Posts written by tippete

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    song
    voice
    a.a.a.
    pensieve
    42 yo
    g
    abriela tiene in mano i semi della sua pianta. Il posto che ha scelto all'interno del recinto bianco della zona di pratica è più ai margini, ma dice che così si vedranno meglio i fiori rossi quando arriverà.
    Lennox tiene le mani nella terra cominciando a fare il primo strato di terriccio.
    «Mira» le dice in spagnolo, gli sfugge anche se si sta impegnando a parlare di più in inglese con lei, così che non faccia la sua fine, che dopo tanti anni ancora non riesce a non parlare con il suo forte accento, che spesso non trova le parole e gli viene ancora naturale usare quelle della lingua di sua madre. È peggiorato da quando lei è con lui, lo spagnolo serviva a fare da ponte per comunicare, ma la verità è che si è accorto di quanto gli sia mancato.
    Una lingua più semplice.
    Gabriela si china a vedere come stia il terriccio, «Ora?» chiede in inglese, che da quando ha iniziato a Ilvermorny parla con più scioltezza. Lennox ha immaginato che con i suoi compagni ormai non parli più la sua lingua madre.
    «Espera, facciamo un poco de spazio in più» continua a rimestare la terra, finché gli sembra pronta, e allora Gabriela inizia a mettere i semi e coprirli con le sue mani. La aiuta, almeno finché il telefono non squilla.
    Le dice di continuare mentre risponde. È il lavoro, per questo si allontana di appena un passo, tenendola sott'occhio.
    Solo che quando capisce di che si tratta la conversazione diventa fin troppo distraente. Sono i fascicoli della Task Force. L'hanno chiusa ormai da settimane, ma evidentemente i verbali dei sopralluoghi che ha fatto contenevano troppi errori. Una volta era Ziva a offrirsi di ricontrollarli ancora e ancora, sapendo come non sia bravo con la scrittura. Ora gli ci vuole molto più tempo.
    «Lasciali sulla mia scrivania, domani gli darò un'occhiata» alla fine conclude così.
    Solo che quando si gira, Gabriela non c'è.
    Si china sul vaso, ha finito di sistemare i fiori, forse è andata a prendere dell'acqua.
    Si guarda intorno.
    Ci sono molti ragazzi, ma di lei nessuna traccia.
    Ora inizia a preoccuparsi sul serio.
    «Gabriela?» comincia a chiamarla, la voce progressivamente più incapace di nascondere l'ansia.
    Esce dal recinto, tornando sul sentiero neozolandese. Le erano piaciute le felci, forse è lì che è andata.
    Dovrebbe sempre dirgli quando si allontana, lo pensa mentre anche l'andare avanti e indietro sul sentiero si dimostra infruttuoso, e allora inizia ad allargare le ricerche.
    Chiede in giro, finché una donna non gli dice che l'ha vista andare verso i glicini.
    Lennox inizia a correre cercando di mantenere la calma, ma gli è impossibile farlo finché non la vede.
    «Gabriela!» ancora niente.
    L'ansia inizia a diventare una stretta che dallo stomaco sale al petto.
    Cerca fra le piante, non sa quanto senso abbia ma non vuole tralasciare nessuna strada.
    E così vede un sentiero più riparato, sembra un posto segreto, un posto che le piacerebbe. Si butta in quella direzione senza esitazione, e dopo poco la scelta è ripagata perché la vede in lontananza, vicino qualcuno che capisce stia suonando solo quando è più vicino.
    «No puedes irte sin decirme nada» le dice istintivamente in spagnolo, cercando di non alzare la voce per non disturbare l'uomo che suona. Alza una mano verso di lui, in segno di scusa, il pensiero è di tornare nella zona che è sicuro sia rivolta ai visitatori, al contrario di questa. Gabriela però gli chiede di restare per ascoltare, allora aspetta che la canzone sia finita.
    E quando succede, Gabriela batte le mani come avesse assistito a un grande spettacolo. Gli viene naturale sorridere appena nel guardarla, fare lo stesso e appoggiarle poi una mano sulla spalla.
    «Chiedo scusa, non saremmo dovuti venire di qua» l'ha pensato lui, ma il fatto che il sentiero non fosse del tutto visibile dalla strada è un indizio piuttosto eloquente. «Complimenti, suoni da molto?».
    new mexico accent
    dcmc dark predator
    lennox ramirez
    life's just a bunch of accidents, connected by one perfect end
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    Basta, io apro le danze, anche perché a furia di aspettare guarda qua quanti punti ho perso. Sto facendo questa squadra con l'unico mood possibile, e ovviamente Mitja nella mia testa sei Duffy Duck negli spogliatoi.


    Squadra:
    1. Emeraude Kabakov;
    2. Sin'Lar Cyris;
    3. Joshua Cevik;
    4. Mitja Grimes;
    5. Sasha Grimes.
    Capitano: Mitja Grimes

    Bonus:
    1. Chrys mostra un capezzolo negli outfit;
    2. Mitja parla russo;
    3. Archer ha visioni da Hakka.

    Fatemi fare tanti punti, bimbi belli <3
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    «Asleep at the morning I hold my arms to the warning signs. Vacant reliving. Times we never saw. We rehearse like we know it all. Take what you're given, follow on the road back down. Not even heaven knows. Take what you're given, follow on the road back down. Not even heaven knows»
    35y.o. – r&d executive manager – dimensional refugee – black m. – animagus – so. lousiana accent
    Guardo per un attimo fuori, l'aria che entra finalmente è fredda. Una sensazione inebriante.
    I brividi lungo il collo, il gelo sulla faccia. Mi schiarisce le idee e costringe a pensare a tutt'altro.
    Dove sorrido per quella strana idea di un me che riposa.
    Bevo un sorso, uno di quelli che saranno gli ultimi.
    «Me lo dicono in molti» che è difficile starmi indietro. In fondo è inevitabile, quando dormo si e no tre ore a notte. E anche di giorno, non mi fermo praticamente mai.
    È iniziato quando sono arrivato qui. Dopo un po' che non aveva più la preoccupazione di non dover morire ogni secondo, o eliminare dalla mia testa gli incubi da sveglio per le volte in cui invece sono morto, quello che è rimasto era un enorme vuoto. Il mio buco nero.
    Mi sembra di non esistere quando non faccio qualcosa. E non riesco a non fare qualcosa perché ho paura di rimanere da solo con me, e qualunque cosa di mostruoso che ci sia qui dentro.
    Non è l'unica ad avermi raramente visto così "rilassato".
    Se "rilassato" si può dire il giorno della veglia del proprio migliore amico, vera o finta che sia.
    Più di un migliore amico. Un compagno. Un compagno di quel tempo.
    Una cosa simile a ciò che mi lega a Celia, e che mi fa dire quanto stupida sia a non rendersene conto.
    Che nessuno in questa vita potrà mai sapere e capire davvero cosa mi porto dietro, anche se lo spiegassi, e non voglio.
    Infatti anche Claire mi avrà visto in abiti da casa forse un paio di volte, giusto perché sarebbe stato strano il contrario.
    Mi giro attratto dal suo movimento, mentre va a prendersi da bere.
    Bevo in un sorso quello che rimane del mio drink, e vado vicino al carrellino nero dietro l'angolo del divano anche io.
    Dietro di lei, mentre versa una quantità generosa di scotch.
    Più vicino di quanto siamo stati mai in questi due anni.
    A parte un quarto d'ora fa.
    «È difficile che stia tranquillo» lo dico a voce bassa, dietro di lei.
    Mi sporgo per toglierle la bottiglia dalle mani, versarmi un nuovo drink anche io.
    Celia, lo sa più di altri. Non solo perché mi sente, ma perché sa la persona che ero prima quanto difficilmente potesse concederselo di rilassarsi.
    Celia, che ormai è l'unica persona a potermi chiamare Zane e confondere quel nome con quello che porto adesso.
    Poso la bottiglia sul carrellino, le apro il palmo con la mano per prendere il tappo dello scotch e richiuderlo.
    «Ti fa così strano vedermi in tuta?».
    follow on the road back down
    Not even heaven knows

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    mother — wiccan —rexana bishop— tattoo i-ii-iii-iv
    look — hakka — voice
    Reazione prima, annuire perché quel nome, Xoya, era davvero familiare. Aveva tentato in ogni modo di bloccare le visioni di quel tempo e ci era riuscita solo in parte, ma ormai era una vita precedente che stava fluendo dentro di lei in modo sempre più completo. Non ricordava davvero chi fosse Xoya, ma sapeva come adesso sarebbe stato quello il filo seguito da quel tempo trascendente, come sarebbero arrivati molti più ricordi su di lei. Era stato così con gli altri. Con Yashid più semplice, perché erano state legate in modo indissolubile anche allora.
    Si paralizzò invece quando si sentì chiamare in quel modo. Un gelo che ricordava bene, risaliva a quando tenevano l'ampolla nel bunker, sotto sua stretta sorveglianza, e Xamal le chiedeva di accettare il suo passato. Le diceva che non sarebbe mai stata come lei, Scesthi, la demonizzante figura di cui non sarebbe mai potuta essere all'altezza. Aveva una presenza enorme, e così se ne sentiva schiacciata.
    «Ti prego non chiamarmi così» lo disse tra i denti mentre posava la birra sul tavolino, come se parte di quel dolore potesse trasparire dalla stretta delle labbra. Non ce l'aveva con Archer, ma sentiva di non poter perdonare quella condizione che li aveva abbracciati uno ad uno, traendoli nelle loro spire. «Scusa, ma non mi piace sapere di quella versione di me. Faccio fatica a riconoscermi in lei, ha fatto cose... che non condivido» come essere legata a un dio terrificante. Il ritorno del peso degli dei sulla sua vita, quando avrebbe preferito che se ne tenessero alla larga. Persino l'abilità di Oracolo l'avevano macchiata, e ora non voleva più esserne portatrice.
    Ma non voleva perdersi in quei pensieri cupi. Voleva essere d'aiuto per suo fratello, provare a dipanare la nebbia in cui si stava trovando radicato.
    «Hai detto che è peggiorato dopo quella volta nel Bronx, per caso sai se c'era una reliquia?» strano perché nessuno di loro l'aveva avvertita, ma poteva essere sopita, com'era stato a Las Cruces, quando aveva iniziato a sentirne l'oscuro potere solo dopo il suo risveglio. «So che ci sono alcune reliquie "speciali", in qualche modo. Sono legate a queste vite precedenti. L'ampolla, quella che ho trovato a Las Cruces era così. È come se portasse un pezzo di anima di uno di loro, di quel tempo. Xamal» e pure quello la inquietava, un funzionamento che trovava in qualche modo simile a quello di magia molto oscura, come gli Horcrux. «Per me è iniziato quando ho iniziato a sentire il suo potere, ma per Will e gli altri è stato diverso, un po' la reliquia li ha destabilizzati e gli ha fatto avere più visioni, un po' sono diventate sempre di più in modo indipendente» e dire ad alta voce come le visioni fossero peggiorate, le fece notare come non si fosse soffermata su qualcosa che invece era così importante.
    «Non durerà per sempre, Archie. Dopo un po' inizierai ad avere meno visioni. Ormai a me capita solo quando sono particolarmente sovrappensiero, sai, con la testa fra le nuvole» e nel dirlo le venne naturale appoggiargli una mano sul braccio, per essere ancora più vicina.
    pensievea.a.a.
    — no accent — paleontologist — woman of letters — 31yo —
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    mother — wiccan —rexana bishop— tattoo i-ii-iii-iv
    look — hakka — voice
    «No, grazie, devo lavorare dopo» e stare con Arkell, finché poteva lavorare da casa almeno quei due o tre giorni a settimana, a seconda di quanti sopralluoghi dovesse fare. E c'era sempre un limite, pure quando si concedeva di bere un po' di più perché in fondo le piaceva, ma le regole erano stringenti. Mai bere troppo davanti a cacciatori, cercare di non essere mai ubriache per far fede alle urgenze. E se n'erano aggiunte altre, come evitare di bere più di un bicchiere quando doveva stare vicino ad Arkell. Ma non era mai stato poi così diverso, non era qualcosa che le mancava.
    E in quella situazione, si aggiungeva una regola nuova, del tutto a sé stante. Significava non abbassare le difese della propria inibizione, perché sapeva che avrebbe potuto dire qualcosa che avrebbe ferito Edie, e non voleva farlo. Aveva cercato di esserle amica quando rischiava di rendere il suo rapporto con Morgan più difficile, poi aveva smesso, in parte perché aveva avuto troppo a distanziarla da lei, in parte perché chi la conosceva meglio aveva comunque detto come non sarebbe stato possibile. Poi le cose erano cambiate, avevano sancito un punto di non ritorno in cui un simile pensiero diventava solo deprecabile.
    «Non è un problema il baccano. Ho un bambino e un eterno bambino a casa, mi piace quando c'è rumore» le sarebbe piaciuto anche che di bambini ce ne fossero una decina a casa, anche se sapeva come quello fosse impossibile. Aveva avuto un unico miracolo, e non aveva mai smesso di considerarlo tale.
    «Allora ci vediamo sabato. Passo verso le nove, se va bene» un orario più tranquillo perché sapeva come la mattina fosse piena di cose da fare, con Arkell che si svegliava e doveva mangiare, era il momento in cui era più attivo. Ed era solo uno.
    Era pronta ad andare, anche se con quella bugia nel petto. Perché il rumore le sarebbe stato bene, era segno di una casa dove c'era una vera famiglia. Ma sarebbe stata anche un'occasione in cui non avrebbe potuto stare con i suoi figli come sarebbe dovuto essere, con la vicinanza di una persona che era stata così importante nella sua vita, una con cui aveva condiviso la paternità e così tanto altro.
    pensievea.a.a.
    — no accent — paleontologist — woman of letters — 33yo —
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    new york accent ▪︎ voice
    the new york ghost editor ▪︎ crime reporter
    sheet ▪︎ 41 years old ▪︎ look
    writing under the pseudonym dalia fuhjak
    activist ▪︎ writer ▪︎ podcaster
    a lie can travel half way around the world
    while the truth is putting on its shoes
    alexa blend known as dalia fuhjak
    S
    trinse la mano allungando la sua con delicatezza, non era mai stata una dalla stretta particolarmente forte. La sua arma era da sempre stata quella della penna, tutti si sorprendevano di vederla così anonima, in un certo senso, quando metteva così tanta passione nelle sue battaglie e scriveva dei crimini più efferati. L'avevano scritto anche nei primi commenti del podcast: non si aspettavano avesse una voce così dolce, che parlasse in modo così basso, al punto che si percepiva lo stesso, nonostante i microfoni lo alzassero in modo ottimale.
    «Buongiorno, signor Blackwood. La ringrazio dell'accoglienza» ritrasse la mano, senza davvero sorridere, perché anche in quello non era mai stata così brava. Nei sorrisi di cortesia, nelle gentilezze dette per mere regole sociali. Sembrava sempre così imbarazzata quando lo faceva, fuori luogo, e così aveva smesso.
    Non era però un'illusa. Dopo anni passati a scrivere articoli e parlare con le persone, soprattutto in condizioni estreme, a volte, sapeva riconoscere quando qualcuno voleva dettare le regole di un'intervista. Capitava spesso con le forze dell'ordine, premevano perché tutto venisse svolto in un ambiente preciso, di solito che potesse anche incutere una certa autorità. Magnus Blackwood non aveva scelto un posto di quel tipo, apparentemente, ma immaginava che farla camminare tranquillamente per un carcere fosse comunque un modo per dimostrarle la sua tranquillità e insieme mettere lei un po' in soggezione. Lui era certamente abituato a una passeggiata simile. Era per lei che sarebbe stata una novità. Scambiava le loro posizioni: lei più vulnerabile, lui in una posizione di maggior potere. Mossa tipica e quasi dovuta, in una società patriarcale.
    «Nessun problema, l'importante è che io possa registrare l'incontro. Sa, per l'articolo» anche se sospettava la scelta del setting avrebbe influito anche su quella: rischiava che i suoni ambientali o il movimento potessero rendere il tracciato audio meno chiaro.
    Tirò fuori il registratore dalla borsa, un piccolo rettangolino che stava quasi tutto in una mano. Con il filo che ci aveva messo intorno, sarebbe potuto stare al suo collo, proprio accanto all'etichetta "Visitatore - Stampa".
    «Così ovvieremo anche al fatto di non poter prendere appunti».
  7. .
    giphy
    giphy
    sylla

    sheet - lycan - 28 yo - pensieve
    #nohumanrace
    Si impara tanto aspettando in un parcheggio fuori da un locale: che tipo di persone lo frequentano, stralci delle loro vite che non si accorgono di mettere in pubblica piazza. Chi esce a fumare, chi guarda nervosamente il telefono.
    È un locale particolare.
    Sembrano fare tutti vite normali, quando prima o poi toccherà a tutti capire cosa significhi non poterlo fare più. Essere colpiti nella propria intimità.
    Non rideranno più così tanto.
    Tolgo le mani dalle tasche della felpa perché sento un odore familiare.
    Non sono venuto qui senza sapere chi sia. Ero lì, a quella riunione in cui si è messo in un angolo, a tenere sott'occhio Rick. Quando aveva già iniziato a giocare a Elsewhere. Ero lì con un'altra faccia, senza maschera.
    Ho registrato il suo odore.
    Ora è vicino, ma non lo vedo uscire. So in che direzione si trovi. Deve essere uscito dal retro, nel continuo del parcheggio.
    Mi muovo in tempo per vederlo camminare a si e no trenta metri. Non accelero fino a diventare evidente che sto cercando di raggiungerlo, ma movimento l'andatura.
    Fino a essere alle sue spalle, poterlo quasi superare. Invece lo affianco e regolo il passo perché sia lo stesso.
    «Mi hanno detto che mi cercavi» sorrido, affabile, con quei modi finti che mi hanno insegnato i Greengrass. Un tipo di catfishing, perché mi fingo una persona molto diversa. Tranquilla, gentile. Perfettamente a suo agio in ogni situazione.
    Solo perché porto la mia maschera. Non mi piace mai uscire, stare in mezzo alla gente. Non è come in rete, lì controllare chi si ha davanti è più facile, ma non c'è un codice per crackare il cervello delle persone e sapere realmente cosa pensano.
    «E che sei interessato a diventare uno di noi» senza sapere quanto in fondo sia vera quest'affermazione.
    Non ho la certezza che entrerà davvero nella rete di No Human Race. Non è come gli altri, stupidi individui che vogliono solo picchiare le mani, e fanno parte di qualcosa di più grande senza neanche chiedersi chi ci sia dietro.
    Lui si è informato troppo. Lui ha capito un po' di modi per informarsi. Non ha scelta: o è dentro, o è fuori. Per sempre.
    «Ti va se faccio la strada con te?».
    if blood is going to flow,
    let it flow all over the city
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    «His thoughts fixed solely on a vision of that mounted trophy against the wall, the eyes now dead that were once living, the tremulous nostrils stilled, the sensitive pricked ears closed to sound at the instant when the rifle shot echoed from the naked rocks, this man hunts his quarry through some instinct unknown even to himself.»
    38 y.o. – hunter – it guy – georgia accent – squib
    Gli misero le manette e tirarono fuori dalla cella. Non poteva credere che avessero trovato qualche altra stronzata a cui appellarsi, quando non aveva fatto proprio niente, non quel giorno.
    Il giorno prima c'era stata quasi una rissa, ma un quasi qualcosa non equivaleva a qualcosa. In fondo i secondini li avevano separati per tempo.
    «Stai fermo, dobbiamo privarti dei sensi»
    Subito si alterò, non esisteva proprio che gli togliessero i suoi sensi, anche se per poco.
    «È incostituzionale, figli di puttana» se c'era una cosa che sapeva era quali fossero i suoi diritti, non era un cacciatore qualsiasi come quei poveracci che giravano l'America. I Foulger ce l'avevano un minimo di istruzione, almeno su quali fossero i reati, non erano nati l'altro ieri, era quello il modo in cui potevano rimanere fuori dai radar della legge ed evitare di finire in prigione per qualche cazzata.
    E infatti lui ci era finito solo perché Crain non aveva fatto le cose nel modo giusto, prova della realtà dei fatti.
    «Ehi! Attento a come parli, Foulger»
    Smise di vedere e sentire di punto in bianco, mentre lo spintonavano in una precisa direzione.
    Non gli piaceva che pensassero di fare quello che volevano, erano solo dei cani.
    Se fossero stati fuori da quella prigione, anzi, pure lì dentro se non stesse cercando di rigare il più possibile dritto, li avrebbe fatti neri. In un secondo, senza neanche troppo sforzo.
    «Siamo arrivati» li sentì, non appena fu ripristinato l'udito. Che figlio di puttana, evidentemente il direttore era terrorizzato dall'idea che qualche detenuto riuscisse a sfuggire al controllo dei suoi cagnolini e volesse andar lì a regolare i conti. Terrorizzato da qualche imbecille, chiunque avrebbe sfruttato l'occasione per andarsene da lì, di certo non per andare a pestare un tizio qualsiasi, non diverso dalle sue guardie.
    Anzi, loro erano peggiori. Ci aveva a che fare tutti i giorni.
    Lo spinsero in una specie di salotto, un posto ridicolo visto dove si trovavano. Chi si credeva di essere quel tizio?
    «Sto bene in piedi» e infatti non si mosse di un solo passo. Che dovevano fare, prendere un tè? Si sarebbe quasi messo a ridere se tutta quella situazione non gli fosse stata sul cazzo.
    Tanto più che faceva quelle domande idiote. Se pure avesse fatto qualcosa non l'avrebbe certo confessata così, su due piedi.
    «Per un premio? Dovrei meritarmelo per vivere in questo schifo di posto» ora sì che poteva almeno sorridere.
    they’ll act like predators
    If we act like prey

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    «
    E allora trovati un lavoro pure tu» e gli lanciò di nuovo la palla vicino alla testa, sul muro, che tanto ormai hanno risolto anche quella, era stato facile, si sarebbero avvicinati piano e alla fine avrebbero almeno ottenuto qualcosa in cambio per un po', almeno il lasciare un lavoro di merda che magari si poteva pure trasferire al Wool con Mitja, che era troppo lontano adesso, avrebbe dovuto fare portali tutti i giorni e chissà dove che gliel'avevano già detto che non ne accettavano nel locale, che poi uno poteva andare quando era chiuso, rubare qualcosa, come se in quel caso non avrebbero dato la colpa all'ex condannato licantropo, ci campava di quella paura già da prima che era solo lupo ma valeva lo stesso, valeva più di tutto perché chiunque lo poteva sapere e sempre a lui andavano a chiedere. Come in quei tempi, sì, quando c'era India ed era tutto diverso, strano ripensarci, India che era stata la sua ossessione così a lungo, e pensava che non avrebbe mai smesso di pensarci, ma poi c'era stata Sarah, e Dulcinea, ed Emery, e Dionne, pure solo quelle importanti, grandi parentesi nel vuoto, e India se l'era dimenticata, allora non poteva, allora era un'intimità di troppo fra loro che Mitja lo sentiva tutto il tempo, e manco l'aveva lasciato per trovare qualcosa che funzionasse meglio. Infilò una mano in tasca, una nuova sigaretta che quella che aveva era finita e non se n'era accorto, manco se era stato lui o l'aveva fatta fumare all'aria, che quelle erano sigarette vere e non quelle arrotolate che fumava di solito, finivano più in fretta, erano perfette per una pausa fra un friggere le patatine e l'altro, di più non avrebbe potuto, anche se sarebbe stato meglio, troppo meglio, e poi di che si parlava? Ah, sì, di quel periodo in cui era stato lui un alpha, un alpha di merda «Un cazzo magico che l'ha distratto, pensava fossi il boss» ma Lara lo sa che sarebbe meglio, lei un po' ce l'ha nel sangue, senza rendersene conto, che forse era perché c'era Noah e allora non emergeva, ma già quando Noah era in Australia e Mitja in Polonia lui l'aveva sentito che valeva come capo, che sapeva tenere insieme quella banda disperata, e infatti lo disse senza problemi, «Fai solo quello che ti senti, fidati che ti viene naturale, è una questione di istinto» birra e sigaretta in bocca che rendevano tutto più storto di come fosse nella sua testa ma aveva una mano occupata, la palla che saltava a terra e poi sul palmo, a terra e sul palmo, a terra e sul palmo. Che lui quell'istinto non l'aveva era palese, che poi tutto poteva cambiare da un momento all'altro, soprattutto con tutta quella gente nuova, e «Quindi abbiamo già tre candidati, forte», avrebbe parlato con Sasha se c'era a casa, non dopo che aveva il turno fino a notte, ma domani, l'indomani, poteva introdurre il discorso come avrebbero fatto loro, Mitja con Soren e Lara con la sua amica, e a proposito gli era sfuggito, come aveva potuto, e allora si girò verso Lara, la birra sul bancone ed espirò insieme alle parole, che voleva sapere «Com'è, carina?».
    voice - 28yo

    lycan - βeta - look

    ex-con

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    if i cut my hair, hope i grow it long
    back long, back time like way before
    ☼ dimensional clandestine ◉ soldier
    U
    no sconosciuto si avvicina a lei. Non verso di lei, ma proprio a lei.
    Mani alzate, non ha armi visibili. Segno di non volerle fare del male?
    Si può fare anche a mani nude.
    Parla a voce bassa, forse è un posto dove non si deve far rumore? No, gli altri suoni sono alti, come quello che strombazzava dal veicolo piccolo a quattro ruote. Forse non vuole farsi sentire. Questo le dice che probabilmente non ritiene lei un pericolo, ma lo pensa di qualcuno lì vicino. Forse non devono notarla.
    Si chiede come potersi nascondere, è vestita in modo del tutto diverso.
    Guarda i suoi vestiti, sono strani.
    Le allunga una mano. Può essere un tentativo di aiutarla, in un combattimento corpo a corpo quella posizione non gli è favorevole.
    Non la prende, arretra e si alza da sola. Non lo perde di vista, solo per un attimo lancia un'occhiata a un altro che è passato, anche lui con vestiti strani. Dovrebbe cambiarli, generare un'illusione, ma non vuole sprecare Andrax. È in un luogo ostile e sconosciuto, le servirà.
    Parla di nuovo, le sembra stia usando un'altra lingua.
    Deve star provando a comunicare con lei.
    Considera l'idea di rispondere nella sua lingua madre, o nel dialetto aldhal. La scarta, sarebbe un segno distintivo, darebbe a lui informazioni che a lei invece mancano rispetto allo sconosciuto e al posto dove si trova.
    Scuote solo la testa, cerca di comunicare che non capisce.
    Le serve qualche parola da poter inserire nel comunicatore, un ancora che possa farle scoprire almeno che lingua è.
    Il nome le sembra la più facile.
    Comincia a indicarlo, le sembra l'unica cosa possibile per avere quell'informazione.
  11. .

    «Asleep at the morning I hold my arms to the warning signs. Vacant reliving. Times we never saw. We rehearse like we know it all. Take what you're given, follow on the road back down. Not even heaven knows. Take what you're given, follow on the road back down. Not even heaven knows»
    35y.o. – r&d executive manager – dimensional refugee – black m. – animagus – so. lousiana accent
    Per un attimo mi lascia interdetto.
    Non è che abbia cercato di nascondere attivamente il fatto che non credo alla morte di Shaw, diciamo solo che non l'ho apertamente detto a parole. Quindi probabilmente non dovrei essere sorpreso del fatto che ha capito che non sono convinto da questa cosa.
    Però non lo so, sentirglielo dire a voce alta è strano.
    Probabilmente è solo che mi sorprendo sempre quando qualcuno capisce o sa qualcosa di me, e con lei soprattutto cerco sempre di depistare i miei stessi pensieri.
    Bevo un sorso di scotch.
    Non mi piace doverne parlare. Non sono un veggente, non lo so cosa ha fatto Shaw, ma mi sembra possibile che abbia deciso di crearsi una comoda via d'uscita. In fondo nella sua testa può aver pensato che tanto morirebbe comunque giovane, quindi perché non anticipare un po' la cosa per Edie.
    E non mi è sembrato esattamente felice di essere un cacciatore, ultimamente.
    Non mi è sembrato felice per niente, ma non so quanto uno di noi possa essere del tutto felice.
    mi basta che sia plausibile. Finché è plausibile non vedo perché dare per scontato che sia morto.
    L'ultima volta è ritornato, direi che non sono per forza pazzo a crederlo.
    «Ognuno pensa quel che vuole» bevo un altro sorso. Io non voglio pensare al fatto che sia morto, non voglio ascoltare tutti i motivi per cui sarebbe più plausibile che sia crepato come un coglione, non voglio riflettere sui pro e i contro delle mie convinzioni, anche perché ce ne sono diversi che Celia non ha citato che sarebbero un'ottimo sostegno alla sua tesi.
    Tanto il tempo ce lo dirà, suppongo.
    Si rimanda al poi quella che è la verità.
    «Puoi metterti comoda, se vuoi»
    Meglio cambiare argomento.
    «È un divano molto comodo, non ci crederai ma a volte mi ci addormento in tutta e pantofole» pantofole di classe come quelle che indosso, ma pur sempre pantofole.
    follow on the road back down
    Not even heaven knows

  12. .
    thirty-four yo

    rugaru

    ex quodpot player


    Benny, Benny, sapessi quante cose che non sai. Appena arriverà Orson ci darà solo altri ordini del cazzo, quello che ci serve lo sappiamo già, abbiamo un posto da fare a pezzi dove scatenarci, che altro ti serve di più?
    «Dobbiamo trovare altri come alibi»
    Sei così preoccupato che possano arrestarci, quando guarda in faccia alla realtà: è un locale piccolissimo, sarà un casino trovare tracce magiche e isolarle, sarà un casino con le impronte, con le persone che verranno viste lì, non potranno mai davvero risalire a noi. E tu vuoi avere in caldo un alibi che ti faccia localizzare da un'altra parte, è questo che è rischioso, possono uscire filmati di telecamere, testimoni qualsiasi che ci vedono andare via o camminare altrove, non è mai sicuro mentire così tanto, ci basta andare lì come ospiti e poi far scattare un putiferio. Devi solo saper mentire, e non dirmi che te la fai addosso all'idea di rispondere alla domanda di qualche agente del cazzo inventandoti una storiella che stia un minimo in piedi.
    «Veditela tu con Orson, la mia idea la sai, ci-» mi blocco perché vedo te, dolcezza, te che non dovresti uscire dalla stanza dove ti ho fatto stare. Questo non è l'ambiente per una ragazza sola e anche meno per una ficcanaso, ed è troppo presto perché tu provi a contraddirmi.
    «Fammi sapere, devo risolvere una cosa» sei la mia pedina e mi farai comodo quando mi servirà qualcuno che sembri fragile e facile da fregare, quando mi servirà scaricare la colpa su qualcun altro nel caso facciano problemi, e per questo non te ne puoi andare in giro come se niente fosse.
    «Jara, Jara, Jara» ti sembro già così affabile? Sorridi anche tu, dolcezza, dobbiamo essere carini tu ed io, finché ti fidi non ci sarà pericolo che non cadrai nel mio utile giochino. Vieni qui sotto il mio braccio, così ci spostiamo e lasciamo stare Benny, che ha da fare. «Lo sai che è pericoloso uscire, se qualcuno dovesse vederti potrebbero denunciarti alle autorità» questo è il finto motivo per cui non dovresti uscire, e se solo sapessi che gente gira qui capiresti che non è possibile, figurarsi se uno di loro andrebbe a parlare di sua spontanea volontà con qualche piedipiatti, non lo farebbero nemmeno se servisse a colpire qualcuno ad un fianco scoperto.
    insanity. it depends on who has who locked in what cage
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    voice ▪︎ no accent
    sheet ▪︎ 46 years old ▪︎ pensieve
    black magician ▪︎ munin ▪︎ red hands
    married from 2011 ▪︎ psychiatrist ▪︎ ex defensor
    sentenced to death ▪︎ alcatraz ▪︎ level 3
    try not to become a man of success
    rather become a man of value
    caspar rosen
    p
    er un attimo aveva lasciato a un filo di speranza la possibilità di delineare la possibilità di un'altra visita. E si maledisse per quello, perché non appena Magnus entrò nella cella l'irrigidimento totale del corpo che aveva sempre non riuscì a mascherare anche una nota di delusione. Si sarebbe dovuto invece aspettare una visita dal direttore, una visita che ormai era divenuta abitudine più di quanto non fossero gli incontri con Daniel o con chiunque andasse lì in visita.
    Rispetto al passato, però, era cambiato anche il suo modo di reagire a Blackwood. Più arreso.
    Non aveva mai osato dire una parola contro di lui o disubbidire agli ordini, troppo costretto nei legacci delle regole, nonostante il punto dove l'aveva fatto arrivare la magia nera. Eppure, all'inizio sentiva almeno uno spirito più ostile. Criticava e disconosceva il suo sadismo, perché Magnus Blackwood, nonostante la sua posizione, era un sadico. Ora aveva uno stato di totale impotenza che non faceva emergere nemmeno quello spirito più volitivo.
    «Hai trovato come spremerlo fino alla fine» disse infatti, senza una reale nota critica, risentita, anche solo vagamente infastidita. Suonava più come se stesse semplicemente constatando la realtà dei fatti. Perché quello era diventata, realtà dei fatti. Come prima era accaduto con Manson. In effetti non suonava poi così bizzarro che la sua ultima tortura, anche nell'espiazione, consistesse nel dover tenere il gioco di uno psicopatico stretto intorno al collo.
    Aspettò che Magnus si sedesse, che lo invitasse a fare lo stesso, poi raggiunse la poltrona lasciata vuota. Un altro esempio di mania ed egocentrismo, che insieme al sadismo danzavano per descrivere l'immagine di un prototipo in cui James e Magnus erano parzialmente simili. A volerne fare un reale profilo, cosa che rifiutava di fare ancora quando era lontano dalla professione da così a lungo, avrebbe certamente trovato differenze importanti, che prospettavano azioni e pericolosità diverse, ma non si potevano ignorare certo quelli che invece erano punti in comune.
    «Come un uomo in attesa della sua sentenza» pure quella, in fondo non era che una constatazione. Sarebbe stato difficile spiegare cosa si provasse quando si era letteralmente in attesa che arrivasse la morte, non per una propria disposizione interiore ma una condizione esterna. E se pure lui non rifiutava la fine della sua vita, aveva in sé abbastanza spirito di autoconservazione da sentire il peso costante e perpetuo che quell'unico evento poteva avere sulle sue giornate.
    «È una visita motivata in modo particolare?» oppure, ma questo non lo aggiunse, era solo l'equivalente di una visita di piacere, seppur nel modo contorto che caratterizzava Magnus Blackwood.
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    mother — wiccan —rexana bishop— tattoo i-ii-iii-iv
    look — hakka — voice
    Un altro sorso,poi un mezzo sorriso, perché alla fine era comunque qualcuno in più in quella rete. Non c'era niente di più importante. Quella creatura che ormai era venuta alla luce, stava crescendo, diveniva importante. Quella creatura sorella di ciò che gli Uomini di Lettere erano stati per lei, ma con una paternità diversa, perché la prima volta c'erano stati River e Layla, questa volta aveva pensato da sola a quel desiderio, l'aveva nutrito, e poi erano arrivati quelli che avevano contribuito in modo più importante.
    Chiuse il quaderno per rimetterlo nella borsa, poi quella domanda, che fece scivolare lo stupore fino agli occhi.
    Sapeva che Edie avrebbe detto qualcosa di simile, quella non era poi fonte di sorpresa. Ma che pensasse alla casa, come braciere che riaccendeva il dolore, non l'avrebbe mai pensato. C'era qualcosa in quella casa che le avrebbe ricordato l'assenza, gli scacciapensieri del portico, la casetta sull'albero, quello che portava la sua firma. Ma c'erano luoghi che si portava dentro che erano addirittura lancinanti, luoghi dove vivevano anni di ricordi. Quella casa, salvo qualcosa, non sarebbe stata peggiore del passato. Pure se quel qualcosa aveva comunque un peso.
    «Penso sia peggio per te» lì loro avevano condiviso una vita, aveva un significato profondo. Per lei non era che un pezzo microscopico di passato che le aveva dato pure valanghe di estraneità. Sarebbe stato peggio se ci fosse dovuta andare per la prima volta, se lo strappo non si fosse ricucito prima di quel momento. Lì ci sarebbe stato rimpianto, ma di rimpianti in quel caso non ne aveva.
    «Hai pensato di cercare un altro posto?» pose quella domanda che era sorpresa anche quella, perché non ci avrebbe pensato per sé, non avrebbe saputo vedere la negatività di quattro pareti in cui c'era stata tanta complicità. Se fosse tornata nella sua, di casa, quella dove anche Morgan era stato un'infinità di volte, avrebbe sentito la sua vicinanza più della sua assenza.
    pensievea.a.a.
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    mother — wiccan —rexana bishop— tattoo i-ii-iii-iv
    look — hakka — voice
    Era proprio quello che temeva. Il ricordo delle rovine, di quella magia impetuosa, dei terreni incontaminati dove non una sola vita umana osava perdersi. E poi c'erano loro. Voci di un passato che ancora non sembrava appartenerle, forse per via di Xamal, e le parole che l'avevano ossessionata fin dal principio. Lui, che a volte sentiva ancora parlare da dietro le barriere che aveva innalzato per non sentirlo più.
    «Già. Una vita precedente» era proprio quello il punto. L'inspiegabile scoperta che faceva crollare la certezza di essere una persona precisa, con la propria individualità e coscienza. C'era stata un'altra lei, una di cui riconosceva le somiglianze e questo rendeva temibile il vederne le differenze. Si era chiesta così spesso se potesse compierne anche gli stessi errori, le scelte che la ponevano dalla parte di qualcuno che aveva invece ferito le persone che amava.
    «Ho trovato testimonianze di altre persone a cui è successo. Sembra che i ricordi siano più o meno gli stessi, come fosse... una limitata reincarnazione» sembrava ancora così assurdo da dire, soprattutto a voce alta.
    «Lo so che sembra assurdo e lontano da tutto quello che sappiamo dell'anima, ma sembra che sia proprio così».
    Un'esperienza che univa poche persone, sempre le stesse. Yashid, Raktaneon, Schesthi, Xamal, Athron, Elras, Tzehas, aveva conosciuto i loro nomi fino a quel momento, alcuni presenti in un tempo più recente ma comunque lontano da quello che stava vivendo.
    pensievea.a.a.
    — no accent — paleontologist — woman of letters — 31yo —
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