Votes given by Patrizia.

  1. .
    s
    e va fatto va fatto, no?
    No, la risposta sarebbe stata proprio questa, lo sarebbe stata mesi fa dove ti sei promesso che non saresti rimasto qui a lungo. Eppure qui ci sei ancora, non ti riesce andartene, ma non perché tu abbia trovato un vero motivo per restare. Stai solamente ritardando la partenza, e senza un piano, senza una convinzione che sia una, senza una idea, un progetto lineare. Stai andando a tentoni. E stai giocando d'azzardo. Ti senti di aver perso così tanto l'attenzione, il filo della complicata matassa, che il tuo agire sta finendo per diventare troppo impulsivo, troppo poco ragionato. Ti sta facendo infilare in casini più grandi di quanto tu possa effettivamente gestire. Quale giustificazione ti dai? Quella di sapere che non appartieni a questo posto. Che puoi fare ancora abbastanza senza sentirtene veramente così coinvolto. Ma è una scusa troppo debole, non mette radice in nessuna convinzione che sia così forte da essere realmente tale, una convinzione.
    No, non sei convinto di niente. Non c'è nessun intento che ti guidi veramente fino in fondo. A trascinare i tuoi passi è solamente una paura che sta diventando un vero e proprio cancro e che non ti permette di lasciar stare, di ignorare e cedere alla logica più rassicurante: quella che esistono altre decine, forse centinaia di versioni della stessa storia, e che ce ne sono alcune che finiscono persino peggio di questa. La logica più rassicurante è quella che ti dice di non far parte di questa Terra. Sei solo una meteora che accidentalmente si è scontrata con la sua superficie. Non ti deve riguardare, non ti devi far carico di un peso che non ti appartiene, non hai il diritto di pretendere che la vita di altri sia diversa. Non è la tua vita, non sono persone tue, in questo mondo tu non ti incontreranno mai, non ne farai mai parte. Per cosa affannarsi allora? Non sei neanche in diritto di salvar loro la vita.
    Guardati, se la persona che eri mesi fa ti potesse vedere adesso ti direbbe che sei completamente andato. Che questo posto ti ha drogato, ti ha confuso, ti sta mangiando vivo. Ma non lo vedi? Sta succedendo esattamente quello che non volevi succedesse. Questo posto non è come casa. Casa tua poi ora è Oma Tau, è dove hai promesso ad un'amica di aiutarla ad evadere dalla sua prigione.
    Eppure non è tutto così innocente e semplice come vorrebbe la logica. Ah no… no, no. Ha voluto tra tutti i posti proprio il Pendragon, ha voluto tra tutti proprio quella stessa mafia. Ti ci ha messo su questa strada. Tu non hai deciso proprio un cazzo. Ti ci ha catapultato riportandoti in questa cazzo di Ocean Park distante chilometri e chilometri, ma Ocean Park rimane ed è qualsiasi posto dove ci stiano anche loro.
    Te lo hanno fatto a posta. Chi? Il fato? Il destino? Le rune, dei vettori di merda che si agganciano a - che cazzo ne sai - un patrimonio genetico comune? Una traccia che intesse dimensioni e tempi? C'è una specie di bussola, un qualche fottutissimo magnete? Non ci potevi fare nulla! Non eri pronto! Non è così che ti hanno insegnato ad essere nel Pozzo, non è così che si comporta un Pescatore quando sa di venir braccato dai segugi. Ma questo è diverso! Lo vorresti dire a quello stronzo di Ch'alle, lo vorresti urlare ad Ay. Loro non hanno una cazzo di idea di cosa siano dei fantasmi, non sanno cosa vuol dire ritrovarsi di fronte delle persone che hai visto morte. Morte, cazzo! E che adesso sono vivi e vegeti, camminano, parlano, ti guardano con occhi straniti perché non sanno chi cazzo tu sia anche se ce lo hai stampato sul viso.
    Il saltare nervoso del ginocchio sotto al tavolo tradisce tutti questi pensieri. Ti sei già ordinato da bere, e stai continuando ad ignorare tutti i presenti che passando quasi tirano spallate nello scambiarsi.

    "Sto coi Colroy. Riley deve passarti della roba. Va bene il Felix?
    J.Nauman"


    Non è difficile trovare un numero o un qualsiasi contatto. Serve ancora meno al tuo Biot.
    electrofisher
    time traveler, cyborg
    electronic engineer
    no accent
    22 y.o.
    Jacob Nauman;
    ...
    i'm so unfaithful, in fact I'm a plateful
    i won't kiss her, but I'll stare her up all night
  2. .
    SCUOLE FREQUENTATE
    Studi privati | 1991 - oggi
    RAZZE E ABILITA
    - - -
    PROFESSIONE
    Domatore di bestie | 2005 - oggi
    Tatuatore al Magic Ink | 2021
    ORGANIZZAZIONI E SETTE
    Circo la Place de Grève
    FEDINA PENALE
    - - -
    IMMIGRAZIONE
    Americana | 1991 | Legale


    Froy Alvarez è sempre stato il tipo che un po' piace a tutte. Nato il 27 agosto del 1991 nel South Carolina, perché è lì che si era stanziato il circo di Papà, è stato cresciuto da Pablo Gonzalo Alvarez e da sua moglie, domatrice proprio come lui, Estrella Paloma Morales.
    Educato in casa per tutta la vita, Froy ha vissuto il circo come se quella fosse la sua vera ed unica dimora. Come gli altri suoi colleghi non ha mai avuto pianta stabile in un luogo e questo lo ha portato a sviluppare una particolare tendenza alla socializzazione e alla resilienza.
    Capace di adattarsi a qualsiasi regione il suo caravan fosse costretto a fermarsi, è sempre stato ben visto dalle comunità del posto, che, avvicinandosi al circo per gli spettacoli, si son spesso complimentati per le sue doti da ammaestratore di bestie.
    Suo padre Pablo, Domatore dal 1976, incontrò Estrella quattro anni prima di avere Froy, durante uno dei suoi viaggi per il Venezuela. Lì Estrella, in quanto magizoologa, era a studiare una razza di wesen autoctona e, proprio per questa sua vocazione, non fu subito convinta nel seguire l'uomo già perdutamente innamorato di lei.
    Ma le doti di Pablo divennero motivo di vanto e seppur non vi fosse totale approvazione da parte della donna, la sua unione al circo fu quasi inevitabile. I due si innamorarono e sposarono a Las Vegas, non tanto perché non avessero fede in Dio, quanto perché il pancione di Estrella, all'epoca, era già fin troppo evidente.

    Froy fu il primo ragazzino nato e cresciuto al circo, sotto lo sguardo severo ma accondiscendente di Papà, che subito lo portò sotto la sua ala protettiva.
    Crebbe come il padre e seguì ogni sua orma sin dal principio. Da lui abbracciò il lato più razionale e forse meccanico, facendo sua ogni tecnica di dominazione e seguendo in sua compagnia diversi wesen giunti al circo negli anni. Da Estrella, invece, trasse la passione per la magizoologia, l'amore per il prossimo e la necessità quasi uterina di specializzarsi in un campo che potesse esser d'aiuto agli altri.
    Dopo gli studi con sua madre e suo padre, infatti, cercò più volte dei corsi di magimedicina che potessero combaciare con il suo stile di vita, ma per questo, fu costretto a continuare i propri studi da solo.

    - Carattere -
    Froy è sempre stato un ragazzo molto espansivo e solare. Stringendo forti legami con i suoi colleghi, ha sempre prediletto la compagnia piuttosto che la solitudine. Non conosce il significato di vivere da solo od avere un letto da non dover condividere con qualcuno. Per questo forse è sempre stato altruista, propenso ad aiutare l'altro e di piacevole compagnia.
    Questo suo lato caratteriale lo ha portato a sviluppare la propria propensione al romanticismo: Tutto ciò che vive è per lui sintomo di un amore incondizionato, che gli si genera dentro ed esplode, nel miglior modo che conosce. Ama la vita in generale, ciò che ogni giorno sa regalargli e tutti quegli amici con cui, la sera, dinanzi ad un falò, si mette a bere.
    Conoscendo questo suo lato tendente all'affettuoso, Papà gli affidò Grace Moore sin dal suo primo arrivo al circo.
    Nei confronti di Grace, Froy sviluppò dell'affetto simile a quello che si può nutrire nei confronti di una sorellina più piccola. Si prese cura di lei e studiò le sue trasformazioni affinché ogni volta che accadessero, fosse pronto a gestirle.
    Ma l'affetto mutò in altro e questo sentimento fu il motore principale che stimolò i suoi studi: Froy vuole trovare una soluzione al maledictus di Grace.

    - Aspetto -
    Froy è uno spilungone di 189 cm. Ha una stazza importante, non troppo grande, ma comunque utile al suo lavoro al circo. Pesa 87kg compresi i muscoli ed ha un fisico asciutto, longilineo. Ha la carnagione chiara di sua madre e gli occhi buoni di suo padre. Da Estrella forse non ha ripreso molto: Tutti, al circo, dicono che è Pablo da giovane.
    Ha mani grandi e ben curate, gambe toniche ed un 44 di piede.
    Solitamente tende ad indossare abiti comodi alle esibizioni. Predilige i pantaloni cargo, anche se, quando esce con gli altri, va di jeans skinny e giacca in pelle. Porta i capelli medio lunghi: Non gli ricadono mai sulle spalle, ma lo sono quanto basta per dar forma ai suoi ricci. Li tiene così perché una volta Grace gli ha detto che era più carino con i boccoli come i suoi.

    - Curiosità -

    1. È etero ed ha avuto una storia d'amore con le due gemelle siamesi che vivono al circo con lui;

    2. Approdato a New York, ha accettato di coprire un posto vacante al Magic Ink, sostituendo Jude Jaheem;

    3. [Sta cercando dei simboli di natura alchemica/runica da poter tatuare sul corpo di Grace per ritardare se non bloccare del tutto la venuta del Maledictus.]

    4. Studia magimedicina, alchimia e runica da solo;

    5. Ha un album di schizzi delle varie creature che hanno abitato al circo, con tanto di appunti sul loro carattere e la loro conformazione fisica;

    6. Ha diversi quaderni dedicati a Gray e alle sue trasformazioni;

    7. Conduce uno stile di vita sano, anche se la sera non disdegna mai un bicchierino di qualcosa di pesante ed una canna con gli altri;

    8. Tendenzialmente è una persona molto sentimentale. Prova forti sentimenti d'amore, così come gelosia.

    9. Legge solo libri di natura scientifica;

    10. Non è credente;

    11. Adora la musica elettronica ed il suo duo preferito sono i Crystal Castles;



  3. .
    5mtQebG
    5mtQebG
    grace gray moore - maledictus - circense - prostituta
    bronx
    26 anni
    Hai sempre pensato che per rompere il ghiaccio fosse semplicemente necessario parlare a briglia sciolta. Senza dire nulla di troppo personale, ma parlando comunque tanto. Accavallando le parole col fine di stordire il tuo interlocutore ed imparare, così, ad inventare storie che fossero credibili. Come quella che gira sul tuo nome e che sei stufo di alimentare. Perché Gray non ti è mai piaciuto: Non ti è stato dato da qualcuno che ti voleva bene ed stato per mesi vessillo di ciò che non puoi essere, un ragazzo. E ''Gray'' è semplicemente il grigio, quella scala in cui sei stato infilato a forza e che, per anni, non ha fatto altro che avvelenare la tua esistenza. Al pari del maledictus. Al pari di qualsiasi altra paura adolescenziale.
    Per questo hai un po' di timore adesso nel sorridergli con quel fare leggero che ti porti dietro da un po'. Quando rassegnato alla fine ti vesti di quello che fingi essere il tuo abito migliore. Che nel fumo che ti riempie i polmoni sai scorgere una sincerità che non dovrebbe essere tale, non con uno sconosciuto almeno.
    Eppure se hai capito bene com'è che ci si rapporta con qualcuno che, si presume tu debba vedere almeno una volta al giorno per buona parte della tua - e se consideriamo che vivrai forse altri quattro anni, anche solo un anno passato ad affittare quel divano è una percentuale altissima - allora la sincerità è alla base del rapporto. La prima cosa che necessita di esser messa in gioco.
    ''Sembra spagnoleggiante. '' Non sai nemmeno se è un aggettivo che esiste. ''Magari è il nome di uno che ha finanziato la costruzione della Sagrada Família. Uno importante in questo senso. '' Il bello dell'alcol e del fumo è che te ne bastano pochi per iniziar a dire cose apparentemente senza senso. Non ti ubriachi al punto da vomitare, ma tanto da finire sempre in bilico tra la stupidità e la genialità. Ed adesso forse sei stupido, terribilmente stupido.
    ''No, mi hai sgamato.'' Prendi un respiro profondissimo. Accavalli le gambe e spingi la schiena all'indietro. Abbassi per un attimo lo sguardo, lo concentri sulle dita che reggono la canna da cui hai preso forse pochissimi tiri, poi lo riporti di nuovo su di lui.
    ''I documenti dicono che mi chiamo Grace. Come piaceva a mia madre.'' Fai spallucce e ti dici che no, non è come con Lady Oscar di Riyoko Ikeda. Tua madre ti ha chiamato Grace perché non sapeva, alla tua nascita, che crescendo avresti iniziato a sentirti stretto in quel corpo da donna. ''Ma Gray non è così malvagio.'' Giusto perché ci hai fatto l'abitudine e non conosci altri nomi maschili che pensi potrebbero starti bene. Tu sei Grace: Grace per i tuoi amici, Gray per i clienti.
    ''Dai? Che coincidenza. Di dove sei tu? Magari ci siamo già visti da qualche altra parte.'' E lo dici perché guardandolo continui a sentire uno strano prurito allo stomaco. Lungo la gola. Come un fastidio, sì, ma non così ingestibile da spingerti ad alzare i tacchi per andartene. ''Già, Ray non sembra male.'' Anche se lo hai rivisto solo poche volte da quella sera al giorno in cui ti ha dato la copia di chiavi per la casa. ''Certo, sono felice di aver conosciuto te in un modo diverso da quello in cui ho conosciuto lui.'' Ridacchi e sai bene a cosa ti riferisci: Non vorresti diventare amico di tutte quelle persone che, bene o male, hai cercato di portarti a letto in cambio di qualche spicciolo. ''Ma devo ritenermi soddisfatto della fortuna che ho avuto nel trovare una casa dove non sembra vivano dei pazzi. Mi avevano detto di star attento qui a New York. ''
    ©
  4. .
    C6RRC2C
    riley colroy
    sheet
    dämonfeuer - jackals - cocaine addict - black m. - dad - pimp - drug dealer - schizophrenic spectrum disorders - carnivorous - cannibal - murder
    pendragon
    32 y.o
    ''Non leggerci solo quello che ti fa comodo.'' Un ringhio che risuona come sintomo di una delusione che sa farsi sempre più cocente. Come una scottatura che non sa passare col tempo, ma che se sfiorata continua a far male. Ad espandersi come una macchia d'olio. Come un tumore maligno che si fa avaro, indelicato. Ma tu lo sapevi bene com'è che funzionava con Nathaniel: Non dovresti, infatti, stupirti del modo quasi inumano che ha di avvicinarsi a te. Come fosse una macchina a cui sono stati impiantanti dei sentimenti. Qualcosa che a fatica sa riconoscere. E non capisci mai se è la vergogna alla base del suo esser così restio. Così glaciale anche quando si tratta di te che, anche se dice di amarti, finisci per non sentirti mai amato. Non davvero, non abbastanza.
    E lui lo sa, lo sa ma non fa niente: Non si sbilancia mai.
    ''Io avrei fatto di tutto per te. '' Ma non più, non adesso che Yael è incinta, non di tutto. Perché non vuoi essere preso di nuovo alla sprovvista. Non vuoi che qualcosa possa farti del male, ferirti al punto da lasciarti sanguinare. Tu che sei un uomo forte, o almeno, che dovresti esserlo. Senza un'amore così a renderti fragile. Senza la sua sola immagine a farti tanto male da strapparti via i respiri.
    ''Ogni cazzo di cosa, lo sai.'' Se non avesse avuto paura di cosa eravate. Ma non ti discosti dalla sua mano. Forse chiudi per un istante gli occhi. Rabbrividisci, ti sottometti partendo dai muscoli delle spalle che sotto le sue dita si sciolgono. Il collo diviene quasi molle.
    Poi però ti viene da ridere e non ti trattieni dal farlo. Non ci provi nemmeno. Tiri su i lati della bocca in un ghigno che si fa gutturale. I denti perlacei si denudano delle labbra. La testa pende verso la sua mano: Ricerca una carezza.
    ''Sei il solito bastardo.'' Che è quasi un complimento pronunciato in questo modo. Più un complimento che un insulto. Un'imprecazione.
    ''Lasci a me la scelta peggiore, di nuovo.'' Gli occhi ti si inumidiscono, ma è semplicemente per il fastidio che senti nel percepirti soggiogato così. Che forse Nathaniel non lo fa nemmeno di proposito, ma cazzo se è fastidioso. Cazzo se fa male.
    ''Non ti spingi mai oltre la tua cazzo di compostezza.'' Digrigni i denti. ''Mi ami solo a parole. Ma lo hai detto, noi non saremmo mai potuti essere niente. Allora perché cazzo devi dirmi che mi ami ancora?'' La mano sulla spalla si fa più dura, risale il collo, gli si ancora dietro la nuca. Le dita scivolano tra i capelli. ''Tu non vuoi darmi tutto ed io non me ne faccio un cazzo del resto, delle briciole.'' Ma non lo spingi via, anzi, più parli - quasi urlandogli in faccia - più ti fai vicino.
    Tanto che non appena i nasi si incontrano, lo fanno anche le labbra, in un bacio che sa di rabbia, che sa di mancanza. ''Avrei ucciso per te e tu vieni qui a parlarmi come un cazzo di diplomatico. Vaffanculo! Dimmi chi hai davanti, adesso. Dimmelo.'' Un altro bacio, la mano che risale il collo.
    ©
  5. .
    p
    er quello non ho bisogno di Lucian.» mi si dipinge sul viso un'espressione snob, sciogliendosi poi quando porto un pugno alle labbra per baciarmi le nocche magiche che sanno come schiantarsi sulle mascelle dei poveri disadattati che ci provano al momento sbagliato. A dire il vero il pugno che ho dato a Ryan non era per i commenti e quegli sguardi vomitevoli perché tanto inopportuni, vista la situazione, da risultare quasi assurdi. Il pugno gliel'ho dato perché ci ha fatto quasi rischiare la pelle proprio nel momento in cui già la stavamo rischiando. Era frustrazione, sicuramente, prima di ogni altra cosa, e quindi un motivo in più per lasciar perdere e dimenticarsene adesso.
    Fa solo parte di un chiacchiericcio che si fa fitto, più fitto del normale o di quanto mi aspetto di solito da Jordan, e perché forse, non lo so, ho da recuperare qualcosa, ho da mangiarmelo il tempo che ho perso e che adesso mi manca perché ho scelto di dedicarmi sul serio a quello che sto facendo con papà e che finalmente sta dando i suoi frutti. Visibili, direi, guardando il bersaglio. Me lo sognavo due anni fa, quando papà, in quelle fogne, mi ha messo in mano la pistola spiegandomi di contare i colpi.
    «Già…»
    No, già, meglio stare zitti, anche se questo "se non sai chi hai davanti" mi risuona in tanti modi, produce tanti echi che rimbalzano su pareti diverse, su persone diverse, su situazioni dove ogni volta parlare non era saggio. Non è saggio parlare di tante cose perché quelle cose, quelle determinate cose sono legate a determinate persone con fili colorati che a volte ho la sensazione mi passino tutti tra le dita, cosciente più che mai come non vadano mischiati. Pensavo fossero soltanto quelli di papà o della sola natura di Lucian, ma, specialmente guardando Jordan di fronte a me, capisco e ricordo come ce ne siano molti di più.
    Sono quelel cose di cui non posso parlare neanche a JJ, come non posso farlo con Lucian, perché ci intendiamo e basta e dobbiamo farcelo bastare. Stessa cosa.
    «Se intendi Brooklyn, il Generale Maggiore mi ha rimesso sul suo programma di allenamento senza fare sconti. Se invece intendi quel casino che è Sunset Park, diciamo che la mia assenza non ha aiutato.»
    Sciolgo un attimo la brevissima tensione addensata nei pensieri.
    «Non ho mai avuto un cazzo di mio eppure mi trovo circondata di scatole. Ma almeno abbiamo già il letto.»
    Noto solo più tardi e avanti nel discorso come quell'abbiamo mi sia uscito così leggero e spontaneo. Sulla carta l'appartamento è mio, ma non era difficile per nessuno immaginare come sarebbe potuta finire. In realtà non è finita in nessun modo, la mia è solo retorica, ma era solo la piega più naturale che potesse prendere quella di chiedere a Lucian di lasciarci dei vestiti e uno spazzolino. Col cazzo che gli ho fatto scegliere da che lato dormire.
    «Strutturalmente potrebbe venirci un'appartamento da rivista in spazi come quelli, sono solo io che riesco a riempirlo di ciarpame senza senso. Devi venire a vederlo. Incredibile ma vero, ci sta anche una camera "per gli ospiti" quindi puoi venirci a fare anche compagnia.» ci aggiungo infilando le mani nelle tasche e cercando con lo sguardo la porta per uscire e magari prendere una boccata all'esterno. Sempre con questo plurale che continua a incastrarmisi tra i denti.
    «Tu invece? Come sta la bambola?» gli chiedo alzando le spalle e spalancando gli occhi più trepidante, riferendomi a Maeve. L'adoro, e non è un sentimento che ultimamente nutro con facilità nei confronti dei bambini, specialmente quelli di Abel.
    Anche per JJ: relazioni strane, gravidanze inaspettate da parte di gente che manco conosco e bam, ti ritrovi Jordan padre a tempo pieno. E mi chiedo se non stia veramente entrando in quella fase di vita, visti i miei anni, in cui, lentamente, finisco per trovarmi sempre più accerchiata da gente e amici che hanno o decidono di avere un figlio. Io da parte mia non credo proprio di correre questo rischio. Oltre all'essere moralmente indisposta, mi trovo ancora a fare i conti con le contraddizioni e difficoltà legate al mio essere figlia.
    brakebills student
    supporter
    metamorphomagus
    brooklyn accent
    23 y.o.
    Vivianne C. Dixon;
    ...
    if you love me you'll love me
    cause i'm wild at heart
  6. .
    princess of livonia
    wampus
    exchange student
    17 y.o.
    Era lungo il percorso intrapreso nella nobile e complessa arte di governare le proprie emozioni ed espressioni. Padroneggiare la sottile arte della comunicazione era ancora troppo complesso per me non far trasparire le mie intenzioni. E Rafael doveva averlo argutamente notato o io non avevo poi fatto molto per nascondere la verità.
    Quello che avevo visto purtroppo non mi era piaciuto, e non ero mai stata la persona che non si faceva avanti davanti a quei comportamenti prendendo le parti della persona in difficoltà.
    Abbassai lo sguardo, perché sembrava che le mie parole ti avessero ferito più di quanto mi fossi aspettata, perché ti avevo visto con quel ragazzo ieri e avevo deciso di attaccare a viso aperto, perché non mi importava a questo punto di ferire se a te non aveva importato farlo nei confronti di quel ragazzino. Perché usare gentilezza con chi non la sapeva dimostrare? Però ora mi chiedevo se avevo fatto bene, forse ero andata a gamba tesa, e nella linea stretta delle tue labbra.
    Dovette stringere le labbra anche io per forzarmi a non rispondere subito alla tua domanda, perché nei corridoio di quella scuola mi ero persa fin dal primo giorno ed era così che ti avevo incontrato, cavaliere splendente senza armatura, un vero principe di quelli che si vedevano nelle favole. Però poi la favola si era trasformata in un incubo, e dietro ogni angolo buio potevi incontrare quel mostro di cui non ti liberavi mai, che ti tormentava ogni giorno della tua vita scolastica. Le conoscevo quelle storie, sapevo bene come andavano a finire. Quando ero piccola ho rischiato la vita sai, il mio cagnolino era finito in un dirupo e provai salvarlo da sola. Credo che sia stata la prima volta che mia madre mi ha sgridato seriamente, perché avevo stupidamente rischiato la mia vita, ma mio padre mi disse che forse era ciò che mi avrebbe reso il comandante degno di quel paese, perché non mi importava sacrificare me stessa. , non so perché ti stavo raccontando quella storia, forse per farti capire chi ero, come ero.
    E’ così che sono, che mi comporto ogni giorno, quando vedo qualcosa che non va, non posso fare a meno di intervenire. confessai abbassando lo sguardo sulle mani, prima di tornare a prestare attenzione a te. Questi corridoi racchiudono tante storie che forse preferire non sapere Rafael, ma quello che vorrei sapere è perché farti coinvolgere, perché… la frase non la finii perché in fondo forse non qualcosa che dovevo sapere, io dovevo solo sapere che c’era qualcuno che aveva bisogno di me, avrei fatto di tutto per aiutarli e se questo significava rovinare il nostro rapporto, lo avrei sacrificato, perché era così. Dovevi sempre sacrificare qualcosa a cui tenevi per fare qualcosa di buono.
    ©
  7. .
    C6RRC2C
    Amaretto Sour
    the man on the island
    magnus blackwood – Alcatraz Director – metamorfomagus – traveler (n)
    alcatraz office
    40.
    Tende l'occhio, sempre, laddove si presentano incontri di un certo calibro. Il buon nome di Alcatraz lo preoccupa quanto la buona salute di chi vi alloggia. Quasi fosse un hotel di lusso, un superior per criminali d'alto e basso ceto sociale, rango, stirpe, razza. Qualunque etichetta ben si sposa con il sistema gerarchico di cui, però, lui è solo sovrano. Lo appaga sapere che perfino agganci profondi, radici della corruzione politica e sociale, debbano infine sottostare alla Fortezza come Stato a parte, isolato, non facile da insidiare. Quasi impossibile, a meno che certo non sia un rischio calcolato da Magnus. Assiste l'allontanamento delle guardie, dismesse come pedine di una scacchiera la cui partita è già stata giocata. Perché così funziona, ingranaggi che prevedono mosse contromosse e momenti in cui la guarda la si può abbassare un attimo, così da trarre un fiato che non sappia solo di fumo o cenere. Uno schiocco di lingua verso Castor e Pollux, all'ingresso di quello che è il suo ufficio. I Matagot rispondo veloci al suolo muoversi del corpo, un gesto e sono ai lati nella scrivania, seduti come statue, modellati nel marmo. L'arredamento è stato curato nei dettagli. Dalle poltrone in pelle scura, alla sua seduta alta. Si può ben dire che sia un insieme ordinato di mobili scuri, soffocanti, arieggiati solo da qualche libro, un fermacarte dorato, qualche monstera ed un piccolo carrello dal vassoio illuminato: è il suo minibar, un laboratorio di cocktails anche per i più esigenti.
    Matrimonio. Figli. Nulla che davvero tanga a Magnus, quanto più fardelli che gli ricordano ancore di famiglia. Una numerosa, fin troppo. Un padre assente nella presenza ingombrante che ricorda la mano pesante del figlio. Madri, perché la sua ben si confondeva tra le altre. Ah, i mormoni. "Ah, la famiglia si allarga. Congratulazioni doppie, in questo caso" affabile, non servile, semplicemente di contesto. Anche se per Magnus, questo si crepa molto in fretta. "Cosa posso offrirti?" un sorriso si apre come quel palmo che mostra il suo infinto potenziale in bottiglie di ogni sorta. Nell'attesa, non resta con le mani in mano; per lui, Amaretto Sour. ".. dal bar" una specifica in voluto ritardo. A lui si chiedono molte altre cose. Favori, spesso.
    ©
  8. .
    River Shaw
    Time Traveller – Bounty Hunter – WWII Veteran – Texan Accent
    33y.o.
    hunter
    Mi sentivo in allerta, quella di non sapere mai chi potessi avere di fronte. Poteva essere Qohen. Tutti potevano esserlo e allora diventano attento a ogni dettaglio. Rafael aveva un atteggiamento strano e questo non sfuggì ai miei occhi, anzi, ebbero la funzione di ancorarli lì, incapaci di andare altrove ma con il desiderio di spingerli in un punto che avrebbe compreso qualcosa in più. Certo, mi dissi allora, che se fosse stato Qohen mi sarei trovato una pistola puntata contro, magari sotto il tavolo, o qualche altro marchingegno dei suoi di cui faticavo a comprendere le dinamiche. Ma, mi dissi anche, che poteva aver optato per un approccio diverso che non avrei potuto prevedere. Dopotutto un attacco in piena vista, seguito da un ovvio combattimento, avrebbe compromesso entrambi. Qohen ogni tanto dimenticava che anche io volevo ucciderlo. Pensava di essere lui a cacciare me, ma quando le nostre strade si incrociavano i ruoli si scambiavano ed ero io il Cacciatore. Per quanto avessi da tempo messo da parte quelle origini, non avevo scordato il mio retaggio. Non avrei mai potuto. «Aspetta,» lo dissi all’improvviso, quasi sporgendomi sul tavolo. Più serio e senza l’ombra di un sorriso aggiunsi: «Io non ho quel tipo di amicizie.» Il tono fu eccessivamente lapidario ma doveva essere un monito, in caso avessi avuto di fronte proprio lui, doveva avere il suono di una minaccia per far capire che io stesso, per primo, avevo capito, nonostante mi servisse una qualsiasi altra conferma. «Chi sei?»
  9. .




    Eliza Graham


    eliza graham ⋆ crossroads calvary's crier ⋆ possessed ⋆ New york ACCENT

    S
    ono questi i momenti in cui mi chiedo chi cazzo me l’ha fatto fare? La mia testardaggine, immagino. Quel bruciante bisogno di essere libera. Posso condannare solo me stessa per le mie scelte del cazzo, in fondo, questo è quello che succede quando quello che si fa, lo si fa unicamente per sé, per il proprio futuro, per una vita eterna che non sembri la stessa perenne prigione in cui tumularmi viva non sembra la migliore opzione di sopportazione. “Viva”, poi, è relativo, ma ormai è più vicino ad essere un concetto che una realtà. Lo è, per entità che vivono per sempre. In ogni caso, chi cazzo me l’ha fatto fare? Me lo chiedo, scappando come faccio direi troppe volte perché non sto davvero abbastanza attenta, perché ho la testa altrove. Ho la testa nei motel schifosi dispersi in città inutili dell’America. Ho la testa nei suoi occhi e nei miei, tra mille preoccupazioni che è difficile tenere a bada, sempre in allerta pronta a ricevere la pugnalata alle spalle che sarà fatale. Un’altra, per non farmi mancare niente. Non ho neanche guardato l’ora, prima di gettarmi nel primo locale che mi sembrava aperto e invece non lo è, appunto, perché un ragazzo mi blocca il passaggio facendomi notare che ormai è andata. Ma per me non può esserlo, perché non li ho seminati, sono soltanto riuscita a rigirare qualche strada senza farmi notare ma lo so che ne batteranno ogni centimetro e passare attraverso la Cortina potrebbe aprire ai loro occhi una strada troppo semplice da seguire. Quindi devo entrare, non me ne frega un cazzo se il biondo qui dice che è chiuso. «Senti,» lo dico troppo brusca quindi mi sforzo di rilassarmi, almeno la faccia, il tono, abbozzare un sorriso che diventi più incerto ma anche affilato, teso su di un lato con quella punta di semi-nascosta malizia che piace a tutti intravedere. Soprattutto se non sono sicuri. Di solito poi, hanno voglia di indagare. «Ho dimenticato la sciarpa dentro, ci metto un secondo.» Trascino i denti sul labbro inferiore mentre si stringono le palpebre e l’espressione diventa di supplica, il tono un sussurro che cerca di non tradire la fretta e il nervosismo che mi vive sotto la pelle, «Ti prego.»


    aes
    31y.o.
    414y.o.
    crier

  10. .
    double deuce owner
    waitress
    animagus
    bronx
    29 y.o.
    ex-maledictus
    edie çevik
    Non sono mai sicura che questo genere di cose, siano giuste. In un certo senso, è come se avessi un lato della mia testa che non fa che ripetermi che sono stupida, e che no, non dovrei girare sempre intorno alle cose e cascare ogni volta come un’idiota. Ma a dirla tutta, credo che questi siano giorni in cui si sta facendo tutto molto più complesso, e in cui il semplice fatto di non poter reagire in quel modo automatico e collaudato, mi pesa. Sì, parlo del prendere una bottiglia di vodka e finirla. Solo che non posso, perché sono incinta, ma anche perché non posso semplicemente eclissarmi come vorrei quando ci sono altre cose che richiedono la mia presenza. Come mio fratello, ad esempio, e tutta una serie di cose secondarie. Il lavoro, quello a cui mi sono dedicata più del normale solo per non dover pensare, perennemente, a tutto quello che è successo. Lo so che in fondo, è solo che ho questa sensazione di star perdendo tutto ad essere corrosiva in mezzo a tutto il resto, e che mi fa spingere nella necessità di impedire che accada. Non posso lasciare che succeda e basta, non posso stringermi in un angolo e sperare solo che tutto passi. Prendo un respiro, lancio uno sguardo verso la cucina, la credenza con gli alcolici che sì, restano un invito anche quando tutto quello che posso permettermi, è il bicchiere di rosso che trattengo fra le dita anche mentre mi sposto verso la porta, mettendo su un sorriso che è uno sbuffo nel sentire Rafe dall’altro lato. C’è quella voce, nella mia testa, è vero, ma c’è anche quella che mi dice che forse va bene così. Che anche tenermi tutto contro è un errore e questo, questo l’ho imparato da poco. Ed è che semplicemente, non penso di essere capace di essere una “persona normale”, ma se questo è vero, vero è anche che ci sono stati momenti della mia vita in cui ho saputo che non era una cosa che dovevo fare. Resto appoggiata contro il muro mentre lo guardo entrare, premendo il bicchiere verso le labbra per prenderne un sorso breve, come se dovessi misurarlo per fare in modo che il vino duri di più, e non si consumi subito in un niente, lasciandomi del tutto a secco. «Davvero ti sembro una da principe azzurro?» mi scosto appena dalla parete, indicando la strada verso il salotto con un cenno della testa prima di avviarmici, con il rumore delle zampe di Whiskey che mi segue nel tragitto fino al divano. Io invece, torno a guardarlo, allungandomi appena per lasciare il bicchiere sul tavolino, e tirando su i piedi per mettermi un po’ più comoda sui cuscini. Se ci penso per un secondo in più, sembra quasi una battuta di quel tipo di umorismo brutale, quello che ho appena detto. C’è un’ironia di fondo, visto che alla fine, invece, posso dire che in tutto questo tempo, sono stata sempre e solo io quella che doveva essere salvata, e che lo è stata. Ma lascio andare un respiro di quelli che sanno di voglia di nicotina, una che resta insoddisfatta come quella di più alcol di quello che ancora, sorseggio brevemente. «Potrei quasi offendermi» lo so che ho un tono meno attivo di tutte le altre volte, uno un po’ stanco, uno un po’ in un modo che onestamente, detesto. «Nah» alzo appena le spalle, mentre con la mano libera gli faccio cenno di sedersi sul divano, di fianco a me. Probabilmente, anche questa mia intenzione è tutta una colossale stronzata, e dovrei rassegnarmi al fatto che non sono fatta per questo tipo di cose. Solo che no, non sono capace di farlo e di starmene solo qui, senza provare a fare niente. «Anche se in realtà, volevo davvero chiederti qualcosa, anche perché ad essere onesti ora come ora dubito davvero che sarei una gran bella compagnia, e non ti odio abbastanza da chiamarti solo per una chiacchiera deprimente con una me davvero troppo sobria»
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    5mtQebG
    5mtQebG
    grace gray moore - maledictus - circense - prostituta
    bronx
    26 anni
    L'ansia da prestazione, che sa assalire anche te quando ti ritrovi dinanzi a situazioni nuove, già scema. Perché nel guardare il ragazzo che ti siede dinanzi, uno strano senso di somiglianza finisce per assalirti. Un po' come se già lo conoscessi nonostante sei portato ad estendere il tuo dominio su tutta la stanza. Guardi il tuo divanoletto con la voracia di chi vuole prendersi tutto, eppure ciò che ti limiti a fare è aprire una birra e portartela sotto al muso mentre, sfilando le cartine stropicciate dalla tasca del felpone, inizi a rollarti la canna. Ti piace l'odore che ha la birra, anche quando è così calda e sei certo che non riuscirà a dissetarti come una Corona in cui spremere del limone. Ti piacciono tutte quelle immagini capaci di donare quella sensazione di convivialità che per anni hai sognato.
    Come quando avevi quattordici anni ed essendo arrivato da poco al circo, guardavi i ragazzi più grandi far tardi dinanzi ad un fuoco. Loro bevevano e a forza di guardarli di nascosto, poi hanno iniziato a far bere anche te. La prima birra l'hai bevuta con Oswald, ma il gin lo hai conosciuto con Declan, tuo padre.
    ''Rafe? Figo!'' Ti esce spontaneo, leggero, in un batter di ciglia che non gli concedi subito, perchè sei impegnato ad osservare il tabacco mischiarsi all'erba e poi prender forma tra le tue mani. Tiri persino la lingua di fuori quando ti concentri così. Ne batti la punta contro le labbra, incastrandola tra gli incisivi.
    ''Diminuitivo o ti chiami proprio così?'' Non sei affatto accorto, né riflessivo. Non pensi che lui potrebbe rigirarti la medesima domanda e che, a mente lucida, dovrai scegliere se essere o meno sincero con lui.
    ''Me lo chiedi per l'accento?'' Forse il Kentucky ancora si sente. Il tuo accento è un po' duro e non ha certamente nulla a che vedere con il cambio di voce dato dal testosterone.
    ''In realtà sono qui da quasi due annetti...circa.'' Ed accenni la canna in un tiro così lungo da farti chiudere gli occhi. Premi la schiena contro la sedia e lo fai in modo che qualche vertebra scrocchi appena. Giusto per riaggiustarti da solo un po'.
    ''Spero di restare più tempo possibile, in effetti.'' E non lo dici per il maledictus, quanto perché con Papà avete viaggiato per anni in lungo ed in largo: Non c'è zona dell'America che tu non conosca, probabilmente, eppure tra tutte, nonostante tu sia tipo da Montana, New York ti piace davvero.
    ''Sai, viaggi di lavoro...'' E fai spallucce, chiedendoti, per un istante, se Ray deve avergli raccontato del vostro primo incontro e di come, sin da subito hai svelato la carta della prostituzione. Non vai fierissimo di ciò che sei: La prostituzione, il maledictus e tutto il resto, eppure sei convinto di non voler mentire a nessuno, di voler essere quantomeno sincero...per quel tempo che ti resta.
    ''Spero di non disturbare.'' Ti viene poi il dubbio che possa avertelo detto perché, in casa con loro due, non ti vuole. ''Ma posso giurare che sarò spesso fuori. Ho degli amici qui in città con me, ma avevo voglia di...cambiar aria, diciamo. Provare esperienze nuove e beh, affittare un divano mi è sembrata una di di quelle strane esperienze da dover fare almeno una volta nella vita.'' Prima di spegnersi mentalmente, si intende. ''Tu...'' Butti fuori il fumo, ma piegando le labbra su un lato della bocca, come a voler evitare di mandarglielo in faccia. ''Vivi da tanto tempo con Ray?''
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    dimensional traveler
    a'aq
    cęrilliān
    half-genasi
    22 y.o.
    dėlïshk
    eså åkerlund
    È una promessa che vorrei poterle fare, come vorrei fare a mia madre, sempre, quella di essere in grado di andare e tornare senza che qualcosa si spezzi fra le sue dita o le mie; eppure sono promesse sempre complesse nella loro realizzazione, e so che nonostante gli sforzi, l’impegno, qualche volta capita che si sgretolino anche quando cerchi di preservarle come se fossero l’unica cosa importante in mezzo ad una moltitudine caotica che di fiati, non ne lascia neanche uno. Ma so che sono stati giorni fatti di resistenze, di imposizioni, di pensieri ammassati che mi hanno trascinato nelle necessità di una guarigione che non è andata tanto a fondo quanto mi sarebbe servito, nello spirito più che nel corpo. Eppure le annuisco, lasciando andare un respiro e afferrandone un altro subito dopo, con qualcosa che è la punta di un rammarico che arriva a scivolare fra vene inquiete e che adesso, vogliono solo distendersi dentro qualcosa che possa placarne il ribollire. Dimenticare, se potessi, tutto quello che le ha scosse, quand’anche so che nel poterlo scegliere non lo farei, perché non sono mai stato così. Ho sempre, invece, raccolto ogni ricordo custodendolo con fermezza, come se fosse parte delle necessità della mia stessa esistenza. Adesso, però, sento la necessità di uno spiraglio che torni ad aprirsi contro tutto, e s’imponga come mi sono imposto io, rifiutandomi di cedere sotto un giogo che si è premuto sulle mie gambe e ancora più a fondo, nell’anima, senza riuscire ad andare così a fondo quanto avrebbe voluto. Anche se a fondo ci è andato, se pure in un modo diverso che mi ha tenuto lì, fermo in un punto irrisolto che ancora giace fra le dita, e sosta nei respiri come un conflitto che nessuno più ha saputo risolvere. Troppo intricato, ingarbugliato, per trovare l’inizio e la fine. Ma guardo la preoccupazione che si smuove sul fondo del suo sguardo, e lo so che in fondo quello che voglio fare, adesso, è trovare lo spazio per promettere che non succederà più, qualsiasi sia il destino che attende sommesso sulla strada che ho intrapreso poco più di un mese fa. «Non lo farò» c’è qualcosa che diventa solenne nella voce, e resta immobile pure nel tremolio del tono che si gonfia per un secondo, di quell’intenzione granitica che compone il mio sguardo. Anche se è oltre di lei, fisso in un punto che la impersonifica nella mia mente, quando c’è una stretta che ricambio trascinandola per qualche secondo in cui sento le braccia stringersi appena più contro di lei, in un bisogno di un contatto umano che possa farmi sentire esattamente così, umano, fin nel centro delle mie stesse ossa. Niente di più, niente di meno; semplicemente esistente in qualcosa che nasce da me, un mio desiderio, e non porta con sé la minaccia di una conseguenza che si alza per devastare e distruggere. Abbasso appena il volto in un annuire che lentamente, mi spinge più dentro spazi che ho imparato a riconoscere come qualcosa che occupa uno spazio importante fra i miei pensieri; che siano passati, presenti, o quel sentire di un futuro che per quanto mi appaia densamente scuro, ora, resta agganciato a quelle stesse ancore che hanno sempre gli stessi fili tesi fino a qui. Stringo appena le labbra, un gesto che serve solo a creare un movimento nel volto, un cedere di muscoli che concedono spazio ad un sospiro quando ancora, torno a guardarla. Ricordo, per un istante, quanto mi sentissi smarrito la prima volta che ho messo piede in questo mondo, con niente se non il suo nome ad essere appoggio ed appiglio contro tutto quello che nella mia mente, si sfaldava istante per istante, risucchiando i miei stessi occhi in un vortice che sapeva solo seccare ogni cosa. «Sì, sarei molto felice di farlo» è una verità che scivola spoglia di qualsiasi altra cosa, anche se posso riconoscere in essa qualcosa che s’incurva, e va più a fondo nello scavare quella che sembra diventare quasi una necessità, come un bisogno radicato che possa accogliermi e non spingermi, invece, più lontano. Aalina conosce, di me, ideali e credenze, e di quelle cose che si sono create nel corso di anni, e posso dire che qui, sia la persona che mi conosce più di tutte. Perfino, più della mia stessa madre, con cui pure ho avuto il tempo di distendere il tempo per recuperare tutto quello perso. Ma è diverso, lo è nella certezza che adesso, mi spinge ancora più dentro, che mi fa muovere le mani per sfilarmi il cappotto dalle spalle, lasciandolo a pendere sull’avambraccio destro, piegato contro il busto. «Mi dispiace, per quel che vale» c’è un altro respiro che sembra voler scuotere a fondo la cassa toracica, ma che porta i miei occhi a fermarsi ancora di più contro di lei, il suo volto, i suoi occhi, in secondi trascinati in un silenzio che resta breve. «Sono stato da mia madre, se così vogliamo dire. Sono stato portato lì in condizioni... non ottimali. Ma adesso sto bene, mi hanno guarito, si sono presi cura di me» non aspetto neanche che ci sia un muoversi, un sedersi, o qualsiasi cosa. Le parole scivolano quasi come se volessero affannarsi fuori, una dietro l’altra, e diventare solide contro l’aria. «Per questo non ti ho contattata prima, e poi...» scosto lo sguardo, muovendo due passi appena verso il lato, solo per spingermi contro uno spazio che non mi tenga fermo. «Ho avuto molto su cui pensare, riflettere. Molto su cui lavorare, e anche adesso non sono riuscito del tutto a riconciliare molte cose»
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  13. .
    C6RRC2C
    Amaretto Sour
    the man on the island
    magnus blackwood – Alcatraz Director – metamorfomagus – traveler (n)
    alcatraz office
    40.
    Consuetudini, ricorrenze: tutto trova un perfetto incastro in quel grande meccanismo che è Alcatraz. O lo è da quando Magnus siede al trono, poggia le mani gelide lungo i braccioli e tamburella il potere attraverso piccoli gesti. Stringono la gola di chiunque anche solo voglia alzare il volto e cercarlo, chiedere di lui, reclamarlo. Ascolta, quando può, quei pesci che nuotano nella sua vasca. Poiché non v'è dubbio che sia suo tutto ciò che mette piede alla Fortezza. Detiene un potere legale, tanto quanto uno spirituale, che allaccia ad abitudini di cui si è fatto Re e Padrone. La divisione, recente, lo rende particolarmente fiero, da quei piccoli rituali che compie ogni volta che qualcosa di più rilevante avviene nel suo carcere. Non ci ha pensato due volte a strappare le redini dalle mani dell'invalido predecessore e dunque ora è la sua personale punta di diamante quella che brilla negli occhi profondi. Neri come due pozzi di petrolio, scrutano celle dall'aspetto angusto, muovono passi lungo corridoi che sono labirinti. Alcatraz vive nella sua testa, si modella sui suoi respiri, si muove silente al suo comando. L'ha resa una creatura verso cui ha il massimo rispetto e che, in ricambio, è tutta la sua vita. A completo agio, il direttore si avvicina al quarto livello, supera i cancelli della doppia guardia. Castor e Pollux sempre al suo fianco, silenziosi come i gatti che sono, ma letali in quanto la razza esige. E lui, stesso, impone.
    Bastano cenni perché il sentiero si apra al suo scorrere, al ticchettio delle scarpe lucide, come sempre italiane. Importa tutto ciò di cui si veste, poiché sa che molto fa l'apparenza, ed il resto lo fa l'ego. Sta per incontrarsi con un'altra forma di potere, una più fisica a volte, ma sempre contrattuale. Nathaniel Gallows, e la solita visita al padre, uno dei più grandi Boss mafiosi della scena newyorkese. Un rubino tra le gemme, che colma di fierezza Magnus che se ne assicura la reclusione con tutte le giuste condizioni. Il sistema di oneri ed onori non ha mai smesso di funzionare da quando l'ha messo in piedi.
    "Suppongo siano dovute delle congratulazioni" lascia andare un fiato, affiancando l'uomo nel tenere d'occhio l'ultimo saluto di padre Gallows, pronto a tornare dovutamente scortato, al suo comodo isolamento. Mantiene le labbra curvate appena all'insù, in uno scherno che non sa esserlo del tutto: d'altro canto, sono solo vibrazioni che scorrono sul vetro, niente altro. Volge, infine, anche il capo verso Nathaniel. "Un drink ?"
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  14. .
    y
    es, baby.» gli rispondo ondeggiando sulle gambe, ancora con la pistola in mano ma puntata dritta, in avanti, entro le barriere della postazione.
    «E lo stronzo che mi ha bruciato i polmoni con petrolati e fumi alieni… ne ha prese di santa ragione anche lui. E aveva ancora il coraggio di provarci. Un cazzo di pervertito.», ed è forse il pensiero, all'improvviso infastidito da ricordare quell'idiota, che mi fa riafferrare con la mano libera la cuffia, che finisco per premere su un orecchio soltanto prima di sparare nuovamente a labbra strette. No, non che un colpo del genere valga davvero la pena per quel coglione di - come è che si chiamava, ah sì - Ryan, come non vale la pena rimasticarsi il fegato. Ma mi ricordo il fastidio, ricordo quanto fossi frustrata, stanca, e ci abbia quasi rimesso per colpa delle sue manie da piromane. Ricordo quanto sia stato sfiancante sapere di dover gestire un altro problema. In mezzo al casino, chiusa in un traballante market mentre fuori si scatenava l'Apocalisse, spendendo ore a gestire dei No-Mag in preda al panico e al delirio, e alle minacce che da fuori volevano entrare dentro e già ci erano entrate, dover gestire anche una testa di cazzo perfettamente consapevole che invece di dare una mano fa il cazzo che pare a lui perché non ragiona un cazzo e finisce per, cazzo, farci soffocare tutti. Quindi sì, un colpo, giusto per sfogare quel piccolo addensato di nervosismo concentrato mi serve per liberarmene del tutto, comprimerlo tutto dentro la pallottola e spararlo via.
    «No è ok. So i loro nomi, ma non mi sembrava gente cattiva. Non lo so, non voglio smuovere troppo le acque per ora.»
    Lascio definitivamente la pistola, infilandomi le mani in tasca e appoggiandomi con la schiena al muro alle nostre spalle.
    «Dietro alla roba di Central Park ci sta già dietro una task force, ed è già stato un casino gestire certe informazioni. Sono stata isolata con un'altra ragazza che era con me dentro il supermarket, e che sembrava conoscere questi tizi molto bene
    Mentre parlo, mi rendo conto, di lasciarmi andare ad un tipo di espressività anche troppo mimata, forse sintomo di un nervosismo endemico che mi accompagna con più costanza da quando… sì, da quando mi sono presa quella pallottola. Che quella è stata, paradossalmente la cosa più segnante che mi sia capitata. La più banale: un capolinea della metro ad un'ora tarda e un pazzo che tira fuori la pistola. Nessuna magia oscura, nessuna presenza extra-dimensionale. Eppure mi ha colpito. Come non era successo le altre volte. Ed io ho risposto. Ho sparato anche io.
    «In sostanza dopo ore che eravamo lì mi sono ritrovata a fare il palo ad un picnic di amici. In dieci giorno in isolamento non sono riuscita a cavarle fuori niente di niente a parte il solito ritornello sul fatto che fossero dei criptozoologi
    Finisco anche per stupirmi, tra me e me, del modo con cui parlare così mi esce facile, come non lo era da tanto tempo. Ed è perché sono con Jordan, perché è una di quelle poche persone con cui posso parlare liberamente. E sono veramente poche. Le posso contare sulle dita di una mano, e avanzerebbero. Quindi è così liberatorio da sembrare strano dopo aver gestito così tante cose da sola, per troppo tempo, dopo averle conservate in gran segreto facendomele macerare dentro.
    Mi mancava.
    Mi mancava avere un amico. Uno che non ho chiamato in quei mesi che ci hanno visto me e Lucian su due strade parallele. Perché… beh, non è così che va a finire con gli amici in comune quando due si lasciano? Ed io non glielo avrei tolto un amico a Lucian, non me ne sarei sentita neanche in diritto, onestamente.
    «Però ho evitato di insistere troppo e ci sono andata cauta, per evitare cominciassero a fare loro delle domande. Insomma…» ci siamo intesi. Che lo sa, come lo so io, che non c'è giorno, quasi, in cui non mi si ricordi in un modo o nell'altro che chi protegge una creatura ricercata a priori rischia la pena capitale. Non per vantarmi o chissà che… ma credo di starci facendo l'abitudine al rischiare ogni sei mesi la visita all'altro mondo.
    brakebills student
    supporter
    metamorphomagus
    brooklyn accent
    23 y.o.
    Vivianne C. Dixon;
    ...
    if you love me you'll love me
    cause i'm wild at heart
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    bahir princess

    empathetic

    unknown spy

    idaho accent



    Kālī al-Fārisī-Dixon

    È passato molto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti con queste premesse, nessun conflitto in attesa, nessuna comunicazione da dare, nessuna voglia di urlare o rompere superfici per distruggerci le mani contro. Per un po’ ho creduto che non sarebbe successo più, non così per lo meno, con solo nella testa il risuonare di una vecchia canzone che ricorda memorie andate, non dimenticate perché nonostante le vite diverse e un addio come quello, non sarebbe mai potuto succedere. Che mi dimenticassi di te e di quello che abbiamo avuto. Forse siamo ancora gli stessi ragazzini naive che credono in una libertà promessa, mai potuta sfiorare realmente. Mi sento così adesso, mentre solco le strade di questa città velocemente per arrivare fino al suo centro pulsante, da te. Nel tragitto ascolto le emozioni di persone a cui passo accanto, come un vento rapido che straccia l’ossigeno e ci si infila attraverso, una coltellata che incurante dell’intimità altrui ne ruba sempre qualcosa. Mi scivolano addosso, non mi scalfiscono più adesso che ho imparato ad ascoltare senza viverle tutte dentro, come se fossero malattie che mi uccidono più il cuore che la mente. Penso a quando invece spierò ciò che provi tu, so che avrà un calore diverso e quello, me lo sentirò penetrare sotto la pelle come è successo tutto il resto delle nostre volte, ognuna di esse, anche quando tenevo tutto chiuso per non lasciarmi travolgere. Adesso voglio che tu mi travolga. Ho bisogno di quella sensazione che mi prende per mani e mi porta indietro, quando c’era acqua gelida, sfide da bambini, troppa timidezza per dirci le cose come stavano, ancora prima che tutto finisse a pezzi per via delle nostre decisioni. Non ha più importanza quanto siano state avventate o giuste, o desiderate fino all’inverosimile, o sbagliate, non importa, ormai siamo quello che siamo a questo punto della nostra esistenza e possiamo vivere solo il retrogusto dei nostri ricordi. Non voglio davvero fare niente di brutto, non voglio cercare di riaverti quando so che in fondo so che sarebbe l’ennesima pugnalata che ti rigiro tra le viscere. Non voglio essere quella me stessa che rovina e distrugge tutto. Voglio solo passare del tempo con te ed è forse la prima volta dopo tanto tempo che ho una brama così pura, simile a quelle che avevo quando eravamo a Bonners Ferry e conservavamo idee come queste, pure, di bambini. Mi fermo nel parcheggio sotterraneo più vicino, scivolo tra le strade modificando i tratti del mio volto per non farmi riconoscere e solo quando sono di fronte alla sua porte, a bussare, li lascio liberi di mostrare il viso che ricorda lui. Quello che ho mantenuto per lui e non l’altro, quello che esiste per un’altra persona e un’altra me. Una che non esce di casa di notte per raggiungere un ricordo e tuffarcisi dentro con la malinconia della fine dell’anno. Tengo il casco con una mano, l’altra ricade morbida lungo il fianco, e gli sorrido appena lo vedo. È automatico, non posso farne a meno. «Ehi,» un sussurro, come se temessi di svegliare una città che si avvicina al momento in cui dovrà dormire per altre poche ore.
    CEO HYDRA ANALYTICA CORP, alyad spy, animagus

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