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    Cornelius Bates ▾ Sebastian Moran

    What immortal hand or eye / Could frame thy fearful symmetry?
    In what distant deeps or skies / Burnt the fire of thine eyes?

    Tu.

    Una melodia sussurrata alle sue orecchie, un ricordo che fremeva di dolore passato e, di pura ed effimera costernazione. Non pensava che quei coglioni al piano basso permettessero a chiunque di entrare nel suo ufficio che sapeva di umido, eppure... eppure, eccolo lì, a puntare degli occhi verdi in direzione di un volto che somiglia troppo a quello dell'amore vero. Amore vero perduto, amore vero distrutto dalle macerie di una guerra senza nome. Il volto di Cornelius Bates, il vero Cornelius Bates, filigranato in quel viso pallido, in quegli occhi azzurri, in quel sorriso di sfida.
    Non si aspetta di vederla lì, in quel mondo disgustoso, in quel mondo magico, eppure i suoi occhi rimangono a fissarla, la sua testa si scuote leggermente, il suo corpo rimane impietrito.
    E' piacevolmente bello vedere come il suo viso risalti molto più della canna della sua pistola puntata verso di lui. Di come i suoi occhi si perdano negli occhi azzurri che non sapeva fare altro che amare. Amare, anche dopo anni dalla loro separazione. Poteva dire di amarla ancora? Poteva dire di averla mai amata e di non aver amato il significato che aveva per lui?
    Lui che era stato proiettato a quella Londra di anni prima, lui che era solo Sebastian Moran per lei, lui che... era il suo ex uomo, lui che era stato quasi suo marito.
    "Ti sembra il caso di puntarmi addosso una pistola, Esther?" sussurrò in una nuvoletta di fumo

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    Cornelius Bates ▾ Sebastian Moran

    What immortal hand or eye / Could frame thy fearful symmetry?
    In what distant deeps or skies / Burnt the fire of thine eyes?

    Rimasto immobile, ad osservare il silenzioso muoversi dei fianchi di Riley che, con flemmatica lentezza, si allotnanavano da lui. Lontano, sempre di più, come il suo tocco sulla sua pelle, come i suoi occhi sul suo volto. Una stretta dolorosa cingeva con violenza il bicchiere vuoto che si ritrovava a stringere come se stresse stringendo il collo di quell'uomo.
    Un sospiro pesante, quasi affranto, abbandonato nelle nocche che si sbiancavano contro il vetro.
    Irraggiungibile. Ecco cos'era. Non poteva essere altro che irraggiungibile e questo gli provocava un disgusto infinito.
    Non poter controllare, macchinare, guidare i gesti della gente che gli si interfacciava come sapeva fare perfettamente.
    No, non poteva e questa cosa gli provocava un livello di fastidio così elevato da non potersi nemmeno controllare. "Tu" richiamò la voce del barista, mostrandogli il bicchiere vuoto, prima di sbattere il bicchiere sul tavolo "un altro.", ma mentre il barista si premurava di riempire nuovamente il bicchiere, la sua attenzione si rivolgeva alla donna che, in un sorriso, aveva appena ordinato un Manhattan. Sorrise, rispondendo con un cenno del capo alla giovane che aveva avuto l'ardire di avvicinarsi. La guardò attentamente, assottigliando lo sguardo come a cercare nei meandri della sua memoria i ricordi del suo volto.
    Niente.
    Come poteva venire in mente ad una giovane e bella ragazza come lei di dare a parlare ad un essere come lui. Volse lo sguardo a soppesarla, mostrando come le tre cicatrici che gli deturpavano il volto con malgrazia lo rendessero comunque piacente.
    "Per caso ci conosciamo?"
    Il sonoro del bicchiere di vetro sul bancone davanti a lui, non distolse l'attenzione dagli occhi di lei.

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    cornelius bates

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    «Che succede, sei geloso di tua sorella, o di me?» sospirò, cogliendo quell'incrinarsi nella sua voce come un richiamo alle armi della sua fastidiosa malizia. Lo guardò nuovamente, sentendo le labbra sforzarsi di non sorridere, mentre gli occhi scivolavano ad accarezzare il corpo di lui come se da essi dipendesse ogni suo attimo di vita. Un sorriso delicato, mentre si avvicinava a lui per correre con la mano a toccare quel bicchiere che ancora era riscaldato dai suoi polpastrelli sapienti. Lo guardò negli occhi, sorridendo di un placido e maligno piglio malizioso, sorridendo con un piacere profondamente arcano e reale. Umano. «Gli affari al Felix vanno come devono andare» , sorrise, osservando ogni angolo della sua pelle, un sorriso delicato che cingeva il suo viso delicato. Percepiva ogni gesto plateale dell'uomo come un richiamo ad ammirarlo, guardarlo, bearsi della sua splendida fattezza statuaria, i muscoli levigati da un manto di tessuto che li avvolgeva appena: camicia, pantaloni, splendido.
    Cornelius non disse molto, sentendo le sue parole colpirlo come qualcosa che non si aspettava di ricevere. Gli occhi verdi corsero rapidi in direzione dell'uomo, aggrottando l sopracciglia e concedendosi un sospiro quasi indisposto: «Il Felix è il paradiso dei neutrali, perché dovrebbe smettere di esserlo?» Sorrise, ammiccante.

    I was within and without, simultaneously enchanted and repelled by the inexhaustible variety of life.
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    cornelius bates

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    Gli occhi sembrarono addolcirsi tutti d'un colpo, mentre si concedeva di assorbire nel suo io più profondo la paura negli occhi di Rayon. Rimase ancora un istante ad osservarlo, occhi negli occhi come fanno i gatti, sperando di essere il vittorioso che non ha ancora distolto lo sguardo. Un sorriso delicato sulle labbra, mentre con una mano scivolava a carezzare i bordi dei lividi sul suo volto, sentendo l'elettricità provocata dal dolore fargli fremere le membra. Un tacito movimento, aveva fatto passare le dita sul suo corpo come se lo stesse studiando, come si fa con gli animali da rivendere al miglior offerente.
    Camminano con lentezza in direzione del loro tugurio. Non del suo, del loro.
    Ha un brivido incontrollabile nel sentire quella parola "loro", come se appartenesse ad entrambi, come se l'avessero costruito insieme, come se fossero una coppia. E se, da un lato, sapeva che non poteva in alcun modo permettersi di continuare e continuare a portarsi dietro lo spaventoso fantasma del defunto Cornelius, sapeva anche che quello non era altro che un silenzioso palliativo di un boccone più grosso che non sapeva raggiungere. Che non poteva raggiungere, che non voleva essere raggiunto.
    "Se non hai fatto niente di male non dovresti avere paura", aggiunse, sorridendo prima di baciare la sua fronte sudata, dopo avergli spostato quelle piccole ciocche di capelli dal viso. Aprì la porta, facendolo entrare per primo come l'educato e galante gentiluomo inglese che era sempre stato. "Dopo di te."


    “A mind not to be changed by place or time.
    The mind is its own place, and in itself
    Can make a heav'n of hell, a hell of heav'n.”
    ©
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    cornelius bates

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    Cornelius fece schioccare la lingua sui denti con un sorriso malevolo sul volto deturpato: «parli come se davvero ti piacessero le gambe di una donna», ridacchia, a bassa voce e sprezzante. Se da un lato sapeva di stare facendo quella battuta senza reale interesse, dall'altro era certo che qualcosa dentro di lui l'avesse spinto per placido interesse a domandare. Forse, dopotutto, non poi così placido. Morboso, geloso, desideroso, fate un po' voi. A lui, in realtà, le gambe di una donna non erano mai dispiaciute, anche se sapeva di non poter trasporre tutta la sua rabbia su di essere: un uomo poteva attutire i suoi colpi, goderne appieno, una donna - per quanto forte e tenace - non meritava un simile trattamento. Si leccò le labbra, mordendosi poi quello inferiore con famelico sguardo. Intorno a lui, donne e uomini, deliziatrici e delizianti, procedevano nel loro lavoro come se nulla fosse, come se la vendita del proprio corpo per il godimento altrui fosse soltanto una silenziosa professione come le altre.
    Avvolse un labbro su se stesso, inclinandolo verso il basso in un'espressione rammaricata nel sentire dell'assenza della bella Emma. Bella, anche se dannatamente puzzolente di quell'olezzo di wesen, «volevo parlare con il vero capofamiglia» aggiunse un istante dopo, sorridendo con placida malizia, alludendo all'importanza che - per lui - aveva quella donna e quanto maggiore a quella del fratello fosse. Aveva sempre avuto un grande senso di rispetto per le donne al comando: Esther lo era sempre stata, aveva sempre comandato lei in ogni circostanza, anche quando aveva deciso di porre fine alla loro lunga relazione.
    «Vorrà dire che mi accontenterò di te», aggiunse, come se gli desse realmente fastidio. Quando il calore della fiammella fece capolino fuori dall'accendino, un sorriso delicato allungò le labbra dell'inglese che strinse con più forza la sigaretta fra le labbra per avvicinarla al placido fuoco ed inspirare forte la nicotina.
    «Puoi offrirmi ciò che vuoi», rispose quindi, malevolo, avviandosi insieme a lui verso il corridoio.

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    cornelius bates

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    "Sono sicuro che ti rifarai", sottolinea, tenendo lo sguardo basso sulle proprie punte dei piedi - coperte da mocassini marrone scuro. La lucentezza dei suoi occhi sembra esternarsi solo ora, quando il suo volto è arrossato dal sangue rappreso sottopelle, violaceo, bluastro, sfumature di un dolore che sente sotto le dita ad ogni suo tocco. Il suo modo di stringersi al suo corpo, nel camminare lontani da quella bolgia infernale di gente ubriaca, è delicato come quello del bambino che sa di essere. Che sanno entrambi. Vede come Rayon si muove all'unisono coi tremiti del corpo tumefatto, del dolore soffocato sotto le labbra. Ricordava quel dolore soffocato, non era tanto dissimile da quello che si ritrovava a manifestargli sulla schiena, sul torace, sul collo.
    Sorride, mentre la mano scivola dalla schiena alla sua nuca, in una carezza sensuale e malevola allo stesso tempo: nonostante fosse uno fra tanti, Rayon era speciale. Innocente, adorabilmente innocente, si mostrava sempre più spesso con la dolcezza di un bambino, accarezzato dalla lama delle sue unghie e dal suo sospiro: il volto si sposta nella sua direzione, puntando gli occhi nei suoi.
    "Hai per caso fatto qualcosa che mi impedirebbe di farti dormire qui?" gli risponde.
    Serio, estremamente serio.


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    Cornelius Bates ▾ Sebastian Moran

    What immortal hand or eye / Could frame thy fearful symmetry?
    In what distant deeps or skies / Burnt the fire of thine eyes?

    Ancora non l’aveva mandata giù. Non gli era passato lo smacco di quel tradimento.
    Senza esagerare: non era stato un tradimento l’improvvisa scomparsa di Shaw dalla faccia della terra, dopo essere stata la prima persona che aveva apprezzato e portato con sé nel lavoro di quel tugurio. Era lì, con la consapevolezza di essere stato abbandonato e nonostante fosse un uomo fatto e vissuto era sicuro di sentire ancora della tristezza in quella sparizione. Aveva abbandonato ogni cosa, non si era fatto più sentire nemmeno dal suo capo - sapeva che chiamarlo amico sarebbe stato anche troppo - pur sapendo quanto pericoloso poteva essere pestare i piedi ad uno come Bates.
    Bates. Ancora gli faceva strano sentirsi chiamare con lo stesso cognome di Esther.
    Che non solo fosse il cognome di Esther era un dettaglio che, ogni volta che pronunciava il nome del suo più caro amico come se fosse proprio, gli provocava dolore. Il suo più caro amico.
    Dopo la sua morte e il congedo con disonore continuava a ripetersi quanto fossero soltanto cari amici.
    Sorrise, sentendo la porta aprirsi piano per rivelare una ragazzina. Piccola, bella, il suo volto deturpato dalle cicatrici che pulsano si distende e permette di portare i suoi smeraldi in direzione del suo viso: “Ariel, accomodati”
    L’aveva guardata come una tigre guarda la sua preda.
    “Sei così disperata da chiedere un lavoro in un posto di merda come questo?” Aveva portato alle labbra una sigaretta, l’aveva accesa ed aveva sbuffato la prima nuvoletta di fumo biancastro in un sol gesto.

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    giphy

    Victor Ledrec ▾ ocdickhead

    When I stopped in front of a crack in the sidewalk, she just kept walking

    settembre 2018

    Correva l’anno 2017 quando, in quel piacevole settembre mi ero ritrovato a vomitare sangue nell’atrio dell’ospedale dopo essere diventato l’ennesimo coglione iscritto alla Brakebills. E adesso, da quel settembre ad ora, non avevo visto aula di quell’enorme campus. Stravaccato con la mano che faceva rigirare quel frammento di bacchetta che mi trascinavo da Hogwarts quando, in lacrime, avevo distrutto in un moto di rabbia la mia vecchia bacchetta. Le osservavo, con una sigaretta fra le labbra, col fumo che svolazzava in riccioli uguali a quelli sulla mia testa coperta dal cappuccio della felpa, ad una ad una, ogni matricola che divertita si portava da un lato all’altro dell’edificio con un’entusiasmo che non avevo mai avuto.
    Molti volti erano noti, occhietti vispi di entusiasmo. Brutta droga, la felicità di una ragazzina o di un ragazzino che finalmente aveva fatto parte della cultura magica della ridente America. A New York tutto splendeva come se fosse l’ennesimo video pieno di filtri di una fashion blogger e forse fu proprio per questo che sentivo il bisogno di rigirare lo sguardo dall’altra parte con le mani in tasca, a rigirarmi le bustine che avevo recuperato e che, secondo i miei contatti, avrei dovuto distribuire a qualche ragazzino pronto a sballarsi.

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    Patrizia. a te
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    cornelius bates

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    Lo squadrò dalla testa ai piedi, mormorando qualcosa di incomprensibile, sussurrato a bassa voce. Sorrise con dolcezza, una dolcezza che mai aveva avuto nei suoi confronti, una vera gentilezza che - dal fondo del proprio animo - sapeva di dovergli concedere.
    Concedergli un sorriso, una gentile movenza, una delicata carezza con le dita stanche di premere grilletti, fra i suoi capelli sudati. «Hai vinto almeno, stasera?» era una domanda alla quale sapeva già la risposta. Sapeva perfettamente di averlo visto perdere o, quanto meno, di averlo percepito perdere l’ennesimo incontro, osservando il corpo tumefatto di dolore e botte. Nessuno sembrava starli notando, ma nonostante quel posto fosse suo poggiò una mano sulla sua spalla per portarlo al piano di sopra del locale. La gente, rinchiusa in quel luogo, regno di Ezra, puzzava di omofobia e sudore. Se non fosse che il sudore non era prerogativa del violento Ezra, non gli avrebbe permesso nemmeno di avere quello spazio di truculenta mascolinità, ma sembrava quasi voler rispettare la visione antiquata che quell’uomo possedesse in cambio di una rispettiva fiducia.
    Per questo strano collegamento psicologico fra i due uomini del locale, aveva deciso di portare rapidamente Rayon nella sua parte del locale. «Andiamo di sopra»
    Con un ultimo sguardo aveva abbandonato il Fight Club, tenendo il ragazzo sotto braccio come se fosse suo figlio.


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    cornelius bates

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    «Casa Colroy odora di bruciato», mugugnò l’inglese, inspirando lentamente l’aria all’interno della sala principale, consapevole che si trattasse di un netto richiamo alla natura draconiana della famiglia. Non pensava che, fra tutte le persone della malavita, avesse avuto l’interesse e il desiderio di intrattenere relazioni e legami con un wesen. Eppure, l’interesse di quel momento sfumò con un sorriso di sfida. «Per un tiratore scelto è un po’ come tornare a casa» sussurrò, vedendo Maurice allontanarsi al fianco di Betty, una delle sue puttane «la guerra.» Puntualizzò, consapevole di non incutere timore nel proprio interlocutore, ma sicuramente certo di sottolineare le proprie origini di soldato.
    Nonostante tutto, nonostante Ezra forse gli avesse risvegliato un certo livello di odio nei confronti del genere femminile o, piuttosto, del rinchiudere troppe donne nello stesso luogo, decise di annuire alle parole del padrone di casa: «un giro della casa non sarebbe male. Magari potrei passare a salutare la tua bella sorella.»
    Sorrise, portandosi alle labbra una sigaretta: «la sua bellezza la precede, ma non ho avuto ancora l’onore di incontrarla... Posso fumare?»


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    Cornelius Bates ▾ Sebastian Moran

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    dicembre 2019

    Aveva sorriso. O almeno, così gli era sembrato di percepire, mentre le estremità delle tre grosse cicatrici sul suo volto pizzicavano, in tensione. Sospirava lentamente, lasciando scivolare fuori dalle labbra una nuvoletta di fumo bianco perlaceo, luccicante di riverberi di polvere in quella stanza lugubre.
    Aveva smantellato la sua glock, aperta in ogni sua parte sul tavolo, si era occupato di lucidarla a puntino, rimetterla a nuovo, caricarla. Quando la strinse nella mancina, allungò il braccio in direzione della porta chiusa. Il braccio teso, i tendini allungati sotto la pelle che lasciava trasparire l’intreccio bluastro di vene sotto di essa, come uno scarabocchio di un bambino assonnato.
    I peli biondi sulla sua pelle pallida di tesero leggermente, sentendo un brivido lungo la schiena nel percepire la mira, nel sentire il fremito della vittoria. Sì, la vittoria.
    Abbassò il braccio, lasciando che la vita gli scorresse avanti nel movimento di quella messa in scena che aveva solo lui come spettatore d’onore, poggiando l’arma ben assemblata sul tavolo.
    Dopodiché, accese una sigaretta.

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    Ciao Clarissaaaaaa **
    Finalmente sono tornata, magari pian pianino, ma sempre in azione!
    e in tutto questo, sono a letto con la febbrissima
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    che dire, in realtà mi conoscete tutti qui.
    Mi sono iscritta praticamente all’apertura del forum, addirittura sono stata docente, ma adesso eccomi qui a riemergere dai morti dopo una zombificazione.
    Avevo bisogno di una pausa (effettivamente ne ho ancora bisogno) ma avevo belle trame da ruolare (sempre se Giulia non mi abbia abbandonata per sempre sigh sob) e quindi pian pianino eccomi qua.

    Per chi non mi conoscesse, sono Federica, ho 24 anni e vengo da Paliemmu. Fingo di studiare restauro e teoricamente ad aprile mi laureerò, se dio vuole. Vorrei poter dire di essere una scrittrice, ho firmato un contratto con una casa editrice per pubblicare, ma fino a quando non vedrò un libro col mio nome sopra non lo considererò vero.
    e niente, cya
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    cornelius bates

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    Il fuoco davanti al suo volto faceva brillare di quella malsana luce verde smeraldo i suoi occhi. Le cicatrici che ornavano la sua pelle come bellissime collane carezzavano la sua pelle come una mano sapiente, mentre un rivolo di fumo biancastro si faceva spazio nell'aria davanti al suo naso. Il Felix era un universo a parte, fatto di magia e di paura, di sangue e terrore. Di alcool. Lo stesso alcool che dopo una boccata di nicotina scivolava lungo la sua gola con la delicatezza di un abbraccio materno.
    L'inglese stringeva la mano destra intorno al suo bicchiere di Bourbon, mentre la sinistra, davanti al viso, coglieva fra indice e medio la sigaretta accesa pochi istanti prima, i suoi occhi si muovevano rapidi ad osservare il suo regno in quelle pochissime volte in cui decideva di farsi avanti e mostrarsi in tutto il suo macabro splendore. Volti d'uomini affanti, stanchi di combattimenti, sporchi di sangue, puzzolenti di sudore, che vedevano la loro ricchezza della sera sfumarsi in un attimo e con conseguente cazzotto in pieno volto. Cornelius era distaccato, non amava mostrarsi alla gente nello scantinato ma allo stesso tempo amava lo sguardo con cui i suoi sudditi godevano del suo volto regale. La barba rossiccia incorniciava il suo viso con delicatezza, carezzando la pelle liscia del suo volto come se fosse splendido oro intorno al collo di una donna. Gli occhi si mossero elettrici in direzione del ragazzo che, in un attimo, aveva attirato la sua attenzione: aveva combattuto, sicuramente. Lui non aveva assistito all'incontro per non distrarlo o forse perché, dopotutto, non gli interessava più di tanto di come il suo giocattolino preferito fosse bravo o meno a dare cazzotti.
    Le mani ed il suo intero corpo dovevano essere usati per altre finalità e questo entrambi lo sapevano molto bene.
    Nonostante tutto, il suo volto si allentò, concedendogli un sorriso di placida tenerezza al solo vedere come l'imbarazzo si facesse forte nel ragazzo al suo avvicinarsi piano piano, di nascosto: "Dimmi, Rayon"


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    victor ledrec
    23 y.o
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    La guardo.
    Mi brillano gli occhi al solo pensiero che sì, qualcuno sembra non avere paura di me. Sorrido con emozionata dolcezza stampata sulle labbra, ritrovandomi a carezzare l’idea di andare con lei e rimanere al suo fianco per sempre.
    Come un uomo, come amico, come compagno, come qualsiasi cosa volesse. La guardo desiderando con tutto il corpo di stringere a me, di carezzarla, di baciarla, di stringerla, di farle capire che mi andava bene qualsiasi cosa fosse successa, qualsiasi cosa stesse accadendo.
    Quindi sorseggio piano il latte, caldo, bollente, sentendo le labbra che pizzicavano sotto il tocco di quelle particelle infernali, osservando le sue parole e rendendomi conto che, forse, non faccio poi così tanto schifo. Con lentezza mi avvicino a lei poggiando piano una mano sulla sua spalla riconoscendo quanti passi avanti la terapia con la dottoressa stia facendo effetto.
    E mi ritrovo a sorridere con la faccia più idiota dell’universo, carezzando nella mente l’idea di rimanere al suo fianco almeno quella sera. Poi, qualcosa mi fa storcere il naso, aprire gli occhi, asciugare la lingua.
    «Ehm…» dormivo, io, nell’ultimo periodo della mia miserabile vita, all’interno delle stanze un po’ fetenti adibite dal centro di riabilitazione. E se fossi uscito a quell’ora, non sarei di certo potuto rientrare al Centro bussando alla porta come se nulla fosse.
    «Se… se vado fuori oltre un certo orario… poi non posso più rientrare prima di domani… Quindi, mi farebbe molto piacere ma… Dovrei chiederti se posso rimanere a dormire da te. In caso. Ecco. Rimanere. Da te. Cioè. Insomma. Rimanere da te, sì, ecco appunto.»
    hey ho sono una bellissima quote
250 replies since 23/1/2008
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