Votes taken by .happysong.

  1. .


    Alastor
    crossroads crier – 600 y.o. – art dealer – english accent





    Le apparenze valgono poco per un Banditore, o per qualsiasi altra creatura pluricentenaria che almeno si ostini a mutarle con o senza una cadenza ragionata. Alastor la sua - a meno di eventi imprevisti - ce l'ha. Victor si rivela essere, tuttosommato, un buon tramite, per il suo aspetto, la sua costituzione, per il tempo in cui vive, per quello che al Banditore che ne possiede le spoglie interessa. Ci sono stati anni migliori, per Alastor, come per Azrael, oh, anni decisamente migliori di questi, ma anche gli interessi, così come certi vizi estetici, mutano. Alastor non sembra avere fretta, in fin dei conti, a lasciare questa pelle invecchiata un po' insieme a lui. Nulla in confronto ai secoli, ma comunque gli pare giusto renderle merito. Gli piace immaginare quel che resta poi della vita dei suoi tramiti una volta restituita alla loro anima e coscienza la libertà di rioccupare gli spazi che in precedenza vivevano (di quello che è rimasto salvabile, s'intende sempre).
    E come li impiega gli anni Alastor nelle fattezze di Victor Callaway, a parte collezionando personali soddisfazioni e pagando il suo giusto tributo per il Calvario strappando patti al costo di dolorose piaghe? Principalmente combattendo la noia. Sì, nelle apparenze almeno, sempre nello strato superficiale di un'epidermide nera e impermeabile, che lascia credere molte più cose agli altri conservando per sé, invece, poche certezze sulle quali ricamare costantemente, argomentare, riassemblare per foraggiare un ego ormai abbastanza vecchio e consapevole di sé stesso.
    Proprio perché le apparenze non sono che come una foggia, un vestito nuovo indossato, a volte, seguendo pure un preciso e consolidato stile, proprio per questo, un Banditore riesce a riconoscere subito un altro Banditore, anche quando il suo abito è diverso da quello che ricordava.
    «….»
    Quando un Banditore incontra un altro Banditore è come se cambiasse l'atmosfera. Cambia l'aria, assume una densità diversa. Poi, certo, dipende sempre da chi si sta incontrando e dall'entità di quell'incontro e di quel rappresentante del loro divino e tetro padre putativo.
    Alastor rimane a fissare la vetrina fuori dal locale, dal tavolo in disparte dove da diverse manciate di minute beve e mastica in silenzio il suo whiskey. Non tradisce un'espressione, resta impassibile a fissare la vetrina, il vetro, il riflesso sul vetro, il nulla alla fine.
    «…cazzo.» sbuffa, impercettibile.
    Si stira sulla sedia e cede ad una più consona e provocatoria blasfemia.
    «Oh Aaos, salva quest'anima
    Porta il bicchiere alle labbra e ingolla tutto il suo contenuto, prima di sciogliersi dalla posizione scomoda e fare un cenno di nuovo al barista dall'altro lato del bancone, mentre il Luogotenente si siede di fronte a lui.
    «S.» lo saluta, perché resta il fatto che non gli piace usare i nomi così, quando ci sono orecchie ovunque, anche le più inoffensive. Ci ha messo un po' a farlo capire pure ad Azrael.
    Ma, rapido, fulmineo, il pensiero va subito alle cose da tenere al sicuro. Come un grosso lucchetto che si chiude attorno a determinati pensieri. Uno, due giri di chiave, tre chiavistelli. Lo sa chi ha davanti, e sa che deve essere cauto, calcolato, chirurgico, perfettamente e maledettamente chirurgico.
    «Serata splendida.» gli sfoggia un degno sorriso.
    «Abbiamo gli stessi gusti in fatto di ambienti e ho quindi qualche possibilità di fare colpo, oppure ero già nei vostri pensieri?» Signor Cerimoniere infernale.



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    Edited by .happysong. - 15/10/2023, 23:24
  2. .
    ORACLE OF RA 29 y.o TESS BISHOP HAKKA voice look aesthetic song
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    d16b2f56b77bc8668b5c6b33b4d62217e1b7ea0d
    i don't belong in the world, that's what it is. something separates me from other people.
    Sì, è una bella notizia di per sé. Lo sarebbe. Vorrei lo fosse davvero, almeno tanto quanto lo è stata per Rex, quando finalmente sapeva di aspettare Arkell. Ma le cose sono diverse, lo sono drammaticamente e in maniera del tutto inevitabile. Perché posso pure dirmi di essere stata disattenta, di non aver pensato a delle conseguenze o anche solo a quel falco pronto a cogliere l'occasione appena si fosse presentata. Per questo potrei pure sentirmi, per una volta tanto nella vita, giustificata, sollevata dalla responsabilità delle mie stesse scelte, anche se una scelta c'è stata, e da essa è derivata tutto il resto. Ma comunque la cosa non mi fa sentire meglio, per niente.
    Non ho mai ceduto di fronte alle mie sorelle, non mi sono mai concessa di fare nemmeno questo. E neanche adesso vorrei farlo. Una parte di me mi resiste, mi impedisce di crollare, di chiedere aiuto. In fondo non l'ho fatto nemmeno quando si è trattato di Morgan, quando sono stata chiamata a compiere quel viaggio difficile. Una parte enorme di me stessa mi resiste al desiderio e alla necessità di crollare.
    Le tengo le mani abbassando lo sguardo su di esse, ma non mi riesce nemmeno piangere.
    «Non è già mio.»
    Vorrei dire a mia sorella di come mi senta in balia delle scelte, di tutte quelle obbligate e di tutte quelle sbagliate che ho preso per conto mio. Ma non so dire che anche questa lo sia, sbagliata, perché l'ho fatto non per me stessa, e perché un figlio è sempre un figlio, e se non è figlio mio è comunque una vita ed io non ho nessun diritto di mancarle di rispetto.
    «Quando ho stretto il patto con Ra, e sono diventata il suo Oracolo, ho dovuto accettare delle condizioni.»
    Vorrei dire a Rex di come mi senta in balia di una vita che è già stata scritta, che non ho scelto io fino in fondo, e che da me invece non faccio altro che continuare a complicarla, a renderla più difficile, più intollerabile.
    Ho accettato perché mi ha messo di fronte alla stessa esatta necessità per cui anche allora mi votai ad Horo. Alla fine Nova c'entra sempre, ma non me ne pento mai, né renderò mai mia sorella la causa delle mie sfortune, se così posso prendermi il diritto di chiamarle.
    Non so nemmeno se vorrei una vita diversa da questa, non so nemmeno cos'è che riscriverei da sola, di mio, se lo potessi scegliere, se avessi carta completamente bianca.
    «È figlio di Ra. Non è figlio mio.»
    Anche se pare assurdo, perché ne soffrono di donne sapendo di essere madri sole, in assenza di un padre o di qualcuno che si prenda la responsabilità di essere tale per suo figlio. Questo bambino un padre naturale ce l'ha, e io sento di star facendo un torto enorme anche a lui. Ma non posso dire il suo nome, non lo posso fare nemmeno con Rexana, non lo posso fare nemmeno con me stessa, perché ho accettato che mi venisse tolta anche questa di libertà. Per uno scopo. C'è sempre uno scopo. Superiore, incomprensibile, inaccettabile, ma è il nostro, anche se ciò non significa che per noi invece debba essere chiaro.
  3. .
    HUNTER 22 y.o JONAH ACKERMAN georgia voice look aesthetic song
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    el oro pudo más que mi dolor, no tuviste compasión de mi agonía tú sabiendo que mi alma se moría
    Fai girare, con il pollice e l'anulare sul bordo, appena il bicchiere, già a un terzo, su sé stesso. Non ti va di parlare. Alzi appena lo sguardo per seguire quelli dei pochi presenti che, dopo averti squadrato a dovere, hanno di nuovo chinato il capo sopra i propri affari. C'è anche questo di rischio sì, che ti associno a tutto quello che sta succedendo a Pine Mountain. Vi succede a tutti, ogni volta che uscite dal ranch. La gente lo sa, ma siete fortunati perché la gente non parla, o non vuole parlare: sa che ogni parola ha un peso immenso. Ogni parola, è in grado di causare una faida, di mostrare una posizione, di farne prendere una anche soltanto per puro errore. È difficile poi ricucire, mendare i torti, farsi perdonare le offese. Non si lascia correre niente tra gente come voi. Questo locale è territorio franco ma solo di fatto, solo temporaneamente. Fuori dalla soglia le cose già cambiano. Si tratta solo di saltare da un luogo franco ad un altro luogo franco. Quello che ci sta nel mezzo è una sorta di fitta foresta dove non sai se l'occhio di Declan si è già spinto. Funziona così la paranoia, quella che esce da sé stessi e diventa inquisizione, minaccia di diventarlo, al punto tale che non si sa più se è già diventata vera e propria persecuzione.
    Quando si avvicina, ti si siede accanto, per un attimo pensi proprio a questo, al fatto che voglia sapere quasi, perché sei ancora un Ackerman, se ti si possa ancora chiamare tale.
    Indugi con lo sguardo ancora qualche istante sul bicchiere fino a che non scivola lento, a forza, sul suo profilo.
    «No, io ci vengo solo a bere.»
    Non ti piacciono le insinuazioni, in generale. Del resto, Pine Mountain negli ultimi anni ti ha insegnato a rimanere anche troppo sulla difensiva.
    Non hai bisogno di anestetizzare nulla, ti dici. Non c'è niente da dover sedare, semplicemente perché non puoi permetterti neanche l'idea di importi una tregua. Seria o ridicola che sia. Lo sa solo Danielle che da mesi quella che porti avanti è una missione silenziosa, nascosta. Sei un piccolo ingranaggio che continua a girare, che si impegna per farlo passando inosservato, insospettabile. Ma stai lavorando, ci stai lavorando, non smetti mai. Puoi solo fingere che tu stia cercando una normale tregua, uno sfogo per la stanchezza e le difficoltà di una vita già così complessa per qualcuno di così giovane.
    Lasci rimbalzare un indice in aria, di fronte a lui.
    «Te sei… lo hai già visto, certo …uno di Putnam Valley, giusto?»
    Tiri su il labbro con una smorfia.
    «Ho cacciato in Virginia con il capofamiglia.» gli dici prima di prendere un sorso dal bicchiere.
    Ci pensi un attimo al nome. Ti si scrive, lettera per lettera nella mente, non senza qualche incertezza essendo straniero. Quando ti senti abbastanza sicuro lo dici.
    «Sei uno dei Kabakov?»
    Perché forse hai capito di chi si tratta. Perché parlare, se ne è in una certa cifra parlato. Perché una famiglia che nasce sotto l'egida di un'altra è difficile da ignorare, specialmente se la famiglia matrigna è quella dei Foulger. Però Gideon ti ha insegnato il valore di un nome, l'importanza di essere pur sempre associati a qualcosa. Non pronunciarlo, non riconsocere l'appartenenza e il diritto di qualcuno, è quasi peggio che commettere un errore onesto. Gideon ti ha insegnato ad essere attento, la tirannia di Declan ti ha insegnato, ulteriormente, a tenere gli occhi aperti, ad ascoltare sempre con il massimo grado di attenzione, ricordare, conservare il più possibile ogni nome, ogni volto. Gideon te lo insegnava per ricordarti degli amici, Declan per guardarti le spalle dai traditori.
  4. .
    HUNTER 22 y.o JONAH ACKERMAN georgia voice look aesthetic song
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    el oro pudo más que mi dolor, no tuviste compasión de mi agonía tú sabiendo que mi alma se moría
    New York è un luogo difficile. È difficile perché c'è troppo caos, ti prende alle meningi, ti strizza i pensieri fino all'emicrania. È difficile perché non è un luogo familiare, e purtroppo ciò che per te è più familiare adesso è una trappola per topi di giorno in giorno sempre più precaria. È lì che vi minaccia mentre voi continuate a fare avanti e indietro dentro e fuori da essa cercando di non destare sospetti, anche se sembra sempre più inevitabile la caduta di quella lama sui vostri colli. New York è un luogo difficile, perché alla fine sono qui tutti quelli che aspettano il ritorno di Gideon al ranch, è da qui che si organizza la 'riconquista' di Pine Mountain, è qui che il nome di Declan corre più liberamente: ci si sputa sopra con meno riverenze. Ma, paradossalmente, è ciò che fa più paura. Come se fosse ormai uno spettro. Ogni parola, ogni affermazione contro di lui, shh, non parlare, se ti sente è finita, se ci sente ci ammazza, se ti sente ti fa ammazzare come Hiram.
    New York è difficile, perché nonostante si ritrovino qui molti di quelli che rivogliono Gideon a capo di Pine Mountain, questa comunque non ha niente di familiare. Di familiare, di casa, purtroppo c'è solamente quel posto che adesso vi prende a morsi, vi mastica, dorme un sonno leggerissimo, e voi ci scivolate accanto sperando di non svegliarlo, non per masochismo ma perché non avete altro posto dove andare. Vale sempre la pena lottare per la propria casa, ti ha insegnato questo Gideon. Vale sempre la pena lottare per il proprio posto, e, per quanto se ne dica, voi Cacciatori senza una casa siete niente. Non si tratta di mura, di un tetto e di assi di legno da contare, sempre uguali. Un posto è un posto anche senza fondazioni, senza pareti. Un posto è ovunque ci si senta sicuri di voler ritornare. Che sia un ranch, che siano delle persone. E tu non hai altro, se non Gideon e il posto che lui ha voluto darti. Glielo devi anche per questo. Non hai il coraggio di deluderlo. Se fa paura allora la paura la devi rimettere tutta alla gratitudine verso gli Ackerman, a quelli che sono vivi e a quelli che sono morti per questo, per il proprio posto.
    Ma è difficile persino non pensare sempre a Declan. Ci hai pensato molto a Danielle, a quello che le hai detto, se fosse giusto farlo. Ma cazzo, pensi, aveva bisogno di sapere che un spiraglio c'era, che c'era una maledetta speranza. Bisogna tenere duro anche per questo, per riprendersi una rivincita dalle ingiustizie, o anche solo per cercare una via di fuga, non permettere che tutto vada a puttane. Non una cosa così importante.
    Ti buttano delle occhiate quando ti siedi: ti vedono troppo giovane per sederti al banco di un bar e ordinare da bere.
    Ti butti sullo sgabello tenendo, involontariamente, un palmo aperto sul petto. Che a volte, quando non te lo aspetti, la cicatrice manda delle fitte che la ripercorrono, dall'ombelico fino allo sterno, e fa più o meno male.
  5. .



    cyborg – 28 y.o. – electrofisher – time traveler – no accent




    Quando te ne sei andato non speravi di ritornare. Non ci speravi affatto. Perchè? Perchè questo posto rappresentava l'ennesimo fallimento. E allora lì ti sei chiesto se non fosse una costante che qualcuno dovesse morire. Te ne sei andato come chi se ne va con sdegno, con un intimo rancore verso tutto e quindi anche verso il nulla. E allora hai deciso di farne una di cosa giusta, una cosa certa, che sapevi di non poter o non voler fallire. Hai portato via Thuvia. I Colroy, del resto, erano soltanto la copertura per la vostra presenza e il modo facile, per quanto deplorevole, di tirare su qualche soldo, nella stessa esatta maniera con cui lo tirava su Thuvia, da sè, quando tu non eri nemmeno un ragazzino. Non ci volevi rimanere incastrato in questo mondo strano, in questo grande parco giochi grottesco costruito sulle fattezze di Ocean Park; un Diebenkorn palesemente imitato a mo' di scherzo, di beffa. L'hai già vista una volta questa scena, quella reale però, l'autentica: questa è stata solo la pantomima, il reenactment grottesco su un palco ricostruito ad arte. Non aveva senso. Ma non è stato doloroso, è stato solamente orrido e deludente. E allora te ne sei andato.
    Anche Ay non è riuscita a tornare nel Pozzo. Suo fratello sta accettando il fatto che Ay semplicemente non ci sia più: la sua coscienza è rimasta per troppi anni ormai nel Net, probabilmente non c'è più modo che ritorni, anche qualora i segugi la dovessero lasciare andare. Ch'alle dice di essere fiero, perché ti ha visto tornare tutto intero e perché, nonostante tutto, sua sorella non ha mai "parlato" laggiù, non ha concesso niente ai segugi, o li avrebbero visti arrivare lì ai silos già molto tempo prima.
    Ch'alle però ti ha detto che lo devi lasciare andare il passato, il passato va messo da parte ad un certo punto, perché è un peso attaccato alle spalle che tira indietro, rallenta il passo, e impedisce di aggrapparsi con sicurezza agli appigli incerti del futuro. Ti è sempre stato sul cazzo Ch'alle, ma è diventato un fratello, come tu lo eri per Ay e per lei forse anche qualcosa di più. Gli hai promesso di tornare ad Oma Tau per staccare Ay dal Net e prepararle la sepoltura.
    «Non vivere nel passato Ja'ab. Non vivere neanche le vite degli altri. Perchè è questo il rischio, Ja'ab. Il rischio è che a furia di vivere dei ricordi di chi non c'è più si finisce per provare a vivere delle loro stesse vite.»
    No ma non lo fa, Ch'alle. Ha deciso di non volerlo fare più, a cominciare dai nastri di sua madre. Ha deciso di non ascoltarli più, e così ha fatto negli ultimi anni, anche se qui, su questo teatro dove ha scelto di ritornare, sono passati soltanto alcuni mesi.
    «Stai attento Ja'ab, non correre questo rischio.»
    No, Ch'alle, ma serve a lui per capire se è suo destino rimanere una costante, o se pure lui rappresenta solo la variabile di sè stesso.
    «Non lo capisco questo desiderio Ja'ab. Non vivere la vita degli altri. Non vivere la vita di chi hai perso, vivi la tua. Ricordati che sei sempre un Pescatore.»
    «Lascia fare la vegetariana e roba troppo elaborata. Fanno schifo di solito. Solo un consiglio.»
    Non che Domino's in realtà sia mai stata una pizzeria in qualche modo decente. È sempre stata un po' l'ultima spiaggia, in orari come questi, dove nella maggior parte dei casi, in fila ci trovi gente che non ha saputo ripiegare altrove.
    Ti volgi a guardarlo di nuovo per un attimo, accennando una smorfia. Non hai un ricordo preciso di lui. Forse perché a Ocean Park lui non c'era proprio. Tuo padre non era mai diventato un wendigo - prima della mafia almeno - non era mai stato a Detroit da Princip e non aveva mai conosciuto Horace Armstrong. Ma questo sì, e forse lui rappresenta una delle tante variabili che alla fine, comunque, fanno tornare sempre uguale il risultato dell'intero gioco.

    Jacob
    Nauman
    Dixon

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  6. .
    O
    k.»
    Tiri fuori dalla borsa anche il tuo di cellulare. Un paio di notifiche bianche ti chiedono per l'ennesima volta se hai intenzione di riattivare la geolocalizzazione. Forse non il migliore modo per nascondere i propri movimenti, no, decisamente il peggiore e più misero, ma senti che non è da Staten Island che devi nasconderti stasera. Staten Island ti ha già visto tante volte, ti conosce bene, un po' per abitudine, un po' per il semplice affetto che vi dovete reciprocamente. Ci sono cose che neanche a Søren potrai mai nascondere per davvero, insieme ad altre cose che invece sei e sarai costretta a tacere per il suo bene. Ma si tratta di trovare un compromesso. Non ti piace, ma è così che probabilmente dovrà funzionare. Scegliere un compromesso, uno buono, il più possibile almeno, quanto basta per non mandare tutto all'aria. Non ha una forma precisa ancora nella tua testa questa forma di equilibrio, come è che deve essere plasmato. Non sai ancora nemmeno se sarà necessario costruirsene uno, perché non sai se accetterai questa storia, questa eredità impensabile e decisamente soverchiante.
    Però vuoi avercela una possibilità, anche soltanto l'abbozzo di questa, e la vuoi proprio sapendo che non si tratta di te e di te soltanto. Sai cosa significa abbandonare gli altri perché tu per prima ne sei stata vittima, per quanto collaterale e, per certi versi, involontaria. Non vuoi arrivare dove sono stati costretti ad arrivare tuo padre e tua madre. Probabilmente non era nemmeno vero che lui e lei avessero deciso la via della separazione per il semplice esaurirsi della loro storia di fronte ad altre priorità. Le priorità c'erano, sì, ma non sono state l'effetto, quanto invece la causa di una cosa in fondo non veramente desiderata. Forse è impossibile, infattibile, ma almeno vuoi provarci. Almeno vuoi vederci chiaro su tutte queste strade che ti si sono aperte di fronte: tra queste non ne esiste una che si semplice e in dolcemente scoscesa.
    «D'accordo.» salvi il suo numero, e spegni di nuovo il telefono, che riscivola rapidamente nella tasca della giacca.
    «Ti chiamerò.» e non solo per sapere da lui quanto sarai libera di parlare con Søren «Ora devo andare.»
    Prendi un respiro e muovi ancora qualche passo verso di lui. Lo vedi ancora meglio ora in volto.
    «Grazie Errol, anche per quello che fate per la mia famiglia.» gli porgi la mano da stringere.
    assassin
    spirit perceiver
    empathetic
    french accent
    27 y.o.
    Beatrice Lemoine Pott;
    ...
    your wilted edge of a lonesome mattress
    i lay my head there until the feeling passes
  7. .



    metamorphomagus – 25 y.o. – supporter – brooklyn




    «E con "quel tipo di dottoressa" immagino tu intenda quella che darebbe di matto e chiamerebbe la sicurezza per buttarti fuori.»
    Peccato che no, non sono "dottoressa" qui. Resto una semplice specializzanda, così come lo sono al Sacred per la maggior parte del tempo. Qui infatti ci resto sempre troppo poco, quanto basta per rendermi conto come è che funziona un luogo diciamo "minore". Con la magia, funziona in maniera decisamente più semplice, sì, decisamente, solo perché è come giocare con le carte sempre tutte scoperte. Ma credo invece stia proprio lì la difficoltà: imparare ad avere, in un certo senso, le mani legate, per diventare medici e dottori in grado di "fare i medici" senza fare sempre completo affidamento ai propri trucchetti. Me lo sono scelto, è vero, non mi sto lamentando, non è questo il punto. Tutto questo discorso sta qui solo per ribadire il fatto che sto imparando anche io, ma che cerco, almeno qui, di prendermi meno responsabilità possibili. Eppure ne ho fatti di passi avanti, credo almeno. Credo di aver superato la semplice inerzia dei primi tempi: lì prendere iniziative era davvero molto difficile. Lo è pure adesso, ma almeno è diventato una sorta di meccanismo che si impegna a tenermi occupata e a non pensare a tutte quelle cose dove il mio cervello si rifugerebbe volentieri.
    Per me, dunque, può starsene dove vuole, finché non entra nei reparti a fare casino. Poi ci sarebbero altri mille motivi per cui una persona non dovrebbe vagabondare così all'interno degli ospedali, come se fossero delle piazze o delle strade pubbliche, però diciamo che, fin tanto che ci sono anche io qui, mi è più facile pensare di ripulire le tracce della sua presenza piuttosto che impegnarmi a convincerlo di andarsene eccetera eccetera. Di cose discutibili ne ho fatte anche io, ma non ci voglio pensare adesso, perché non ero mai da sola a farle, appunto. Appunto.
    «Per me puoi restare anche qui, se non fai casino.»
    Infilo le mani nei pantaloni e butto uno sguardo oltre il parapetto. La vista non è delle più incredibili, ne ho viste di migliori - smettila di pensarci, Vivianne, cazzo. Di questo passo non combinerò mai nulla.
    È una maschera, cogliona, è una maschera e tu nemmeno ne sei consapevole. E tu pure hai bisogno di stare qui, perché anche al Sacred ci sono cose che, se vuoi finire la giornata decentemente, devi impedirti di ricordare.
    «Il passo riapre tra, credo, un'oretta buona.»
    Devi pure smettere di vivere dentro il tuo cervello, e cominciare a fare i conti con quello che ci sta fuori, che non è solo uno sfondo dei tuoi pensieri, sai? È la roba vera, il mondo reale, anche se sembra aver preso un ritmo totalmente diverso dal tuo. Già. È strano vedere il mondo che va avanti.
    «Chi sei passato a trovare?»

    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

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  8. .
    emeraude
    emeraude
    emeraude
    emeraude
    emeraude
    kabakov
    «No, tranquilla. Passo già troppo tempo a Putnam Valley.» le rispondi facendole un cenno con la mano, scansandole quel pensiero. Che è vero sì, praticamente è diventato ancora più difficile uscire da Putnam Valley, e paradossalmente è diventato invece anche il momento in cui la tua presenza è richiesta più qui, in mezzo alla gente e agli altri cacciatori, che laggiù. E questo considerando soltanto il tuo essere cacciatrice e capofamiglia; l'essere anche madre di quattro figli poi non fa che rendere ancora più complesse e impegnative le cose. Ormai non ti è sconosciuto questo sentimento: la nostalgia persino per le fatiche di una volta, che in confronto a queste di adesso sembrano quasi nulla. Sì, in sostanza è tutto successo nel momento sbagliato, ma è anche vero che non potevi permetterti di aspettare che le cose "migliorassero" per prendere delle decisioni tanto risolutive e soprattutto stracolme di immediate conseguenze. Di tempo ne hai perso anche troppo. È solo che a volte non ti sembra di vedere il capo di tutta la matassa che è diventata la tua vita. Ti resta soltanto l'angoscia di star lasciando qualcosa da parte, involontariamente dimenticato, sommerso da tutte le altre preoccupazioni: che sia un figlio, o una responsabilità come donna sola e come capofamiglia. L'errore è potenziale e sempre dietro l'angolo.
    Anche di fronte a Mireya devi indossare la maschera, nonostante tu sia la prima a voler rifuggire le formalità. A volte la maschera serve semplicemente a te stessa, per saperti e fingerti in qualche modo stabile, sperando, alla fine, di crederci e diventarlo per davvero fin tanto che le forze ti tengono ancora in piedi. Però anche soltanto rimanere seduta, ad un tavolo, ad aspettare che qualcuno ti serva, adesso sembra una stranezza e al tempo stesso un privilegio. Uno dei pochi: non vuoi chiedere troppi favori.
    Poggi i gomiti sul tavolo, sporgendoti verso di lei e guardandola negli occhi. Per quanto dica, sta continuando ad essere tutto tranne che distesa. Per Mireya questo è ancora un incontro formale con qualcuno che, beh, non sa nemmeno cos'è che dovrebbe desiderare da lei.
    «Perché io e lui abbiamo avuto un'intensa, bruciante e passionale storia d'amore quando eravamo giovani.»
    E resti con la stessa espressione distesa, mentre osservi la sua e provi a decifrare un'emozione. Qualche secondo di silenzio, il tempo che il gioco faccia il suo effetto crudele, prima di rivelare la pantomima.
    «Carina, vero? Ti sei sciolta un po'?»
    Torni contro la sedia, allungando la schiena. Le sorridi: si deve togliere dalla testa il fatto che tu sia una sorta di… "idolo vivente" o di sfinge posta di fronte all'approvazione di Rufus. È un desiderio che comprendi, il vostro mondo, del resto, è tutto tranne che accogliente, la tua famiglia non lo è come vorrebbe far sembrare. Ma glielo hai già detto, non sei una Foulger, non più, nonostante il prezzo da pagare sia stato alto.
    «La risposta vera è: perché siamo praticamente fratello e sorella, nonostante solo i nostri genitori siano effettivamente cugini. Siamo stati cresciuti e addestrati insieme. Ci guardiamo le spalle a vicenda.»
    Il che, obiettivamente, forse incentiva la sua smania di volerti compiacere, ma questo non serve. Serve soltanto che sia convinto Rufus, nient'altro. Tu sei meno che accessoria a questa storia.
    Fai un cenno alla cameriera per farti notare.
    «Però va bene, se vuoi le domande allora eccotene una: da dove vieni di preciso?»
    hunter
    head of kabakov
    mother reliquary paleographer 34 y.o. wyoming
    code role © usul; created for Brakebills GDR ma di libero usufrutto ovunque
  9. .
    CITAZIONE
    canzoni che la gentilissima .happysong. (il cui nick mi sembra uno scherzo) mi invia per ricordarmi che no, non mi merito gioie.

    now I am a happy song placed on the lips of a woman ma che evidentemente non sei te <3
  10. .

    SCUOLE FREQUENTATE
    Formazione artistica | 1613/1624
    RAZZE/ABILITA/CARATTERISTICHE
    Banditore degli Incroci | NO | 1628
    PROFESSIONE
    Artista | Europa - 1628/1800 ca.
    Collezionista e mercante d'arte | Europa/America - 1850 ca./ora

    CORPORAZIONE
    // | //- //
    FEDINA PENALE
    // | //- //
    IMMIGRAZIONE
    Francese | 1600 | Legale
    Inglese | 1812 | Legale


    Il suo nome è Alastor, o almeno è così che si fa chiamare ormai da diversi secoli. Ma ad essere onesti (e soprattutto precisi) non è veramente questo il nome tracciato nel suo glifo. Alastor era, infatti, il banditore che, prima di lui, scelse la sua anima per strapparla ai giusti, e la vinse per il Calvario. Quando i Mastini lo portarono in quell'inferno fu Alastor stesso a chiamarlo Alastoreth. È questo il suo vero nome, che forse non è e non suona così differente - se non per un banale accento - ma oh, porta in sé una macchia difficile da ignorare per creature come lui. Motivo per cui, il giorno in cui il suo padrone è finito nel Vuoto, inesorabilmente destinato a non far ritorno, il suo servo ha deciso di prenderne il nome e restituirsi, almeno in apparenza, una dignità in quanto creatura libera, oltre che particolarmente insofferente.
    La sua anima umana si è incarnata ed ha visto la luce, da atti, il 17 di novembre dell'anno 1600, anche se la data in sé conserva qualche incertezza legata a documenti consumati, mal compilati, e ad una memoria che nei secoli ha subito e continua a subire una, direi, naturale corrosione. Ha smesso di contare i suoi anni, considerato quelli trascorsi, in maniera più o meno continuativa, nel Calvario come torturato e poi come torturatore. Agli oltre quattrocento terrestri, ne può aggiungere forse altre due centinaia in più nel Calvario, ma superati i cento, indicativamente, ha smesso di tenere conto pure di quelli.
    È diventato Banditore morendo a soli vent'otto anni, dopo aver venduto la sua anima a Samenar stringendo un patto con quello che sarebbe diventato poi il suo schiavista e torturatore. Tuttavia (e qui sta il fascino della sorte oppure il talento della fazione), prima di vendere la sua anima è stato un tramite candidato per accogliere la Scintilla di un Emissario. In quanto Banditore degli Incroci, non ha mai smesso di stipulare patti con gli umani. Per suggellare ogni accordo, come pegno ha personalmente scelto quello del sangue e della carne: ad ogni umano che lo evoca, oltre a sottrargli più o meno anni di vita terrestre, infligge una profonda ferita longitudinale sull'avambraccio che non si cicatrizza ma rimane recrudescente, sebbene non causi infezioni e né sia mortale di per sé.
    Si è impossessato del suo tramite nel 2014: Victor Callaway, rampollo che, dall'Inghilterra, è arrivato in America sperperando la propria parte di eredità, e da cui Alastor ha a sua volta ereditato, oltre al corpo e all'identità, anche un lussuoso loft a Midtown Manhattan. Per mantenere la sua copertura, rimpolpare le finanze, e continuare così a intrattenersi tra gli umani acquista, vende e contrabbanda oggetti d'arte, spesso falsi, sfruttando il suo secolare occhio da artista, che, nonostante il tempo e gli eventi non ha mai perso.



    Timotheus Hervé Le Gros nacque nel 1600, anno giubilare, a Meissen, in Sassonia. Sassone solo per nascita, il suo sangue era da generazioni francese, originario di Chartres, dove suo padre, Timotheus seniore, fu un pittore affermato, e prima di lui suo padre, e il di lui padre ancora, con più o meno fortuna, riscuotendo più o meno successi, oppure rimanendo soltanto un nome tra le tante maestranze di architetture e disegni più complessi. Quasi per ovvia scelta, anche Timotheus, all'età di tredici anni, fu messo presso la bottega del padre; prima, nella sua adolescenza, come semplice garzone, e poi negli anni, dimostrando la propensione e l'occhio, come vero e proprio pittore, sempre operando sotto il nome del genitore. La formazione pittorica gli giovò molto quando divenne scalpellino e poi infine, a ventiquattro anni, scultore autonomo nei grandi cantieri della capitale francese. Già in giovane età venne considerato un valente artista, e fu allora che nacquero, naturalmente, insieme alle fresche fortune e alle prime amicizie intellettuali, anche le prime discordie e pericolose gelosie da parte dei - come vorrebbe il buon senso - meno talentuosi.
    Thimotheus Hervé Le Gros morì assassinato a Parigi il 4 febbraio del 1628, nella sua casa, tradito e trucidato dai suoi stessi amici. Buona parte dei suoi resti non furono ritrovati, chi afferma di aver visto ciò che rimaneva del suo corpo non seppe mai che fine avessero fatto quelle restanti ossa.
    Il padre gli realizzò un cenotafio nella sua città natale, e poi morì a sua volta.

    Nel Calvario scelse presto di trasformarsi, da vittima, in carnefice. Così come, altrettanto presto, scelse di diventare un servo di Samenar presso gli Incroci, strappando patti agli umani che lo evocavano. Nonostante le torture e la corruzione della sua anime, l'umanità continuò a rimanergli addosso grazie alla rabbia. Una forma di viscerale di rancore e di ira che scoprì di avere gli strumenti per trasformarsi prima in desiderio di vendetta e poi semplicemente in crudeltà. Scoprì che torturare era meglio che uccidere. Causò gravi sfortune a chi si era preso per primo la sua vita. Alcuni morirono per pazzia, o semplicemente per paura di essa. Alcuni di spada, alcuni torturati e stritolati dall'annodarsi delle loro stesse viscere, alcuni durante il sonno, ma morirono tutti. Quando terminò l'epurazione si acquietò, lentamente, anche la fiamma del suo rancore e cominciò, sempre lentamente, a comprendere le potenzialità della sua vita ora pressoché immortale e imperturbabile, se non nella necessaria e costante condizione di doversi considerare servitore fedele di Samenar e dei suoi Luogotenenti.
    Scelse sempre tramiti in grado di dipingere, scolpire, creare: niente mani piccole, dita tozze, schiena debole. Non smise di rincorrere quella fama che aveva appena cominciato a sfiorare in vita, ma stavolta come beffa più che come forma di effettiva realizzazione e di riconoscimento. Nel 1667 l'Académie de France lo portò a Roma (non che avesse più il reale bisogno di lei), dove vi rimase fino all'avvento del nuovo secolo.

    Sapeva di averlo già incontrato. L'Emissario. Pratile 1794, di nuovo in patria, a Parigi, l'evento giusto, sangue abbastanza per riuscire a strappare ancora qualche patto a qualche altro disperato che, in fin dei conti, riducendo tutto all'osso, sotto a tutti i fronzoli, non rimaneva altro che una povera anima spaventata e tremolante, piccola, insulsa, misera come tanti i miseri lasciati morire in tutti i mesi, gli anni (siamo onesti), i secoli precedenti. Nelle spoglie di una donna era stato ancora più facile. Serviva solo scendere in fondo, dove sta l'istinto e soprattutto l'irrazionalità, dove l'uomo si riduce a pura carne.
    Marguerite Blakeney non era la prima volta che incontrava un Emissario. Beh, Marguerite, sì, per Alastor affatto. Marguerite era una donna interessante ed estremamente affascinante, e suo marito, Percy, lo era ancora di più. Che lo fosse sempre stata o che lo fosse diventata da quando il banditore aveva scelto di abitare le sue spoglie, questo non spetta a noi stabilirlo.
    Era stato semplice, quel "", lo sapeva, non vincolava veramente a niente. Bastava solo offrire un'alternativa, un'altra ancora, apparentemente meno peggiore delle altre. Si era preso allora la sua anima per il Calvario.
    Il suo emissario si era rivelato inadatto, ritardatario, sorprendentemente e inaspettatamente mal fatto. Era bastato un soffio d'alito per raggirarlo, una promessa fatta scivolare dalle labbra strette ad un orecchio che, in fondo, voleva soltanto sentire la promessa di un qualche conforto. Ma Alastor lo sapeva bene già da sé che non esistevano vie di fuga reali. Forse a quell'uomo sarebbe decisamente convenuto di più morire sotto la lama.

    Riconoscere Azrael, l'Emissario bandito era diventato semplice, ora decisamente di più.
    Lasciò la madre patria subito dopo le rivoluzioni, quando non c'era più niente da rivoluzionare. Ad Alastor piaceva vivere in mezzo agli uomini, sempre con quel distacco superbo di chi vive e cammina su questa Terra, e su altre lande, decisamente da troppo tempo. Quando comprese il rischio della parola "antiquario" (per essere gentili), scelse di non produrre più niente da sè, ma di collezionare e rivendere ciò che all'occhio intellettuale dei gentiluomini inglesi alla metà del XIX secolo più piaceva, tenendo per sè i pezzi più belli.
    La forma di fastidiosa tortura perpetrata nei confronti di Azrael divenne, col tempo, pura curiosità. Mirabilia di fronte alla fallimentarietà persino di un dio come Aaos, padre di "creature perfette", nate non da anime corrotte, masticate e deformate, ma da una volontà imperscrutabile. Ineffabile il modo con cui aveva deciso di costringerlo tra gli uomini, bandito dalla sua stessa casa, culla primordiale, per essere troppo... per essere troppo cosa? Per essere qualcos'altro rispetto a quanto deciso dalla volontà che aveva acceso la sua Scintilla? Spingerlo a tradire, di nuovo, la sua imperfezione, fu un'attenta forma di intrattenimento, e poi di scientifica, chirurgica curiosità, che portò avanti nei decenni a seguire.

    Poi arrivò quel momento, dopo il primo ventennio del nuovo secolo (momento forse banale e decisamente scontato), dove sentì di aver visto abbastanza, ma al tempo stesso di non voler spendere l'eternità nel Calvario. Non gli piaceva la parola "eternità". Nemmeno troppo quella di "Calvario". Ma fu una pulce passeggera tra i pensieri. Durò poco.

    L'America non gli piaceva, non gli è mai piaciuta, ma era lì che dopo la metà del secolo succedevano le cose più interessanti. Odiava ogni forma di avanguardia, e ora che avevano iniziato ad odiarla anche gli altri producendone, di contro, una nuova ancora, mise un punto ad una consapevolezza che aveva maturato dubbioso per tutti quei decenni e secoli: nell'uomo non c'era più niente di bello. Una constatazione drastica, forse anche fin troppo parziale e infantile per certi versi (escludeva la maggior parte degli aspetti importanti del concetto "uomo") ma bastò comunque per fargli scegliere uno stile di vita in mezzo agli umani molto più isolato, basato principalmente sull'intolleranza verso di essi. Profondamente disgustato, fu in quegli anni, tra i '60 e '70, che addivenne finalmente al moneta perfetta per suggellare i suoi patti con i poveri contradditori umani. Odiando, in definitiva gli uomini (forse per pura ripicca o addirittura per noia), e mal sopportando le alte gerarchie del Calvario, quella di Azrael divenne una figura costante nel corso dei decenni. Dopo aver impiegato anni a cercare di fargli rinnegare Aaos e l'ormai irraggiungibile Isola, di farlo bestemmiare contro il suo stesso dio, quella costante forma di tortura, o di infantile bullismo, si è trasformata, per cause naturali, in una sorta di quotidianità e di compagnia che Alastor è finito a difendere con trucchi e stratagemmi agli occhi infuocati del Calvario e dei suoi "emissari".
    L'America non gli è mai piaciuta. Sono, in definitiva sessant'anni che cammina sul suo suolo lamentandosi.


    Alastor non ha mai amato veramente il Calvario. In quanto anima appena masticata dai Mastini ha ceduto subito ai suoi torturatori, passando dalla parte della vittima a quella del carnefice e segnando così la sua inevitabile corruzione.
    Ma non ha mai amato veramente il Calvario. Ha sempre, piuttosto, conservato una memoria viva, decisa e satura della sua umanità. A dirla tutta, ha sempre preferito questa all'inferno voluto da Samenar, per quanto la sua essenza via sia intrinsecamente (e innegabilmente) legata. I lunghi anni che ha avuto da vivere sono diventati, in sostanza, il pretesto e soprattutto il "dono" per poter assistere ai meravigliosi mutamenti del mondo terrestre, prendendovi parte di tanto in tanto, vivendoli il più possibile in prima persona. È un Banditore a cui sono sempre stati stretti gli obblighi della sua razza.
    La, da sempre, consapevolezza di sé e delle proprie doti, anche quando era in vita, insieme con questa longevità, lo hanno reso profondamente superbo. È tendenzialmente narcisista, trova vanto nella sua stessa vanità. È un opportunista, non si è mai dichiarato veramente fedele a nessuno, neanche a Samenar stesso e alle sue gerarchie, motivo per cui, dalla sua nuova reclusione insieme ad Aaos, non ha preso parte a nessuna delle fazioni che continuano a portare avanti le lotte intestine all'interno del Calvario. Ha piuttosto sfruttato l'anarchia che vi regna, cercando di tenersi alla larga dai più fedeli al dio, per non finire vittima delle loro purghe. Non è mai stato uno scellerato, tuttavia. Deciso, risoluto nelle proprie scelte, irremovibili da decisioni già prese anche quando queste solchino la via più difficile da percorrere. Intendiamoci, resta pur sempre un efficiente scaltro, ma difficilmente si lamenta, così come difficilmente si tira indietro davanti alla cosiddetta "unica via possibile". Affronta sempre le conseguenze delle proprie scelte, e la Libertà di Scegliere rimarrà sempre il privilegio, faticosamente guadagnato con le proprie unghie e denti, per il quale mostrerà più vanto e, di conseguenza, più furore nel difendere.
    Ama le cose futili, i piaceri intensi o anche solo temporanei, come del resto è intensa e temporanea la vita stessa dell'uomo.
    Mentre nei suoi primi decenni, forse secoli, di vita come banditore, si dilettava a cambiare frequentemente i suoi abiti, e a possedere senza troppo impegno vari umani dalle fattezze o stati sociali interessanti, ha imparato lentamente a godere maggiormente dell'idea di coltivare al più lungo possibile una vita apparentemente e anche fisicamente umana. È diventato molto attento a curare il suo aspetto, esattamente come si tiene con cura un vestito buono. Al limite della paranoia. Non sceglie mai i propri tramiti in maniera casuale. La scelta del candidato perfetto richiede sempre un'analisi attenta, estetica e soprattutto funzionale: ha un concetto di bello che travalica le mode brevi e temporanee, lo si potrebbe (seppur incorrettamente) "anticonformista".
    Sono ormai una decina d'anni che abita lo stesso tramite: alto, magro, non bello, almeno secondo i canoni che vigono in questo decennio, o addirittura secolo. I tratti affilati, gli occhi scavati che nascondono il loro, acquisito, colore innaturale e sospetto. Quando ne ha preso possesso aveva circa quarant'anni, o poco di più, quando ancora il suo aspetto non era così spigoloso, come lo è adesso, che comincia a dimostrare tutti i suoi cinquant'anni, nelle rughe attorno agli occhi, nei tratti fattisi ancora più spigolosi e accentuati, negli inevitabili segni di una pelle tutto sommato dura e ammirabile per essere ancora degna veste per l'essenza di un Banditore.
    Nel corso degli anni ha posseduto sia uomini che donne. Ha smesso di sentirsi "umanamente definito" nel proprio genere in questo senso, sebbene sia nato uomo e sia ancora perfettamente consapevole della cosa. Se nei primissimi anni è stato spinto al sesso opposto dalla pura curiosità e dal divertimento, con il tempo ha imparato e ha apprezzato il valore di un tramite femminile. Sebbene quindi si identifichi principalmente ancora nella sua natura umana e primitiva maschile, è difficile iscriverlo in un genere veramente binario.
    Nonostante le migliori intenzioni, tuttavia, resta un Banditore. Possiede un'imprevedibile crudeltà: è capace di spietate efferatezze, mosse forse, prima ancora che dall'essere una delle violente creature di Samenar, da una profonda rabbia nera che a volte risale come bile, fatta di cose non dette, di ingiustizie subite in un tempo indeterminato, di tradimenti del passato che sono diventati il suo cancro, la sua moneta di scambio quando ha accettato di diventare lui stesso il carnefice. La cosa alimenta l'altra.







    Edited by .happysong. - 29/8/2023, 00:59
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    L'invasione delle Giulie è cominciata! Ciao! Io sono Gine! (guarda io che saluto la fine della magistrale, da lontano, col bincolo) Benvenutissima!!
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    This is barbra
    ▸ Nome PG: Alastor (anche se è falsissimo, Alastor era il nome del banditore che serviva, il suo vero nome - con relativo glifo - è una derivazione del nome Alastor che ops abbiamo preso in prestito).
    ▸ Desc: Alastor è un banditore degli incroci. Come umano è nato nel 1600 - anno giubilare - in Francia dove è stato messo a bottega a quattordici anni ed è diventato poi uno scultore talentuoso e rinomato. Dopo aver fatto un patto con Samenar perché è cretino (dice, ma non ha sempre sorvolato sulle reali apparenti motivazioni), è arrrivato a Roma per studiare arte antica ed è stato ammazzato per gelosia (pare) da altri artisti per una commissione sottratta e robbe ccosì.
    Dettaglini importanti quelli del suo passato perché, nonostante le torture e l'atmosfera giusto un pochettino severa del Calvario, è rimasto profondamente attaccato al suo passato e ai ricordi di esso. Ha perciò sempre avuto un carattere umano abbastanza spiccato, nonostante obv il Calvario abbia fatto la sua parte e lo abbia resto un banditore comunque crudele e senza scrupoli alcuni.
    ▸ Cerco:
    1. Banditori, gente del suo rango con cui possa aver fatto comunella ma anche solo da incrociare a giro del tipo ehi bro. Mi piacerebbe trovargli anche qualche amichetto tra i banditori, o addittura qualcuno che si diverta a sottomettere per semplice gusto di farlo.
    2. Sempre restando sulla questione banditori, in realtà Alastor è tra quelli che hanno fatto abbastanza pacchia quando è scoppiato di recente il caos e l'anarchia nel Calvario (della serie sì che quando il gatto non c'è i gay ballano). Quindi ci sta anche qualche banditore fedele a Samenar e all'ordine (bleah ke palle) che ha segnato Alastor sulla lista nera.
    3. Passando agli Umani, ci piacerebbe qualche anima pia e stanca con cui aver stretto un patto (anche in questo caso da schiavizzare o torturare psicologicamente, ma giusto un pochino pochino)
    4. E infine Emissari, gente con qualche remora o sospetto visto e considerato che ha cominciato a fare comunella con l'emissario Azrael (a maggior ragione ora che Samenar è in vacanza) e non è che siano tutti così tanto contentissimi della cosa (la verità è che anche sti emissari non hanno voglia di fare una bega su diciamocelo)
    ▸ Contattatemi: MP, Telegram (@Gwynnever)
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    HUNTER 22 y.o JONAH ACKERMAN georgia voice look aesthetic song
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    las llamas son bonitas porque no tienen orden, y el fuego es bonito porque todo lo rompe
    «Lo userà contro di te. Lo userà per costringerti a fare cose che non vuoi.»
    Ti esce diretto, quasi tutto d'un fiato, senza trattenerlo. Ti mordi solo dopo la lingua per essere stato avventato e violento con le parole, proprio quando non dovresti. Ma è come uno spasmo, un tic che ti fa sputare fuori quella che pensi sia la verità, o quantomeno ciò che temi di più. Perché se lo prenderanno quel figlio, e diventerà il modo con cui la terranno stretta al collo. La costringeranno a fare qualsiasi cosa, a dire ciò che non dovrebbe. Per un figlio si fa questo. Lo ha fatto per te Caesar, nonostante tu non fossi suoi figlio. Caesar non ti venderebbe per salvare Pine Mountain. O forse sì, forse in quel caso invece lo farebbe.
    La cosa ti fa rabbrividire, cerchi di cacciare tutto quanto indietro. Sentirsi figli adesso è terribile, vomitevole, odioso. Non lo sopporti. Ma sai cosa vuol dire, ma nella condizione in cui non vorresti vedere Danielle rinunciare ad un figlio per qualcos'altro, anche qualcosa di giusto. Lasciato lì, abbandonato come una sorta di aborto per salvare sé stessa ed altri. Non riesci a dipingergliela addosso questa maschera. È come se ti sentissi tu aborto alla stessa maniera. Non ci devi pensare più, non adesso.
    «Zitta! Zitta fai piano…»
    Non dovevi dirlo. Non dovevi, ma non potevi non farlo adesso, non potevi non dirlo a Danielle adesso che non ha scampo, che non vede una luce.
    D'altronde è questo quello a cui ti aggrappi da mesi. A Gideon. All'idea che tornerà, che lo farà o che morirà provandoci, e allora sarà come morire con lui. Che non lascerà Pine Mountain, non risparmierà Declan dopo ciò che ha fatto a Hiram. Sì, è meglio pensare a questo, per quanto pericoloso sia.
    «Non lo devi dire a nessuno, Danielle. Hai capito? Non devi dirlo ad anima viva o ci ammazzano tutti quanti.»
    Non è neanche una raccomandazione, è più una supplica. Hai fatto delle promesse a Gideon, perché il silenzio è la soluzione più sicura di tutti. Adesso che lo sa anche lei c'è un rischio, uno in più, uno che speri con tutto te stesso non diventi fatale.
    «Ho incontrato Gideon. Declan sa che è vivo e sta cercando di ammazzarlo. Ma Gideon vuole tornare e riprendersi Pine Mountain.»
    È questo quello che sperate da quando Declan si è impossessato del ranch e ne ha mandati così tanti a morire, in un modo o nell'altro. Ma dirlo, far uscire dalla propria bocca questo ritratto di speranza, per quanto pallida essa ancora sia, ha tutto un altro valore.
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    «Mh.»
    Tenerlo. Come se fosse una cosa facile. No, non vuole suonare così, non vuole imputarle questo, non è questo il senso. Lo sanno entrambi che non si sta parlando di una sciocchezza, o anche solo di qualcosa di "aggiustabile" in un modo o nell'altro. Basta sentire come lo sussurra, come si è fatta silenziosa questa stanza, come fosse una sorta di bunker segreto, nel bel mezzo della notte, una trincea dentro il territorio nemico. Eppure è casa vostra, il territorio nemico è casa vostra e resta tale nonostante l'invasore. E anche questo bambino dovrebbe essere un figlio di Pine Mountain, ma di quella Pine Mountain come la voleva Gideon, come l'ha sempre voluta e come la vuole ancora. Per questo non dovrebbe andarsene.
    «Ma non puoi andare via da Pine Mountain.» anche se detta così sembra una condanna, una costrizione, una di quelle cose che ti prendono al collo. Una via di fuga tagliata. Anche se ha ragione, perché non ci sono altre alternative sicure. Quando Salvatore saprà del bambino lo vorrà per sé, e allora andarsene diventerà ancora più difficile. Per questo il bambino dovrebbe appartenere a Danielle e a Pine Mountain, ma a quella che voleva Gideon, quella giusta, quella dove meriterebbe di nascere e crescere. La stessa che ha accolto un bambino di nove anni che ricordava solo il suo nome, e nonostante ciò è stato fatto Ackerman.
    «Declan ti verrà a cercare comunque. Sospetta di tutto.»
    C'è anche questo, c'è il sospetto che serpeggia, la paura di Declan che è aggressiva, ossessiva, si trasforma in violenza. E poi, soprattutto, coinvolge tutti, si autoalimenta, brucia ogni singolo filo d'erba che si trova nelle vicinanze della miccia scoppiata.
    Pine Mountain fa paura, e non soltanto per il rischio, comunque corso, di finire morti e venduti dai propri stessi simili. No, rimanere in vita con un cappio del genere stretto alla gola è peggio. E questo proprio ci somiglia, ad un cappio. Pensi a Salvatore, e allora ribolli, allora pensi che dovresti andarlo ad ucciderlo nel sonno e far scoppiare una cazzo di guerra civile. Pensi a Declan, a quanto debba morire, ed è un sentimento strano, questo, desiderare che un uomo, pienamente umani, muoia soffrendo. Non è come uccidere una bestia o una creatura, anche se negli ultimi istanti, per disperazione, supplica. Diventa quasi un atto di pietà uccidere, in quel caso. Ma in questo è solo rabbia che macina sottilmente la polvere tra i denti. E anche se è lei quella in trappola ora, è come se sentissi la corda attorno al tuo di collo. Soffocante. Ti sta soffocando il solo pensiero. Bisogna fare qualcosa.
    «Danielle, ascolta.» ti spiego verso di lei. Abbassi la voce, diventa solo un sussurro, mentre la guardi dritta negli occhi e fai una scelta.
    «Gideon. Sta tornando. Sta tornando, Danielle.» le stringi, le scuoti appena le mani.
    Avevi promesso il silenzio, avevi promesso che non avresti detto niente, nemmeno a Danielle, affinché Gideon non corresse rischi. Ma non c'è la fai, è una cosa che adesso non puoi trattenere. Ma lo devi fare piano, più piano ancora del semplice sussurro.
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    metamorphomagus – 25 y.o. – supporter – brooklyn




    «Sì, deve essermi proprio caduto. Divertente.
    È parecchio tempo che non mi confronto così direttamente con dei no-mag, perché credo sia questo in fondo. Voglio dire, le probabilità sono molto più alte, trovandoci qui, a Brooklyn. Quando sto al Sacred so perfettamente cosa entra e cosa esce, e forse ci ho fatto pure il callo. Sì, sicuramente: quando non fai altro che usare la magia ad un certo punto ti abitui e basta, diventa una normalità, la normalità. Del resto è il mio lavoro, ed è per questo che sto imparando, per fare la cosa giusta. Sta di fatto, in sunto, che devo tornare ad abituarmi a ciò che è realmente normale. Noi facciamo parte piuttosto dello straordinario - o almeno così voglio i numeri, non lo so bene in realtà.
    Il problema vero, ad essere onesti, è che sto perdendo l'abitudine a confrontarmi con la gente, in generale, cosa che di per sé, per quanto detto fino ad ora, pare abbastanza assurdo. È che anche qui mi limito a fare ciò che devo, a seguire degli orari, una tabella, a prendere decisioni che si basano unicamente su intervalli di valori: me lo dicono i referti e le schede cosa fare, è difficile che decida io, anche quando mi è richiesto poi di scegliere veramente. È un modo meccanico, penso, di andare avanti. Ma c'è che se penso troppo, se tolgo il pilota automatico, come minimo faccio colare a picco questo piccolo aereo di linea che va da Brooklyn a Manhattan, e da Manhattan torna a Sunset Park. Forse è solo una fase, una delle innumerevoli, da attraversare rigorosamente tutte. Per arrivare poi, ah non so proprio a cosa o dove. Si tratta solo di rimanere in equilibrio il più possibile, stabilizzare i motori e cercare di evitare troppe perturbazioni. Che aprono falle, e fanno male, cazzo se fanno male.
    «Mh.» Chiedi ad un ortopedico di farti una colonscopia e vedi come cambi idea. Riprendo il badge. Acida. Ma l'ho solo pensato, forse sarebbe stato davvero troppo dirlo, sebbene avesse movimentato un po' la cosa e magari fatto sciogliere un po' la mia faccia di bronzo.
    «Non è importante.»
    Sì, decisamente statica e riflettente. Credo pure che un commento del genere una volta mi avrebbe suscitato una reazione diversa. Non imbarazzo, no, forse… forse più qualcosa di simile allo schifo o a disappunto. Ma tengo ferme le mani sui comandi, che se sobbalzo io qui sobbalza tutto questo aereo.
    «Proposta incredibile. Sei in un ospedale, genio.» e forse ci starebbe qui ribadire tutti i rischi delle recrudescenze della pandemia appena passata e blah blah quella roba lì di cui, insomma, abbiamo avuto la fortuna noi bambini speciali di non dovercene preoccupare. Per cui no, non è proprio il massimo offrire da bere a qualcuno in un ospedale, considerato poi che con grande probabilità potrebbe pure essere un paziente.
    «Stai in qualche reparto o sei semplicemente uno a cui piace guardare il tramonto sui tetti degli ospedali?» che su quello avrei poco da dover accusare. Ci piaceva anche a noi, nel posti sbagliati, nei momenti peggiori fare cose anche peggiori di questa. Ma sento di star quasi scivolando in quella dinamica stupida per cui "se non lo posso più fare io allora non vedo perché dovrebbero farlo gli altri". Indurita, ecco. Offesa dalla semplicità degli altri.

    Vivianne
    Comstock
    Dixon.

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1075 replies since 29/7/2012
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