 600 y.o. – art dealer – english accent





    E
    quindi sei venuto qui a contare la gente che ti è fedele e a minacciare tutta l'altra di esserlo e basta. Oh, hai trovato quello giusto', perché ha trovato sicuramente quello più fedele di tutti.
    Non è uno stupido Alastor, ma pensa che neanche Sirthareth lo sia così tanto da credere di riuscire tanto facilmente a cogliere in fallo il traditore. Tutti sarebbero in grado di sfoderare la faccia migliore pur di proteggersi dalla rinomata e comprovata furia di Sirthareth, Luogotenente di Samenar stesso. Alastor compreso. Non è in promesse vane che si misura la sua credibilità.
    «E andrà ripulito, no? Immettere nuove anime allo sbaraglio mi sembra controproducente.»
    Non pensava che simili giudizi potessero uscire con tale nettezza dalla bocca di uno come Sirthareth. Condannare tutto il Calvario. È come riconoscere le fondamenta marcie della propria casa, e volerla mettere a ferro e fuoco, anche a costo di distruggere tutto. Ora la capisce la sua necessità, quella di esseri come lui di fronte a ciò che ti ha toccato solo parzialmente, lasciato non indifferente ma sicuramente non così colpito. Vuole raderlo al suolo. Sarebbe in grado di farlo. E radere al suolo il Calvario vuol dire eliminare ogni singolo Banditore che lo abita. Tutti, senza sconti, a costo di svuotarlo, ma mai in mano a ribelli. O tutto o niente.
    Si sporge sul tavolo. Poche parole. Dirette.
    «La schiavitù o il Vuoto?»
    Alastor ha ucciso una volta sola un altro Banditore, e da lì si era promesso che non lo avrebbe più rifatto allo stesso modo. Uccidere gli umani è diverso, perché è costretto a farlo lentamente, ad essere una causa così tanto remota e collaterale, da non essere alla fine nemmeno lui stesso ad ucciderli, ma la loro stessa volontà, il loro "sì" ad una promessa. Si uccidono loro stessi, da sé, lui è soltanto lo strumento con cui scelgono di farlo. Uno dei tanti, forse il peggiore, ma forse non è certo nemmeno di questo. Di sicuro non l'unico.
    Ma uccidere un Banditore è diverso. E non perché sia più difficile, non perché ci sia una sorta di legame morale o razziale che gli impedisce di sterminare, a cuor leggere, un suo simile. Non è la morte in sé la vera cifra dell'annientamento. È la violenza. No, non è nemmeno quella. È l'abominio. La violenza, per quanto inaudita, fuori dall'umano, fuori anche dal bestiale, di per sé non è abbastanza quando si tratta di un Banditore. Vorrebbe dire ucciderlo con la stessa essenza, con la stessa materia di cui è fatto. No, per uccidere un Banditore bisogna scegliere la blasfemia, la perversione. Quando Alastoreth decise di uccidere il suo padrone Alastor, scelse anche che non avrebbe ucciso di nuovo tanto semplicemente. Uccidere il proprio padrone poi, voleva dire diventare un eretico. No, la storia del più forte che si mangia il più debole, dell'allievo che supera il maestro, dello schiavo che rovescia il padrone ed è giustificato perché la sua forza lo giustifica, è in realtà una mezza falsità, e lo anche per i violenti, per una civiltà violenta come quella del Calvario. Esiste un'ordine, uno al quale neanche Sirthareth vuole rinunciare: un'eresia che non può tollerare. Alastor allora meritava il Vuoto; Alastoreth a volte tende a dimenticarselo, ma da sempre è un blasfemo. Anche uccidere ha un valore. Uno troppe volte incompreso, sottovalutato. Ma 'uccidere' è una parola sbagliata, fuori luogo. Non è corretta. Le anime dei Banditori sono già anime di uomini morti, uccisi dal tempo, dalle maledizioni, o da una spada, come nel caso di Alastor. Più di una spada. Nel caso di un Banditore, che è già un'anima morta, ciò che esiste è l'annientamento.



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  6. .


    Alastor
    crossroads crier – 600 y.o. – art dealer – english accent





    Certo che no.»
    Dispettoso. No. Testardo. Per una pura banalità, un vizio, un semplice vezzo tutto umano. Ci sta tutta l'umanità lì dentro, pensa Alastor, da parte di uno che uomo non è stato mai neanche per sbaglio. Eppure l'inamovibilità, l'irreprensibilità non è mai stata una caratteristica umana, ed è allora proprio lì che Azrael si tradisce. Nella banalità di una semplice fissazione per spezie e tè, ci stanno tutti i codici si può dire genetici della costruzione, da parte di un Emissario - o meglio di una creatura ultraterrena - del suo personale concetto di umanità. Ed è divertente da guardare, da leggere tra le righe, oltre il semplice dettato di una semplice tazza. Alastor lo guarda e sorride sornione sul bordo affilato della ceramica, come se avesse scoperto quel suo segreto, avesse aperto a sua insaputa il suo libro e, nel silenzio, gliela stesse spiattellando in faccia questa trionfale vittoria. Allunga le gambe sotto il tavolo, diagonalmente per non scontrarsi con quelle dell'Emissario che ha acconsentito - senza troppa fatica a questo giro - a sedersi davanti. Ormai lo dava scontato: funziona così quando smettono di fare le bizze e punzecchiarsi a vicenda. Da sempre, più o meno. E quel più o meno sta nell'intervallo di tempo che va da un imprecisato punto malamente circoscrivibile al generico XIX secolo, fino ad un punto altrettanto imprecisato teso, anche solo potenzialmente, all'eternità. Ma si sa, la guerra è guerra, anche per chi decide di non voler imbracciare veramente delle armi e scendere sul campo di battaglia. Oh, ad Alastor in realtà non va proprio, solo che è meglio non dirlo ad alta voce. Meglio farlo piano, sussurrando, di fronte ad una tazza di Long Island, con qualcuno che ha la sua stessa voglia di rimanere neutrale, o almeno indisturbato. Ecco.
    Che poi sia stato Alastor a questa sorta di scelta obbligata è un altro discorso. Ognuno ha semplicemente fatto il suo dovere, chi meglio e chi peggio. È così che va la vita.
    «La guerra...» enfatizza «... è l'ultimo dei problemi».
    Lo è per i Banditori almeno. Ai Banditori non importa poi molto adesso degli Emissari. Non che non ci pensino, no, sono sempre gente da cui guardarsi, nemici naturali del fronte opposto contro cui va sempre tenuta la guardia alta e le armi cariche puntate. Solo che i problemi istituzionali premono di più, e casa sporca non piace.
    «Perché prima bisogna pensare a rimettere insieme l'esercito
    E il loro è un casino, obiettivamente. Non torna nel Calvario da parecchio tempo, Alastor, ma le notizie arrivano, sì, ed è un casino. Farà più paura l'ecatombe e la purga della guerra stessa.
    «E poi che ne sai, magari gli farà bene ai nostri cari papà starsene un po' insieme, costretti a farsi quattro chiacchiere.»
    E questa è detta tanto per dire, una stupidaggine che intervalla le serietà. È più probabile che si annientino a vicenda, anche se, immagina, non sarebbe un bene neanche loro in quanto figli e creature da essi generate.
    La domanda lo coglie però un attimo in fallo. Abbassa la tazza, senza prendere alcun sorso.
    «A prenderti?»
    Forse per il tono, forse perché la domanda suona inaspettata. Fragile? Di fronte a lui? Sembra strano, disorientante, quantomeno. È preoccupazione la sua? E gli sta chiedendo cosa? Conforto? Non è abituato a questo.
    «Vorrebbe dire che siete messi male, ma parecchio male. Buono a sapersi.» gli dice per rompere il silenzio dei pensieri, portando di nuovo la tazza alle labbra pur di non mostrare tentennamenti.
    «Potresti, che ne so… fargli un balletto e intonargli un "no, grazie"? Altrimenti vai e porgi i miei saluti.»
    Scopre che non sa bene come rispondere alla sua domanda, se non cominciando a sentirsi scomodo sulla poltrona.
    Beve ancora, l'alcol brucia la gola, e lo costringe per un attimo al silenzio, al fare i conti con la domanda in sé, che rimane comunque lì, senza che gli abbia ancora dato una risposta. E allora ad essa non può che rispondere con un'altra domanda.
    «Non vorresti tornare tra le tue schiere, nelle grazie dei tuoi superiori?»
    In fondo, sta servendo il "tè" proprio a quello che lo ha costretto invece alla Terra e all'esilio.



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    Alastor
    crossroads crier – 600 y.o. – art dealer – english accent





    A volte - ma anche senza giustificarsi, non serve veramente - Alastor finisce per dimenticarsi da che parte della barricata si trova. Più realisticamente, Alastor dimentica proprio dell'esistenza di una barricata, di due fazioni in guerra, una guerra millenaria, cosmica, universale, non uno screzio, una cosuccia da niente, tra due fratelli che litigano per la stessa eredità senza aver imparato nulla da quel memento mori connaturato nella psiche e nella carne umana stessa.
    O almeno, Alastor lo dimentica quando si trova con Azrael, perché invece con tutti gli altri Emissari lo fa eccome, oh sì. Non esiste Emissario che non gli susciti un profondo senso di odio e di naturale - sì, in questo caso sì - istinto quasi omicida. Più in alto sono nelle gerarchie, con la loro coscienza e autoconsapevolezza di creature millenarie, e più lo fanno desiderare ardentemente che Samenar faccia il suo ritorno con suo fratello come trofeo solo per sterminarli tutti quanti e cancellare dall'universo la loro saccenza e ipocrisia. Anche se poi ci sono i casi come quello di Azrael. Non è un caso che sia stato bandito: non ha niente dell'Emissario canonicamente definito, insomma, ortodosso. Non ha nemmeno un vero modo per definirlo, Alastor, pur di aggirare la contraddizione. Ha senso farlo, dopotutto? Dovrebbe, considerato che anche il suo si potrebbe considerare un tradimento. "Ma non sto tradendo nessuno, signori, avanti", direbbe, e non sarebbe una completa falsità: non sta semplicemente da nessuna parte, Alastor, quando si tratta di sè stesso, e ormai Azrael fa parte di una serie di vizi "umani" dei quali difficilmente si sente in grado di separarsi.
    «Che brava.» gli mostra un sorriso con i denti, gongolando sui suoi stessi piedi, prima di scivolare, ondeggiando di nuovo con passo disequilibrato, verso i tavolini della stanza alle sue spalle. Si concede persino di indugiare nella scelta, ma alla fine si sente a suo agio, perfettamente incorniciato, solo in un angolo senza finestre, con lo schienale della seggiola intarsiata, nell'angolo forte tra una parete e l'altra.
    Si butta pesantemente sulla sedia, e azzarda... no, appunto, nessuno è veramente attento a quel poco che gli succede intorno. Si sfila per un istante gli occhiali scuri. A volte non si preoccupa nemmeno di mascherare la sua presenza estranea, parassitaria, dentro il tramite di Victor Callaway: occhi gialli disumani che saettano, lucidano la patina scura della nebbia sulfurea del Calvario. Dura poco, tuttavia: il tempo si passarsi una mano tra le sopracciglia, tirando appena le nuove rughe, e rinforcare le lenti.
    Osserva Azrael fare ritorno e servirgli il té con tutti i crismi del caso che gli si addicono. E poi, come volevasi dimostrare, portata la tazza con garbo alle labbra, ha un sapore troppo familiare per appartenere a qualche sconosciuto ed esotico tè psichedelico da vertigini e orologi che si sciolgono.
    Mastica una mezza lamentela.
    «Perché sei così intrattabile?» e rituffa il naso dentro la tazza, sebbene l'alcol, nonostante gli anni, ancora faccia una certa fatica - assolutamente negata - a digerirsi. Si passa un sorso tra i denti e le gengive prima di buttarlo giù: non esattamente il modo più cortese per degustare del té-non té. Forse un po' a sprezzo, o per puro divertimento cocciuto, forse pure soltanto per una questione di stile, di personaggio, ecco.
    Batte il palmo della mano appena sul tavolo, un paio di volte: un cenno per chiedergli di restare e sedersi al tavolo. Si guarda per un istante attorno, ma no, di nuovo, a nessuno interessa veramente quel nulla che sta succedendo tra quelle quattro mura assolate e "minimal rococò".
    «Allora.» Prende giusto un altro sorso per bruciarsi un altro po' la gola.
    «Ultime novità dal fronte? Come stanno i cuginetti?»



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  8. .
    emeraude
    emeraude
    emeraude
    emeraude
    emeraude
    kabakov
    Fai un passo fuori dalla barriera. Al tuo passaggio è come se l'aria, attorno alla tua intera sagoma, ondeggiasse un po' e propagasse poi una leggera ombra nello spazio invisibile della materia. Sono giovani, anche se non così tanto rispetto a te, almeno. È che a volte ti sembra di aver vissuto una vita intera tutta insieme, nell'arco di pochissimi anni, e allora anche il tuo occhio finisce per addolcirsi e guardarli come se fossero figli, altri figli. Una vocazione, è veramente tale la tua, indipendentemente dai lutti, le tragedie e le benedizioni della vita.
    Però anche quello che hai ammazzato era un ragazzo, forse non troppo più grande di loro. Un ragazzo crudele, uno che non sapevi se saresti stata in grado di perdonare per ciò che aveva fatto, per ciò che era per sua natura e per sua scelta. Non lo saprai mai adesso.
    Una contraddizione, il volto oscuro della tua stessa natura.
    Allunghi una mano verso il ragazzo, forse il più giovane - non è così immediato stabilirlo - e non lo fai senza un calcolo preciso. Tutto, ahimè, adesso viene sottoposto ad un calcolo, nonostante siano soltanto dei ragazzi, così giovani e già così stanchi. Anche se non esiste una realtà diversa per voi cacciatori, che siate giovani o meno.
    Perché hai notato qualcosa di familiare, e perciò di sospetto, considerato quanto tempo è servito a te per fare in modo che Veronica "sanasse" la sua mutilazione.
    Una contraddizione. Una mano che si stringe e allo stesso tempo si ritira perché è stata bruciata una volta da un ragazzino, che tuttavia si è preso e portato via tutto.
    «Mesi?» chiedi guardando l'altro. «Da dove venite? Di che zone siete?»
    Perché si ribadisce con più forza il pensiero che hai appena formulato: che due cacciatori così giovani non dovrebbero cacciare da soli, o almeno dovrebbero avercelo un posto a cui fare ritorno, se i propri, almeno, non sono stati decimati o, peggio, sterminati. In quel caso quanto ancora potranno viaggiare prima di fermarsi esausti, stremati? Quanto potranno vagare senza una meta? O peggio, quando sarà il momento in cui incontreranno la fatalità? Troppo giovani per essere da soli, troppo per cacciare senza un maestro.
    hunter
    head of kabakov
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  9. .
    emeraude
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    emeraude
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    emeraude
    kabakov
    Non sono così larghi gli spazi fuori da Putnam Valley, dalla casa almeno, anche se una volta di barriere non ce ne erano proprio e lo spazio esisteva e basta, fin dove c'era bisogno che si estendesse, senza la necessità di fare i conti con dei limiti più definiti. Semplicemente perché non c'era nessuno a contestarli, e perché a Putnam Valley, alla fine, c'era soltanto lei stessa, solo Putnam Valley e la casa, e i cacciatori che chiamavano, chiedevano, restavano per una singola notte, per settimane oppure per quella che doveva sembrare una vita intera; e all'inizio lo sembrava sul serio. Una volta le cose erano più semplici: non finirai mai di ribadirlo a te stessa ogni qual volta trovi che il gioco sia cambiato, le regole siano diventate più ferree, la libertà di improvvisare quasi del tutto eliminata. Ma pensarci, ragionarci su senza un vero scopo, porta via tempo, un tempo che, a dire il vero, apprezzi sempre di più di vedere occupato in qualche cosa che non siano semplicemente i bambini e i doveri di una casa che ormai hai imparato ad adempiere da sola, anche se ciò non va di pari passo con un impossibile allungarsi delle ore del giorno stesso. Non importa, è così che funziona e deve funzionare, e grazie al cielo è arrivato qualcuno a ricordarti cos'è che hai sempre saputo fare meglio, dopo gli anni passati ad addestrarsi con Nestor, dopo l'incidente e Putnam Valley, dopo che la caccia sembrava essere finita per te. Ti ricorda un merito, uno che hai imparato a tenere buono come faro nei momenti peggiori di insensatezza e inutilità.
    Putnam Valley è un posto sacro. È diventata la tua colonna vertebrale, le sue pareti le tue costole. Dentro ci sta un cacciatore, una madre, l'erudizione, uno che si spera sapiente abbastanza, una cicatrice, un futuro incerto, una candela accesa.
    Putnam Valley, ti sei ricordata, serve anche a questo, è nato per essere un rifugio, un tetto sopra il tetto di chi viaggia, di chi cerca consiglio, di chi cerca soccorso o anche solo una fugace tregua, e la tua paura può averlo reso più saggio, accorto, ma non più diffidente. Non può dimenticarsi per cosa è nato, indipendentemente dai Foulger, da Anson: Putnam Valley è semplicemente una casa con quattro mura senza di te.
    Il vento novembrino ogni tanto smuove l'erba e le fronde degli alberi senza infreddolirle ancora abbastanza. Non si può dire la stessa cosa per te, che sciogli le braccia tenute strette al petto solo quando, al limite della barriera invisibile scorgi le loro sagome.
    «Ho parlato con voi due?» chiedi loro prima di fermare il passo dentro la barriera.
    Li guardi. Sono giovani, ma è soprattutto a persone così che serve. È difficile che un cacciatore molto giovani viaggi da solo, o almeno senza qualcuno più esperto di lui nella Caccia. È difficile, sconsigliato, pericoloso, ma succede, succede troppo spesso per i membri delle piccole famiglie purtroppo, ad un certo punto, decimate.
    «Siete gli Hollow.»
    Anche se non sembrano fratelli, ma questo non conta niente, per così tanti motivi inutili da elencare. La stessa consanguineità non è un fatto così scontato nella famiglia Foulger.
    «Sono Emeraude.»
    hunter
    head of kabakov
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  10. .


    Alastor
    crossroads crier – 600 y.o. – art dealer – english accent





    Alastor sa di aver fatto centro. Ci riesce sempre, e gli genera ogni volta una forma tutta sua e particolare di soddisfazione, che gli tiene appesi gli angoli della bocca sotto gli zigomi in un sorriso grattato che alla lunga diventa come una maschera, una boccaccia dipinta come da un bambino inquieto. È un gioco che va avanti da secoli, e che, tuttavia, si è fatto via via meno cattivo, meno realmente dannoso. La prima volta uno scherzo del genere è costato caro ad Azrael, veramente caro. "Non si sarebbe dovuto fatto mettere nel sacco in quella maniera" è la giustificazione che si dà Alastor quando non ci vuole pensare più di tanto. Forse - anzi, no, sicuramente - la riprova della superiorità della sua razza, o, quantomeno, il difetto di quella nata da Aaos. Anche se non è mai certo di cosa pensa Azrael quando riesce a bruciargli le parole e costringerlo al silenzio. Non è certo che, così come gli umani, dietro la sua lingua che incespica ci sia veramente un groviglio di pensieri appena ingarbugliati da una mossa imprevedibile. Possono davvero lasciarsi prendere alla sprovvista creature come Azrael? Deve pur tenerne di conto, Alastor, che Azrael cammina su questo suolo da decisamente molto più tempo di lui. Forse allora si tratta di una farsa, di un personaggio costruito ad arte, o semplicemente di non voler ingaggiare più di così una battaglia.
    «Sì, ne ho avute anche io di muse. Credici ancora a questa storiella.»
    Non si tratta poi, in fondo, di semplice dispetto. Una verità c'è eccome.
    Funzionava così, del resto: si trovava una musa, una vera, una bellezza rara, incarnata, o anche soltanto una forma, una fattezza da ricalcare e poi perfezionare, portare alla massima rifinitura, lucidatura. Poi era quasi sempre inevitabile che succedesse qualcos'altro con la modella, e non c'era mai da preoccuparsi in fondo: non erano certo gran signorie, per quelle c'erano solamente i ritratti cortesi ufficiali. Ma per uno scultore anche una Allegoria o una Virtù poteva avere il volto di una meretrice, qui risiedeva il grande fascino: una donna da niente immortalata per l'eternità da guardare, e riguardare, e pensarla incorruttibile, sì, immortale. È una delle beffe del mondo, gli ultimi saranno i primi, forse non nel regno dei cieli, ma in quello della memoria imperitura sì.
    «Non per "l'amor di Aaos", decisamente no.» continua a ridacchiare, mescolando all'espressione anche una nota di disgusto rivolta verso il dio nemico.
    Ma dura poco, basta che lo si ignori. E allora passa qualche secondo che Azrael ostenta seriamente di volerlo ignorare, e Alastor se ne risente, e comincia a ricordarsi quello per cui è venuto. Un puro pretesto, se si vuole, uno dei tanti.
    «Allora?»
    Ma niente, non trova risposta.
    Gira il bancone, non gli va bene che gli dia le spalle, né tantomeno che continui ad ignorarlo.
    «Oi, scintilla
    Schiocca le dita di fronte al suo viso, benché sappia quanto sia fastidioso.
    «E dammi questo cos-» gli strappa poi lo straccio di mano, appallottolandolo e gettandolo dall'altro lato del bancone.
    «Ti avevo fatto una richiesta. Ce l'hai oppure no?»



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    ORACLE OF RA 30 y.o TESS BISHOP HAKKA voice look aesthetic song
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    i don't belong in the world, that's what it is. something separates me from other people.
    Sono notti che non dormo come si deve. Ma, beh, adesso ha un certo senso. Capisco Rex, comincio a capirla meglio di quanto non abbia mai fatto, almeno da questo punto di vista. Non pensavo sarei stata in grado, perché sono tante le cose a cui pensi prima che arrivi il giorno, suppongo, prima che tu lo veda negli occhi, un figlio. Mi piacerebbe pure dire di aver vissuto con la stessa contentezza anche tutto il resto, tutto il prima: un corpo che cambia, qualcosa che muta e prende spazio, e comincia a farsi sentire. Tenerezza, sì, ma a volte i pensieri sono più insistenti, e fanno più male, e allora si prendono uno spazio che proprio non meritano togliendolo a tutto il resto. Voglio dire che adesso in realtà non mi importa, che non voglio consumare il resto del mio cervello a rimpiangere ciò che non ho saputo accogliere. So già che mi ci perderei in quelle spirali, e un po' ad impedirmelo ci pensa da sola già lei, Nofret. C'è stato un momento, quel preciso momento, in cui, nonostante fossi circondata da mia mamma e dalle mie sorelle, ho capito che c'eravamo solamente io e lei al mondo adesso, e che non poteva che essere perfetto così, in qualsiasi cosa, veramente qualsiasi. Non la so descrivere una sensazione del genere. Non ho avuto neanche modo di confrontarmi con Rexana su questo, e forse vorrei farlo, già solo per dargli un nome, per sapere se non sono stata l'unica a sentirmi così, se in qualche modo adesso somiglio a lei o a Nova. Forse soltanto perchè ho il bisogno di parlarne, di dirlo, di metterlo in un discorso, di aspettare che siano loro a mettere insieme le esatte parole così che, ascoltandole, io mi ci possa riconoscere come se le sentissi e mi venissero dette per la prima volta in tutta la mia vita.
    Ed è così che, anche quando vorrei pensare e concedermi la tentazione di farlo più del dovuto, lei occupa ogni mio spazio vitale, mi strappa ogni respiro dal petto, ogni passo, ogni ansia, ogni sguardo se lo prende lei con estrema e naturale prepotenza. Ma si tratta di un'esaustezza che mi rende contenta, che adesso, nonostante tutto, in qualche modo mi rende pace.
    Non gli sarebbe stato difficile per Archer trovarmi comunque qui in questi giorni. Molte delle mie abitudini sono già inevitabilmente cambiate.
    Riesco a malapena ad aprirgli la porta.
    «Ehi! Vieni entra. Dammi cinque minuti.» gli sussurro, molleggiando di nuovo verso la camera e riprendendo a strofeggiare una nenia senza parole contro l'orecchio di Nofret che finalmente vuole cedere al sonno.
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    metamorphomagus – 25 y.o. – supporter – brooklyn




    «Sì, oggi ti è andata bene.» perchè non so quanti ne avrebbe trovati disposti a farlo stare qui zitto e buono come se nulla fosse, come se si trattasse del rooftop di chissà quale palazzo. In ospedali grandi quanto il Sacred è pure più facile, paradossalmente, trovare qualche spazio per rimanersene da soli senza noie - ne ho cercati abbastanza di spazi come quelli in questi ultimi mesi. Ma qui... qui è grazia se hanno fatto entrare me. Non piacciono troppo gli esterni, qui cercano di fare unicamente il loro dovere, perché i casi grossi li passano tutti a Manhattan, e allora noi rimaniamo dall'altra parte del vetro, a guardare, sapendo, il più delle volte, di possedere strumenti per noi tanto efficaci quanto inutili, se non fatali per loro.
    Oggi gli è andata bene, sì, un po' perché lo capisco, e un po' perché non ne ho la forza, onestamente. Non ce l'ho nemmeno per cercare parole il più possibili giuste. Non sono nessuno per consolare, al Sacred non lo faccio mai, non spetta a me, non mi è stato nemmeno mai insegnato a farlo. E poi ho poco da consolare, quando sono la prima inconsolabile. Per questo lo capisco, comunque almeno un po': cosa voglia dire sperare che qualcuno si risvegli o aspettare che si liberi e se ne vada, quello, onestamente non lo so. Non so come ci si senta a stare nel mezzo ad osservare con ansia un ago di bilancia che o non si sposta, o se lo fa ci si augura non troppo violentemente. So solo come ci si sente per il verso negativo: la speranza, nel mio caso, non è stata contemplata.
    «Mi dispiace.»
    Immagino non si possa dire di più di questo. Che sebbene il mondo e questa città sia piena di gente morta o in bilico, comunque, nonostante il mio poco sforzo, un po' di empatia riesco a provarla. Non per affinità - non saprei nemmeno come definirla - ma più per una sorta di naturale propensione alla vicinanza in tempo di sventura.
    La prendo la sigaretta: ormai sono in pausa anche io. Mi faccio passare l'accendino. L'accendo e aspiro la prima boccata. Fa schifo. Ma una sigaretta non si rifiuta, sebbene mi buchi un po' le guance quando il fumo lo spingo fuori dalle labbra piatte.
    «Diciamo faccio medicina generale. Sono una specializzanda, in realtà il mio ospedale è il Sacred Heart di Manhattan.»
    Ecco svelato l'arcano, il perché non me ne freghi poi alla fine, in realtà, un cazzo se se ne vuole stare qui, senza dar noia a nessuno, a fumarsi la sua sigaretta e guardare la città che tramonta nella laguna.
    «Comunque, la gente stà lì perché ce lo tirino fuori, il tuo amico. Però serve tempo.» purtroppo. Specialmente per gente senza un briciolo di Polvere, per i semplici nati "no-mag", come ci siamo abituati a chiamarli, anche se non si capisce ancora bene a chi appartenga veramente questo mondo. Che domanda del cazzo comunque, non ha senso, è solo pericolosa, ed io non so perché mi è saltata nel cervello proprio adesso. Forse perché sto pensando che se il suo amico fosse stato un mago le cose si sarebbero risolte in un lampo. Non sarebbe intanto qui, in questo normalissimo ospedale, e probabilmente se ne sarebbe già in giro, sulle sue gambe, a farsi la vita che per un breve istante è stata messa in pausa. Ma, ahimè, esiste anche questo tipo di ingiustizia, fino ad un certo punto: abbiamo tutti i nosti nemici mortali.

    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

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    Alastor
    crossroads crier – 600 y.o. – art dealer – english accent





    Dimmi solo di sì o di no, per amor del cielo.»
    Oh, ma è difficile pretendere una cosa del genere da Azrael. L'incisività non è mai stato il suo forte. Come l'austero trattenersi dai vizi e dai piaceri mondani. Un conto è Alastor, che umano è stato e si ricorda perfettamente come era essere umani, senza dover pretendere ogni volta di inscenare una parte. Si ricorda quando è nato, si ricorda dove ha vissuto la sua infanzia e la sua giovinezza, i suoi genitori, le sue passioni, le amicizie, le discordie, sì.
    Essere umano, dunque? Gli è sempre venuto divinamente naturale.
    Ma è come convinto che da qualche parte Azrael la tenga quella parte di sé vecchia di millenni, quella che al posto dell'emozione ha lasciato spazio alle certezze perché, beh, funziona così quando si è vecchi quanto l'universo. Si comincia (in realtà si dovrebbe essere quantomeno a metà dell'opera, quantomeno) a perdere interesse per le cose del mondo, perché semplicemente muoiono, non sopravvivono. Non è corretto, in fondo, nemmeno questo: solo alcune muoiono, poi altre si evolvono, ma resta il fatto che spesso lo fanno diventando meno interessanti. Quello è un altro tipo di problema.
    In ogni caso, alla noia bisogna imparare a sopravvivere, e forse è questa la chiave per rompere e decodificare l'apparente ingenuità di Azrael, il suo stupirsi spesso per cose così tanto banali. Ad Alastor non è mai riuscito capirlo fino in fondo, del resto, probabilmente, è solo la longevità ad accumunarli, e il fatto che i loro rispettivi "padri" sono legati da una consanguineità abbastanza scomoda. Se non fosse per quella Banditori ed Emissari si ritroverebbero a fare un gran bel girotondo intorno al mondo, prima di stritolare a proprio piacimento ogni singolo umano che incontrano. Ah, cosa sono Banditori ed Emissari senza un tramite? Per carità, ce ne sono centinaia a cui piace solo e solamente il Calvario (gente noiosa per lo più), ma il vero parco giochi è la Terra, indubbiamente. E allora forse qualche vezzo lo si può pure giustificare.
    Il fatto che un Banditore vada a spasso con un Emissario, quello, ecco, in qualunque modo lo si voglia interpretare, resta un fatto dalle notevoli problematicità. Definire "vezzo" qualcosa di così potenzialmente pericoloso per entrambe le parti, pare in questo caso eccessivo. Il "brivido del rischio"? Sì, forse, in un certo senso, anche se in realtà Alastor ci pensa solo di rado al fatto che Azrael sia fatto di pura e mortale Scintilla. Se si fossero scelti diversamente la loro carta dell'immortalità se la sarebbero potuta spassare anche di più, ma Azrael comunque non possiede per natura nessuna parvenza di umanità. La sua sì che è una parte da recitare, ma una che, da piacergli abbastanza, sembra ora entusiasmarlo anche troppo.
    Molleggia, masticando un lamento, finendo per seguirlo dietro il banco. Abbassa appena gli occhiali sopra il naso, ma no, nessuno si è davvero interessato al loro scambio. Ma che ci viene a fare la gente in posti del genere? Forse proprio perché non vuole essere disturbata e vuole sentirsi in diritto di non dover per forza mostrare attenzione. Geniale e diabolico insieme.
    Per un attimo ci spera quasi che dentro la scatola ci sia il famoso tè che lo ha sottilmente obbligato a reperirgli, già solo pungendo il suo orgoglio di impeccabile "maestro delle cerimonie" nel dimostrarsi all'altezza di una richiesta tanto ardua da soddisfare.
    Ma la delusione arriva velocemente.
    Si sfila gli occhiali solo per guardare il servizio senza il solito filtro nero, così… giusto per provare a mostrare un certo interesse. Ci rinuncia al voler rovinare l'entusiasmo di Azrael. Si aggrappa al bell'ornato dell'argenteria, ci prova con quello, ma l'espressione non ce la fa a non tradire la spessa insoddisfazione.
    «Cucchiaini.» niente.
    «Dell'amante di Baudelaire?». La musa, non l'amante. Meh, praticamente sono sempre state la stessa cosa.
    Una smorfia gli appende il labbro alla guancia, mentre la gola gli comincia a grattare per l'inizio di una delle sue risatine.
    «Pessima idea comprare gli oggetti di una vecchia coppia di amanti. Oh, oh
    La musa, non l'amante, è quasi come se potesse già sentirgliele in bocca queste parole.
    «Non sai quante cose fantastiche si possono fare con un cucchiaino.»
    E si rinforca gli occhiali continuando a guardarlo e a sfoggiare il sorriso sghembo e appuntito.



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    Alastor
    crossroads crier – 600 y.o. – art dealer – english accent





    Vorrebbe dire che è diventato più difficile. Cosa? Vivere in un mondo di umani, ovviamente. Troppo complesso. Nah, lo è sempre stato, ogni secolo vive delle sue complicazioni, tutte personali e adeguatamente tarate, bilanciate alla propria elettiva sfortuna, ma la matrice è rimane sempre la stessa. Cos'è allora che rende le cose più difficili? Sapere di avere mille occhi indagatori addosso, sì, certo, ecco, deve essere proprio quello. Non sono più difficili gli uomini, gli uomini restano sempre gli stessi, benché si dicano tra sé il contrario. Non esiste qualcuno che abbia vissuto abbastanza per essere in grado di tracciare una retrospettiva perfetta sulle complicazioni derivate dall'"umanità", e se esiste, beh, non è umano. Ad un certo punto la comprensione si ferma; no, non si tratta di comprensione - quella è parte del raziocinio - si tratta più dell'empatia. Ad una certa l'empatia muore, e lo fa prima delle ossa e della carne. Dunque, tornando a noi, non sono gli uomini che sono diventati più complicati e hanno reso, per questo, ancora più complicato il mondo in cui vivono. È tutto il resto, è la macchina che muove i fili dietro il fondale del palcoscenico. Almeno una delle macchine, quella di Alastor, come pure quella di Azrael: per quanto e ne dica quelle due hanno certi meccanismi che funzionano solamente assieme. Si è complicata quella macchina lì, e di rimando si è complicato il modo con cui loro, denti dei meccanismi, hanno scelto di vivere in questo posto.
    Il sunto è che da quando Samenar e Aaos si sono ritrovati rinchiusi insieme nella gabbia tutto si è paurosamente incasinato. Come? Perché ci sono dei cazzi di Banditori che cercano tutte le teste di quelli che hanno disertato o hanno approfittato della semplice anarchia dovuta dall'assenza del loro dio. Per fare cosa poi? Cosa immaginano di fare? Mettersi loro a comando del Calvario? Ma non diciamo idiozie. Ah, perché Alastor non fa parte di nessuna di queste categorie, non ci si sbagli. Alastor da sempre, prima ancora che scoppiasse il caos, è fedele alla causa dell'"ognun per sé". Però un Luogotenente è pur sempre un cazzo di Luogotenente, e il Vuoto è una prospettiva sempre così vicina, ora ancor di più. È bene tenerseli stretti i propri vizi e i propri vezzi, e cercare magari, sì, di tenerli per sé, il più possibile, senza troppe pubblicità.
    Entra nel locale, guardandosi come sempre attorno, circospetto, ma, al solito, non c'è nulla di preoccupante. La gente a malapena alza lo sguardo quando la porta si richiude alle sue spalle con un tintinnio. Sente la presenza di Azrael, beh, ovunque, questo posto ha l'impronta evidente del suo proprietario. O forse no, forse Alastor si è abituato troppo alla sensazione di Azrael, per cui non si tratta della semplice presenza di una Scintilla, ma solo di quella particolare e specifica entità. Non ha perso certo smalto però: lo riconosce un Emissario quando se ne ritrova uno davanti. In questo caso il suo è in cima a una scala.
    «Victor. È Victor, ti sei già bruciato il cerv- non importa lascia stare.» perché tanto nessuno ha minimamente alzato lo sguardo dal suo tè o dalla propria macchinetta infernale.
    Ripercorre con lo sguardo la scala fino ad Azrael in cima ad essa, e alla mano che gli tende aspettando che la sua richiesta venga soddisfatta. Alastor guarda a destra, poi a sinistra velocemente, e infila le mani nelle tasche dei pantaloni.
    «Hai preso quello che ti ho chiesto?»
    Ogni giorno è un buon giorno per tentare di radere al suolo questo negozio. Sì, anche questo fino a un certo punto, poi Alastor ha dovuto trovare il modo per divertirsi nella noia di un luogo così poco alcolico. Un paio di settimane fa ha sentito parlare di tè "psichedelici"; roba allucinogena, cose così. Diventa noioso pure continuare ad annacquare il tè con l'alcol ad una certa.



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    Alastor
    crossroads crier – 600 y.o. – art dealer – english accent





    O
    h l'ho sentito, sì. » risponde con un cenno del capo al barista che, dal vassoio laccato, posa il bicchiere pieno di fronte a lui, ritirando quello vuoto. E come si fa a non sentire di una cosa del genere? No, non tanto che il mondo si è riempito di folli; per quello non gli serve certo un Luogotenente del Calvario, basta la sola esperienza del mondo che lo trascina di luogo in luogo, di corpo ospitante in corpo ospitante ormai da almeno quattro secoli. In fondo - osserva nel silenzio dei suoi pensieri - per certe cose Banditori (e scommette pure Emissari) ed esseri umani non sono così diversi tra di loro. Nessuno dei due è una creatura ciecamente fedele, il che è una sorta di contraddizione, almeno per quanto riguarda la prima, sua attuale, categoria. Quale padrone non si assicura che i suoi servi siano ciecamente fedeli? No, non si tratta nemmeno di servi, ma di creature: quale padre non plasma i figli secondo il proprio gusto e necessità? Eppure c'è una cosa, un nodo, forse centrale, pensato, voluto nel momento della creazione, o forse solo un imperdonabile errore da parte degli déi quando questi si sono messi al tornio. C'è un discreto grado di libertà che divinità come Samenar o Aaos lasciano alle proprie creazioni, e se nel caso dei Banditori, nati da anima umana, resta più comprensibile, per gli Emissari, specialmente per quelli come Azrael, resta per Alastor un mistero annodato ben stretto.
    Fatto è che Banditori e umani non sono così differenti, o forse sono semplicemente i Banditori che non riescono a dimenticare completamente la loro originaria natura, nonostante le torture cerchino di sradicarla completamente. Oh, forse non hanno ancora capito che alla lunga il metodo si arrugginisce. Al primo anche solo sospettato inconveniente sboccia nelle loro teste un piccolo germoglio di dubbio, e se il proprio padrone è impegnato altrove allora il "germoglio" diventa il pretesto per giocarsi il tutto per tutto e fare casino.
    E poi ci sono i mastini del padrone, entità come Sirthareth, creature che te lo fanno valutare bene il rischio di giocarsi il tutto per tutto e scegliere l'anarchia, la ribellione. Oh se te lo fanno valutare bene…
    «È qualche tempo che non faccio visita a casa, inutile negarlo.»
    Perché, non è un mistero, il Calvario è un posto da matti, e Alastor si è fatto torturare il giusto per non doverci sostare più del necessario.
    «Sono qui a fare il mio lavoro agli incroci. A collezionare anime per il Calvario, secondo i comandi impartiti dal nostro Signore, in attesa della sua liberazione.»
    Non è una farsa, si dice; il suo lavoro, Alastor, lo svolge egregiamente. Certo, non aspetta con tutta questa ansia il ritorno di Samenar: la sua presenza o meno non gli ha impedito in tutti questi secoli di visitare, di tanto in tanto, certi rappresentanti della fazione opposta. Ma non è sciocco, Alastor, affatto, sa bene che già questo basterebbe ad assicurarsi il Vuoto se solo Sirthareth ne avesse voglia.
    Lo ha detto lui no? È venuto ad assicurarsi la lealtà dei suoi simili, e allora è giusto mettere le cose in chiaro senza tanti altri giri di parole.
    «Così possiamo essere subito meno formali.» alza il bicchiere appena verso di lui per mimare un brindisi.



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